*Quando due giocano a certi livelli in coppia, l'intesa è inevitabile anche al di fuori del campo. Ad un certo punto Jay e David si rendono conto di avere qualcosa di diverso, insieme. Qualcosa di speciale. Ma ammetterlo per David non è facile, tuttavia Jay non è abituato a lasciare decidere agli altri. Buona lettura. Baci Akane*
34.
NATURALE
In realtà venne tutto naturale.
Ad un certo punto l’intesa in campo fu tale da non riuscire più a lasciarla fuori di esso.
Così come naturale fu per David aiutare Jay nel periodo in cui i goal non gli entravano.
Una volta ogni dieci anni gli capitava, quella volta era arrivata.
Lo chiamavano il ciclo mestruale di Jay.
Iniziava a sbagliare i goal, anche quelli facili, e lui diventava suscettibile, irascibile ed inavvicinabile. Più lo diventava, più sbagliava i goal.
Più sbagliava i goal, più diventava matto.
Ad un certo punto nessuno poteva più avvicinarlo, nessuno osava, nemmeno il mister che si limitava a dire che sarebbe tornato a segnare, perché queste cose capitavano anche ai migliori e di non darci peso.
Ma a lui no. Non capitavano a lui.
Lui non era uno dei migliori, lui era IL migliore.
Poteva avere una partita storta, quella successiva recuperava i goal persi e ne metteva dentro 4 o 5.
Ma così tante partite a secco no, era inaccettabile.
Al contrario, a David entrava tutto.
Gli entrava così facilmente qualsiasi tiro in porta, che la sua media di goal salì molto.
A quel punto poteva solo fare una cosa.
Approfittarne.
Chiunque al suo posto l’avrebbe fatto. Per dimostrare che non c’era solo Jay come top player, che lui era capace di prendere il suo posto se necessario. Che non aveva niente da invidiargli.
Chiunque ne avrebbe approfittato, ma lui no.
Lui adorava fornire assist a Jay e vederlo segnare e corrergli incontro, saltargli addosso, poterlo palpare per benino.
Non che fosse solo per questo. Un bravo giocatore non poteva sacrificarsi solo per essere abbracciato da chi gli piaceva.
David era così. Giocava nel ruolo di punta, ma non era una punta consueta. Le punte giocavano esclusivamente per segnare, lui giocava per giocare, perché gli piaceva.
In altre parole aveva la mentalità del numero dieci, perciò faceva né più né meno ciò che serviva in un dato momento.
Se serviva recuperare palla, lo faceva, se doveva connettere i reparti lo faceva, se doveva fare assist o goal lo faceva.
Per lui non era un problema, non era fanatico del goal. Certo gli piaceva, ma quel che dava soddisfazione a lui era giocare bene.
Quel periodo però gli entrava qualunque cosa come non gli era mai successo ed essendo Jay in difficoltà, se non ci pensava lui si rischiava di non vincere.
Quella partita, però, anche se erano ancora 0 a 0 ed i minuti avanzavano, non avevano ancora segnato.
L’occasione facilissima si presentò a David il quale praticamente solo davanti al portiere avrebbe fatto un goal semplice scartandolo e tirando.
Ma all’ultimo decise di passare a destra, dall’altra parte della porta. Non si era girato a guardare per vedere la posizione di Jay, per non dare indizi al portiere sulla sua mossa. Ma lui sapeva che sarebbe stato là, perché era così che faceva.
Seguiva l’azione e se lui stava a sinistra, Jay stava a destra. Se c’era uno spazio libero, lui ci si infilava. Questo era il suo modo di fare.
Perciò passò lì rischiando: se si sbagliava e quella volta lui non ci fosse stato, la palla sarebbe uscita e non avrebbero segnato, avrebbero anche rischiato di non vincere.
Ma Jay era lì e ritrovandosela sui piedi, l’appoggiò facile in porta tornando al goal dopo un numero vergognoso di partite a secco.
La sensazione che provò non fu tanto adrenalina ed eccitazione, quanto estasi. Ma non per il goal ritrovato, un goal praticamente di David, regalato, bensì per lui.
Per quel che aveva fatto.
Fu lì che gli si spalancò il portone che aveva davanti e vide ciò che comunque era fin troppo evidente.
“Mi ama fino a questo punto. E lui cerca ancora risposte? Ma non sono evidenti?”
La prima cosa che fece fu piombare da lui, lo abbracciò forte mentre tutti arrivavano da loro alla spicciolata saltando loro addosso. Jay rimase stretto a David come se fosse la sua unica ancora di salvezza e incapace di trattenere quell’esplosione pazzesca di emozioni, gli baciò il collo sotto l’orecchio, poi gli disse senza il minimo controllo:
- Ti amo!
