*Epilogo, salto di tempo di un anno. La vita è andata avanti in qualche modo, Kari ha fatto terapia e con essa ha accettato molti cambiamenti in sé e nella sua vita, ma quali saranno? Ringrazio tutti quelli che hanno seguito la mia fic, spero sia piaciuta e che continueranno a seguire le mie storie. Nella mia pagina su FB tengo aggiornati sulle mie pubblicazioni. Buona lettura. Baci Akane*

EPILOGO: 
TEMPO

kari

"Quando l’oscurità cala
E ti circonda
Quando cadi in basso
Quando sei spaventata
e ti senti smarrita. Sii coraggiosa
Sto venendo a stringerti ora
Quando tutta la tua forza è finita
E ti senti di aver sbagliato tutto
Come se la tua vita fosse scivolata via
Seguimi,
puoi seguirmi
E io non ti abbandonerò adesso"

- Muse - Follow me - 

 

Come sapeva trascorrere il tempo, volando, fino a spingere le persone a guardarsi indietro e chiedersi dove fossero andate fino a quel momento.
Dove erano finiti i momenti infiniti?
Quelli che si fermavano e non passavano mai?
Quelli in cui ti perdevi.
Il tempo era neutro però poteva essere tanto terribile quanto comodo e benevolo.
Era l'unica cura per tutto, però sul momento sembrava non passare mai. Ed invece un mattino ti faceva svegliare e capire che no, ti sbagliavi. Era corso e non te ne eri nemmeno accorto.
Per cui il tempo era tutto e niente, era molte cose contrastanti, ma quel che contava era che ci fosse e che portasse tutte le risposte e tutte le cure.

Erano arrivati al tour europeo. 
I Royal stavano andando molto forte, l'incidente di un anno prima aveva paradossalmente aiutato le vendite dell'album appena uscito ma soprattutto aveva reso loro il doppio della notorietà.
Le circostanze mai chiarite al cento percento sull'aggressione a Christopher, avevano fatto sì che la gente si accalcasse intorno a lui e al gruppo intero per una sorta di curiosità morbosa, nella speranza di saperne di più.
Parte era stata la paura di perdere un gran cantante promettente, il resto era né più né meno curiosità.
C'erano molti che non avevano mai sentito una canzone del gruppo ma che dopo aver sentito la notizia dell'aggressione, si erano informati sul gruppo e nel sentirli si erano affezionati.
L'album in questione era uno dei loro successi più grandi. 
‘Canto per te’ rappresentava il massimo talento di tutti e sei ma soprattutto del cantante Christopher che aveva fatto un salto di qualità incredibile, per cui comunque avevano anche solo semplicemente riconosciuto che era bravo.
Il tour americano era partito con ritardo, completato quello erano andati in Europa. Avevano cominciato da un po' ma quel giorno toccava alla Francia.
- È ironico non trovi? - Disse Sean a Chris mentre si avviavano verso la hall dell'albergo in cui avrebbero pernottato in attesa del concerto.
- Cosa? - Chiese senza capire.
- Ad un anno da tutto facciamo il concerto in Francia! È assurdo! - 
Chris capì a cosa si riferiva e si strinse nelle spalle.
- Meglio a distanza di un anno che di pochi mesi. - Disse semplicistico. Sean lo guardò sorpreso.
- È pronto? - Chiaro a chi si riferiva. Chris lo cercò con lo sguardo e lo trovò a parlare fitto con Niky poco più in là. Kari sorrideva. Aveva un taglio corto e moderno con una piccola cresta modesta sulla testa. Visti i suoi ricci non poteva ambire a molto di più.
Era un taglio che gli donava.
Si era anche irrobustito fisicamente perché si era iscritto ad una palestra di arti marziali miste per sfogare l'eccesso di rabbia e stress accumulata. La palestra che faceva prima da sola non gli dava una disciplina, non incanalava tutto il suo eccesso interiore.
Un'arte marziale era l'ideale per uno come lui.
Aveva un orecchino al lobo ed un tatuaggio spuntava dalla schiena. Prima di allora non si era mai dato pena per il proprio aspetto, né per migliorarlo, né per rendersi più piacevole ai propri stessi occhi.
