NOTE: non avrei mai mancata di scrivere questa fic. Ci pensavo dal giorno in cui Sergio ha annunciato il suo addio prematuro al calcio per via della sua aritmia cardiaca. E poi durante i mondiali, dove Sergio è sempre stato presente nonostante tutto, fino a scendere in campo dopo la partita contro l’Olanda. Quando sono arrivati in finale. Quando l’hanno vinta. Alla fine era ovvio l’avrei fatta, perciò ecco qua. Ho romanzato tutto il romanzabile, preso cose che sono accadute realmente e intrecciate a quella che è la mia visione di loro due insieme. E se ve lo state chiedendo sì, Sergio la notte prima della finale ha dormito davvero con Leo. Io, poi, che sono una fanatica del destino, non potevo che vederci mille segni in tutto quello che è successo a quei due. E nulla. Buona lettura. Baci Akane
L’esatto momento in cui accadde, fu quando Sergio ricevette la sua sentenza.
Era il 31 ottobre del 2021, quando a causa di un’aritmia cardiaca dovette abbandonare il campo con la maglia del Barcellona, ottenuta con fatica nella speranza di poter fare almeno qualche stagione con Leo prima dell’amara realizzazione che invece lui non sarebbe più potuto rimanere nel suo storico club.
Quel giorno, in seguito ad esami e diagnosi, gli venne imposto uno stop dalle attività sportive preventivo di almeno tre mesi, che poi sarebbe presto diventato perenne.
Non glielo dissero subito che si sarebbe dovuto preparare ad appendere le scarpe al chiodo, ma gli fecero chiaramente capire di dover riflettere seriamente sul suo futuro, perché c’era l’altissima probabilità che tre mesi non sarebbero serviti a guarire del tutto e poter tornare in campo senza rischiare la vita.
A quel punto, proprio in quel preciso istante, prima di decidere definitivamente del suo destino legato al calcio, Sergio già aveva iniziato a rifletterci.
Gli avevano detto di prendersi del tempo prima di scegliere cosa fare, se lasciare in quel momento il calcio e pensare alla propria sicurezza, oppure se rischiare dopo quei tre mesi di pausa.
Non erano cose da decidere su due piedi, così Sergio si era preso un mese per farlo.
Un mese durante il quale ponderò che la sua sicurezza veniva sopra ogni altra cosa, sogni e speranze compresi.
Il giorno in cui gli successe, non la prese bene, ma peggio di lui la prese Leo che volando da Parigi a Barcellona senza nemmeno chiedere alcun permesso, né avvertire nessuno, gli piombò in casa abbracciandolo forte senza respirare.
Leo non piangeva, ma era teso come una corda di violino ed era come sull’orlo di una crisi di nervi.
Una crisi che Sergio si chiese se sarebbe riuscito ad arginare.
Si era aspettato una sua reazione, ma non quella.
Non fu ciò che Leo gli disse, ma il modo, che l’aiutò a decidere.
- Non posso permettermi di perderti, non esiste una valida ragione in questo universo che ti giustifichi a rischiare la vita, non di certo il calcio. Hai mal di cuore, Sergio. Non mal di pancia.
Anche le parole usate, fecero breccia nell’animo confuso ed in subbuglio di Sergio, ma la passione, la fermezza, la gravità e l’ansia con cui le disse gli fece capire che aveva ragione.
Non tanto sul fatto che non ci fossero valide ragioni per rischiare la vita, non di certo uno sport. Piuttosto che non ce ne fossero per Leo.
Che fosse lui a non poterlo sapere in pericolo ad ogni partita ed allenamento.
Così alla fine Sergio, abbracciandolo forte a sua volta, annuì arrendendosi alla peggiore delle ipotesi.
- E il nostro sogno più grande di sempre?
Leo sapeva a cosa si riferiva e si sciolse prendendogli il viso fra le mani con forza e decisione, gli occhi gli brillavano lucidi, con le lacrime sull’orlo di uscire se solo si fosse azzardato a non dargli retta.
Non voleva ottenere ciò che voleva con le lacrime ma lottando ad armi pari coi suoi mezzi, in ogni settore era così. Però in quel momento gli risultava estremamente difficile gestire le emozioni, erano così potenti da non potercela fare.
