*Dopo un caso particolarmente difficile che apre delle vecchie ferite in Eric, Alan lo porta al suo posto preferito, quello dove va quando ha bisogno di scrollarsi di dosso le brutte cose. Lì nel piano bar l'atmosfera è l'ideale per aprirsi, aiutati anche magari da un ottimo brandy. Se qualcosa deve succedere, o è questa volta o mai più. Buona lettura. Baci Akane*

9. CONFESSIONALE




Le dita del pianista correvano sui tasti lente e suadenti, mentre quelle del chitarrista pizzicavano le corde più veloci ed esperte, ipnotiche, in un’atmosfera subito suggestiva.
Il chitarrista cominciò con una voce bassa e roca a cantare una canzone che fece da contorno in un ritmo lento e dolce.
L’ideale per tornare a quando le cose non andavano tanto bene.
Eric stringeva il calice a tulipano fra le mani scaldandolo forse un po’ troppo, ma non sentiva il profumo del brandy.
- Ero abituato ad essere preso in giro per la mia tendenza. Da ragazzo non sapevo fingere bene, ero molto spontaneo e si notava la mia omosessualità. Per cui sono cresciuto abituato a quel genere di cose. Sai, insulti. E con i miei genitori non andava molto bene, non ho mai detto niente, ma è un po’ come l’elefante che sta in casa di cui nessuno parla. Sapevano, hanno sempre saputo, ma non hanno mai avuto il coraggio di chiedermi nulla ed io sapevo che non l’avrebbero presa bene, perciò non ho mai detto niente. - Esordì piano Eric. Era stato più difficile iniziare e molto più facile proseguire. Ora era impossibile fermarsi.
- Sai... - Sorrise imbarazzato. - Alla fine mi sento fortunato visto cosa poteva capitarmi. Dei genitori che mi mandavano dall’esorcista e mi torturavano... - Rise nervoso per tirare fuori ciò che lo angosciava. Poi si fece serio. - Il vero problema è subentrato all’università. Si vedeva troppo che ero gay. Sai non è che fossi troppo eccessivo, però non mi davo pena a nascondere certi atteggiamenti. Più che altro non me ne rendevo molto conto. Poi un professore mi ha preso di mira, non riuscivo a passare un esame, l’avrò dato non sai quante volte. Un giorno capendo che c’era qualcos’altro dietro, ho deciso di affrontarlo perché non potevo laurearmi senza quell’esame e sapevo di essere bravo, ormai sapevo la materia alla perfezione insomma. - Eric guardava la superficie del liquido ambrato senza bere più. Esitò cercando di non sembrare molto toccato da quello che stava dicendo e non sapeva perché dovesse dirglielo, però sembrava impossibile chiudere la bocca. Alan non proferiva parola. - Alla fine l’ha detto. Dritto in faccia, guardandomi negli occhi. ‘Tu non passerai mai questo esame, perché sei uno schifoso frocio e finchè io insegnerò questa materia, uno schifoso frocio non passerà mai il mio esame!’ - Si fermò trattenendo il fiato, poi rise isterico e sollevando gli occhi su Alan mostrò le lacrime che erano tornate, ma dalla voce tremante si capiva che stava di nuovo per piangere. - Sapevo che era quello il motivo, ma sentirselo dire così in faccia in quel modo io... è stato il momento più orribile della mia vita, credo. Perché quando sei un adolescente bullizzato perché femminile ti senti indifeso, piccolo, incapace di proteggerti. Ma quando sei adulto pensi di aver superato il peggio, di essere forte ormai, di poterti proteggere da solo da tutto. E quando sei davanti a cose del genere ti senti... ti senti vulnerabile. A pezzi. Non so, non... - Eric si strinse nelle spalle riabbassando gli occhi, si asciugò fugace le lacrime che avevano avuto la brutta idea di scendere, poi cercando di concludere dovette riprovarci più volte fino a riuscirci. - Non sei mai preparato a queste cose. Forse un giorno ci fai il callo, ma non lo so. - Alan pragmatico chiese la cosa meno importante:
- Ti sei laureato nei tempi corretti. Come hai fatto? - Eric ridacchiò alla domanda da avvocato proveniente da una logica deduzione.
- Sapevo che mi stava discriminando, così l’avevo registrato. Ho mandato il nastro ai suoi superiori ed ho fatto licenziare l’insegnante, è stato sostituito ed ho passato subito l’esame. Avevo già la tesi pronta. - Eric rise per allentare la propria tensione, ma c’era qualcosa di cui si vergognava e Alan lo capì subito dicendolo per lui con estrema delicatezza, cercando il contatto visivo che evitava.
