*Passiamo di livello, Eric ed Alan ormai hanno iniziato a conoscersi meglio ed hanno capito di piacersi, anche se Alan è ancora un po' restio ad ammettere cose di Eric gli piaccia, lui o il modo in cui lo fa sentire. Per Eric è più chiaro, però Desirée giustamente gli ha detto di rifletterci bene prima di infilarsi in una relazione con chi gli dovrà dare un voto alla fine del tirocigno, così in questa fase di stallo, arriva un caso molto difficile. Non penso sia un vero cliché, o meglio forse un po' lo è, però al tempo stesso è anche verità e attualità, molto più di quello che siamo tutti disposti ad ammettere e credetemi che non ho usato troppa fantasia, purtroppo non è così. Detto questo, nel prossimo capitolo la scena che qua interrompo, proseguirà. Buona lettura. Baci Akane*

8. UN AUTENTICO SCHIFO




A volte essere avvocati era un autentico schifo.
Era anche divertente, a volte.
A volte c’erano dei casi facili, dove non avevi molto da fare se non assicurarti che i diritti dei tuoi assistiti fossero rispettati, il più delle volte era una questione di assegni familiari o di mantenimento.
I casi più delicati erano quelli di custodia minorile, lì si arrivava sempre davanti al giudice ed il lavoro che l’avvocato faceva prima era per approfondire le rispettive situazioni personali genitoriali per capire se c’erano tutte le cose essenziali per ottenere quanto richiesto.
A volte, però, i casi erano atroci.
Perché finchè dei genitori richiedevano la custodia significa che c’erano due scelte, una buona ed una meno buona. A volte le due scelte erano orribili e lì si mediava. Si poteva anche arrivare a togliere la custodia ai genitori per mancanza di estremi essenziali, lì poi entravano in gioco gli assistenti sociali ed erano casi comunque molto brutti, ma si lavorava per il bene del minore.
Però i casi atroci erano quelli in cui nessuno dei genitori voleva la custodia del figlio perché diverso.
Ad Alan in anni di attività erano capitati casi di ogni tipo, però quando gli capitavano quelli, era sempre difficile capire come andare avanti.
O meglio la morale diceva una cosa, ma la deontologia un’altra.
Spesso c’erano quelle mani legate che ti impedivano di fare la cosa davvero giusta, spesso dovevi fare quello che eri obbligato.
Quelli erano i casi davvero peggiori.
Eric lo scoprì quel giorno.

Il caso in cui si imbatterono quel giorno, fu uno di quelli che li segnò e che Eric si sarebbe ricordato per sempre.
La coppia sembrava normale a guardarla, Desirée però aveva suggerito di gestirli insieme ad Eric ed Alan, perché aveva intuito che si doveva trattare di un caso di quelli delicati.
Non avevano voluto parlare di dettagli al telefono, gli aveva accennato che gli era stato tolto il figlio.
Vestiti bene, si capiva che erano economicamente stabili. Al collo della donna una croce d’oro, l’uomo le sedeva vicino tenendole la mano. I due sembravano torturati, dalle espressioni colme di dolore che possedevano.
Una volta offerto loro un caffè, si sedettero per parlare della loro situazione che i due espressero con voce sofferta e spezzata.
- Avvocato, lei deve aiutarci... - Cominciò la donna dovendosi subito interrompere perché le veniva da piangere. Il marito le carezzò la schiena e si fece avanti al suo posto.
- A riavere nostro figlio. - Silenzio. Già questa premessa colpì entrambi, ma se per Eric era la prima volta che gli capitava un caso dove un figlio veniva tolto per ancora ragioni sconosciute, e quindi iniziava subito ad empatizzare con loro dispiaciuto, per Alan quello fu un campanello d’allarme e con i suoi anni di esperienza la prima domanda che si pose fu ‘perché glielo hanno tolto? Chi è stato?’
- Sono molto dispiaciuto, vi va di approfondire la situazione? In quali circostanze vi è stato tolto vostro figlio? -
Sembravano persone così in gamba, così distrutte dall’averlo perso. Come mai togliere un figlio a quelle poche coppie che sembravano normali?
- La denuncia è partita dall’insegnante di nostro figlio. -
- Quanti anni ha e come si chiama? -
- Si chiama Giulio ed ha 13 anni. - Rispose la donna sempre con la voce rotta dal pianto, Eric le diede il pacchetto di clinex, lei prese un fazzolettino ed iniziò a soffiarsi il naso.