Questo, ovviamente, demolì totalmente David il quale da lì in poi giocò malissimo.
Ad ogni modo Jay era tornato al goal dopo tanto, erano 1 a 0 e non c’era ragione per non essere tutti felici.
“Ma che boccaccia ho? Non era questo ciò che volevo dire ma grazie o ti voglio bene, ma che c’entra ti amo? Ho pensato ‘ecco come mi ama’ e poi glielo dico io? Che cazzo ho nel cervello, merda? Ed adesso che faccio? Ho detto che amavo qualcuno solo una volta ed ha deciso di scappare da me. Ho giurato che non avrei mai amato e che se fosse successo non avrei mai più fatto nulla, non ci avrei nemmeno provato. Non volevo niente da David, solo vivere così come veniva. Volevo il piacere, il godimento. Volevo stare bene con lui in tanti modi. Stop. Non amore. Non amarlo. Non essere amato. Ed ora vado a dirgli che lo amo. E che cazzo faccio ora? Beh, sono tornato al goal dopo tanto tempo con un gesto altruista davvero carino, da vero amico. Amico. Ci sta un ‘ti amo’ in amicizia. Non gli sembrerà mica strano, no?”
Jay evitò David, imbarazzato, approfittando dei giornalisti sportivi che dovevano fargli le consuete domande di fine partita. Si dilungò di proposito facendo una sviolinata a David per ringraziarlo del bel gesto, cosa che nel calcio era doverosa quando si riceveva un assist al bacio come quello.
David non lo aspettò. L’avrebbe fatto, spesso lo faceva, ma quella volta andò per primo sbrigandosi, non sapendo minimamente come interpretare quella frase.
Aveva senso? Doveva darci peso od era così tanto per dire?
Quell’assist era solo un assist, una mano per un amico prezioso in difficoltà. Jay aveva fatto così con lui tante volte, a David capitava di avere periodi negativi e Jay l’aveva sempre aiutato in partita. Era stato normale, per lui, farlo. Oltretutto gli piaceva fare assist.
Perché pensare tanto a quel ‘ti amo’ nella foga del momento?
“Jay adora segnare, non lo faceva da molto ed era pazzo per questo, tornare a segnare grazie a me l’ha solo fatto impazzire ancora di più, ma non c’è di sicuro niente dietro. Non c’è, ne sono sicuro. Anche se... anche se non è la risposta che cercavo?”
Quella domanda rimase tale, incapace ancora di rispondersi.
Spaventato, più che altro.
Ovviamente la prima cosa che David fece fu evitarlo.
Smise di venire prima agli allenamenti e di fermarsi dopo in campo con lui, andando a casa subito dopo la sessione regolare.
Una volta.
Si azzardò a saltare una volta.
Per Jay era sufficiente.
Come osava scappare per l’ennesima volta? Ogni volta che le cose si complicavano fra loro, lui scappava per ‘pensare’.
Ancora?
Dopo tutto quello che era successo doveva rifarlo?
Come osava?
Ma quella volta no, non glielo avrebbe permesso.
Gli aveva fatto sempre fare tutto come voleva, questa volta no, anche se forse sarebbe stato più facile, per lui, non dover spiegare quella frase scappata fuori dal suo controllo. Frase a cui non aveva ancora dato un significato nemmeno per sé.
Però l’idea di rompere di nuovo con lui, di vederlo scappare, di rinunciare per l’ennesima volta lo mandò totalmente fuori di testa.
Questo superò qualsiasi punto, tanto che dopo essersi allenato come un matto ai tiri da fuori area fino a distruggersi le gambe, più carico che mai, andò direttamente a casa di David.
Ci andò con ancora il sangue al cervello e di nuovo quella modalità di non controllo. Quella di chi sapeva avrebbe fatto qualche cazzata, ma andava a farla lo stesso.
Di sicuro non era uno senza palle e ancor più non era uno che guardava passivo il distruggersi di qualcosa. Perché la sensazione che questa sarebbe stata diversa era troppo impellente.
Questa volta gli aveva detto che lo amava. Si era esposto lui per primo.
Quando l’aveva fatto l’altra volta, Denis era scappato, l’aveva perso. Non poteva ripetersi di nuovo la cosa. Non poteva. Non l’avrebbe accettato, non esisteva.
Sarebbe andato là, avrebbe ritrattato tutto dicendogli che era solo una stupida frase sulla foga del momento a cui non dare peso, e gli avrebbe detto di tutto per aver osato non presentarsi prima e dopo la sessione.
Ecco come avrebbe fatto.
Giunto da David, suonò al cancello esterno, dal citofono la sua voce e non quella della collaboratrice che forse era già andata via.
