*Ecco un altro capitolo. La serata speciale finisce e vediamo cosa ha lasciato in Alan ed Eric, sicuramente non passa in sordina. La situazione non è facile ed è solo all'inizio, Eric deve capire se è il caso di andare oltre col suo capo che lo deve valutare, mentre Alan deve capire perchè gli piace stare al di fuori del lavoro con Eric, se c'è altro dietro e cosa, ammetterlo ed eventualmente proseguire su quella strada o meno. Buona lettura. Baci Akane*

7. MASCHERE




Forse alla fine aveva bevuto troppo, ma quando Eric si era fermato perché doveva guidare, aveva bevuto anche la sua birra ed alla fine la testa aveva iniziato a girargli ed i discorsi filosofici si erano sprecati.
Perché lui aveva la ciocca filosofica.
- Pensi che sia stato davvero un ficcanaso? - Chiese mentre tornavano indietro. Quando aveva iniziato, Alan aveva capito che era ora di riportarlo a casa.
- Perché hai voluto vedere cosa nascondeva Desirée? - Eric seduto male si girò verso di lui rannicchiandosi nel sedile. Alan lo guardò e lo trovò ancora più bello così spontaneo.
- Ti rigiro la situazione, vediamo se capisci. - Ora entrava in scena uno dei talenti di Alan. Ottenere dagli altri tutto ciò che voleva. Se era fargli capire una cosa, gliela faceva capire in un modo o nell’altro. - Perché fai di tutto per nascondere che sei gay? Si capisce che non hai problemi ad esserlo, però fai di tutto affinchè non si noti. - Eric, ancora ubriaco anche se non in modi irrecuperabili, ebbe come un’epifania e capì abbassando il capo e lo sguardo. Ora si vergognava, l’aveva usata solo per uscire con lui senza pensare che poi avrebbe potuto ledere la sua sensibilità. Eccome se l’aveva lesa.
Aveva ferito una persona per ottenere qualcosa che forse non era il caso di ottenere. Ora era confuso, non capiva bene, non sapeva perché non farlo, sapeva però di volerlo.
- Mi complicherei la vita. Sono realista, il mondo non è ancora avanzato al punto da accettare serenamente i gay come fai tu. - Alan lo guardò ancora, guidando, e si dispiacque sentendo un tono di chi era stato colpito nel vivo. Voleva davvero essere più sé stesso in pubblico, ma si frenava per ragioni precise.
- Vedi, Desirée ha i suoi buoni motivi per nascondere che è una rockettara piena di tatuaggi. Anche loro sono categorie di persone che rischiano discriminazioni. Perciò dovresti capire meglio di chiunque altro perché bisogna lasciare che ognuno porti avanti le proprie scelte. - Eric lo ascoltò mentre parlava calmo e paterno. Si allungò verso di lui e sorridendogli mentre tutto si appesantiva e si mescolava, appoggiò la testa sulla sua spalla mettendosi tutto storto verso di lui.
- Grazie. Sei una persona meravigliosa. - Così dicendo lasciò che il sonno lo cogliesse. Non voleva intenzionalmente dormire, ma ormai il controllo di sé era offlimits. Non poteva proprio riuscirci ed era meglio dormire piuttosto che cercare di baciarlo e perdere quel briciolo di dignità che poteva essergli rimasta.
Alan sorrise dolcemente e lo guardò accoccolarsi contro di lui. Guidò cercando di non usare mai il braccio se non per cambiare, usò il volante solo con la sinistra e tutto fu scorrevole e bellissimo.
Quella sensazione si impresse, come che lui fosse il suo ragazzo. La sensazione che aveva avuto prima in diverse occasione, che l’aveva fatto sentire bene.
Era bello, era splendido stare con lui, inebriante. L’aveva fatto sentire diverso, giovane.
“Ma forse non è per questo, non è che mi ha fatto sentire giovane ma... apprezzato, piaciuto. Non lo so. Mi ha fatto sentire bene e basta. Al di là di tutto.”
E ancora, pur da solo, pur solo per sé stesso, non era pronto per ammettere la pura e semplice verità. Ovvero che gli piaceva anche se era un ragazzo e pure più giovane. Quel passo era ancora difficile.