Si sentiva tremare ed usava forza per non farlo, forza che usava per stringere il suo compagno e tenerlo a sé.
- Lo so che volevi resistere almeno fino al mondiale, che era il nostro sogno, il nostro scopo, il nostro progetto di vita. Quando abbiamo provato a giocare insieme al Barcellona, avevamo questo in mente, oltre al fatto stesso di giocare insieme in club almeno una volta nella nostra vita.
Sergio voleva ribattere ed interagire, ma era totalmente preso alla sprovvista da quel Leo, così forte eppure al tempo stesso sull’orlo di un esplosione. Aveva l’impressione che se non gli avesse dato retta, Leo si sarebbe potuto spezzare.
Sapeva che non era fragile come sembrava, anzi. Era molto forte, era una roccia, ma al tempo stesso aveva una fragilità che faceva di tutto per nascondere. Ma lui conosceva ogni cosa di lui. Anche la più piccola.
- Volevamo vincere un mondiale insieme. L’abbiamo desiderato da quando ci siamo incontrati nelle giovanili da piccoli e siamo diventati amici.
Disse comunque Sergio. Leo annuì e gli afferrò meglio il viso fin quasi a fargli male. Tutto il suo corpo che teneva fra le braccia era un fascio di nervi, sentiva sotto la propria pelle ed i loro vestiti, tutta la paura profonda di Leo.
Il terrore di perderlo.
Sicuramente qualcosa che l’avrebbe spezzato definitivamente, l’unica cosa che non avrebbe mai potuto sopportare.
- Lo vincerò io per te! Lo farò io! Coronerò il nostro sogno più grande. Te lo giuro, Sergio. Non sono mai stato sicuro di vincere nulla, nella mia vita, anche se poi l’ho fatto. Ma questa cosa io so che la farò. Perciò credimi se te lo dico. Non rischiare la vita per questo. Non farlo, ti prego. Lo vincerò per te e con te, sarai sempre lì ogni istante, dormiremo insieme, esulterai con me, sarai la mia forza. Lo vincerò grazie a te, ma lo farò.
Sergio non ebbe scelta che credergli e arrendersi.
Non avrebbe mai potuto dargli un colpo così grande.
Forse era esagerato, forse no.
Col cuore non si scherzava, si diceva. Ma era vero. In nessun caso, nemmeno con quello della persona che amavi.
Il sogno più grande di quei due bambini diventati ragazzi e poi adulti, era sempre stato di vincere la coppa del mondo insieme da protagonisti, Sergio arrendendosi al suo problema cardiaco, rinunciò al suo vero sogno, ma accettò di traslarlo in quello che Leo gli aveva proposto con passione e sentimento.
L’avrebbe vinto lui e non da solo, perché lui l’avrebbe attivamente sostenuto a qualsiasi costo.
- Lo so che lo vincerai.
- Per te. - aggiunse Leo appoggiando la fronte alla sua e mollando la presa delle mani sul suo viso.
- Per noi. - precisò Sergio sentendo che tornava anche a respirare e si rilassava.
Il bacio che si diedero suggellò quel giuramento solenne e mentre le lingue si trovavano fondendosi insieme, Sergio pensò che forse, in fondo, quella motivazione speciale sarebbe potuta essere l’elemento mancante al coronamento del loro sogno di sempre.
A volte il destino è una persona, a volte un evento.
Può essere un incontro che si concretizza in una relazione per la vita, un amore assoluto e grandissimo, oppure una vittoria speciale, storica.
A volte, il destino era un concatenarsi preciso di eventi che dava vita ad un’impresa leggendaria.
E spesso non era così come se lo si immaginava, spesso era ben diverso. Il risultato era quello sperato, ma la strada per arrivarci era un’altra, eppure destino.
Destino era anche quello.
Leo e quella motivazione speciale trovata nel sogno infranto di Sergio, giocare e vincere il mondiale insieme a lui.
Non avrebbe mai più giocato, non avrebbe mai più segnato, mai più esultato né vinto con lui.
Triste eppure forse, per lui, in qualche modo, proprio giusto. Quello che gli era servito per arrivare fin lì.
