*Eric ha impulsivamente dato un leggero bacio ad Alan per poi scappare subito, questo ha innescato nell'adulto un effetto domino destinato a straripare in breve. Alan così arrivato a casa trova Paolo che si accorge subito che è successo qualcosa, ma questa volta la loro conversazione non sarà facile, ma sicuramente è qualcosa di cui bisognava parlare. Buona lettura. Baci Akane*

10. SUBBUGLIO




Parlare non era mai stato così difficile. Alan di solito era quello che faceva parlare gli altri, non quello che parlava. Far parlare era così facile.
Ma Paolo sembrava voler stare lì fino a che non avesse saputo tutto e ad Alan sembrava di doverglielo.
Alan guardò l’amico dai capelli ancora biondi con un po’ di imbiancatura sulle tempie, si teneva molto meglio di quanto si tenesse lui, un taglio dove infilarci le mani sul ciuffo morbido era quasi un dovere.
Alan non aveva mai avuto quel desiderio, ma stasera lo aveva avuto con Eric.
- È giovane, l’ha fatto lui. Si era creata un’atmosfera strana e non so cosa prova e cosa vuole... -
- Ma tu? - Chiese Paolo fermando le informazioni inutili. Non era strano che un giovane si prendesse una cotta per uno come Alan. Alan sapeva conquistare con la sua dolcezza e semplicità.
Paolo ed i suoi occhi azzurri lo sfidarono alla sincerità, Alan pensò che erano diversi i loro occhi. Entrambi azzurri, ma diversi. Quelli di Paolo erano più adulti mentre quelli di Eric più puri in qualche modo.
- Io non so, mi ha preso alla sprovvista e... - Paolo così sbottò non riuscendo più a trattenere ciò che teneva da anni.
- Davvero? - Chiese stizzito. Alan si irrigidì e lo guardò serio.
- Cosa vuoi dire? -
- Davvero ti ha preso alla sprovvista o non vedevi l’ora che succedesse? -
Come poteva saperlo? Alan non capiva, non gli aveva mai raccontato certe cose, le aveva totalmente sminuite. Ma forse lo conosceva davvero più di quel che immaginava.
- Non l’ho progettato, è successo. Forse non ho letto bene i segnali... -
- Forse? Ridendo e scherzando siete usciti insieme già due volte, oggi com’è capitato che ti baciasse? In studio mentre lavoravate? - Cominciò seccato Paolo, incapace più di trattenere.
Alan rimase calmo mentre dentro di sé l’agitazione lo metteva in subbuglio. Non voleva litigare con lui e capiva che quel che diceva era sicuramente sacrosanto.
- Abbiamo avuto un colloquio shoccante e lui aveva bisogno di... -
- Siete usciti ancora? -
- Si è creata un’atmosfera confidenziale, mi ha raccontato cose dolorose di sé ed io l’ho solo ascoltato. Non è successo nulla, ma evidentemente per lui è bastato e prima di andare via mi ha ringraziato con un bacio. - Paolo rise ironico scuotendo la testa e girandosi dall’altra parte.
- Pazzesco. - Fece poi.
- Cosa? -
- Pazzesco che tu insista a non vedere l’elefante che c’è qua dentro! - Sbottò Paolo esasperato, poi si corresse guardandolo. - Che c’è dentro di te! - Alan sapeva cosa intendeva ma non voleva accettarlo, non si sentiva pronto. La testa martellava insieme ai battiti assordanti del proprio cuore. Non si era mai sentito così male e non sapeva come uscirne, non era pronto, non era di nuovo pronto, ma forse non lo sarebbe mai stato.
Rimase in silenzio, rigido, la mascella contratta, seduto con la mano sul tavolo, aperta e appoggiata sulla superficie.
- Quando ti deciderai ad ammettere chi sei veramente e a guardarti in faccia, troverai quello da cui sei sempre scappato e capirei quanto idiota sei sempre stato. Perché è la cosa più meravigliosa del mondo! Essere sé stessi è splendido, è una liberazione, è appagante... -
- È atroce, è complicato, è problematico e sofferenza, il più delle volte. Non è facile, non è sempre bello e liberatorio, ci sono anche quelli che ti sotterrano perché sei te stesso e ti fanno rinunciare a tutto quello per cui hai sempre lottato, ci sono le porte in faccia, Paolo. Quelle dolorose. No, Paolo. Non è solo splendido. È anche rischioso e non so se il gioco valga la candela. -
Paolo colpito dal suo sfogo che finalmente era uscito, il primo reale, si rese conto di quanto esasperato lui stesso fosse. Di quanto non ce la facesse più. Se si era lasciato andare con un ragazzo di ventisei anni era evidente che non ne poteva più di ignorare e soffocare quel lato di sé.
Ma ciò che lo feriva di più era questo. Perché quel ragazzo sconosciuto e non lui? Lui l’aveva aspettato una vita, arrivava un altro ed in un attimo otteneva ciò che lui in una vita non era riuscito.
Perché lui sì? Così diverso da lui, così distante, così giovane. Cosa mai poteva ottenere da uno così? Non certo una vera relazione, non certo niente di serio.
- Scappi ancora, lo sai? - Fece poi rendendosene conto mentre il dolore esplodeva in lui con portate epiche mai avute.
Alan non rispose.
- Perché stai facendo questo con un ragazzo con cui sai non c’è futuro. Perché siete troppo diversi per stili di vita, età, vissuti e sai che non c’è futuro, solo divertimento. E quindi scappi ancora da qualcosa che sai sarebbe per sempre. -
- Io non ho fatto niente con questo ragazzo, è capitato che si creasse un feeling ma è da parte sua, io sono stato il solito me stesso. Stai ingigantendo qualcosa che non c’è! -
- Certo. E la paura di essere sé stessi? -
Alan esasperato, con il sangue che gli stava facendo scoppiare il cervello, sbatté una mano sul tavolo e senza saper cosa dire perché cercava ancora di trattenere ciò che voleva dire, uscì di casa senza prendere chiavi, portafoglio e nemmeno cellulare.
Uscì così e basta. E per la prima volta Paolo pensò che fosse davvero finita fra loro, irrecuperabile.
“Se una cosa non deve andare, non ci sarà mai verso di farla andare!” Pensò fra sé e sé dando un calcio al tavolo che fece rovesciare il calice, il quale finì a terra in pezzi sporcando di rosso e di cristalli le piastrelle lucide bianche.
Come la loro storia mai sorta davvero.
Quanto poteva sopportare ancora?

