*Finalmente quei due dementi si sono messi insieme. Adesso, dopo un sacco di anni dove è successo di tutto, ma soprattutto dopo un sacco di dubbi e di incazzature e attese, possono parlare apertamente. Ma soprattutto godersela. Per tutto quello che si sono persi. Buona lettura. Baci Akane*

35. PARADISO PERSONALE

david jay

Le dita scivolavano sulla pelle liscia delineando i muscoli a riposo, profumava di vizio, profumava di sesso. Jay si sarebbe addormentato così, con la testa sul suo petto, l’orecchio sul suo cuore che batteva calmo e rilassato, ma non voleva andare già oltre quel momento così stupendo. 
Voleva rimanere sveglio e ricordare meglio ogni cosa. Non voleva rovinare tutto addormentandosi. 
Immergersi nell’amore di qualcuno, essere ricambiati. 
Con Denis era stato un disastro, aveva ammesso di amarlo, ma ne era scappato come se amarlo fosse sbagliato, fosse orribile. Ci era stato davvero troppo male. 
Adesso David ci aveva messo così tanto ad arrendersi a questo sentimento per lui, che gli veniva da pensare...
- È tanto difficile amarmi? 
L’aveva sempre pensato da solo al punto da comportarsi da stronzo per assecondare quell’idea insana. In realtà era stato un cane che si mordeva la coda. 
- Che dici? - chiese David che si stava addormentando. Jay non alzò la testa per non farsi guardare in faccia.
- Amarmi. È tanto difficile che tutti cercate di evitarlo e ne scappate? 
David capì che si riferiva a lui e a Denis, ma non ebbe dubbi nel rispondere. 
- Amare è difficile in generale. Non è sempre una questione su di te. 
Non lo stava rimproverando, ma nemmeno scherzava. Jay ridacchiò. 
- Io non ne sono convinto... 
David risalì ad accarezzarlo sulla nuca, fra i capelli che non si era dato pena di sistemare alla perfezione col gel come sempre. Era corso dopo la doccia negli spogliatoi e così non se li era rifatti come sempre. 
Jay, quella sera, era al naturale. 
- So che sei convinto che ogni cosa riguardi te, ma non è così. Questa cosa dell’amore è complicata a prescindere dai soggetti. Puoi anche non credermi, ma io non mi sono mai innamorato prima. Provavo qualcosa per Lucas, è vero, e non so dire cosa sia. Io credo che... credo che l’amore diventi amore se è ricambiato e vissuto. Altrimenti diventa... boh, morbosità, adorazione, non so... 
Jay ripensò al proprio amore non ricambiato per Denis, corrisposto poi in modo angosciante e rifiutato. 
Non era stato vissuto, ma lui l’aveva provato. 
- Amavo davvero molto Denis anche se lui si ostinava a non ricambiare. Quando l’ha ammesso è scappato. 
David rispettò la sua insistenza nel non alzare la testa, guardava in alto, il soffitto del salone in cui erano stesi, il lampadario moderno. 
- Sicuro che fosse amore e non adorazione od ossessione? 
Jay voleva morderlo, come osava mettere in dubbio i suoi sentimenti? 
- Io so cosa provavo al contrario di te che per decidere di cosa si tratta passi anni a pensarci! Non ho dubbi! 
- Non ne hai mai davvero? Nemmeno uno? - insistette David senza paura di un litigio già in arrivo. 
- No! 
- Beato te, io ne ho miliardi, di continuo. Però mi aiutano a migliorare come essere umano. Non penso che sia una brutta cosa avere dubbi. 
Jay scosse il capo e a quel punto alzò finalmente la testa, perché si parlava di lui. Si mise meglio a pancia in giù e con la maggior parte del corpo sopra David, poi lo guardò tirando su la testa che appoggiò sul gomito, questi invece posato a lato del suo compagno per non fargli male nel puntarglisi addosso.
- Beh averne troppi non è proprio il massimo, però... 
- E perché no? 
- Perché devi anche agire, prima o poi. Il dubbio è una scusa per non agire. 
- Oppure è uno scudo per non ferire. 
- Per non ferire te stesso. Ma questo non ti impedirà di soffrire comunque. Mentre l’azione ti porta comunque sempre a qualcosa. Evolvi. 
David sospirò per nulla convinto, ma proprio per quella sua tendenza a dubitare di sé, si chiese se non avesse ragione. A quel punto sorrise realizzandolo. 
- Sai, adesso sto dubitando della mia convinzione. Magari è come dici tu. Non faccio bene a fermarmi e riflettere sulle cose? A capire se anche gli altri hanno ragione? Non mi permettono di migliorare come persona? 
- Perché quando hai la palla guardi sempre se qualcuno è messo meglio di te? Perché hai paura di non segnare? Dubiti di te stesso e ti fidi più degli altri? 
David si fermò, cosa c’entrava ora il calcio? Per Jay si andava a finire sempre lì. O quello o il sesso!
Si fermò a guardarlo, pensandoci. 
- Io non tiro subito perché non voglio fallire. Magari qualcun altro ha chances migliori... 
Jay trovò soddisfacente la sua risposta e se la tradusse meglio.
- Paura di fallire. - poi ci ripensò e senza rifletterci meglio, lo disse carezzandogli il viso dove un po’ di barba lo ricopriva. - Oppure è solo generosità. Non hai ossessioni. Non è che cerchi aiuto negli altri, semplicemente li aiuti tu. 
David lo guardò smarrito, non capendo come fosse giunto a quella conclusione così improvviso. Jay parve molto contento della propria realizzazione e gli prese il mento con due dita, strinse allegro, sdrammatizzando qualcosa che era commovente per quanto bello fosse. 
- Certo che è così! Ieri mi hai dato la palla e non perché avevi paura di sbagliare, bensì per aiutarmi a sbloccarmi. Per generosità! Non è che passi sempre la palla agli altri o fai ciò che gli altri non fanno per paura di fallire nel tuo compito di marcatore. Semplicemente aiuti gli altri nel loro dovere. Ognuno ha il suo... recuperare le palle, collegare i reparti, creare gioco, mandare in rete. Non sono compiti tuoi, ma se qualcuno non lo fa, lo fai tu per aiutare. Non sei un cagasotto insicuro, sei semplicemente generoso, David! 
Con questa conclusione a cui David non aveva mai pensato, gli baciò la bocca e si alzò saltellando contento. Nudo come un verme, beh, come un Dio greco più che altro, rimbalzò contento per il salone del suo ragazzo alla ricerca della cucina e del cibo.
Di fatto lui era a digiuno, ancora. 
David rimase così steso da solo, ebete, sul divano. A fissare il soffitto. Senza parole. 
“Generoso? Non sono codardo?” Aveva sempre pensato di non saper osare abbastanza per codardia. Perché era meglio se qualcun altro facesse ciò in cui lui non era sicuro di riuscire. 
Secondo Jay semplicemente aiutava gli altri. Era solo generoso. Non codardo. 
Non ne era convinto, ovviamente, però quell’idea gli riscaldò il cuore. 
Era fantastico che Jay, lui nello specifico, potesse vederlo così. 
Si morse il labbro, si prese il cuscino da sotto la testa e se lo premette sulla faccia per nascondere il nodo che era uscito. 
Amare, essere amati ed essere visti così meravigliosi. 
Le emozioni, per quel giorno, erano state davvero tantissime. 