Ma la magia non si innescò solo in quel momento.
La magia, per Leo, si innescò anche in un secondo istante.
Dopo la sconfitta della prima partita.
Qatar, 22 novembre 2022, fase a gironi.
Quel giorno l’Argentina perse la prima partita contro l’Arabia Saudita e Sergio decise di dover ‘scendere in campo’ in qualche modo.
Capì che così da spettatore e tifoso che seguiva la propria nazionale dagli spalti con qualche emittente argentina, non sarebbe stato sufficiente.
Che a Leo sarebbe servito di più.
Quel giorno, dopo la partita, Sergio scese negli spogliatoi arbitrariamente facendo valere il suo status di personaggio famoso, nonché ex calciatore dell’argentina, salutò i compagni, fece dei bei discorsi motivazionali e di incoraggiamento e poi si prese Leo una volta che fu pronto e se lo trascinò via senza chiedere il permesso di nessuno.
Trattandosi di loro due, tutti nell’ambiente argentino chiudevano due occhi, non solo uno. Perché tutti sapevano perfettamente che stavano insieme e che facevano quel che volevano.
Se Leo era il re, Sergio era la sua regina consorte.
E se Sergio si aggirava con Leo nei tunnel degli stadi nonostante non fosse più membro della squadra né dello staff, comunque grazie al famoso re sopra citato, tutti lo lasciavano fare e nessuno diceva assolutamente nulla.
Leo poteva portarsi chi voleva, non era di certo un calciatore come gli altri.
C’erano quelli che godevano di certi privilegi, lui era sicuramente uno di loro.
Tutti capirono che cosa stava per fare Sergio.
Una sorta di magia, stava compiendo il suo destino, in qualche modo.
Usando la sua tipica irruenza e prepotenza, quello che fece non fu inatteso da parte di nessuno dei loro compagni più storici, ma anche i più giovani e che li conoscevano di meno, avevano già saputo tutto ciò che serviva.
Se volevano riavere il Leo Messi più forte di tutti, dovevano lasciar fare a Sergio Aguero.
Punto.
Fu come essere posseduti da una qualche divinità che illuminava la propria mente.
Prima di quel momento Sergio non aveva minimamente avuto idea di che cosa potesse servire a Leo per trascinare la squadra alle vittorie, dal momento che storicamente in nazionale, in particolare ai mondiali, avevano sempre tutti subito la pressione e non avevano mai brillato come avrebbero dovuto. Leo per primo.
Il suo problema era sempre stata la pressione.
Essere considerato il più forte aveva solitamente più svantaggi che altro, ma solo chi lo era lo poteva capire.
Per Leo era importante fare bene col club, ma non tanto quando era con la nazionale.
Se c’era qualcosa a cui teneva realmente e sopra ogni cosa, era fare bene e vincere con la sua Argentina.
Per questo oltre alle pressioni che gli metteva letteralmente tutto il mondo, cosa con cui lui non era mai riuscito a vivere serenamente visto la sua indole introversa ed emotiva, c’erano anche quelle che si metteva su da solo, le peggiori.
Sergio fino a quel momento aveva saputo perfettamente quale era il suo problema, ma solo quando l’aveva visto giocare e perdere contro l’Arabia Saudita in una prestazione per nulla soddisfacente, aveva avuto come un’illuminazione ed aveva capito cosa gli ci voleva.
Così una volta che l’aveva prelevato e rapito, portandoselo dritto dritto nel proprio albergo, praticamente attaccato a quello della nazionale Argentina, solo una volta in camera parlò, dopo un viaggio manovrato dal totale silenzio di entrambi, dovuto anche dalla presenza dell’autista che accompagnava Sergio ovunque lì in Qatar, nella sua permanenza che avrebbe seguito la nazionale dall’inizio alla fine.
- Non ho voglia, adesso, Sergio... - si lamentò Leo riferendosi chiaramente al sesso.
Non erano nello stesso hotel, ma vicini. Ed in ogni caso trovare un modo per stare insieme in modo intimo, non era un problema.
Principalmente perché Leo non aveva voluto alcun compagno di camera, da quando Sergio aveva lasciato il calcio e di conseguenza la nazionale.