“Forse non riesco perché non sei tu!” Era quello che avrebbe voluto dirgli e che si era mangiato disperatamente, ma non voleva ferirlo perché gli voleva bene, solo come non gliene voleva lui e lo sapeva, perché Alan era troppo bravo a capire gli altri. Troppo.
- Maledizione! - Esclamò da solo camminando non sapeva nemmeno verso dove. Era andato via da casa sua, dove pensava di andare? Non aveva niente con sé. Poteva andare allo studio e dormire lì e poi?
“E poi mi nascondo ancora?”
Paolo aveva ragione sulla maggior parte delle cose che aveva detto, ma non su tutto.
Forse non aveva mai sentito di poter rischiare vivendo quel suo lato di sé perché non aveva mai avuto vicino la persona giusta con cui farlo. Forse non voleva rischiare Paolo stesso, perché il rapporto con lui era più importante di quello stupido esperimento egoista.
Forse c’erano troppe variabili per decidere di buttarsi così.
E, forse, in quel ragazzo c’era davvero qualcosa di diverso che non aveva mai incontrato in nessun altro.
Forse a volte sono le persone giuste nel momento giusto a fare la differenza, anche se ci sono differenze abissali a separare.
“Sono un codardo. Io mi nascondo per paura di affondare e soffrire e quel ragazzo pur di ottenere ciò che voleva ha lottato con unghie e con denti ed alla fine in un modo o nell’altro sta camminando dove vuole. È da lui che devo imparare.”
Ed era da lui che ora era arrivato.
Quando entrò nel bar della sua amica Laura, lui era girato di spalle perché seduto al solito posto al bancone e sentì una morsa potente alla bocca dello stomaco.
Si diede dello stupido non sapendo cosa pensava di fare, forse non aveva pensato e quello era il problema.
Ormai era lì.

Si stava lagnando a ruota libera con Laura che gli versava da bere cose pesanti che lui rifiutava chiedendo solo dell’acqua.
- Ma tesoro, quando hai delusioni amorose devi bere alcool. Cosa c’è che non ricordi come si fa? - Chiese la donna con la solita coda alta e gli occhi azzurri che spiccavano.
- Non ho ricevuto delusioni... - Si lamentò Eric appoggiato al bancone del bar. Non aveva voluto andare a casa, ma passare da lei era peggio.
- Dillo alla tua faccia... - Eric ridacchiò poco convinto.
- La mia faccia non ha niente... -
- E perché non bevi? -
- Perché ho ancora il sapore del brandy più buono che io abbia mai assaggiato e poi... -
- E poi le sue labbra erano così morbide e calde... - Disse lei per lui abbassando la voce imitando il suo tono. Era brava nelle imitazioni.
- Non avrei dovuto. È stato uno stupido impulso, un momento di debolezza, ma Desy ha ragione, lui è il mio capo e mi deve valutare, non posso rischiare di mandare tutto a puttane così. Devo tenere a freno la lingua e la bocca e pure il pisello se è per questo. Come fa una persona ad essere così dolce e perfetta? - Chiese poi come se non potesse più frenarsi, mentre sentiva d’aver fatto un disastro e di non poter più uscirne.
- Non lo so, prova a chiederglielo. - Disse Laura a quel punto guardando alle sue spalle.
- Non ci penso proprio. Ho rovinato tutto, te lo dico io. Sono il solito idiota! - Insisteva Eric disperato.
- Se hai finito di autocommiserarti, puoi girarti e constatare che se è venuto qua a cercarti, forse vuole rispondere a quel bacio. Magari bastava che ti fermassi invece di scappare come un bambino, sai? - Laura gli girò così la testa con la mano in un gesto poco gentile e quando lui fu strattonato, si dimenticò di sentire dolore al collo per il movimento brusco perché lui era lì, lui era lì a qualche metro davvero.
A quel punto il mondo tornò a fermarsi e lui di nuovo si sentì disarmato, completamente alla sua mercede, come se lui fosse il burattinaio che tirava i suoi fili.

