*Denis si scontra con la dura realtà e si rende conto che non riesce ad accettarla, ma nemmeno a rifiutarla. Purtroppo rischia di andarci di mezzo Jay. Buona lettura. Baci Akane*
20. UNA SCELTA DIFFICILE
Le dita di Denis tremarono mentre vedendoli realizzava che avevano appena fatto sesso.
Nella sua testa ‘sesso’ era uguale ad ‘amore’, perciò stavano insieme.
E tremava realizzandolo.
Un conto era pensare che sarebbero stati una bella coppia, cercare di aiutarli a mettersi insieme e giocare su questo, un altro, a quanto pareva, era vederli realmente insieme. Capire che erano una coppia. Questo sì che era diverso.
L’aveva appena capito.
Denis e Jay si guardarono fermi improvvisamente uno davanti all’altro, uno sconvolto con le lacrime agli occhi e l’altro sorpreso, teso, incredulo.
- State insieme? - Per un momento Jay pensò di dirgli ‘cosa te ne importa?’ Ma non sarebbe stato in grado di mentirgli solo per vedere la sua reazione che era già evidente. E tanto meno voleva vendicarsi. Di cosa, poi? Di non essere più coraggioso e scegliere lui alla vita sicura e comoda?
- No, scopiamo e basta... ogni tanto... sono più orgasmi quando capita, insomma... - Nel tentativo di migliorare la cosa, la peggiorò come tendeva a fare sistematicamente. Denis si morse il labbro e si sforzò di non piangere mentre implodeva e voleva solo gridare e scappare e cancellare tutto.
- Non fa differenza... - Disse con voce rotta. Per Jay la faceva eccome, non c’erano sentimenti di mezzo, non era una vera relazione, ma a quel punto e solo lì gli uscì la risposta più spontanea.
- Cosa importa? Non siamo una coppia, io e te. Per tua scelta, lo sai. E comunque per me sesso e amore sono due cose ben distinte. - Ci tenne a precisare con durezza. Non voleva, ma era stufo. Improvvisamente era stufo di quella situazione complicata e logorante. Lo amava come non aveva mai amato nessuno, ma non era ricambiato eppure Denis provava qualcosa che non aveva il coraggio di vivere, perché lui evidentemente non valeva la pena.
A cosa serviva consacrarsi a lui, fare tanta attenzione, proteggerlo da tutto e sostenerlo? A cosa serviva comportarsi come se fosse il suo ragazzo, visto che non lo era realmente?
Improvvisamente Jay si rese conto di non farcela più, così scosse il capo non sopportando le lacrime di Denis, lo superò ed andò sul pullman infilandosi in fondo accanto ad un silenzioso, curioso e sorpreso David.
Non gli chiese nulla, aveva le cuffie alle orecchi ed ascoltava musica, Jay tirò fuori le proprie e attivò una playlist di musica house elettronica che gli stordì il cervello al punto da non riuscire a connettere nemmeno una sinapsi.
Non parlarono. Anche dopo, quando scesero, Jay ebbe cura di non incrociare mai il cammino con Denis, nemmeno lo guardò, mentre camminava vicino a David per raggiungere le rispettive automobili e andarsene a casa e poi in vacanza.
Non parlarono mai, anche se era chiaro che era successo qualcosa e che forse Jay aveva bisogno.
David gli scrisse mentre andavano a casa ognuno nelle proprie auto sportive, entrambi a velocità elevate, uno perché gli piaceva, l’altro perché furioso. Entrambi sfidando la vita.
‘Se hai bisogno sono a casa da solo fino a domani, parto nel pomeriggio.’
Jay ci pensò molto a cosa fare, leggendo quel messaggio.
Stava per andare da lui, quando gli piombò a casa Denis.
Una maschera di lacrime, un tornado disperato, incapace di parlare e connettere.
Gli piombò addosso, gli gettò le braccia al collo, gli prese il viso fra le mani e piangendo a dirotto senza la minima capacità di parlare lo baciò.
Lo baciò con disperazione e Jay non lo respinse.
Lo prese per i fianchi tenendolo a sé assaporando la sua lingua disperata che sapeva di lacrime salate, mentre il cuore esplodeva nel petto e non osava sperare, pensare, realizzare. Non osava nemmeno fare mezzo movimento.
Poteva essere un bacio di addio o di inizio.
Poteva essere tutto, ma proprio per non rovinare qualcosa che poteva essere unico, decise di baciarlo e basta, stringerlo a sé e ricordarsi le labbra intrecciate alle sue.
Febbrile Denis lo spinse in casa abbassandosi i pantaloni e facendo altrettanto con lui.