Facevano coppia da quando erano piccoli, da allora erano sempre stati nella stessa stanza. Sempre.
Adesso che non potevano, non aveva voluto nessuno e nell’essere solo, sarebbe stato facile per Sergio imbucarsi, non gli serviva alcun permesso, ma anche se qualcuno gli avesse chiesto qualcosa, se la sarebbe cavata facilmente.
Lui era Sergio Aguero, il compagno di Leo Messi. Chi si poteva azzardare a dire qualcosa?
- Idiota, non voglio mica trombare. Cioè se ti va, ok, ma non ti ho portato qua per questo.
Leo lo guardò infastidito, con la tensione alle stelle.
- E allora che hai? Potevi dirmi quello che dovevi là allo stadio, no? Od ovunque!
- Ovunque ci sono sempre troppe orecchie e poi mi serve calma mentale per dirla come si deve! - brontolò Sergio mettendosi seduto con le mani incrociate al petto.
Leo lo guardò con occhi spalancati, senza capire di che diavolo parlasse. Normalmente lo comprendeva al volo, adesso aveva difficoltà.
- Che cazzo dici, Sergio?
Sergio sospirò spazientito e con un gesto della mano lo zittò, con l’altra si prese la fronte e si coprì gli occhi mettendosi a pensare corrucciato.
Leo capì che stava cercando di ragionare.
Se non sapeva cosa dirgli perché comportarsi come se dovesse dirgli qualcosa per forza?
Sapeva da solo d’aver fatto schifo e che in quel modo non avrebbe portato a nessuno il sogno né mantenuto la promessa.
Leo rimase in piedi davanti a lui, mani ai fianchi ed aria che era un misto fra l’impaziente ed il meravigliato.
Poi, dopo un tempo interminabile passato a rifletterci alla ricerca delle parole giuste, Sergio alzò la testa, si mise in piedi a mezzo metro da lui, ma ad una distanza ragionevole per riuscire a pensare bene, poi con le mani aperte come se dovesse mettere più forza in quel che diceva, cominciò:
- Devi smetterla di trattenerti!
Leo lo guardò impallidendo, incredulo che gli dicesse quello.
- Tutto questo per pensare ad una cazzata simile? Come diavolo ti viene in mente che mi trattengo?
Leo non la prese bene e Sergio capì di non essersi comunque espresso bene come aveva cercato di fare.
Aveva un concetto preciso nella testa, ma non era facile esprimerlo.
Scosse il capo e decise di annullare la distanza, lo prese per le braccia con decisione e riprese sicuro e convinto:
- No, non mi sono spiegato! Smettila di fare il giocatore giusto, coscienzioso, corretto a tutti i costi e sii chi diavolo sei realmente!
Leo spalancò di nuovo gli occhi ancor più in confusione di prima.
- Che diavolo stai dicendo?
Sergio sospirò spazientito alzando gli occhi al cielo.
Non riusciva ad esprimere bene il concetto. Eppure sapeva d’avere ragione.
- Leo, sei il Dio del Calcio, smettila di essere umile, giusto e corretto! Sii quel maledetto egoista che ogni Dio è di natura! Gli Dei non giocano a calcio con la gente inferiore, gli Dei mostrano alla gente inferiore come si gioca a calcio! Danno lezioni di calcio!
Leo non sapeva se prenderlo sul serio o meno, se scherzava poteva ridere e stemperare la tensione, se era serio doveva dargli una testata per fermarlo dal dire tante cazzate.
Aveva sempre odiato essere paragonato ad un Dio del Calcio, come osava ora lui dirgli di esserlo?
- Non sono proprio nessuno, gioco solo a calcio e basta...
Sergio mantenendo una mano stretta sul braccio, lo puntò sul petto con l’altra con foga e decisione, accendendosi come se avesse avuto la rivelazione attesa.
- Lo vedi? È questo che devi smettere di fare! Piantala di frenarti con stupide considerazioni di merda! Tu non sei come gli altri ed è la volta buona che lo accetti o puoi fare le valige ed andartene a casa! Ti amerò lo stesso, ma almeno non ti torturerai così!
