SOTTO LA MASCHERA



1. COLLOQUIO

Quel giorno era tardi, anzi, molto peggio.
Era tardissimo.
Nonostante lo studio fosse suo sapeva di esserlo, doveva incontrare dei clienti e ancora non era lì, sicuramente erano arrivati.
Alan si diede un’occhiata veloce allo specchio mentre si infilava al volo la giacca, senza per altro guardarsi davvero. Un’occhiata più accurata la diede a Shin, il suo cane meticcio i cui occhioni supplicavano di essere portato con lui.
Così anche se Alan era davvero tardi, si fermò davanti al suo cane di diciassette chili con le orecchie basse, seduto davanti a lui in attesa, e si chinò a dargli un bacio sul muso.
- No, tesoro, non vieni con me oggi. Stai qua, sai? -
A questa formula il cane capì e con la coda fra le gambe fece dietrofront e tornò sul divano mettendosi comodo a ciambella, col naso immerso nella coda a spolverino.
Come lo faceva sentire in colpa lui, non ci riusciva nessuno.
Solo dopo di questo Alan uscì di casa chiudendo la porta a chiave.
Mentalmente provò a ripetersi gli impegni della giornata che sapeva essere piena, pur provandoci gli venne in mente solo l’incontro con i nuovi clienti alle otto.
Lo studio apriva alle otto, ma lui non era mai puntuale perché tendeva ad essere un ritardatario cronico e soprattutto a dimenticare tutto, per cui cercava di evitare gli appuntamenti a quell’ora. Ovviamente però a volte non poteva, specie se le altre ore della giornata erano piene.
Quel giorno sicuramente lo erano, ma tanto Desirée gli avrebbe ricordato ora per ora tutto quello che doveva fare, col suo fare brusco.
Doveva ammettere che la sua assunzione era sicuramente stato il miglior investimento, anche se quando era a corto di tirocinanti la sua vita in studio diventava molto complicata.
- Ecco cos’altro succede oggi! Comincia lui! - Esclamò Alan da solo aumentando l’andatura.
Aveva lo studio in pieno centro storico, vicino a casa sua. Era l’unico modo per accorciare le tempistiche e per poter tornare a casa a metà giornata, specie perché spesso stava più in studio che in qualunque altro posto.
Alan si ricordò che quel giorno iniziava anche il nuovo tirocinante di cui non ricordava il nome e che non era nemmeno riuscito ad incontrare.
Si erano sentiti per telefono e l’aveva incontrato Desirée al suo posto perché lui quel giorno aveva avuto un sacco di impegni in tribunale, così non sapeva nemmeno che faccia avesse. Pure le documentazioni ricevute relative le aveva ovviamente guardate solo la sua segretaria perciò non sapeva nulla, si era fidato di lei al punto che ora non sapeva nemmeno a che ora avrebbe iniziato, né il suo nome.
Non era un grosso problema, la maggior parte delle volte lui comunque dimenticava tutto anche se guardava le cose.
Era più bravo una volta che aveva tutte le carte davanti, riusciva a far credere di essere preparato e di sapere ogni cosa, invece il suo trucco era improvvisare. Leggere e impostare dialoghi sul momento che lo rendevano credibile.
Percorso il mezzo chilometro a piedi che lo separava dallo studio, imprecò rendendosi conto di aver dimenticato le chiavi dello studio a casa. Ovviamente. Quando mai non dimenticava qualcosa?
A quel punto, guardando l’ora, suonò il campanello immaginando lo sguardo truce che gli avrebbe riservato la sua segretaria probabilmente già alle prese con dei clienti impazienti.
Il cancello in ferro battuto venne aperto col comando e a quel punto potè entrare nel cortile, salire le scale esterne e precipitarsi spedito all’interno dello studio superando velocissimo anche l’ingresso che faceva da piccola sala d’aspetto.
Vedendola vuota, si chiese se per una volta avesse avuto fortuna e i clienti fossero più in ritardo di lui.