- Perché l’insegnante vi ha denunciati? -
- Per il modo in cui educhiamo nostro figlio. - Silenzio. Alan non aveva ancora detto nulla, era come se sapesse, se sentisse l’esito di quel colloquio.
- Potete essere più chiari? - Eric non voleva dire troppo, sapeva che la cosa principale era avere tutte le informazioni prima di schierarsi da una parte o dall’altra. Però cominciava a suonargli strano, visto che non toglievano il figlio se la denuncia non era fondata.
A quel punto l’uomo decise di spiegare bene.
- Ecco, abbiamo scoperto da diversi mesi che nostro figlio è... - Esitò e vergognandosi a dire quella parola come se potesse esserne contaminato, lo sussurrò piano: - invertito... - Ad Eric si drizzarono tutti i peli del corpo mentre Alan si raddrizzò nella sedia su cui era comodamente seduto con fare difensivo e a quel punto separò leggermente le gambe e posò le mani aperte sui braccioli per porsi in modo deciso davanti a loro. Eric invece fece un passo indietro appoggiandosi al balcone, capendo in un momento qual era la situazione che gli stava innanzi.
Sentendo lentamente il mondo andargli in pezzi.
Lo sapeva che sarebbero capitati casi così ed aveva scelto diritto di famiglia per evitare situazioni così, in qualche modo. Ma trovarcisi davanti era un’altra cosa.
- Insomma, noi quando l’abbiamo scoperto abbiamo iniziato ad aiutarlo cercando di dargli un’educazione adeguata. -
- Educazione adeguata. - Fece asciutto Alan facendo sentire per la prima volta la sua voce. Lo sguardo penetrante, un muro di cemento armato eretto fra loro. - Può essere specifico? -
L’uomo capendo che cominciava a vederlo con sospetto, si affrettò a spiegare ciò che per lui era normale.
- Beh sa... le cose normali che si fanno in questo caso... la prima che abbiamo fatto è stato consultare un prete che ci ha mandato subito da un esorcista. Così abbiamo fatto alcune sedute. Però siccome il caso di nostro figlio era più duro del solito, pare non ci siano stati esiti positivi. Giulio era spossato ma non è riuscito a liberarlo, così l’esorcista ci ha suggerito di rendere inospitale il corpo di nostro figlio in modo che il demonio se ne andasse e di continuare a benedirlo e a recitare le preghiere ogni giorno. -
- Rendere inospitale? - Sussurrò Eric da dietro, faticava a rimanere in piedi, figurarsi a parlare. Sapeva di cosa si trattava, lo sapeva bene purtroppo.
- Dovevamo affaticare il corpo in modo che l’ospite indesiderato se ne andasse. -
- Lo picchiavate, lo lasciavate a digiuno, al freddo, gli impedivate di dormire. Giusto? - Disse Alan di nuovo prendendo le redini con durezza. I due annuirono convinti che fosse la cosa migliore e più giusta.
- Purtroppo prima di ottenere risultati, l’insegnante è venuta a controllare, pare che il suo... amichetto... non vedendolo tornare a scuola per settimane, abbia chiesto all’insegnante di vedere come stava. Lei è venuta, ha trovato Giulio debilitato ed anche se noi abbiamo spiegato che era un fattore educativo e che stavamo cercando di salvargli la vita, ci ha denunciato e sono venuti subito i carabinieri, l’hanno portato in ospedale e da lì non l’abbiamo più riavuto. Siamo stati denunciati ed ora dobbiamo difenderci per aver cercato di educare e salvare nostro figlio, si rende conto? - L’uomo era sempre più shoccato ed agitato, mentre la donna piangeva a dirotto.
Eric aveva le lacrime agli occhi ma non le lasciava scendere, voleva gridare di tutto, ma nella mente riviveva le proprie angherie, le proprie difficoltà, le proprie discriminazioni subite per colpa della propria sessualità.
Voleva dire qualcosa, voleva fare qualcosa, voleva picchiare loro come loro avevano picchiato quel povero bambino, ma Alan tenendo in mano la situazione con fredda maestria, si alzò dalla scrivania e con una calma gelida, indicò loro la porta.
- Mi dispiace, signori. C’è stato un equivoco. Io non tratto casi simili. - L’uomo spaesato lo guardò mentre la donna dallo shock non piangeva più.
- Per quale ragione? Mi è stato indicato come ottimo avvocato di diritto di famiglia e... - Alan uscì dalla scrivania, andò alla porta e gliel’aprì aspettando composto che si alzassero e se ne andassero.