Sergio era esagerato e melodrammatico, ma stava andando a segno; Leo cercava ancora di frenarlo, non lo poteva accettare anche se ora capiva cosa intendeva.
Iniziò a scuotere la testa aggrottato, per nulla convinto e profondamente turbato, il nervoso stava salendo e si sentiva nella presa del suo braccio.
- Non dire cazzate, ci proverò fino alla fine...
- Non ci devi provare, lo devi fare e basta! Tu non capisci, tu non sei attendibile con te stesso!
- E nemmeno tu perché mi ami troppo!
- E tutto il mondo, invece? Hanno sempre tutti sbagliato? Siamo 8 miliardi di persone sulla Terra, tutte sanno che sei un dio del calcio. Hanno sbagliato tutti? Se tu non giochi nel tuo reale modo, nel campione che sei, come il più forte, non è perché non ce la fai, ma perché ti stai frenando da solo, ti stai trattenendo. Tu non devi scendere in campo per provare a fare il tuo calcio, tu lo devi fare. Ma qual è il tuo calcio? Leo, tu sei il più forte, devi giocare come il più forte, non come uno che fa calcio e basta! Devi elevarti sopra gli altri, giocare con egoismo, se serve, metterti in mostra, buttare in faccia a tutti gli altri che sei il più forte e far vedere perché! Tu hai paura di non essere all’altezza del tuo ruolo, di quel ruolo che hai. Ma non devi averne paura, è ora che ci creda anche tu. Per questo Diego ha vinto tanto e tu le cose a cui tieni invece fatichi. Perché lui sapeva di essere Dio e gli piaceva da matti. Tu invece non vuoi esserlo e lo odi. Ma è ora che lo accetti e che ti piaccia. È questa la differenza anche fra te e Cristiano. L’ambizione!
- Io sono ambizioso!
- No, tu giochi per vincere trofei, lui gioca per essere il migliore, il più forte, per dimostrare a tutti che è sul tetto del mondo. Ha costruito la sua carriera in questo modo. Adesso tu gli sei sopra e gli sei sempre stato sopra, ma da lui devi prendere questo. Devi giocare per dimostrare che sei il più forte e far zittire tutti gli stronzi pronti a metterti in croce appena sbaglierai. Perché tu non sbaglierai. Gli dei non sbagliano. Tu sei un Dio!
Sergio aveva creato un discorso motivazionale incrociando Diego Maradona con Cristiano Ronaldo, ottenendo così una specie di mostro con l’ego più grande di dieci universi interi, ma aveva infine trovato le parole giuste per fargli capire ciò che aveva in testa.
Qualcosa di contorto, forse, e spiegato in modo poco chiaro e confuso e nemmeno giusto, ma che alla fine aveva fatto centro.
- Sono il più forte? - chiese Leo, profondamente colpito da quel che stava dicendo e capendo che forse aveva ragione.
Se poteva esserci una reale differenza fra lui e loro, era sicuramente nell’ego. Aveva sempre pensato di non dover perdere sé stesso, il proprio animo a cui teneva molto. Non voleva essere uno stronzo arrogante che calpestava gli altri per arrivare in alto, voleva arrivarci sempre rimanendo sé stesso.
Ma forse avevano ragione, alla fine, nell’essere quegli stronzi arroganti.
Era una questione di ego, dunque, il proprio limite nel calcio, ciò che gli impediva di arrivare a prendere la sola cosa che aveva da sempre desiderato più di ogni altra?
Aveva un’unica occasione, poi non avrebbe più potuto giocare altri mondiali, aveva 35 anni.
- Se me lo chiedi non hai capito un cazzo di ciò che ho detto! - sbottò Sergio spazientito pensando a come farglielo capire!
Aveva sempre pensato e saputo che Leo aveva un talento più grande di Diego e Cristiano e chiunque altro, ma ad impedirgli di metterlo in chiaro per tutti quanti ed ottenere ciò che voleva, era la testa.
Di fatto, Leo non aveva mai creduto di essere il migliore e forse non gli era mai importato esserlo, ma solo ottenere i successi che desiderava.
Ma per quello, per quel successo, non bastava il suo talento. Ci doveva anche credere.
Doveva far pace col fatto che lui era il più forte, che non era una maledizione, ma un fatto.