Entrò nell’anticamera del suo studio, ovvero la postazione della segretaria, con quella di andare dritto verso il proprio ufficio e sistemarsi brevemente, quando la sua corsa venne interrotta da uno scontro sfiorato per un pelo.
La presenza di una persona davanti a sé che sembrava venire proprio verso la porta da cui lui entrava, si fermò in tempo prima di sbattergli addosso. Si fermò, lo guardò un secondo senza riconoscerlo e pur non immaginando chi potesse essere, deviò come se non ci fosse nemmeno per procedere verso il proprio ufficio.
Dopo aver mosso alcuni passi si rese conto di essere ancora fissato dalla persona in questione, sconosciuta fra l’altro, ferma alla porta aperta.
A quel punto Alan si rese conto che qualcosa non quadrava e realizzando che non c’era Desirée ma quel tipo - un bel tipo in realtà - si fermò, si girò e si raddrizzò capendo di doversi presentare.
- Buongiorno, sono l’avvocato Rinaldi. - Alan si ricordò le buone maniere e a quel punto, solo lì, notò che chi aveva davanti era un giovane vicino ai trenta, molto elegante e ben tenuto, senza nemmeno un capello fuori posto, di bell’aspetto e soprattutto con due occhi incredibilmente azzurri.
Il giovane si raddrizzò illuminandosi, fece un passo avanti e cancellò in un attimo la sua aria persa che per un momento aveva avuto.
Gli andò davanti con la mano tesa e alla sua presa strinse vigorosamente, poi con un sorriso smagliante e convincente si presentò:
- Buongiorno, sono Eric Gastaldo, il tirocinante. - Alan in un attimo realizzò che avrebbe lavorato gomito a gomito con lui per oltre un anno e si sentì strano, come se improvvisamente non averlo incontrato prima di persona non fosse stata più una splendida idea.
“Che sciocchezze dici, non lo conosci, piantala di dire certe cose. Perché mai dovrebbe essere un problema se lavori con un giovane di bell’aspetto?”
Gli altri o le altre tirocinanti passate erano state ovviamente tutti giovani per forza di cose, ma quella era la prima volta che si ritrovava a pensare che quello davanti a sé fosse TROPPO bello.
Troppo bello?
Davvero?
E che problemi ci potevano essere?
Alan annuì riprendendosi in un attimo, mettendosi su la sua tipica maschera da avvocato mai preso in contropiede e proseguì fingendo una piacevole meraviglia:
- Oh finalmente ci incontriamo. Non avevo mai avuto il piacere di persona. -
- Sì, infatti. È un vero piacere. Alla fine ce l’abbiamo fatta. -
“Arrivare dopo il tirocinante. Proprio bravo, Alan. Che bella figura ci fai!”
Alan aveva la mania di parlare da solo, se aveva qualcuno davanti lo faceva a mente, altrimenti se era solo lo faceva ad alta voce.
Ogni tanto Desy lo beccava e gli chiedeva se parlasse con lei.
“Desy!” Si disse fra sé e sé.
- Dov’è Desirée? Come sei entrato? Pensavo ci fossero già i clienti... - Per un momento Alan si lasciò andare al suo hobby preferito, fare domande a raffica. In quanto avvocato era la sua natura farne, non magari a raffica, ma per lui era del tutto normale.
A quella domanda Eric si ricordò della situazione e indicò una delle due porte.
- Sono tutti nel suo ufficio, li ha dovuti far accomodare perché la situazione all’ingresso stava degenerando... - Spiegò vago Eric. Alan inarcò un sopracciglio, tratto distintivo. Era uno dei suoi marcatori più frequenti e come lo inarcava lui, pochi ci riuscivano.
Eric si perse nel suo sopracciglio trattenendo un risolino e capì che doveva spiegarsi meglio.
Sebbene ad Alan piacesse fare domande a voce, era in grado di farne anche solo con gli occhi e quelle, di norma, erano quelle che ottenevano le risposte migliori.