Apriva e chiudeva le gambe nel macchinario per gli adduttori, sufficientemente carico per fargli guizzare i muscoli in tensione. Gli shorts arrotolati a scoprire tutte le cosce. 
Jay era perso a guardarlo senza rendersi conto che stava leccando il collo della bottiglia invece che bere. 
- Oggi batti la fiacca! - esclamò David divertito notando che gli fissava le cosce che si muovevano aprendo e chiudendosi. 
Jay si risvegliò e chiuse la bottiglia posandola, poi si guardò velocemente intorno per sicurezza e notando con piacere che erano come sempre soli a quell’ora in palestra, si avvicinò sinuoso. 
- I miei muscoli godono di ottima salute... - rispose inginocchiandosi proprio davanti a lui, impedendogli di richiudere le gambe per continuare gli esercizi. David scoppiò a ridere mentre Jay, veloce e sensuale come un gatto, scivolò con le mani sulle cosce muscolose, ora a riposo. 
- Fai controllo qualità? - chiese malizioso mentre sentiva le dita andare sopra la stoffa aderente degli shorts arrotolati, dritto dritto sul suo pacco prosperoso. 
David aprì la bocca respirando a fondo, colto impreparato, ma si morse il bicipite per non gemere quando Jay si tuffò subito col viso lì nel mezzo, senza nemmeno esitare. 
Prese la sua erezione in bocca che divenne presto dura attraverso i vestiti, subito bagnati dalla sua saliva. Jay continuò imperterrito a succhiarlo e divorarselo senza estrarlo, David non muoveva le mani che si aggrappavano ai manubri latrali del macchinario, lo lasciava fare mentre l’eccitazione saliva con un calore sempre più prepotente. Calore che lo stava facendo impazzire. 
- Fanculo. - ringhiò a denti stretti tirandoselo fuori da solo ed infilandoglielo in bocca con poca gentilezza. 
Jay rise per poi avvolgerlo completamente fra le labbra ben disegnate e succhiare con impeto, inginocchiato per terra davanti a lui. Nemmeno l’ansia di essere beccato, con l’eccitazione che aveva in quel momento, la stessa che spingeva la propria mano a masturbarsi mentre faceva venire David. 
A quel punto si alzò soddisfatto mentre il compagno era ancora pieno del proprio piacere, totalmente da un’altra parte. In piedi davanti a lui, gli appoggiò il proprio membro duro sul viso, lo carezzò e David tornò vagamente per aprire la bocca e aiutarlo a concludere a sua volta. 
Gli prese i fianchi con le mani appoggiandoselo addosso, le dita poi scivolarono sui suoi glutei sodi e perfetti e mentre ricambiava il favore, il tatto gli trasmetteva il resto del piacere. 
David adorava toccare il suo corpo. 
Dopo che anche lui venne, recuperò l’asciugamano e lo pulì poiché David al contrario non aveva la passione per ingoiare. Lo pulì e lo fece sedere sulle gambe che intanto aveva estratto dai pedali del macchinario. Jay si mise a cavalcioni e gli mise le braccia sulle spalle, guardandolo da vicino, persi entrambi nel piacere appena raggiunto, inebriati più che mai. 
- Qua si batte davvero un sacco la fiacca, eh? - disse David sorridendo, mentre gli stringeva i glutei. Jay rise mordendogli il labbro inferiore, finendo poi per succhiarlo. 
- Non mi pare che in campo ne risentiamo... - disse sulla sua bocca, prima di infilarsi con la lingua nella sua ed essere accolto e succhiato a sua volta.
David non gli rispose, in quel momento non gli importava minimamente del calcio. Stava solo troppo bene lì ad abbracciarlo e baciarlo.
Cosa che praticamente non riuscivano a smettere di fare quando stavano in palestra. 
In campo no. In campo erano diligenti perché ci tenevano a non fare un casino, ci voleva poco a distrarsi e perdere la forma, ma in palestra era difficile non saltarsi addosso a vicenda. 

