*Ormai Jay ha deciso, ma non è facile dirlo a David. Gli dà una serie di segnali che normalmente sarebbero chiari, ma David non vuole vedere. Del resto ha appena trovato la felicità e non è facile capire ciò che è inevitabile, specie se questa sarà dolorosa. Ma purtroppo nella vita di un calciatore, anche il migliore del mondo, arriva il momento di pensare al finale di carriera. Ma per Jay non è solo quello, per Jay è la sua più grande dimostrazione d'amore e di maturazione. Buona lettura. Baci Akane*

 37. L’ULTIMO CAMPO

david jay 

David si era emozionato e si era dato dell’idiota per averlo fatto per quel rigore concesso da Jay. 
Non era uno che voleva mettere i manifesti circa la sua relazione, ma in quell’occasione gli era piaciuto da matti avere quella dimostrazione d’amore così davanti a tutto il mondo. 
Jake Armstrong che cedeva un rigore ad un compagno era qualcosa di straordinario. Ne avrebbero parlato tutti e lui odiava essere sulla bocca di ogni essere vivente, avrebbero detto che era stata pietà per un giocatore finito che non segnava quanto doveva fare un attaccante, ma non gli importava molto.
Di cattiverie ne aveva ricevute molte e sapeva sopportare, lo fischiavano puntualmente perché facevano i paragoni con Jay che segnava tantissimo, al suo contrario.
Fra l’altro c’era da dire che aveva i periodi in cui non segnava proprio, non solo poco. 
Quello era uno di quelli, per esempio.
Quel rigore trasformato poi in goal era uno sblocco di un lungo periodo di digiuno, ma poco gli importava. 
Non contavano solo i goal e lui faceva molte cose importanti per la squadra che li aiutava ad andare avanti nelle competizioni e ad avere successo. 
Non era un goal che faceva la differenza. 
Ma quel rigore ceduto da Jay l’aveva commosso perché solo lui poteva capire quanto importante fosse, quanto significato c’era dietro. Tuttavia lo vide come un semplice ‘ti amo’ più in grande del suo solito. 
Jay era sempre stato uno dalle grandi dimostrazioni, non era capace di nascondere quando adorava qualcuno, però con David si era adattato alla sua riservatezza e non ci aveva dato dentro in pubblico. A parte dimostrare una bella amicizia, non aveva fatto molto altro. 
Jay era cambiato e maturato, aveva messo ulteriormente la testa a posto e di lui ormai si sparlava poco, non c’erano scoop o notizie sconvolgenti. Lo consideravano ancora un egoista per il fatto che segnasse tanto, ma se per caso non lo faceva, come era capitato una volta o due in tutti gli anni di carriera, lo fischiavano da matti. 
Nel suo caso poteva fare ciò che voleva, lo guardavano comunque male, come un arrogante, ma negli ultimi anni la questione era migliorata e a David faceva piacere che lo acclamassero di più e lo fischiassero di meno. 
Era bello quando lo difendeva in campo contro i tifosi che, invece, ce l’avevano con lui e lo fischiavano. Era sempre molto protettivo anche se a David non importava veramente. Andava comunque dritto per la sua strada.
Tuttavia gli aveva fatto piacere il rigore quanto le difese a spada tratta di Jay e poi i riconoscimenti per quella bell’azione in semifinale. 
Per lui contavano i gesti significativi, le cose inusuali, le eccezioni, le novità. Non una regolarità stabile. 
Lui sapeva che per vincere servivano i goal, ma sapeva anche che nessuno riusciva a procurarseli da solo. Se uno cercava di costruirseli da solo, la percentuale di realizzarli era bassa. Mentre era più facile segnare se qualcuno ti aiutava.
Lui arrivava lì.
Osservava la situazione, capiva cosa mancava e andava a coprire e rimediare. 
Serviva che qualcuno facesse da collegamento fra i reparti? Lo faceva. Serviva un po’ di creatività? Lo faceva. Servivano assist? Li faceva. 
Tanto ai goal ci pensava Jay, non serviva li facesse lui. Non è che se lui non segnava, nessuno lo faceva, ci pensava Jay. Eppure spesso se lui non retrocedeva per coprire o creare o collegare, nessuno lo faceva e non si andava avanti, non si arrivava al goal. 
“La stella per splendere ha bisogno dell’ombra. Altrimenti non si nota il suo splendore.” 
Era una frase che qualche giorno prima aveva detto Jay così dal nulla, David l’aveva preso in giro pensando che fosse invecchiato troppo ed iniziasse a dire cazzare.
Non era invecchiato. A trentatré anni uno non è veramente vecchio. 
David non voleva dare peso a quella strana frase, così come non voleva darlo al fatto che quella mattina fosse rimasto a guardarlo dormire invece che svegliarlo per fare sesso come sempre. Oppure a quel rigore ceduto a lui. 
I segnali c’erano stati, ma non li aveva voluti vedere, non li aveva voluti leggere. 
Lui stava bene così.
Sì, segnava poco, ma aiutava la squadra a trionfare, lui sapeva che era importante quel che faceva e Jay aveva ragione. Non era inferiore agli altri, era solo generoso. 
Aveva un ruolo importante e lo ricopriva bene, sapeva di essere essenziale.
Oltretutto adorava giocare in combinazione con Jay, lui così bravo con la palla, essere al suo pari in campo, riuscire a creare azioni con lui significava essere alla sua altezza ed era bello. 
Era bello sapere cosa avrebbe fatto e aiutarlo a farlo.
Era bello poter improvvisare una cosa su due piedi e sapere che lui avrebbe capito e gli sarebbe stato dietro. 
Era bello riuscire a creare cose meravigliose insieme. 
Nessuno aveva quell’intesa a quel livello. 
Sapeva di aver creato qualcosa di unico, qualcosa che nessuno sarebbe mai riuscito a riproporre.
Jay era uno dei giocatori più forti della storia del calcio e lui creava combinazioni di gioco meravigliose, era il suo assist-man migliore e soprattutto con nessuno aveva l’intesa che aveva con lui. Questo lo rendeva uno dei migliori a sua volta, in qualche modo. Nella storia. 