- Ci devi credere, Leo. Se non crederai di essere il più forte, non prenderai questa coppa.
Però non poteva imporglielo. La fede era qualcosa che ognuno aveva, lui aveva fede in Leo, ma Leo non ce l’aveva in sé stesso.
Lui gliela poteva spiegare, la fede, mostrargliela, ma non gliela poteva imporre.
Leo capì ciò che diceva, capì finalmente quello che intendeva guardando la sua delusione negli occhi.
E lo disse meglio.
- Sono il più forte.
Asserì.
Sentendo un’affermazione e non una domanda, Sergio tornò a sollevare gli occhi su di lui e tornò a stringere le mani sulle braccia che non gli aveva lasciato.
A quel punto, guardando i suoi occhi risoluti, Sergio capì che ce l’avrebbe fatta.
Gli aveva appena dato ciò che gli era sempre mancato per arrivare nel gradino finale, quello sempre desiderato sin da piccolo.
“Avevo capito male. Non lo dovevo aiutare in campo, per vincere quella coppa. Dovevo aiutarlo fuori dal campo. Era questo il mio destino. Così come il suo sarà consegnarmi quella coppa.”
Leo sorrise appoggiando la fronte alla sua, di nuovo, come quel giorno a quella promessa a casa. Promessa che rinnovò vedendolo sorridere commosso e felice in quel suo modo spontaneo e coinvolgente di brillare. La sua luce.
Sergio era sempre stato la sua luce, da solo lui sarebbe stato tenebre e nessuno l’aveva mai capito.
- Vincerò quel titolo per te.
Questa volta ci credeva davvero.
Il punto che fece breccia in Leo non furono le parole di Sergio, com’era stato quel giorno a casa sua per convincerlo a non rischiare più la vita in campo.
Ciò che fece breccia in Leo fu il modo in cui Sergio lo disse, credendoci così tanto che non era lui ad essersene convinto.
Non era Leo a pensare di essere il migliore, cosa che non si era mai sentito né aveva mai voluto essere. Era Sergio che, credendoci ciecamente, lo convinse e permise la magia.
La magia del Dio del Calcio che si incarnava in un essere umano e semplicemente dimostrava ad ognuno, una volta per tutte, chi era davvero.
Il più forte del mondo e di sempre.
A Leo non era fregato assolutamente niente delle regole che fino ad un certo punto aveva seguito con estrema diligenza.
Dal momento in cui le parole di Sergio gli erano realmente entrate in testa e lui era diventato il più forte perché finalmente ci si sentiva e voleva esserlo, aveva iniziato a giocare bene come non mai anche in nazionale fino ad arrivare in finale da protagonista assoluto. Oltre a questo aveva anche cominciato a mostrare qualche altro lato di sé fino a quel momento trattenuto.
Come il politicamente corretto.
Non si poteva esultare in modo strafottente e provocatorio davanti alla panchina e alla curva avversaria, ma l’aveva fatto perché erano riusciti a mandarlo in bestia. Così non solo lui aveva vinto giocando benissimo e segnando e facendo segnare, ma aveva anche esultato davanti agli avversari con le mani alle orecchie, provocandoli ad insultarlo ancora.
Era stata una partita estenuante e difficile, con tanti motivi di tensione da entrambi i lati, ma quel che ne era uscito era stato, oltre ad una grande partita e ad una prestazione sontuosa di Leo, anche una persona stufa di fare ciò che era giusto e che si poteva.
Leo si era arrabbiato e non l’aveva nascosto.
Prima aveva segnato ed aiutato la squadra a vincere, poi aveva risposto alle provocazioni imitando senza farlo apposta proprio Cristiano Ronaldo.
“Anche Diego avrebbe fatto così. Forse peggio...”
Si era detto Sergio alla fine della partita con l’Olanda, quando era sceso in campo fregandosene altamente anche lui delle regole.
Se non altro per evitare di farlo partire troppo per la tangente, visto che era consapevole d’aver risvegliato una specie di bestia sopita.
Quando l’aveva poi visto andare contro l’allenatore in persona ed il suo secondo, Van Gaal e Davids, aveva capito che quel Lionel Messi ce l’avrebbe fatta.