- Denis... - Cercò di richiamarlo alla realtà, bene a quel punto doveva capire.
Ma Denis infilò la mano nei suoi boxer, gli prese l’erezione ed iniziò a masturbarlo. Non tardò a reagire. La sua mano sul suo membro era una delle cose che aveva sognato di più in quegli anni ed ora era lì realmente.
- Denis perché? - Cercava di chiedere mentre la sua bocca continuava a divorarlo ed il suo pene a crescere nella sua mano.
- Den, cosa significa? - Denis a quel punto si separò da lui, si appoggiò allo schienale del divano del suo salone da mille e una notte, si piegò in avanti, si abbassò del tutto pantaloni e boxer e succhiandosi le dita se le infilò dentro da solo in una preparazione disperata, nella speranza che fosse chiaro. Che lo facesse e basta.
A Jay bastò eccome.
Non importava perché. Che fosse un addio od un inizio, il risultato non sarebbe cambiato.
Non era un Santo. Se Denis voleva scopare con lui, avrebbe scopato con lui. Anche se da un punto di vista umano era sbagliato, se sarebbe stata l’unica, se se ne fosse pentito, se fosse stato peggio.
Erano affari suoi, era stufo di rinunciare a lui. Forse poteva avere solo il suo corpo, solo quella volta. Andava bene. L’avrebbe preso.
Jay si sputò nella mano e si lubrificò l’erezione dura e dritta, poi lo raggiunse, sostituì la propria lingua e la bocca alla sua mano e continuò a prepararlo infilando poi le dita.
Preferiva fare il passivo, ma quando serviva poteva anche essere attivo.
- Jay ti prego... - Lo implorò Denis sull’orlo dell’orgasmo.
Non si fece pregare oltre. Si alzò dritto, lo prese per i fianchi ed entrò con un colpo deciso ma non totale, attese che si abituasse e mentre lo sentiva rilassarsi piano piano, tornò ad uscire e a rientrare, il secondo colpo affondò di più.
Il terzo di più e via così fino a che Denis non si aprì agevolmente a lui iniziando anche a gemere nel caos che mescolava piacere e dolore per una prima volta strana, in mezzo ad un dolore disperato e ad un desiderio assurdo.
Denis gli sporcò il divano quando venne, Jay lo inondò dentro restando lì per un po’, per imprimersi quella sensazione di vita e piacere assoluti, quel desiderio realizzato, quel sogno impossibile che aveva fra le mani, dentro cui stava.
Non voleva uscire. Gli strinse le braccia intorno alla vita e gli sollevò la schiena appoggiandola al proprio torace. Cercò le sue labbra e le trovò.
Le baciò delicatamente.
- Era un addio, vero? - Disse piano, ancora fra gli ansimi.
Le lacrime di Denis divennero le sue dopo il suo assenso.
- Credo di amarti anche io. - Fece lui piano fra un singhiozzo e l’altro. Jay gli asciugò dolcemente le lacrime annuendo.
- Io lo so che ti amo. - Disse sicuro, piano, sempre stringendolo e rimanendogli dentro contro le sue natiche.
- Ma non ce la faccio. Sono troppo diviso fra i miei due mondi, finirei per ferire a morte qualcuno e non voglio che sia tu. - Jay si aggrottò tirando indietro la testa per guardarlo negli occhi.
- Credi che così non mi ferisci a morte? - Denis sorrise malinconico mentre le lacrime ormai si erano cristallizzate.
- Sì, ma non è ancora tardi. Ti riprenderai, tu sei forte e non sei solo. Chiedi aiuto a David... vi compensate, potete farvi bene a vicenda. Lui a calarti le arie, tu a dargli più sicurezza. - Jay strinse gli occhi che gli bruciavano. Non faceva meno male anche se l’aveva assaporato a fondo e completamente.
- Non voglio David, voglio te. Amo te. Sei il solo che io abbia mai amato. - Denis sorrise malinconico e dolcemente, si sfilò lentamente da lui sentendo il liquido ancora caldo colargli fra le gambe e finendo fra i pantaloni. Lo ignorò, si tirò su e si rivestì guardandolo dolcemente, piegando la testa di lato per ricordarsi quel momento, quel suo sguardo così umano e così bello. Così fragile per la prima volta.