- Per questo ora fai di tutto per nascondere che sei gay? - Perché che cercasse di trattenere certi atteggiamenti rivelatori, era evidente.
- Ho fatto un’enorme fatica, ho lavorato molto su me stesso per capire cosa cambiare. E mi sento di tradire me stesso, ma lo faccio per rendermi la vita più facile. È così sbagliato? È così brutto? Sono omofobo su me stesso? - Le domande si susseguirono una dietro l’altro come un fiume trattenuto da troppo tempo che voleva straripare e che ora era uscito finalmente.
Il potere del confessionale, si disse Alan senza dire nulla per un po’.
Non è la bravura del prete a tirare fuori tutti i peccati, sono i peccati che non vedono l’ora di uscire. Quando arrivi al confessionale, dietro può essere anche vuoto, parlerai lo stesso.
Quel bar, dopo quanto successo a lavoro, era il confessionale di Eric che si sentiva sporco come quei genitori che avevano cercato di cambiare il figlio a suon di torture orribili.
- Non sei come quelle persone di oggi. - Disse non volendo nemmeno definirli genitori. Appena disse quello, Eric sollevò gli occhi di scatto sbarrandoli come terrorizzato dal sentirlo, chiedendosi come facesse a capire ciò che covava nel profondo di sé da quando aveva sentito quelle bestie là dentro.
- Dici? - Chiese cercando di sorridere, risultò qualcosa di grottesco.
Alan gli prese la mano e la strinse forte, questo diede una fortissima scarica elettrica ad Eric che aumentò le lacrime, incapaci di smettere ormai.
- Non lo sei. Stai facendo il necessario per sopravvivere e portare avanti i tuoi sogni, non ci vedo niente di male. Vivi comunque te stesso, avrai dei ragazzi, con certe persone sei te stesso... - Quel punto di vista lo stava sorprendendo. Forse aveva ragione. Forse era vero. Con qualcuno era sé stesso, si mostrava per quello che era anche se cercava di non lasciare mai andare certi atteggiamenti perché poi era più difficile evitarli a comando. Però non fingeva in privato con chi si fidava.
- Sì però ho cambiato il mio modo di essere dopo quel fatto, per non avere più la strada bloccata. E sai una cosa? La mia strada non si è più bloccata. Pensi che se avessi continuato ad essere me stesso sarei qua? - Alan alzò le spalle con un sorrisino ammirato, piegando la testa di lato.
- Nel mio studio di sicuro. - Eric capendo che lui non l’avrebbe discriminato, si rilassò e sentì che le lacrime non scendevano più, vide le loro mani allacciate e capì che staccarle ora significava evidenziare un gesto spontaneo che proseguiva per ragioni un po’ confuse.
Ma piaceva ad entrambi. Erano calde, le loro mani.
- Grazie. - Disse solo Eric. Alan sorrise dolcemente ed Eric cercando un modo per distrarre entrambi dalla tensione, indicò il duo che suonava e cantava: - Sono davvero bravi. Complimenti per il posto. - Poi sollevò il bicchiere di brandy. - E per i gusti! - Disse poi con un sorriso fra le lacrime congelate che lo rendevano più bello. Riprese a bere piano, trovando piacevole ora il suo sapore forte e aromatico.

A separare le mani era stato indirettamente un cameriere accorso a chiedere se desideravano altro Brandy.
A quel punto Alan aveva ritirato la mano e guardato l’ora al polso attestando che era meglio andare, aveva pagato e ringraziato insistendo quando Eric aveva cercato di pagare lui per ringraziarlo del suo tempo prezioso.
Alan non aveva saputo dare delle soluzioni e non pensava di aver detto niente di speciale, solo quello che aveva capito Eric aveva bisogno di sentire.
Quando aveva sentito la sua storia si era sentito stracciare dall’interno sentendo il forte desiderio di cambiare qualcosa per lui, togliergli un po’ di tristezza da dentro, sollevarlo, farlo sentire meglio.
Così aveva potuto solo alleggerirgli un po’ quel carico. Si biasimava da solo per mascherare la propria omosessualità, per non farla trapelare, ma era un po’ sopravvivenza e non c’era niente di male. Non si rinnegava. Si adattava alla cultura generale della società per poter ottenere ciò che voleva. Una vita normale.
Un lavoro normale, un ruolo normale.
Però nel suo circolo interno era sé stesso, anche se non si lasciava mai del tutto andare.
Alan mentre lo accompagnava allo studio che non distava molto da lì, così che recuperasse la macchina e tornasse ormai a casa, ripensò a quando si era ubriacato e si era avvolto sul suo braccio.