- Certamente, ma io in casi così sono dalla parte di chi denuncia i maltrattamenti, non da chi li fa. Ho un mio codice ed è quello di aiutare il benessere del minore, fare sempre il suo interesse in un modo o nell’altro. -
- Ma siamo noi adulti a richiedere il suo aiuto, nell’interesse di nostro figlio! - Tuonò l’uomo arrabbiandosi. - Lei deve... -
- Io non devo nulla. L’adulto chiede assistenza, è vero, ed io lavoro per l’adulto. Ma in funzione del bene del minore. È sempre stato così e sempre lo sarà. Quando mi imbatto in casi dove nessuno degli adulti in causa è la scelta migliore, lascio che gli assistenti sociali facciano il loro lavoro ed in questo caso lo stanno facendo, per fortuna. - Poi si affacciò fuori dal proprio ufficio e diretto a Desirée, disse: - Desy per cortesia scortali all’uscita. -
La ragazza si alzò capendo che le cose erano andate male come aveva sospettato e mentre finalmente la coppia si decideva ad andarsene livida di rabbia e di shock, Alan guardò Eric per capire come stava.
Lo vide ancora appoggiato al balcone dietro la propria sedia, ora vuota. Braccia conserte, aria sconvolta. Gli occhi azzurri erano trasparenti e pieni di lacrime che non voleva far uscire.
Alan sospirò e una volta che i due furono fuori, chiuse la porta e scosse il capo non sapendo bene come fare.
Guardò l’ora, era pomeriggio inoltrato, un po’ presto per chiudere in anticipo.
Rimasero in silenzio per cinque minuti, uno a pensare e l’altro perso in un altro tempo probabilmente. Un tempo in cui aveva sofferto cose del genere.
Poi Alan tirò su il telefono, schiacciò il pulsante dell’interfono e pigiò il numero due che era la scrivania di Desirée.
La ragazza rispose.
- Desy, ho altri impegni per oggi? -
- No avvocato. - Rispose lei formale.
- Molto bene, io ed Eric andiamo via un po’ prima. Se hai bisogno di qualcosa mi puoi chiamare. -
Desirée acconsentì senza problemi, lui mise giù, guardò Eric ancora fermo in piedi, gli mise una mano delicatamente sul braccio. Al contatto lui saltò tornando al presente, lo mise a fuoco smarrito.
- Andiamo a bere qualcosa. Ti porto io nel mio posto preferito, ora. - Disse Alan con un sorriso molto dolce ed un tono gentile. Eric non capiva, non ricordava nemmeno le cose che ancora aveva da fare né se si potesse uscire così presto da lavoro, ma forse non era tanto presto. Guardò fuori e cercò di capire che ora poteva essere. Il sole si abbassava.
- Prendi la giacca. - Suggerì Alan, Eric annuì concentrandosi sulle cose facili. Così andò nel proprio ufficio, prese la giacca ed il telefono, poi uscì seguendolo in silenzio, senza vedere nemmeno Desirée.
A volte essere avvocati era un autentico schifo.

Il locale era un piano bar conosciuto probabilmente solo da chi davvero appassionato.
Da fuori non c’era nemmeno un’insegna e sembrava una casa normale a tutti gli effetti, in un angolo del centro storico mai considerato da nessuno.
Eric perplesso di dove lo stesse portando si distrasse un po’ dal suo umore nero, quando entrò fu sorpreso di trovare un ambiente abbastanza spazioso anche se non eccessivo.
Qualche tavolino lucido, luci soffuse, un pianoforte con vicino uno sgabello, una chitarra acustica appoggiata all’apposito gancio, una cassa per lo strumento ed un microfono.
Si accomodarono ad un tavolo e riconoscendo Alan, una cameriera lo salutò con calore e gentilezza. Chiese se voleva il solito Brandy invecchiato e lui disse di portarne due. Eric era perso a guardare l’ambiente e intimidito da un’atmosfera tanto diversa da quella solita, chiese piano ad Alan una volta soli:
- Suoneranno stasera? - Alan alzò le spalle.
- È un palcoscenico libero, chi si vuole proporre può farlo. - Poi gli venne il dubbio. - Sai suonare chitarra o piano? - Eric scosse il capo.
- No, ma mi piacerebbe vedere qualcuno che ne è capace. - Alan sorrise.