- Tu non meriti una storia incasinata come questa. Sono troppo indeciso, troppo spaccato, non saprei rinunciare a nessuno dei miei due mondi. Il mondo per bene, che segue Dio, la fede, la famiglia, la società e quello che sono profondamente, quello che voglio realmente. Tu non meriti questo, Jay. Meriti uno che scelga te e solo te, senza dubbi, sempre in ogni circostanza, che non abbia paura di stare con te. Meriti di non condividere il tuo amore con qualcun altro. Io ti prenderei, ti lascerei, ti chiederei il mondo, ti darei gioie e dolori fino a che i dolori sarebbero davvero troppi. Mi dispiace, Jake. Ti voglio bene, non meriti questo. - Jay non riuscì a dire nulla, lo guardò raccogliere tutto, guardarlo un’ultima volta, baciargli le labbra leggero e dolcemente e poi andarsene. Non guardò la porta chiudersi, ma la sentì e fu doloroso. Fu atroce. Fu pesante.
Il suono del silenzio sembrava un cuore che batteva nell’amplificatore.
Il suono del silenzio sembrava anche un ronzio, ora. Quel ronzio che cresce e sembrano strumenti che entrano in risonanza, graffiano le orecchie e danno fastidio.
Il suono del silenzio divenne insostenibile, così quando uscì di casa lasciò tutto lì. Le chiavi, il telefono, le luci accese, tutto.
Uscì, camminò come uno zombie fino alla villa vicina, quella meno grande e lussuosa della sua, ma comunque con un grande cancello esterno ed una siepe ad isolarlo dai curiosi.
Suonò con la videocamera del citofono che si illuminava riprendendolo.
Non disse nulla, si sentì solo il suono del cancello di ferro aprirsi, lui sfilò dentro, la porta di casa era aperta, entrò anche lì. David gli porse un bicchiere di gin che Jay rifiutò, scosse il capo, così David poggiò il bicchiere su un mobile lì vicino, gli prese la mano e lo condusse dentro, verso il salone, si sedette nel divano, nell’angolo, aprì le gambe, lo tirò col braccio e se lo sedette in mezzo cingendolo da dietro, forte e sicuro. E mentre Jay nascondeva il viso fra le sue braccia, stringeva gli occhi e piangeva.
Amare faceva solo male. Non l’avrebbe più fatto. Non ne valeva la pena.
David raccolse silenzioso tutte le sue lacrime senza fargli uno straccio di domanda. Del resto non serviva. Era così evidente.
Quando si svegliarono, si ritrovarono stesi sul divano spazioso che era quasi da una piazza e mezza. David stringeva Jay davanti a sé, ancora rifugiato fra le sue braccia.
Si sollevò sul gomito silenzioso per non svegliarlo e vedere come stava. Gli occhi gonfi e rossi. David sospirò serio, gli carezzò la fronte dove i capelli stavano ancora bene col gel, scivolò sugli zigomi e andò sulle labbra così belle e perfette, così ben disegnate, così da bacio.
- Come stai? - Chiese domando a stendo la voglia di bacio. Jay strinse gli occhi, li aprì e lo guardò con aria spenta ed ovvia.
- Male. - David sorrise per la sincerità.
- Ti faccio una proposta. - Jay lo guardò girandosi supino, rimase contro il suo corpo caldo, la mano di David sul suo petto risalì sul suo mento e poi gli dipinse le labbra così belle. - Ti va di fare una vacanza con me? O avevi altri pieni? - Jay ci pensò senza provare nulla.
- Avevo dei piani prima in famiglia e poi con gli amici ma non ho la minima voglia. Capirebbero subito che sto male, che cazzo gli dico? - David annuì.
- Proprio come pensavo. - Fece un sorrisino.
- Io faccio un salto a casa dai miei, ti presento qualche amico d’infanzia. Poi se vuoi andiamo a Dubai, è la mia seconda meta. Altri amici. Nessuno capirà che sei spento, puoi fare lo stronzo quanto vuoi, penseranno che sei esattamente ciò che si dice in giro. - Disse con un piccolo ghigno. Jay all’idea si sentì sollevato. Non dover fingere di stare bene era allettante, e poi sarebbe stato con David nel suo strano mondo di cui non sapeva nulla, di cui non si era nemmeno mai interessato.
- Fatta. - Non avrebbe mai potuto affrontare nessuna delle persone da lui conosciute. Degli estranei sì. E poi David sapeva stare al suo posto. David andava bene.
- Posso fare una cosa? - Chiese poi improvvisamente David. Jay inarcò le sopracciglia sorpreso ed annuì, dopo di quello si ritrovò le sue labbra delicatamente sulle sue. Come se solo lo carezzasse con le proprie, nemmeno gliele aprì, non fu un vero bacio.
Jay lo accettò, quando si separò nascose il viso contro il suo petto e David lo tenne lì, ancora in silenzio. Non sapeva perché lo stava facendo, sentiva solo di volerlo fare e allora era meglio farlo.