Quanta acqua poteva scendere in pochi minuti?
Fornendo una serie di imprecazioni fantasiose, Joshua arrivò alla fine delle scale correndo, per poco cadde scivolando per via delle nuove scarpe di vernice.
Si scotolò il cappotto di cashmere scrollandoselo dall'acqua, ormai era infradiciato così come i suoi stessi capelli, poi si passò un fazzoletto sul viso imbronciato e continuando ad imprecare si voltò verso l'uscita della metropolitana da cui era appena arrivato.
Un muro d'acqua al di là delle scale impediva il passaggio, a meno che uno non volesse ammalarsi visto l'inverno.
Sbuffò e guardò l'ora, scrollò la testa passandosi le mani fra i capelli prevalentemente scuri e bagnati.
Ormai che era lì tanto valeva prendere la metropolitana, per una volta non sarebbe stata la morte.
Si sarebbe impegnato per non morire in mezzo a tutto quello sporco e a quella puzza, ignorando tutta la brutta gente che girava.
La pioggia cadeva così forte che tutto quello che si poteva sentire, nonostante il consueto via vai, era lo scroscio incessante ed i tuoni che facevano tremare un po' il pavimento in cemento usurato.
“Ti pareva che dovevo restare senza macchina proprio oggi. Faccio due passi e viene il finimondo!”
Pensò seccato incamminandosi verso la propria linea per raggiungere casa.
C'erano abbastanza persone e fra queste, il rumore dei vagoni che stridevano ferendo le orecchie e la tempesta su in superficie, c'era da chiedersi come si potesse capire i propri stessi pensieri.
Su quello scenario decadente e caotico, Joshua percepì un suono distinto rispetto agli altri.
Era un suono basso che si stentava a sentire. Lui però l'udì e si fermò assottigliando gli occhi per capire da dove venisse.
La propria linea era dall'altra parte, ma ovviamente come una falena attratta dal fuoco, lui seguì quel suono e lo fece per un motivo preciso.
Non era un rumore normale.
Quella era musica e dove c'era musica non poteva mancare lui.
Joshua era un manager musicale di quarantacinque anni, era un esperto scopritore di talenti, era uno dei migliori orecchi in circolazione a Los Angeles.
Joshua Fox Morrel era il suo nome.
In pochi da quella distanza e con quella confusione potevano percepire una melodia, però per lui era molto chiara e mano a mano che si avvicinava, il suono era più percepibile.
Era un basso.
Si stranì della scoperta e ancor più nel vedere chi suonava.
Era un ragazzo di strada, i capelli rasati molto corti, il cappuccio tirato su, un paio di felpe ed una giacca, jeans cadenti e consumati come il resto di ciò che indossava. Tutto grigio, spento e sporco.
Le mani correvano sulle quattro corde abili, la destra pizzicava e la sinistra schiacciava alternandosi veloce come un esperto musicista.
Joshua si piazzò davanti a lui e lo fissò intensamente, il suo sguardo era penetrante di natura, ricordava quello di un lupo che adocchiava una preda e la studiava per poi farla a pezzi.
Il colore verde nocciola dei suoi occhi trapassarono il ragazzo mentre si ipnotizzava sulle dita e si faceva trasportare dal suono, dimenticandosi completamente il viso.
Era bravo.
Era sorprendentemente bravo.
Aveva una scatola davanti a sé dove pochi riversavano degli spiccioli, in pochi a quanto pareva apprezzavano il suono di un basso, non era come una chitarra, un violino o un flauto. C'erano una miriade di strumenti migliori per colpire i passanti e farsi dare dei soldi, il basso era il meno indicato perché rifiniva ed arricchiva una melodia, ma da solo non bastava per fare una musica.
Era lo strumento preferito di Joshua, solo un buon orecchio poteva percepire effettivamente la mancanza di un basso, ma se non la sentivi eri un inetto della musica.
Dava sostanza e corposità alla canzone e se uno era davvero esperto poteva fare magie e sedurre.