Arrivò sotto casa di Eric dove l’aveva preso e lo guardò muovendosi sempre molto piano per non svegliarlo, trovando un peccato doverlo fare.
Girò lo specchietto retrovisore per poter vedere il suo viso e lo guardò mentre dormiva abbandonato. I capelli spettinati, quell’aria spontanea ed innocente. Lo trovò ancora più bello e per un momento pensò che non voleva svegliarlo e far finire tutto. Per un momento seppe che era un peccato.
Voleva che rimanesse per sempre così, che lui non si svegliasse, che nessuno si rimettesse addosso alcuna maschera.
Era legittimo indossarle, ma non era forse al tempo stesso anche un peccato?
Mostrarsi per quel che si era ed essere accettati non era forse uno dei massimi desideri di ognuno?
“È solo che a volte ci dimentichiamo come si sta ad essere sé stessi ed essere apprezzati per quello e va a finire che il massimo a cui aspiriamo è solo vivere in pace. Ma vivere in pace è essere felici?”
Alan non rispose e con una carezza sul suo viso, lo svegliò dolcemente.
- Eric, siamo arrivati. - Eric aprì gli occhi di soprassalto con ancora quella carezza calda sul viso, sorrise spontaneo e sollevò il capo guardandolo così da vicino. Di nuovo si ritrovarono a sfiorarsi coi visi e di nuovo ad osservarsi da vicino tanto da perdersi.
Di nuovo Eric puntò alla sua bocca e per un pelo, per un soffio non si baciarono.
“Davvero non è una buona idea, credo.”
Il mondo era meno confuso al risveglio e forse vedeva troppo chiaramente che Desirée aveva ragione.
Mescolare lavoro e privato non era una grande idea.
- Sono stato molto bene stasera, mi sono divertito un mondo. - disse Eric rimanendo appollaiato sulla sua spalla.
- Anche io. Grazie per avermi trascinato. Non mi divertivo così da una vita. - Disse Alan calmo e gentile.
Sorrise e a quel punto, solo a quel punto, trovò la forza di alzarsi e andarsene. Senza baciarlo, senza fare ciò che aveva voluto e cercato per tutta la sera. Perché forse doveva davvero pensarci meglio, forse era presto, forse non era una grande idea. Specie perché lui non riusciva a stare con la stessa persona per più di una notte e dopo che ci sarebbe andato a letto avrebbe comunque visto Alan a lavoro e non solo. Alan doveva mettergli un voto.
Aveva ragione Desy. Non doveva. Non ora.
Scendendo entrambi sentirono che qualcosa a quella serata perfetta era mancato, ma forse per entrambi quella volta fu meglio così.

Per tutto il weekend pensarono uno all’altro, Eric dovette fare un resoconto completo a Laura la quale gli disse che Desirée non capiva niente e che all’amore non si comandava.
Questa frase aiutò Eric a capire che invece Desirée aveva ragione e che doveva cercare di trattenersi e sicuramente non uscire più insieme dallo studio.
Per Alan fu diverso, non aveva detto nulla a Paolo, confuso sul motivo per cui non l’aveva fatto, capì che era meglio parlargliene.
Gli sembrava indelicato, però d’altronde era normale parlare al proprio ed unico migliore amico dicendogli come si sentiva o cosa gli succedeva.
Solo che l’argomento da trattare era troppo delicato ed alla fine decise di sminuire la questione al massimo, dicendo che Eric l’aveva trascinato in un posto strano a vedere se la loro serissima segretaria aveva un’identità segreta. Visto poi che era risultato così aveva spostato l’attenzione su di lei capendo il motivo per cui anche Eric l’aveva usata per fare altro. Uscire con lui, forse.
“Ma che vado dicendo, voleva solo curiosare, non c’entro io! Che abbiamo da spartire io e lui?”
- E quindi sei uscito con lui? - Chiese Paolo mentre facevano la solita passeggiata lunga del weekend. Andavano sempre in qualche sentiero coi cani che scorrazzavano liberi e felici intorno a loro.
- Sì beh... uscito è una parola grossa. Lui voleva solo ficcanasare nella vita di questa povera ragazza che penso l’avrebbe ucciso volentieri... niente di che... - Sminuì Alan più per sé stesso.