Jay controllò l’ora perplesso. In effetti era tardi, si era fermato molto più del solito a sbollire i nervi, ottenendo solo l’effetto opposto.
David non disse nulla sentendo che era lui ed il suo tono sostenuto. Gli aprì e basta.
Questo lo caricò ulteriormente.
“Adesso gliene dico mille!”
Si disse arrivando a razzo con la macchina nel giardino, parcheggiò davanti al garage aperto di David e si precipitò alla porta d’ingresso che si aprì proprio in quel momento, intuendo che lui fosse arrivato.
Appena l’ebbe davanti tutte le frasi preparate furiosamente scomparvero ma, altrettanto furiosamente, gridò comunque:
- CHE CAZZO DI PROBLEMA C’È SE TI AMO?!
E no cazzo, non era quello che avrebbe voluto dire.
Voleva dire ‘guarda che non ti amo, cosa credi?’
Adesso che diavolo doveva fare?
Tutto si sarebbe aspettato David tranne quello.
Non tanto di vedere Jay piombargli furioso in casa, ma piuttosto sentirgli confermare quella frase che avrebbe facilmente potuto scambiare per una cosa stupida che si dice senza peso.
Invece no.
Invece la stava confermando.
David indietreggiò istintivamente e Jay si infuriò ulteriormente, sbatté la porta forte dietro di sé, gli arrivò addosso e lo prese per il colletto della maglia strattonandolo. Non l’aveva mai visto così fuori di sé, l’aveva visto perdere la testa tante volte, solitamente per sciocchezze, invece ora era furioso con lui e lui al contrario era paralizzato, shoccato e svuotato.
- SCAPPERAI PER L’ENNESIMA VOLTA? SCAPPERAI TUTTA LA VITA OGNI VOLTA CHE CAPITA QUALCOSA CHE NON CAPISCI? SEI UNA PERSONA PIENA DI DUBBI, NON PUOI SCAPPARE PER SEMPRE! SMETTILA DI SCAPPARE! SE TI AMO SONO AFFARI MIEI, SE TI TURBA TANTO NON TE LO DIRÒ PIÙ MA PIANTALA DI SCAPPARE, CAZZO! TIRA FUORI LE PALLE PER UNA VOLTA!
Jay non si sarebbe fermato, ma più gliene diceva, più scavava in David un atto di ribellione verso sé stesso, stufo lui per primo di paralizzarsi davanti all’incertezza, stufo di riempirsi di dubbi, stufo di aver bisogno di certezze per agire. Stufo di essere spaventato dal rifiuto.
Non sarebbe stato rifiutato quella volta.
- ALZA LA TESTA, DAVID! FAI QUALCOSA, DÌ QUALCOSA CAZZO! TIRA FUORI LE PALLE! - ripeté gridando furibondo.
E David, finalmente, uscì dal muro, buttandolo giù grazie ai pugni potenti di Jay.
Pugni che buttarono giù ogni mattone di quel muro innalzato dalla nascita intorno a sé.
Fu lì che David gli prese il viso fra le mani e lo baciò chiudendogli la bocca.
Si premette su di lui senza fare nulla, solo per fermarlo.
Appena il silenzio calò intorno a loro, David si staccò qualche centimetro e guardandolo negli occhi da vicino, disse:
- Ti amo anche io Jay, perdonami se sono così indeciso!
- Se vuoi che ti perdoni non chiedermi più scusa, non ci si scusa di amare! Così dicendo gli mise le braccia intorno al collo, si issò su di lui e mentre David lo prendeva fra le braccia, le loro bocche tornarono ad unirsi, questa volta si fusero aperte mentre le lingue si intrecciavano insieme mescolandosi, inscenando una danza piena di passione e di fuoco.
David lo portò febbrile dentro casa, raggiungendo il salone su cui si lasciò cadere pesantemente, Jay gli rimase seduto sopra a cavalcioni, mentre il bacio esplodeva.
David gli prese la maglia e gliela tolse, Jay sollevò le braccia separandosi dalla sua bocca e gli fece la stessa cosa. Una volta liberi nella parte superiore del corpo, le dita corsero a carezzarsi, a sentire la sensazione della pelle sotto i polpastrelli, quella pelle ora liscia e calda piena di brividi che arrivavano lungo la schiena. Schiena su cui le mani di David scivolarono arrivando alla vita e attirando Jay ancora di più a sé.
Schiacciato contro di lui, Jay tornò a succhiargli il labbro carnoso e la lingua, infilando la mano fra di loro, sotto i pantaloni ed i boxer di David. Appena raggiunse la sua erezione, gliela tirò fuori staccandosi leggermente per avere più spazio e fare ciò che preferiva.