Era strano, ad entrambi parve un altro giorno, un’altra storia, un altro secolo, invece si erano visti poche ore prima. Il ricordo di quel bacio soffiato e veloce, non approfondito.
Alan guardando i suoi occhi azzurri e la sua bocca così bella e ben disegnata, si rese conto di essersi pentito di non aver risposto, di essere rimasto impalato in quel modo.
E si rese anche conto di essere lì per quello, perché voleva rispondere, improvvisamente. Perché forse ne aveva abbastanza di non lasciarsi andare al vero sé stesso, di soffocarlo a tutti i costi per paura che non ne valesse la pena, che tutto andasse al catafascio.
Il locale aveva meno di una decina di persone dentro perché erano verso la chiusura, non era un pub ma un semplice bar che teneva aperto nel dopo cena ma senza orari impegnativi.
La clientela iniziava a scemare e Laura aiutata da una cameriera a pulire, cercava di non perdere di vista un secondo di quella scena e di capire che potesse mai pensare quell’affascinante esemplare di essere umano.
Eric si alzò titubante, incredulo di vederlo lì. Si sentiva più idiota di prima, voleva cancellare tutto ma non poteva e l’imbarazzo era gigantesco. Era sempre riuscito a gestire tutto con faccia tosta, aveva imparato insomma. Ma lì si sentiva disorientato, non sapeva più come muovere un muscolo.
- Alan? - Chiese avvicinandosi piano convinto fosse un fantasma.
- Ciao Alan, ti porto da bere? - Disse Laura vedendo che erano in crisi esistenziale da come si guardavano, la sua voce squillante interruppe il contatto visivo più intenso ed imbarazzante mai avuto. Alan la guardò gentile e sorrise appena scuotendo il capo.
- Ho solo bisogno di lui. - Poi tornò a rivolgersi ad Eric, ancora nel panico dentro di sé. - Possiamo andare da qualche parte? - Eric si strinse nelle spalle e guardò Laura come se lei dovesse parlare per lui in quel momento perché lui aveva dimenticato il cervello a casa.
Sicuramente voleva scaricarlo e dirgli di non azzardarsi mai più a fare quello che aveva osato fare, non sapeva se poteva sopportarlo, non da lui. L’aveva idealizzato e forse ci era cascato per questo, perché gli appariva come l’uomo perfetto che incarnava tutti gli aspetti che aveva sempre voluto.
- Io staccherò tardi, andate a casa che tanto devo iniziare l’inventario... - Non era di certo una priorità, Laura con l’inventario era sempre in ritardo, non si prendeva in anticipo, ma era ovvio che cercasse una scusa per lasciar loro casa. Eric non si sentì meglio all’idea di portarlo a casa sua, ma Alan in attesa di quella soluzione, lo incitò implicitamente e così prese e aprì le mani indicando l’uscita.
- Non sto lontano da qua, due passi e ci arriviamo. O preferisci camminare? - Alan in quello si strinse un po’ nelle spalle mimando il gesto del freddo.
- Sono un po’ sguarnito se non ti dispiace... - Eric che si era preso la giacca notò in quel momento che lui era senza e facendo per dargli la sua, Alan sorrise dolcemente alzando una mano per fermarlo. La mano si posò sulla sua e quel breve contatto riscaldò immediatamente tutti e due, rilassandoli come per magia.
- Non serve. Sono uscito di corsa, è colpa mia, ma se casa tua è vicina andrà benissimo. - come poteva essere uscito di corsa? Uno come lui non usciva di corsa, era impossibile.
Eric precedendolo fuori si rese conto che era impossibile, voleva riempirlo di domande mentre la curiosità di ciò che poteva essergli successo dopo il suo bacio lo subissava.
Alla fine lasciò che un altro imbarazzante silenzio cadesse fra loro, mentre probabilmente entrambi vivevano i rispettivi drammi.
Eric non aveva la minima idea di che cosa aspettarsi, comunque ormai doveva assumersi le proprie responsabilità. Avrebbe accettato ogni conseguenza. Probabilmente voleva mettere le cose in chiaro prima di ricominciare a lavorare in modo da poter far meglio finta che nulla fosse successo e cancellare tutto. Si preparò la risposta calma e ragionevole e la scusa dello scompiglio emotivo che funzionava sempre e che comunque era vera.
Alan dal canto suo non sapeva cosa voleva fare, cosa si era aspettato e perché lo stava portando in un posto tranquillo. Doveva pensare a come rientrare a casa e fare pace con Paolo, invece era lì da colui che aveva dato inizio al suo subbuglio per, probabilmente, continuare a mettercisi dentro meglio.
“In realtà mi piace questo stato assurdo in cui mi ha cacciato o non sarei mai qua. È questo il punto. In realtà mi piace. E non solo il subbuglio.”