Evitò di spiegargli come si era sentito ed in cosa aveva sperato e cosa era scattato. Due momenti da bacio, uno ubriaco, ok, ma l’altro Eric era stato sobrio.
- E come è stato? Uscire con un ragazzo... così giovane poi... non la trovi una cosa strana? Insomma, uno di ventisei anni ti trascina all’ultimo momento fuori in un locale per stalkerare la vostra segretaria... - A Paolo ovviamente non quadrava. Alan continuò alzando le spalle.
- Sì gliel’ho chiesto e lui ha detto che è solo un ficcanaso, poi ha riconosciuto di aver sbagliato perché se lei nasconde questa sua doppia identità diciamo, è per lo stesso motivo per cui lui nasconde il fatto di essere gay... - Paolo lo guardò stupito.
- Lo nasconde? -
- Beh non lo ostenta. Si comporta in modo che non trapeli, capisci? C’è chi è gay e non sembra perché di natura è così. È virile, mascolino comunque. -
- Sono rari, ma ci sono... - Asserì Paolo, Alan ridacchiò.
- Non sono rari, semplicemente non hanno una scritta al neon che fa ‘sono gay’ perciò tu incontri uno che pensi sia etero, ma in realtà è gay solo che non lo saprai finchè non lo frequenti. - Il punto di vista di Alan era corretto e Paolo si ritrovò per l’ennesima volta a capirne uno diverso dal proprio. Era proprio bravo.
Del resto era un avvocato eccezionale.
- Comunque ci sono loro. E ci sono quelli che lo capisci subito che lo sono, per i modi di muoversi, parlare, di fare e anche di vestirsi... - Paolo era d’accordo. - E poi ci sono quelli come lui che si sforzano di non adottare un solo atteggiamento rivelatore. Che fanno di tutto per avere totale padronanza di sé. - Paolo lo guardò per capire se era d’accordo con lui, ma capì che ancora una volta lo era.
- Questi dopo un po’ che ci stai insieme lo capisci che lo sono. - Alan annuì.
- Infatti dopo un po’ è venuto fuori ed ora sapendo che lo è vedo certe pose o gestualità con un altro occhio. Però comunque si capisce che lui se fosse libero sarebbe di quella categoria che capisci che è gay anche senza che te lo dica. È solo che fa di tutto per sembrare dell’altra, quella che non capisci che lo è. - Il suo discorso sembrava una tipica arringa finale, Paolo adorava sentirgli spiegare le cose.
- E quindi gli hai fatto la ramanzina? - Poi si rianimò. - Io di che categoria sono? - Alan rise.
- Non posso giudicarti, il sapere che lo sei rovina il mio giudizio. - Rispose diplomatico. Paolo fece il broncio e Alan lo spinse. - In questo momento sembri una checca! - Paolo finse di offendersi ma durò molto poco.
Alla fine era riuscito a tenere la conversazione sulle questioni che aveva voluto, evitando con cura il modo in cui si era sentito uscendo con un ragazzo giovane e carino e soprattutto gay. Ma ancor di più aveva evitato di parlare di quei momenti da bacio. Alla fine non era successo nulla, parlare di qualcosa che non c’era stato era inutile. Rischiava di ferire Paolo inutilmente.

Rivedersi lunedì a lavoro fu un enorme imbarazzo per entrambi. Desirée no. Desirée sembrava la Desirée di sempre.
Seria, tutta coperta, già al lavoro.
Eric era stato il secondo ad arrivare ed aveva un’aria tesa e meno sfacciata e spaccona del solito. Aveva acceso la macchina del caffè e stava preparando tre caffè sapendo che a breve sarebbe arrivato anche Alan, il solito ritardatario.
Desirée non l’aveva calcolato, ma stava facendo il caffè anche per lei sebbene solitamente era la segretaria a fare il caffè agli avvocati. In quel caso si sentiva più lui il segretario anche perché lei era più capace di lui a fare certe cose al computer.
- Ma a che ora arrivi? Io sono puntuale, ma tu sei già attiva da un po’... - Chiese poi lui con un po’ di coma addosso. Desirée senza smettere di scrivere al computer rispose senza fare espressioni:
- Mezz’ora prima. - Rispose freddamente.