Era caldo, nella sua mano. E lo sentiva mentre diventava sempre più duro coi suoi movimenti, con la sua stretta, il pollice che stuzzicava la punta sensibile, i mugolii di piacere contro la sua bocca.
Jay scivolò sul suo collo a succhiarglielo, lo ricoprì di baci scendendo mentre appoggiava la testa dietro di sé, sullo schienale del divano. Il piacere stava crescendo e lo si vedeva dall’espressione abbandonata, lo si sentiva dal suo respiro affannato, crebbe quando Jay scese giù dalle sue gambe inginocchiandosi per terra, gli strattonò i pantaloni e glieli tolse denudandolo completamente, poi si tuffò con il viso sul suo inguine, leccandolo tutt’intorno fino a risalire sull’erezione. Appena iniziò a succhiare, Jay iniziò a toccarsi da solo, trovando estremamente piacevole averlo finalmente in bocca come si doveva.
David gemeva, accompagnandogli la testa contro di sé con le mani, trovando impossibile resistere a lungo. Si sentiva impazzire dal piacere, ma Jay era totalmente assorbito da lui, incapace di fermarsi.
Lo lasciò fare cercando di resistere, ma quando si sentì vicino all’orgasmo, lo staccò bruscamente, tirandolo lievemente per i capelli, Jay si eccitò e lo guardò da sotto con un sorrisino soddisfatto. Da terra si tolse il resto dei vestiti, a quel punto David lo prese per mano e lo tirò sul divano, lo stese e si posizionò sopra, occupandosi del suo corpo.
Finalmente.
Conoscendo la sua passione per il suo membro, aveva deciso di fargli fare come preferiva, ma adesso stava per impazzire ad aspettare sotto quel piacere crescente.
David adorava il suo corpo. Se Jay adorava il suo pene, David adorava il suo corpo.
Molto.
Lo percorse con la lingua, leccando ogni muscolo accentuato che guizzava al suo passaggio, succhiando quelli più prominenti, mentre le mani andavano sul resto del corpo dove la sua lingua e la sua bocca non arrivava.
Si perse nel suo inguine, succhiando la sua erezione, poi scivolò sotto, nella sua apertura. Jay si teneva le gambe piegate contro il petto mentre David faceva sua la fessura con la lingua e le dita, perdendosi lì.
A Jay era mancata la sua lingua, le sue dita. Quel dolce tormento che di attimo in attimo diventava sempre più profondo, mentre aggiungeva un dito all’altro, mentre andava più a fondo e allargava e lubrificava.
Si persero.
Erano totalmente assorbiti da quell’atto, quando finalmente David si sollevò e si accostò, lo guardò pronto ad entrare e si fermò un istante, con le gambe di Jay appoggiate sulle sue spalle. Occhi negli occhi.
Per un momento ci pensarono tutti e due.
Questa volta era diverso.
Non era un bruciarsi di sesso.
Era un riscaldarsi in un atto che di volgare non aveva realmente niente.
- Adesso ne sono sicuro. - disse David sconvolto lui stesso dall’assenza di ogni minimo dubbio. Jay capì e bruciarono gli occhi, realizzando ciò che prima nella foga del momento non aveva compreso completamente.
Cosa significava essere amati senza paura.
Non l’aveva ancora provato, non così.
Jay non disse nulla, non batté nemmeno le palpebre, gli occhi lucidi pieni di lacrime. David sorrise dolcemente, gli baciò le labbra e con una spinta decisa scivolò in lui. Di nuovo dopo molto tempo.
Quanto in realtà?
L’avevano fatto quando David non era completamente lucido, senza l’alcool non avrebbe avuto il coraggio, da sobrio se ne era pentito. Prima di allora ancora molto tempo senza toccarsi.
Nel mezzo qualche contatto sessuale, qualcosa, qualche intenzione erotica fermata sul più bello.
Ed ora lì.
Dentro di lui.
Sentendolo. Sapendolo. Volendolo.
E muovendosi, David, gli carezzò il viso e glielo ripeté mentre si respiravano a vicenda ansimando.
- Ti amo Jay.
Lo ripeté convinto, sapendo che era quella la sensazione che provava. Che cercava di tradurre. Di catturare.
Come si arriva all’amore?
A piccoli passi.
Abbandonandosi.
David si mosse in Jay aumentando le spinte, andando sempre più a fondo, più veloce. Jay avvinghiato a lui, affondando le unghie sulle sue spalle possenti, nascondendo il viso contro il suo collo, lasciando che le lacrime scendessero silenziose mescolate al piacere crescente ed esplosivo di entrambi.
Un piacere purificatore.
Amare era bello e lo era anche essere amati.