Proprio mentre lo stava pensando, il ragazzo concluse la canzone e si abbassò; ai piedi, su uno zaino nero consunto c'era un mini amplificatore portatile per cui non serviva elettricità per attaccarsi. Riproduceva il suono del basso in maniera sufficiente. Era vecchio e comunque non avrebbe funzionato per molto. Anche il basso aveva fatto il suo tempo, ne aveva passate molte e solo nel notare questo, notò che pure il ragazzo era in perfetta simbiosi coi suoi oggetti.
Sul viso si intravedeva la barba di alcuni giorni, lo sguardo spento, era molto magro, gli occhi bassi non gli permettevano di vederlo bene. Era sciupato e pallido, sudava e probabilmente stava per andare in crisi d'astinenza, guardò la scatola e vide pochi spiccioli, imprecò, scosse il capo e dopo aver toccato qualcosa dell'amplificatore, si rialzò e riprese a suonare nella speranza che qualcuno fosse più generoso.
Fare soldi suonando un basso alla metropolitana era un'impresa disperata.
Di sicuro lui lo era.
Quando cominciò la nuova canzone, Joshua sentì la mancanza di un amplificatore serio e di casse potenti. Se ne avesse avute, quel pezzo sarebbe stato fantastico.
Joshua chiuse gli occhi e si immaginò il ragazzo a suonare la stessa canzone con i giusti strumenti e per un istante ebbe una visione.
Lui in un gruppo avrebbe fatto scintille, era bravo.
Lui, quelle magie col basso, le sapeva fare e le faceva anche in quelle condizioni.
Si fece sedurre da quei suoni profondi resi più potenti ed elettrici. Non lo stava soddisfacendo, poteva fare così tanto che era sprecato in quel modo.
Il cuore cominciò a battergli forte, era la sensazione che gli veniva quando sapeva d'avere per le mani un gioiello. Un diamante grezzo, molto grezzo.
Aprì gli occhi e si passò le mani sul viso e fra i capelli umidi. Joshua era un tipo che si teneva bene ed aveva un fascino sottile e provocatorio, aveva un'aria molto accattivante. Gli occhi gli brillarono quando la famosa sensazione l'invase e si seccò quando il giovane smise e cominciò a chiudere tutto. Si trovò a dover prendere una decisione importante su due piedi.
Lasciargli dei soldi con cui si sarebbe fatto di qualche veleno o obbligarlo a venire via con lui?
Lo vide prendere le sue cose e quando andò alla scatola ai piedi di Joshua, si fermò in attesa di vedere se gli avesse messo qualcosa dentro dopo averlo ascoltato per ben due canzoni intere.
Ovviamente l'aveva notato, era uno che non passava inosservato e non tanto perché era evidente che fosse ricco, ma bensì aveva una presenza ingombrante. Aveva carisma anche solo nell'essere in un posto.
Non era nemmeno particolarmente alto o muscoloso, anzi.
Però la posizione sicura, lo sguardo penetrante, l'aria accattivante.
Joshua poté guardare il ragazzo bene in viso.
Era una bellezza grezza come il diamante a cui aveva pensato associandolo a lui.
Non era bello, ma affascinante.
Molto.
Un animale selvaggio, lo sguardo feroce e minaccioso dove, specchiandoti, potevi perderti.
Erano tenebre, quegli occhi.
Ne rimase molto turbato, aveva provato l'inferno e non ne era uscito. Si poteva salvare uno avvolto dalle tenebre a quel modo semplicemente offrendogli un lavoro ed una mano?
Al novanta percento le rifiutavano per partito preso.
Incatenato al suo sguardo, Joshua prese il portafoglio e tirò fuori delle banconote che mise giù nella scatola. Il ragazzo distolse lo sguardo come che ora non fosse più importante fissarlo, prese la scatola e se ne andò senza dire nulla. Non una sola parola.
L'uomo rimase a fissarlo mentre se ne andava fino ad insultarsi.
La sensazione fu che non l'avrebbe più rivisto.
Eppure si sbagliava. Del resto non era uno che si piegava al destino, era un tipo che se lo creava e appena si metteva in testa un obiettivo, era matematico che poi in qualche modo lo raggiungesse.
Joshua quell'obiettivo l'avrebbe raggiunto eccome.