- Ce l’hai ancora con me? - Non c’erano sfumature diverse dal solito, l’aveva sempre vista così, ma Eric era uno che non voleva dubbi in nessun campo. Le portò il caffè nella tazzina di cartone con la bustina di zucchero, il bastoncino e dei biscottini che aveva provveduto a portare lui da quando lavorava lì. Quando finiva prendeva sempre una scatola nuova. Gli piaceva bere il caffè con due biscottini.
Desirée spostò brevemente gli occhi verdi sui suoi azzurri.
- Se non me lo chiederai ancora, no. - Eric sorrise rianimandosi.
- Ma toglimi una curiosità! - Fece allora prendendo una sedia e sedendosi davanti a lei, al di là della sua scrivania curva. Si mise in una posa elegante accavallando le gambe e appoggiando la testa alla mano in modo da modello. Non l’aveva fatto di proposito, gli era venuto così. Non era tipo da sedersi a cavalcioni su una sedia.
- Devo proprio? - Eric annuì.
- Come hai fatto a capire che sono gay? So di non sembrarlo, insomma... - Si impegnava molto per non sembrarlo, come lei si impegnava per sembrare una persona comunissima.
Desirée smise di scrivere e iniziò a mescolare il caffè guardandolo, poi lo indicò con un cenno del capo.
- Guardati. - Lui allargò una mano e si guardò senza capire.
- Cosa? -
- Come ti vesti. Come ti metti in posa, come adori conciarti per essere il più bello del reame! -
- Io non lo faccio per vanità, mi piace essere così... -
- E ti piace esserlo perché sei vanitoso. -
- E tutti i vanitosi sono gay? -
- Tendenzialmente. -
- Ma non tutti. Ci deve essere stato altro... - Desirée sorseggiò il caffè mentre lui si prendeva il proprio e metteva su quello per Alan. Si risedette e la guardò in attesa. Lei bevve e poi rispose.
- Con questo vestirti bene e gli atteggiamenti particolari nascondi qualcosa. Sono andata per esclusione ed ho scelto la cosa più ovvia. E poi adori Alan, si capisce. - Eric si raddrizzò punto sul vivo come se quel punto fosse grave.
- Si capisce? - Desirée ghignò di nuovo e buttò il bicchierino tornando al computer.
- Ti si illumina il viso quando parli con lui. Indagare su di me era solo un metodo per avvicinarti a lui. Però ricorda ciò che ti ho detto. Valuta bene. È il tuo capo, ti deve dare un voto. Ne vale davvero la pena? -
Silenzio. Sul broncio pensieroso di Eric, arrivò Alan con un sorriso super imbarazzato e l’aria di chi quel lunedì avrebbe preferito andare da un’altra parte.
Tuttavia entrò trattenendo il fiato e chiedendosi come gestire quell’elefante che c’era lì dentro, guardò lei che lo ignorò, guardò lui che lo fissava diretto e poi notando il caffè pronto si illuminò:
- È per me? - Chiese stupito. Eric sorrise meno radioso del solito, più imbarazzato, e annuì. - Sei stato tu? - Era andato a colpo sicuro, la segretaria non poteva essere stata.
- So che arrivi intorno a quest’ora. - Erano le otto e mezza. Alan sorrise e lo ringraziò gentile, questo sciolse il ghiaccio in poco.
- Sei stato molto carino, grazie. - Lo era stato davvero, ma era del tutto intenzionale, proprio per ricevere quel ringraziamento. Desirée voleva vomitare e facendo il gesto di dar di stomaco, visto solo dal giovane per la posizione in cui era, Eric le tirò un calcio da sotto senza farsi notare da Alan che sorseggiava il suo caffè.
Avevano sfiorato un proiettile, ma forse in qualche modo le cose ora erano meglio di prima. Quell’atmosfera da paradiso, come la chiamava Alan, era ancor più bella perché senza segreti, maschere e muri.
Un paradiso dove si poteva essere sé stessi ed essere accettati grazie alla fortuna di avere un capo in gamba come Alan.
Un capo che, però, non sapeva minimamente di averla anche lui, una maschera.
E se non sai di averla, non la puoi togliere.