Dopo tanta attesa, finalmente era arrivata la vigilia della finale. 
Quell’anno si giocava a Kiev e si erano presi tutto il tempo necessario per prepararsi, essendo l’ultima partita della stagione rimasta. 
Ogni attesa era snervante, ma la finale di Champions era seconda solo alla finale di un mondiale. 
L’ansia era tanta, per tutti. Sarebbe stata la terza Champions di fila, era un traguardo prestigioso e non era scontato, nessuno nella storia ne aveva vinte così tante e nemmeno di fila. Erano pronti a non farcela, erano pronti a fallire. Vincere tre volte di fila quella coppa?
Impensabile. 
Però qualcuno ci credeva.
Qualcuno era convinto che erano lì per fare la storia e complice un Lucas che era in grado di tenere saldi e rilassati i nervi e quindi di trasmettere una buona sensazione, qualcuno ci credeva.
Qualcuno come Jay, per esempio, che non sembrava per niente teso. 
David ovviamente da bravo emotivo lo era. Non sapeva come facesse Jay ad essere così sicuro e tranquillo, quando lo incontrava era sempre lì a ridere e scherzare allentando la tensione di tutti. Si chiedeva cosa gli frullasse per la testa, sempre ammesso che gli frullasse qualcosa. A volte aveva dei dubbi. 
Quel pomeriggio sarebbero stati gli ultimi allenamenti, perché poi il giorno dopo non ne avrebbero fatti per non stancarsi troppo, solo allo stadio, prima della finale per il consueto riscaldamento. 
Perciò Lucas li aveva allenati come al solito puntando di più su certe cose, come per esempio i rigori. Era plausibile andare ai rigori in una finale, spesso si è sullo stesso livello e non si riesce a prevalere sulla squadra avversaria, perciò dopo i tempi regolari ed i supplementari si conclude coi rigori. L’allenamento del giorno prima verte sempre su quelli. 
Dopo averli congedati, David e Jay si erano fermati in campo a rifinire qualcosa come al solito. 
Era estate e faceva caldo anche se erano in Ucraina. Non caldo come in Italia od in qualche posto meridionale, ma c’era lo stesso afa, quella sera. Il campo illuminato dai fari. 
L’hotel non era attaccato allo stadio dove avrebbero giocato e dove si stavano allenando per testare il campo del giorno successivo. Tuttavia Jay e David avevano chiesto di potersi fermare e di essere accompagnati in albergo più tardi da un autista. 
Lucas aveva detto loro di non esagerare con gli allenamenti extra e non stancarsi, David aveva annuito dicendo che però ne aveva bisogno. 
Certo che ne aveva, si disse Jay. Ne aveva la sua testa, non il suo corpo perfettamente in grado di giocare ad alti livelli. 
“Il suo blocco è tutto mentale.” Si era detto. “Si convince di non essere alla mia altezza e si appoggia a me, se io non ci fossi saprebbe di essere lui il me della situazione e lo farebbe. Non avrebbe limiti.” Ormai lui aveva deciso, ne era sicuro. 
“Comunque la mia ora si avvicina, presto o tardi dovrò cedere il passo. Se posso scegliere, scelgo ora, con lui. Lo cedo a lui, il mio passo. Poi lui deciderà un giorno a chi lasciare la nostra eredità.”
L’autista aspettava in una sala d’attesa all’ingresso, vicino a dove si svolgevano le conferenze stampa. Non li avrebbe visti. 
Nessuno li avrebbe visti.
Quello stadio, quella sera, illuminato solo dai fari, era completamente vuoto. 
Il giorno dopo si sarebbe riempito di gente, di urla, di tifo, di fischi ed applausi.
E di speranze.
Lacrime. 
Disperazione.
Esultanze. 
Gioia. 
Tristezze. 
David però al momento non ci pensava, con la palla al piede si allenava negli inserimenti laterali in area, percorreva la fascia correndo per poi crossare in mezzo su Jay e permettergli così di segnare. 
- Sai che dovremmo fare l’opposto, sì? - disse Jay ridendo dopo l’ennesimo goal. David arricciò la bocca per nulla convinto. 
- Sei tu il goleador... - rispose senza troppo peso. 
- Ma sei tu la punta... io sono l’ala. Sono io che arrivo dalla fascia e taglio in area crossando a te. 
Jay sospirò. Era il momento, si disse. Gli avrebbe fatto male, ma doveva farlo ora, sentiva che era quello il momento giusto.