Tutti avevano dei gusti, delle manie. A tutti piaceva farsi qualcosa. 
Kari da qualche tempo aveva cominciato a fare anche questo. Aveva scoperto che gli piacevano quel genere di cose, prima non se ne era mai interessato perché era una sorta di apprezzamento della vita, sotto un certo punto di vista.
Ora aveva anche scoperto un forte gusto per i cibi orientali, prima a stento digeriva una zuppa. 
Ma quel che saltava più all'occhio era che parlava e sorrideva.
Ian gli disse qualcosa e gli rispose facendogli l'occhiolino. 
- Sì è pronto! - 
Sean a quel punto gli chiese:
- Come fai a dirlo? Solo perché sorride e parla di più? - 
- No... perché non si è reso conto che è già passato un anno e che siamo proprio qua... - 
Sean capì che aveva ragione e sorrise in modo strano, orgoglioso del suo bassista a cui aveva imparato a volere bene nell'arco di quell'anno.
- Non darà di matto? - Chiese memore delle prime volte che aveva tentato di violentarsi suonando Sleeper. 
Dopo un paio di crisi isteriche dove aveva spaccato il basso, avevano risolto evitando di fargliela suonare. La faceva Paul al suo posto e la chitarra restava una sola, quella di Sean. Ce la facevano. All'occorrenza Christopher poteva suonare però preferiva concentrarsi sul canto. 
- Se lo fa ci siamo. - Dopo quelle volte e la soluzione trovata, Kari aveva continuato ad essere un elemento difficile all'interno del gruppo, aveva spesso litigato con tutti ma lentamente era andato meglio, si era calmato ed era riuscito, un giorno, a suonare Sleeper.
Avevano così capito che la terapia stava funzionando.
La terapista gli aveva dato il permesso di fare i concerti a patto di venire nel tour e continuare le sedute regolarmente. Allora lentamente da 'problematico', era diventata una terapia il tour stesso.
Era da poco tempo che non veniva con loro, in Europa aveva detto che non sarebbe servito, però si sentivano regolarmente per telefono e quando c'erano le pause e potevano tornare a casa, andava da lei.
“Certe cose segnano irrimediabilmente. Non è un problema essere gay, non doveva guarire da quello. Non è una malattia. Ci sono fattori che spingono ad esserlo, è vero. Spesso però uno lo è e basta. Dipende da caso a caso. Comunque non abbiamo mai considerato la sua omosessualità un problema a cui rimediare. Sono i rapporti in generale, quelli su cui abbiamo lavorato. Oltre ad una lunghissima lista di cose che non finiva più...”
Concluso il tour americano, la terapista aveva detto così a Joshua.
Tutt'oggi quell'aspetto non era ancora chiaro. Come avessero lavorato sui rapporti e cosa avessero risolto alla fine.
Kari continuava ad essere il suo compagno però in generale era tutto diverso con lui.
Era tutto molto rilassante e sereno, niente scatti d'ira, ombre e chiusure. Non c'erano argomenti tabù e questo era il passo più grande fatto.
Sean saltò sulla schiena di Kari e lui lo prese ridacchiando. Una volta l'avrebbe insultato e se lo sarebbe scrollato dalla schiena. 
Chris sorrise contento di quel risultato, qualunque esso fosse. In ogni caso stava bene. 
- Da quanto non ha incubi? - Chiese a Joshua avvicinandoglisi. Lui lo guardò brevemente, stupito della sua domanda. Alzò gli occhi in alto e ci pensò.
 -Non so se ne fa o no. Penso ne faccia, però riesce a non gridare la notte. - 
- Prima non faceva nemmeno incubi. Il fatto che ne ha fatti significa che ha elaborato interiormente il tutto. Certo, sotto forma di incubi, ma è stato il primo passo. - Si aggiunse Niky lasciano Kari agli altri ragazzi che gli erano saliti sopra tutti insieme per testare la sua forza ormai decisamente notevole.
Niky aveva seguito tutto il suo percorso. 
Kari non aveva rivelato di preciso cosa venivano fuori nelle sedute, nessuno sapeva quali fossero state le sue soluzioni, ma era chiaro che ne avesse trovate. Dei nodi erano stati tolti ed era già tutt'altra persona quella che stava lì con loro.