Eric notò quanto penetranti e magnetici fossero i suoi occhi castano scuro e per un momento ne rimase catturato. Poi si ricompose e spiegò:
- Dunque, sono madre e figlio il cui rapporto pare molto teso, solo che il figlio è ancora minorenne, ma vorrebbe poter scegliere di andare dal padre in Piemonte perché con la madre non va d’accordo. L’affidamento è stato dato a lei comunque e poi come si sa solo a quattordici anni lui eventualmente può scegliere se continuare a stare con lei oppure proseguire dal padre. Però questo bambino di dieci anni è a dir poco esasperato e sembra una situazione davvero insostenibile. La richiesta di assistenza viene dalla donna che ha problemi con l’ex marito, sostiene che gli assegni di mantenimento non siano sufficienti e che ci sono degli arretrati che lui non ha mai fornito. La questione comunque è delicata perché questo ragazzino, Simone, sembra proprio odiare la madre. - Alan rimase impassibile davanti al fiume di parole scaricato con un tempo record di pochi secondi, però registrò tutto fra sé e sé e non fece una piega nonostante pensasse che per i prossimi diciotto mesi sarebbe stato meglio che parlasse di meno.
- E Desirée? - Ed alla fine la domanda iniziale non aveva ottenuto risposta.
Eric se ne rese conto e mascherando il proprio auto insulto per non essere stato efficiente come voleva, rispose alla prima domanda fatta:
- Sì, ecco. Ha dovuto farli accomodare perché si stavano insultando, stavano litigando. - Alan rimase in attesa del resto e di nuovo col sopracciglio alzato, gli fece capire di proseguire. - Beh il bambino ha dato alla madre della puttana. Cito testuali urla: ‘Sei una puttana non voglio più stare con te, voglio andare da papà!’ Ecco qua. - Al resto Alan ci arrivò da solo.
- Per cui Desirée ha dovuto farli accomodare per calmare i bollenti spiriti. - Poi si fermò provando ad immaginare la scena anche in relazione al silenzio che si sentiva da fuori. - Cosa fa, la maestra severa pronta a bacchettare chiunque respiri? - chiese ironico. Eric a quello spiraglio si rilassò facendo un sorrisino divertito.
- Sinceramente non lo so, ma da come non emettono suono o li ha uccisi o li ha domati. Lei la conosce meglio di me, su quale propende? - Alan finalmente rise e lo fece spontaneo e sincero all’idea trasmessagli.
- La seconda decisamente. Penso che lei potrebbe domare anche un esercito di pesti di seconda elementare! - Eric ricambiò la risata.
- Era proprio come pensavo! - L’idea avuta conoscendo Desirée era effettivamente quella.
Alan si fece mezzo serio realizzando che in cinque minuti di colloquio con quel ragazzo aveva già mostrato un lato normale di sé evitando quella maschera da avvocato serio che cercava di mantenere in studio. Gli ci erano voluti cinque minuti per fargli fare una battuta e ridere.
Quel ragazzo aveva sicuramente un dono, a parte la bellezza derivante dai suoi capelli neri perfettamente sistemati e gli occhi azzurri che spiccavano.
- Sarà meglio che entro o dovrò trovarmi un’altra segretaria. -
Eric annuì e rimase indietro, Alan prima di varcare la soglia si girò di nuovo verso di lui e contravvenendo alle sue solite mosse, gli fece un cenno accompagnato da uno sguardo indecifrabile.
- Andiamo. - Disse correggendosi rispetto a quanto appena detto sull’entrare da solo.
Ad Eric suonarono le campane a festa e buttandosi dietro di lui, lo seguì dentro l’ufficio.
La stanza in questione era tutta in legno scuro pregiato, l’arredamento molto costoso trasudava serietà. Non poteva immaginare diversamente lo studio di un vero avvocato, si disse Eric seguendolo.