- Magari succede. -
La cameriera portò due ampi calici a tulipano vuoti, li posò davanti ai due uomini e versò il brandy direttamente davanti a loro, questo liberò un immediato aroma sottile e delicato che prese di sorpresa Eric, inesperto di quel genere di cose.
Lui si atteggiava e vestiva da uomo di un certo lignaggio, ma di fatto non lo era. Era un ragazzo normale, più da birra magari, anche se voleva sembrare l’uomo pregiato che invece era in realtà Alan il quale non ostentava ricchezza nel comportarsi o vestirsi, ma in realtà lo era nei modi, negli usi e nei consumi.
La cameriera augurò loro una buona serata, probabilmente stupita di vederli prima di un classico dopo cena. Ma forse aveva visto Alan più spesso a quegli orari insoliti.
- Ha un buon profumo... - Disse Eric. Alan sorrise.
- Goditi questo primo aroma sottile e delicato perché svanisce subito, lo senti solo appena versi nel bicchiere, ma è buonissimo. - Eric eseguì e notò che in effetti in pochi istanti era già affievolito.
Guardò poi Alan prendere il calice fra le mani e farlo roteare.
- Lo scaldi un po’ con le mani e permetti al resto dell’aroma di liberarsi, annusa con attenzione mentre lo fai e non farlo roteare troppo. È un momento molto piacevole da godersi con estrema calma. Bere il brandy è un arte e se lo fai come si deve capirai perché per un bicchiere ci si mette una vita ed alla fine ti basta più di una ciocca completa. - Scherzò un pochino Alan, Eric fece un sorrisino e lo imitò nei movimenti e nel modo in cui lo stringeva, si concentrò sul sentire quel secondo tipo di profumo, mento particolare del primo.
Eric percepì note fruttate e legnose e notò che anche se smetteva di scaldare il bicchiere e rotearlo, si sentiva ancora.
- Sorseggialo molto piano trattenendo il goccio fra le labbra. - Indicò poi Alan con la sua voce profonda e suadente. Eric ipnotizzato da quello strano gioco eseguì con lui guardandolo e fu sorpreso di notare che poi il sapore intenso si aprì a ruota di pavone in bocca, trasmettendogli tutto il suo forte aroma particolare pieno di sfumature e caratteristiche che probabilmente non sapeva distinguere.
Alan sorrise notando la sorpresa nei suoi begli occhi non più pieni di lacrime come prima, ma concentrati su qualcosa di bello e nuovo.
- Ti piace? - Chiese toccandolo leggermente con le dita sul polso per indicargli di posare il bicchiere e berlo con molta calma.
Eric annuì.
- È molto forte... - 
- Lo devi bere molto piano, te lo godrai. - Non andò nei dettagli del spiegargli cosa poteva notare di quegli assaggi per distinguere quanto ottimo era un brandy.
- Potremmo farlo più spesso. Una volta ti porto io in un posto, una volta mi porti tu, ti va? - Chiese Eric più leggero e con una verve meno angosciata. Alan sorrise vittorioso di essere riuscito a trascinarlo fuori da quel piccolo guscio cupo di prima.
- Può essere un’ottima idea. - Rispose indicando poi il piccolo palco dove due artisti decidevano di suonare dei pezzi al pianoforte a coda e alla chitarra acustica.
Eric si illuminò guardandoli felice come un bambino e li guardò mentre accordavano e prendevano sintonia con gli strumenti del locale, Alan si perse a guardare il suo viso acceso, così bello in quel momento.
- Li conosci? Sono bravi? - Alan non li aveva nemmeno guardati, non sapeva se li conosceva.
- Non saprei... - Ma in realtà li conosceva, solo che staccare gli occhi da lui per guardare i due artisti, al momento non era un’opzione valida.
Quando finalmente iniziarono a suonare una canzone di nicchia molto d’atmosfera e suggestiva, Eric ed Alan vennero catapultati in un mondo diverso da quello. Vennero strappati dal presente e dal colloquio atroce appena avuto, vennero portati nei loro passati, nei loro anni bui e difficili, quando uno lottava con la propria omosessualità che emergeva e l’altro faceva uno splendido lavoro su sé stesso per soffocarla con molta cura e successo. Tanto che poi negli anni non sarebbe più riuscito a capire chi era davvero, cosa voleva, cosa provava.
Probabilmente tutte cose che avevano un gran bisogno di uscire e l’avevano da quando si erano incontrati, perché a volte sono le persone che incontri ad essere giuste. Sono loro che aspetti per evolverti, crescere, sbloccarti e mutare. A volte è proprio così.