Quando si sistemarono nelle camere, Kari e Joshua andarono insieme come al solito, come anche Niky e Chris. 
Joshua era convinto che Kari avesse capito che per lui provava l'amore di un figlio, ma che stesse con lui perché era consapevole che Joshua invece lo amava come un compagno, come l'amore della sua vita. Per cui per non ferirlo, stava con lui come prima però era sicuro che lo vedesse come un padre e basta. Non gli faceva mancare nulla, lo facevano diversamente da prima. Senza rabbia o disperazione, non c'erano sentimenti contrastanti violenti, non era un'ossessione o una malattia. Era piacevole fare l'amore con lui. Tutto lì.
Joshua non l'avrebbe forzato a buttare giù la maschera, quando se la sarebbe sentita l'avrebbe fatto da solo, fino a quel momento ci sarebbe stato al suo massimo. Era questa la soluzione migliore.

Il concerto era andato alla grande, meglio di quanto tutti avessero potuto immaginare.
Dal momento che era la prima tappa della Francia, tutti si erano aspettati che Kari desse forfait, però alla fine fece tutta la setlist dalla prima canzone all'ultima. Non diede particolare spettacolo, però lo trovò terapeutico. 
Scaricare nella musica era comunque l'attività migliore, per questo aveva continuato a farlo. Suonare il basso era la sola cosa bella della sua vita fino al momento in cui aveva incontrato Joshua. Era stata una specie di benedizione e lo era la musica stessa. 
Era buffo, lo pensava sempre. 
Aveva passato una vita a cercare modi per dormire con lo scopo di dimenticare, intontirsi, svanire con la mente. 
E poi, alla fine, il sistema migliore era risultato la musica.
Non aveva più voglia di dormire, ubriacarsi e drogarsi e nemmeno di sparire ed essere un nulla nel nulla.
Ora voleva solo poter perdersi in qualcosa di bello, puro e libero. Senza pensieri, senza costrizioni di alcun tipo, senza parole da dire. Solo quello.
Note e musica. 
Uscì dallo stabilimento per prendere un po' d'aria. I camerini e le quinte erano al coperto e non si respirava. Non fumava e non beveva, però il bisogno di estraniarsi e stare solo ogni tanto l'aveva.
Con la terapista era giusto alla conclusione che ora era libero di fare quello che riteneva opportuno. Non aveva più rabbia repressa né sentimenti negativi da abbattere. Per cui non c'era il pericolo che si distruggesse in qualche modo o che facesse del male ad altri. Però era bene per lui non stare mai solo.
Non gli aveva detto, alla fine, se in Joshua vedesse un compagno od un padre. Ne avevano parlato moltissimo, avevano sviscerato ogni argomento a proposito ed alla fine gli aveva detto di lasciarsi trasportare. Se si sentiva costretto a portare avanti una relazione che non lo soddisfaceva per qualche motivo, doveva ridimensionarla e chiudere. Se gli andava bene così, se non c'era niente che sentiva di voler cambiare, non doveva farlo.
Kari ancora non ne era sicuro. Era onesto. Forse vedeva Joshua come un padre e la sua deviazione incestuosa non sarebbe mai cambiata del tutto, però era riuscito a vedere Niky come un amico ed un fratello senza accezioni di alcun tipo, né innamoramenti insinuati da Gabriel.
Per Joshua era difficile capirlo e temeva non ne sarebbe mai venuto a capo, però la terapista non gli aveva mai dato una soluzione, perché l'unica risposta l'aveva lui e lei non poteva dirgliela. Lei nemmeno la conosceva. 
Così gli aveva detto di prendersi tempo e fare con calma.
Lui per ora stava bene con Joshua in quel modo, era un sollievo non aver avuto bisogno di lasciarlo o altro.
Però non escludeva che un giorno l'avrebbe visto con altri occhi, che avrebbe potuto volere altre cose.
Per il resto non poteva dire d'essere guarito, aveva gli incubi ma resisteva. Quando lo stress aumentava andava dal suo maestro di arti marziali miste e lui lo aiutava meglio della terapista. Insomma, riusciva a gestire tutto.