Aveva fatto un po’ i compiti tranne che per l’aspetto. Non aveva trovato foto sue, nessun social, nessuna foto in rete. Così solo ora dava un aspetto all’avvocato civilista quarantenne esperto in diritto di famiglia.
Un bell’uomo, più che bello molto affascinante e ben tenuto. I quaranta li dimostrava tutti. Forse qualcuno in più. Sguardo magnetico, bocca sottile, aria indecifrabile, capelli castani dal taglio più semplice mai visto. Al contrario dello studio costoso e pregiato, i suoi abiti erano molto normali, anzi, un po’ vecchiotti in realtà. Come il suo taglio di capelli anonimo.
Nonostante questo, apprezzò il fisico asciutto e longilineo di un uomo che aveva l’aria di uno a cui piaceva camminare. Probabilmente la sola attività fisica che si concedeva. Niente a che fare con lui che se non faceva un po’ di palestra almeno tre volte a settimane, non si sentiva a posto.
“Per non parlare dei nostri stili. Sembro più avvocato io di lui ad un primo sguardo.”
Elegante, aggiornato, moderno uno, semplice, antico e anonimo l’altro.
“Eppure con la capacità di penetrare ed ottenere in poco tutto ciò che desidera.”
Quella fu la sua impressione su Alan Rinaldi.

Quando entrarono, videro al di qua della scrivania sulle due poltroncine in pelle nera tonde, una donna ed un bambino. Erano di spalle rispetto a loro appena entrati.
Dall’altra parte, al posto dell’avvocato, sedeva una ragazza sopra i trent’anni, corporatura nella norma, gomiti appoggiati sulla scrivania, schiena dritta, un completo molto semplice la cui maglia era rossa, capelli castano ambra che ricadevano lisci sulle spalle, anche il suo taglio di capelli era semplice, scalato, ma molto comune. Un viso interessante anche se non perfetto.
Gli occhi verdi severi si spostarono dai due ospiti a loro e quando li videro ebbero un guizzo. Con movimenti pacati e molto lenti, la donna si alzò.
- Ecco l’avvocato è arrivato. Vi lascio nelle sue mani. - Disse con una pazienza che Alan sapeva essere solo apparente.
Desirée sfilò di lato facendosi seguire dalla donna e dal bambino che si girarono a guardare i due appena entrati.
La segretaria andò dritta da Alan, si fermò, lo guardò penetrante e poi con un semplice:
- Benarrivato avvocato. - Gli fece capire quanto seccata fosse dal suo ritardo e quanto glielo avrebbe fatto pagare, specie perché di nuovo le aveva fatto fare le sue veci. Non solo con il tirocinante, ma anche con quei clienti. Come ogni volta, d’altronde.
Alan sorrise cordiale fingendo che non l’avesse appena rimproverato con la forza del pensiero, poi la lasciò uscire sicuramente più felice che mai. Si scambiò un’occhiata complice con Eric che sebbene fosse appena arrivato sembrava aver già afferrato tutta la situazione in un attimo.
“Adesso mettiamo alla prova la sua capacità di adattamento. Se ho percepito bene, ne ha da vendere. Adesso vediamo.”
Così pensando, si sedette all’unica sedia rimasta nello studio, la propria al di là della scrivania, mentre osservò Eric posizionarsi con classe e senza problemi dietro di lui. Lo sentì appoggiarsi al balcone ampio che aveva alle spalle e in quella che sembrava una posa plastica, si immaginò in un quadro ritratto così. Alan congiunse calmo le mani sotto al mento e con un sorriso paziente, fece un cenno ai due.
- Perdonatemi per il ritardo, sono stato trattenuto da questioni di lavoro. - Mentì.
Eric pensò che lo faceva proprio bene, aveva una capacità di catalizzare l’attenzione con nulla. 
Il momento dopo stavano presentandosi tutti e come se nulla fosse mai  successo, come se Eric non fosse lì da appena un’ora, la consulenza ebbe inizio.