Quello era stato il vero Eric, che si capiva le sue tendenze, le sue voglie, i suoi desideri. Che si lasciava andare e qualcosa per sé se lo prendeva, qualcosa di ciò che voleva davvero.
“Me?”
Si chiese mentre arrivavano al parcheggio interno dello studio coperto da mura sicure ed un grande cancello automatico. Ormai il tramonto aveva fatto il suo corso ed era buio, stava arrivando ora di cena e lì dentro si vedeva non tanto chiaramente, ma trovarono perfetto quell’atmosfera contenuta per concludere il loro fine pomeriggio particolare.
Alan si chiese se Eric volesse lui in realtà visto che quando si era lasciato andare quella sera aveva dato dei chiari segnali in merito. Ma forse aveva visto troppo, forse era andato oltre. Forse non era per niente vero.
- Mi dispiace per quello che hai passato, ma ti trovo una persona forte per essere riuscito comunque a superare le tue difficoltà. Stai andando avanti dritto a testa alta e ti ammiro. - Disse Alan dolcemente, reputando importante concludere in qualche modo l’incontro. Eric sorrise perso per lui, per la sua delicatezza, per la sua gentilezza e per la sua profondità.
- Non so come ringraziarti per quello che hai fatto per me stasera. Non eri tenuto, mi sono fatto sopraffare da un sacco di sentimenti e... insomma, per il futuro farò di tutto per tenere tutto separato, ecco. -
Alan a quel punto, seguendo un indomabile impulso, gli sistemò una ciocca di capelli che stava meno perfetta del solito, una ciocca ondulata un po’ ribelle che tendeva sempre a finire sul lato della fronte come non doveva. La sistemò con le dita e piegando la testa di lato disse piano:
- Non proprio tutto. - Eric lo guardò paralizzandosi a quel gesto così intimo, mentre i brividi lo ricoprivano dalla testa scendendo lenti lungo la schiena.
- Eh? -
- Non tenere tutto separato. Metti un pezzo di te in tutto ciò che fai e non ti pentirai mai di nulla, alla fine. - Alla fine di cosa?
Eric non si fece davvero quella domanda, perché seguendo il brivido e il segnale ricevuto, un segnale davvero molto forte, decise che c’era solo un modo per concludere degnamente quel pomeriggio bellissimo e strano.
Seguire il suo consiglio.
Così mise un pezzo di sé anche lì.
Si allungò verso di lui e senza sfiorarlo nemmeno con un dito, lo baciò.
Posò delicato le labbra sulle sue e gliele baciò così, senza forzarlo in alcun altro modo. Non voleva altro, non intendeva fare altro. Solo quello.
Poi sfilò via e con un semplice:
- Buonanotte. - Aprì la macchina col telecomando, salì sopra e se ne andò lasciando Alan impietrito, immobile e senza respiro a fissare il punto ora vuoto dove prima era stato lui. Poi si leccò le labbra e se le toccò con le dita.

Capire cos’era successo non era facile, perchè l’aveva preso totalmente alla sprovvista. Non aveva minimamente immaginato che sarebbe potuta finire così. Ma era vero?
Davvero non aveva minimamente immaginato un finale simile?
Alan si trovò a camminare esitante verso casa propria pensieroso. Andò più piano per le vie acciottolate senza vedere davvero ciò che stava intorno a sé.
Ripensò a come Eric si era aperto, sapeva come mettere a proprio agio le persone e spingerle a confidargli ciò che voleva, era uno dei suoi doni. Portandolo lì in quell’evidente stato d’animo confuso non aveva forse cercato quello? Di tirargli fuori quel nodo enorme?
“Il punto è cosa pensavo di ottenere, cosa cercavo di fare? Ho avuto altri tirocinanti, magari abbiamo bevuto qualcosa insieme ogni tanto alla fine di qualche caso importante e difficile, ma non è mai successo niente del genere. Sicuramente non ho mai portato nessuno lì.”
Quel locale per lui era un posto sacro, il suo rifugio. Ci veniva sempre da solo, nemmeno con Paolo ci andava perché non era il suo genere e comunque ci andava per pensare, per liberare certe idee.
Sapeva bene che lì dentro Eric si sarebbe sciolto, per cui perché aveva voluto scioglierlo?
Sapendo che era gay era ovvio che fosse rimasto shoccato dal caso in cui si erano imbattuti, era ovvio che aveva qualche vissuto particolare. Non tutti i gay ne avevano, ma era facile subire discriminazioni o essere toccati da chi ne riceveva.
Alan si toccò le labbra ripensando a quando gli aveva preso la mano e l’aveva tenuta a lungo, quel calore gli era piaciuto e gli era sembrato al suo posto. La mano nella sua.