Era stato strano parlare con lei di tutto. Ogni singolo dettaglio anche quello più macabro alla fine era uscito dalla sua bocca ed in un anno aveva avuto bisogno di ripeterlo più volte. Come se non ne avesse mai abbastanza. 
Le prime volte aveva distrutto lo studio, le ultime era stata una liberazione e basta.
Per cui non poteva dire di essere guarito, non era in grado di dirlo. Sicuramente doveva fare ancora molta strada.
Ma ce la faceva. 
Un anno prima era convinto del contrario.
- Hai da accendere? - Chiese una voce in francese. Kari sorpreso si guardò intorno. Era il retro dello stadio di dove avevano fatto il concerto, un posto solo per chi aveva il pass. Quel ragazzo non aveva il pass. 
- Come sei passato? - Il giovane era mulatto ed aveva due occhi verdi che spiccavano per due motivi. Perché erano un chiaro sullo scuro sbiadito e perché erano spenti e sofferenti.
Kari riconobbe subito il tipo di sguardo. 
- Vivo in quel buco! - Disse indicando un posto nascosto dietro a dei cassoni. Kari allora lo guardò meglio. Era vestito di stracci ma era troppo giovane per essere un senzatetto, poi rise della propria stessa affermazione.
Lui aveva avuto la sua età, probabilmente. Forse era stato anche più giovane.
- Non fumo, mi spiace... - Disse poi. Il ragazzo sbuffò e fece un cenno tornando nel buio da dove era venuto.
Kari lo guardò sistemarsi in modo da non essere visto e si stupì, infatti si avvicinò al suo covo e rimase a distanza debita.
- Ma sei rimasto lì tutto il tempo? - Il giovane spuntò di nuovo e lo guardò astioso e diffidente.
- Se vuoi un pompino scordatelo! Non do il culo! - Disse aggressivo. Kari sogghignò divertito e si sedette per terra alzando le mani in segno di resa.
- Ehi, nemmeno io! - Poi si corresse. - Cioè nemmeno io mi vendevo per sesso... - Quando lo disse, il ragazzo si calmò capendo che aveva una provenienza come la sua. 
- Chi siete? - Chiese quindi come se si stesse rilassando.
- I Royal. Li hai sentiti? - Chiese Kari in una conversazione pura e semplice come apparentemente ce ne sarebbero potute essere molte.
- Ti pare che potevo non sentirvi? Vivo qua! - Kari rise. - Comunque non siete male, tu sei il cantante? - Kari capì che il ragazzo aveva una grandissima voglia di parlare, probabilmente non lo faceva chissà da quanto. Questo poteva essere pericoloso. Poteva decretare la sua fine se incontrava la persona sbagliata. 
- No, sono il bassista. Se vuoi ti faccio conoscere in cantante! - Il ragazzo scosse la testa veloce.
- Non voglio vedere nessuno! - 
- Allora, che strumento suoni? - L'altro a quella domanda ci rimase secco, lo fissò stralunato nonostante la fatica e la tristezza di fondo, una tristezza aggressiva.
- Non suono... come fai a sapere... ? -
- Canti? Dai! Fammi sentire qualcosa! - Kari mostrava un sorprendente interesse per un altro essere totalmente esterno a lui e soprattutto si stava mostrato lui stesso diverso da quello che era sempre stato. Sembrava uno che gli piaceva la vita, gli altri ed in generale le cose. 
- No no, non sono bravo come lui! - Kari rise.
- Non glielo dico perché altrimenti si monta la testa! Pensa che i primi anni doveva avere un assistente all'ascolto! Uno che ascoltasse sempre e solo lui quando cantava. Sempre! Robe da pazzi! - Il ragazzo lo guardò stupito mentre via via sembrava rilassarsi. 
- Mi prendi per il culo?! - Kari continuava a ridere e finì per contagiarlo, gli strappò un sorrisino piccolo, una conquista.