Era finalmente arrivato a quello stato d’animo e mentale tale da permettergli di superare tutti a spallate e con prepotenza, per ottenere le sue vittorie.
“L’ha fatto a modo suo, perché ha aspettato di vincere e segnare, ma l’ha fatto! Una parte di sé rimane sempre quello che sa come comportarsi, ma prima di questo mondiale non l’avrebbe mai fatto!”
Leo era il classico troppo buono che quando si arrabbiava bisognava stargli alla larga. Ma era anche estremamente difficile fargli perdere le staffe fino a vedere quel suo lato iroso e sopra le righe.
“ Nessuno è veramente troppo buono!”
Sergio glielo aveva sempre detto, ma quando erano stati insieme era sempre stato lui quello a partire per primo e sbagliare aprendo la bocca a sproposito, senza riflettere e tendenzialmente a fare cazzate.
Era lui quello impulsivo e scavezzacollo. Leo era sempre stato la sua controparte, il suo freno a mano.
Adesso che si erano separati, per lo meno in campo, Leo si era come liberato dalle sue stesse catene ed era così arrivato alla vigilia di una finale del mondo storica.
Storica per il significato molteplice da entrambi i lati, non solo per le due squadre così forti che ora si scontravano.
Due geni del calcio di due diverse generazioni si affrontavano, entrambi per ottenere uno scettro unico.
Ma oltre a tutto questo, c’era il sogno dei sogni.
“Ma so che a lui preme la promessa che mi ha fatto, è questo che ha in mente sopra ogni cosa.”
Così Sergio non si era nemmeno stupito di sentirgli dire che poteva dormire in camera con lui, quella notte, perché aveva già avvertito tutti che sarebbe successo.
Non aveva chiesto permessi, aveva solo informato per non avere seccature ed essere infastidito.
- Amo questo nuovo Leo... - disse Sergio entrando nella sua camera.
Leo inarcando un sopracciglio chiuse la porta e lo guardò mentre appoggiava la propria borsa, il resto delle cose era nell’altra camera d’albergo perché contava comunque di tornare a recuperare tutto, il giorno dopo. O quello dopo ancora. Dipendeva da quando se ne sarebbero andati e quello dipendeva a sua volta da come sarebbe andata la finale del giorno dopo.
- Nuovo in che senso?
Sergio lasciò la borsa lanciandola da qualche parte senza farci caso e si tolse le scarpe mollandole in disordine al suo cammino, poi lo raggiunse e gli mise le braccia intorno al collo, sorridendogli malizioso e divertito, con una luce di sadismo accesa negli occhi.
- Prepotente!
Leo accogliendolo circondandogli la vita, sorrise malizioso.
- Sono prepotente? - non se ne era reso realmente conto, aveva solo seguito la propria volontà così come aveva fatto fino a quel momento, da quel primo giorno di mondiale.
- Oh, ci puoi scommettere, ma sei caliente! - rispose ridacchiando mentre aderiva le labbra alle sue in un sorriso divertito che si spense per baciarlo
Si aprirono per venirsi subito incontro e fondersi, poco dopo si persero in loro stessi, dimenticandosi totalmente il resto del discorso che poi tale non era.
Sergio avrebbe voluto chiedergli qualche spiegazione su come aveva ottenuto il permesso di farlo dormire lì visto che per regolamento erano vietato gli esterni alla squadra, ma non voleva interrompere quella magia.
La magia del Dio del Calcio che si fondeva al suo Leo e gli realizzava i suoi sogni.
Uno fra i quali quella notte.
La notte prima della finale dei mondiali, lì insieme a dormire e a caricarsi a vicenda.
Sarebbe dovuta essere così se Sergio avesse giocato, ma il suo ruolo non era quello che aveva sempre pensato.
La vita cambiava qualcosa per arrivare all’obiettivo, ciò che contava era il risultato, sebbene spesso il viaggio fosse tutto.
Sergio soffriva dentro di sé per non poter essere in campo il giorno dopo, aveva sofferto per tutte le partite, anche se Leo aveva giocato immensamente bene.