“Quando piaci a qualcuno finisci sempre per farti influenzare da questo, al di là di cosa provi davvero tu...”
Voleva dirsi questo, voleva credere in questo, ma quando arrivò a casa pensava ancora a quanto emozionante fosse stato quel lieve contatto di labbra e le loro mani allacciate.
Inserì le chiavi nella porta di casa per aprire.
Ma non era forse vero che aveva sempre voluto provare perché sentiva che era il suo mondo?
Che gli uomini erano il suo mondo? Da quanto sospettava di essere gay anche lui, da quanto sapeva di dover provare? Non ci era mai riuscito, troppo spaventato dal perdere sé stesso, il suo controllo o magari semplicemente troppo poco coraggio.
Non era facile fare un passo del genere.
Ma ora con Eric di cosa si trattava?
Quel lato che chiamava di nuovo per uscire oppure era lui, lui in particolare a chiamarlo?
Cos’era in realtà?
Entrato venne investito da due cani, uno era una valanga color miele, l’altro era più mite e sottomesso, ma anche quello più uggiolante.
Vedendo Mela, Alan capì che era venuto a trovarlo Paolo e si chiese come raccontargli quanto successo.
Solitamente era bravo a gestirsi, ad omettere certe cose e sminuirne altre, ma lì si sentiva totalmente in subbuglio e quando Paolo lo vide il sorriso si spense subito.
- Che è successo? - Chiese immediatamente.
Ovviamente l’aveva capito subito e da questo Alan capì che doveva essere preso davvero più di quanto fosse disposto ad ammettere se non era riuscito a nascondere nulla del proprio stato d’animo.
Quella volta forse era davvero troppo anche per lui, per quanto bravo fosse.
“Magari ho bisogno io di un confessionale, stavolta...”
Confessionale che non aveva mai usato in vita sua, non davvero e forse ora ne sentiva la mancanza, perché qualcosa cominciava a non quadrare più della sua comoda vita normale e perfetta. Qualcosa davvero non quadrava.
Alan gli sorrise disarmato, non sapeva come si dicevano certe cose. Come ci si apriva intimamente a qualcuno?
Avevano sempre parlato di tutto loro due, erano come fratelli eppure c’erano cose tabù per dei trascorsi non vissuti.
Era complicato, ma con Alan lo era sempre tutto. Si tolse la giacca e l’appese, poi controllò il telefono che aveva silenziato sperando di non trovare una serie di insulti di Desirée, tutto taceva. Non aveva scelta e forse ne aveva voglia, anche se era difficile.
- É stata una giornata strana... - Disse mentre sentiva di poter deviare di nuovo e coprire la verità. Era facile farlo, era abituato. Lo faceva da una vita.
- Del tipo? - Chiese Paolo capendo che voleva parlare di qualcosa di difficile ma che non sapeva come iniziare. Gli portò un calice e versò il suo vino preferito senza deviarlo con altri discorsi inutili.
Alan lo prese e avanzò in casa propria incerto su dove andare, cosa fare, come dire.
Decise di sedersi a tavola, posò il bicchiere sul tavolo non avendo voglia di guastare il sapore del brandy e delle sue labbra. Che sapore avevano le labbra di qualcuno? Non era stato un bacio che era andato al di là di quello, eppure non gli usciva di testa.
Alla fine Alan prese un respiro, guardò Paolo in piedi appoggiato alla cucina e con un sorriso strano, disarmato, disse:
- Eric mi ha baciato. - Questo ebbe il potere di fermare il tempo. Per un momento sembrò come se le lancette degli orologi si fermassero ovunque, o così sembrò a Paolo che lo fissò alla ricerca di un segno che rivelasse uno scherzo. Ma Alan non avrebbe mai scherzato su quello, visto che certi argomenti erano tabù proprio per delicatezza verso quelli che sapeva erano i suoi sentimenti. Quelli che sarebbero sempre stati e che entrambi lo sapevano.
- Ah sì? - Chiese Paolo, la voce roca di chi aveva appena subito un duro colpo. Per un momento tornarono a quando da giovani Paolo ci aveva provato ed Alan aveva avuto paura, rifiutandolo e chiedendogli di rimanere solo amici. E ci erano rimasti, amici, sperando che prima o poi si sarebbe sbloccato.
Ed intanto gli anni erano passati e loro erano rimasti davvero solo amici.
Ed ora Alan si faceva baciare da un altro ragazzo, uno più giovane di 14 anni.
Alan annuì chinando lo sguardo, non riuscendo più a reggere il suo ferito, così limpidamente ferito. Sapeva perché lo era, ma era inutile nascondere una cosa simile perché ormai lui stesso non riusciva a non pensarci più, a quel ragazzo.