- Ascolta, quando ti va di farmi sentire come canti... cercami, io sono Kari dei Royal. Tieni, ti lascio il mio pass! Noi dopodomani siamo a Parigi per un altro concerto, se ti presenti con questo ti fanno passare, chiedi di me. Sono curioso di sentirti cantare. Il nostro manager ha un orecchio unico per i talenti e se penserà che tu lo sei, ti aiuterà. Io ero al tuo posto, se non fosse stato per lui che mi ha sentito suonare per caso, non sarei qua. Anzi. Non sarei proprio vivo. Quindi facci un pensierino! - Il ragazzo lo guardava a bocca aperta, sorpreso col suo pass in mano a sentire tutte quelle cose. Kari sapeva che non poteva usare contatti diretti con lui o sarebbe scappato, per cui senza aggiungere niente altro si alzò e fece per rientrare. Stava per passare la porta quando glielo chiese.
- Ehi! Perché lo fai? Che te ne fotte? - 
“Ecco la domanda che mi sono fatto io quando Joshua mi ha proposto il lavoro.” Disse ridacchiando fra sé e sé, Kari si fermò, si girò e con uno sguardo adulto e consapevole che diceva molto, disse:
- Te l'ho detto! So cosa significa! - 
- E cosa, allora? Pensi di dover salvare tutti quelli come te? - Il ragazzo si dimostrò perspicace nel capire che lui era così un tempo e per questo voleva cercare di aiutarlo, ma la diffidenza era sempre la prima cosa, in quei casi.
Era normale, si disse Kari. 
Allora si ricordò della risposta di Joshua:
- Mi secca sprecare i talenti! - Il ragazzo rispose schernendolo.
- Non sai se sono un talento! - 
- Tutti lo sono in qualcosa! - Kari era preso lui per primo in contropiede da questo forte desiderio di aiutarlo, non ci aveva riflettuto, lo stava facendo e basta.
- Non risponde alla domanda! Che te ne fotte di me? Anche se spreco il mio talento, ammesso che ne abbia uno?! - 
Kari sospirò guardò in alto, ci pensò e capì che dopotutto aveva ragione. Non gli importava se sprecava il suo talento.
Fu lì che capì cosa era successo a Joshua quel giorno quando l'aveva visto la prima volta ed aveva cerato di aiutarlo.
- Perché voglio farlo! - Con questo rientrò lasciandolo così. Non c'era una vera risposta.
Era stato un istinto che era venuto da dentro.
Nel suo caso probabilmente si era rivisto in lui, però per Joshua? Cos'era stato per Joshua?
Non la voglia di non sprecare un talento.
Quando lo raggiunse lo stava cercando da un po', lo fulminò con uno sguardo di fuoco e cominciò a ricoprirlo di insulti perché era sparito senza dire niente.
- Dai, ero fuori a respirare! - Disse calmo e placido. Una volta avrebbero litigato, ma così era meglio.
Visto che Joshua non mollava dal dirgli le solite prediche, gli toccò il sedere e gli fece l'occhiolino.
- Anche io ti amo, dai! - Joshua gli diede un calcio.
“Semplicemente è così che doveva andare. Lo sentiva dentro e l'ha fatto. Credo siano i legami, forse è la predestinazione, forse semplicemente fai ciò che vuoi in quel momento. Però io penso che non ci sono dei veri perché. È solo che si fa così e basta. Vedi una cosa, la vuoi e la prendi. Poi un giorno ti piacerà e capirai perché quella volta l'hai voluta. Credo che sia la vita e basta. Non ci sono sempre perché. È maledettamente inaspettata!”
La sua conclusione, dopotutto, era davvero buona. 
La prima buona conclusione a cui arrivava fondamentalmente da solo senza passare per delle lunghe conversazioni con qualcuno.
“O magari a volte arrivi al punto in cui vuoi aiutare. Sei pronto per farlo e lo fai, è un caso con chi lo fai. Significa che in qualche modo sei pronto. È questo? Sono pronto?” Non osava chiedersi se significava che era guarito, quella domanda non se la sarebbe mai fatta, però quando rivide quel ragazzo che tentava di fare quella specie di provino, trovò la sua risposta.
Joshua, Niky e tutti loro l'avevano aiutato molto e lui si era sempre chiesto perché. 
Non c'erano risposte. Avevano solo voluto farlo.
Tutto lì.
Quindi si disse sì, che era pronto.
Qualunque cosa significasse esserlo, lo era ed era la sola cosa che contava.