Jay poi era un provocatore nato. Arrivato prima, stava facendo esercizi che mettevano in risalto il proprio perfetto culo molto ben allenato. Sapeva che David stava per arrivare e che avrebbe gradito vedere come si piegava sul macchinario facendo squat, così come le sue chiappe sode che si sporgevano all’infuori perfezionandosi più di quanto non era già. 
Non si stupì di sentire le mani di David afferrargli i pantaloni ed abbassarglieli insieme ai boxer. Jay sorrise sentendosi prendere per i fianchi e tirare indietro fino a spingerlo contro il muro, togliendolo dalla macchina. Lui eseguì volentieri senza nemmeno salutarlo o girarsi, consapevole che era lui. 
La musica a tutto volume aveva coperto i rumori del suo arrivo, l’aveva alzata apposta perché aveva immaginato che avrebbe fatto così. 
Non un ciao, non un farsi notare. Niente. 
David si tirò fuori l’erezione, si sputo nella mano e se la strofinò mentre gli baciava il collo mordicchiandolo, Jay gli si inarcò contro, strofinando proprio ciò che voleva lui gli prendesse. E glielo prese poco dopo, senza complimenti ed esitare. 
Gli entrò dentro subito, rude e sbrigativo, con un bisogno da impazzire. 
Le mani a tenerlo per i fianchi, Jay appoggiato alla parete, coperti dalle macchine da entrambi i lati e quel bisogno che esplodeva insieme al piacere, mano a mano che David spingeva ed affondava ad ogni colpo. Via via sempre più forte. Più veloce. 
Fino ad impazzire insieme e a perdersi totalmente uno nell’altro. 
Si persero. Come si perdevano sempre, ormai. Sempre più. 
Ma non era solo la palestra teatro dei loro amplessi.
Ogni angolo, in realtà, lo era. 
La sauna, il centro massaggi, la piscina, le camere del dormitorio. 
Ogni angolo interno del centro sportivo dove praticamente vivevano. Era una sorta di paradiso personale. 
Avevano anche le case e potevano stare insieme quanto volevano, ma era diverso. 
Quel posto era per loro una sorta di angolo di paradiso dove non c’erano le regole esterne ad influenzarli. Lì erano loro stessi, erano come protetti in una bolla dove potevano essere loro stessi, senza sottoporsi alle versioni che dovevano rifilare al resto del mondo, alla famiglia, agli amici, ai media, ai tifosi e a chiunque. 
Lì erano solo chi volevano essere, non arrivava nessuno a guardarli e giudicarli. Lì da soli e basta. 
Ed in campo si vedeva, questo loro viversi liberamente e prendere tutto ciò che volevano. 
Perché la simbiosi con la palla al piede e sul corpo era quasi totale. 
Tanto si fondevano in una relazione sempre più totalizzante, quanto più si vedeva in campo. 
Il calcio era un riflesso di ciò che vivevano privatamente ed insieme. Non solo passaggi a senso unico, ma anche ricambiati. A volte Jay a David, altre David a Jay. 
E così sincronizzati, così stando bene dentro e fuori del campo, nel loro paradiso personale dove erano vivi e loro stessi ed insieme, gli anni volarono.
Volarono fino a che anche la più rosea e perfetta delle situazioni dovette giungere al termine. 
Perché la vita è così.
La perfezione non è eterna e forse è bella proprio per questo. 
Perché è circoscritta in un tempo ed in uno spazio preciso. 
Ma dopotutto fu la dimostrazione d’amore più grande da parte di un Jay, che prima della loro relazione non sarebbe mai stato capace di un gesto simile. 
Lui che aveva sì cambiato David, ma che da lui, infine, era stato così tanto cambiato.