Forse proprio ritrovarsi lì da solo l’aveva aiutato ad innalzarsi ulteriormente. Se fosse stato lui, avrebbe condiviso il suo peso e per Leo non sarebbe stato uguale.
Non avrebbe ottenuto i risultati che aveva avuto da solo.
Da solo doveva essere lui a guidare tutti, nessuno l’avrebbe potuto aiutare. E così era stato.
Sergio gli tolse la maglietta quasi con bisogno.
Da quando erano lì in Qatar avevano solo festeggiato le vittorie, ma per il resto erano stati diligenti, le giornate precedenti alle partite non si erano mai visti clandestinamente.
Adesso, praticamente tutto il mondo sapeva che avrebbero dormito insieme e molti probabilmente immaginavano serenamente cosa stavano facendo.
A loro non importava, ma sicuramente ripristinare una loro vecchia usanza era piacevole.
Per Sergio fu quasi come se l’indomani scendesse in campo, era così che facevano le notti prima delle partite.
Dormivano sempre insieme e facevano l’amore.
Ed era sempre lui che prendeva il sopravvento, specie perché sin dall’inizio era stato lui a prendere le iniziative. Sia per uscire insieme e diventare amici, che poi per baciarsi e diventare amanti.
A letto era sempre stato Sergio a gestire, perché non soleva pensare, agiva e basta.
Leo era quello timido, il pensatore riflessivo.
Ma quella notte fu diverso.
Dopo l’iniziativa presa ovviamente da Sergio, Leo prese il comando seguendo né più né meno quel nuovo sé stesso. Quello libero da qualsiasi catena.
Quello che guidava e comandava.
Sergio si ritrovò spogliato da lui senza né troppa foga, né però perdere tempo.
Con piacere, dopo sentirsi spinto fino a stendersi sul letto, capì che sarebbe stata diversa dalle altre e decise che l’avrebbe lasciato fare come voleva.
Lo accolse su di sé, altrettanto nudo, e ricevette la sua bocca affamata e bisognosa di lui e della sicurezza che sapeva dargli.
Dopo averlo baciato ed essersi sistemato sopra, iniziò a strofinarsi cercando l’erezione con la sua. Iniziarono ad eccitarsi ricoprendosi di brividi, ma poco dopo Leo scese ad appropriarsi del suo corpo, usando la bocca e la lingua.
Scie umide ricoprirono ogni linea dei suoi muscoli meno in forma di come era stato quando giocava a calcio.
Sicuramente in quel momento Leo aveva il fisico migliore, ma sembrava desiderarlo come sempre.
Non si sentì diverso e fuori forma, mentre lo divorava alla sua maniera. Con calma e sicurezza, ma al tempo stesso bisogno e voglia.
Sergio lo sentì perfetto, sopra di sé, mentre lo assaggiava fino a raggiungere il suo inguine. A quel punto i pensieri svanirono, rimasero solo le sensazioni.
Quelle che gli trasmise in quel modo.
Leo l’avvolse con le labbra e lo succhiò fino a fargli perdere la connessione con sé stesso e mentre spingeva nella sua bocca, chiedendo di averne di più, il capitano dell’Argentina lo accontentò e girandosi sopra di lui, si mise al contrario e aprendo le gambe le sistemò ai lati della sua testa.
Sergio, stupito per quella posizione che non avevano mai provato, inarcò le sopracciglia eccitato e mostrando quanto stava apprezzando quell’iniziativa, accolse il suo membro in bocca, prendendogli i fianchi e le cosce fra le mani.
Sorrise beato e compiaciuto ed iniziò ad occuparsi di lui e della sua erezione sempre più dura ed eccitata. Ben presto raggiunsero lo stesso ritmo e Leo sentendo la bocca di Sergio leccarlo e succhiarlo, iniziò presto a spingere col bacino eccitandosi.
Non aveva idea del perché non avevano mai usato quella posizione, ma sicuramente non sarebbe stata l’ultima volta.
Una volta entrambi soddisfatti e sul punto di venire, Leo si sciolse e proseguì il suo viaggio occupandosi della fessura di Sergio. Gli sollevò le gambe e gliele piegò contro il petto.
Il compagno si prese le ginocchia e se le tenne strette per permettergli di prepararlo con cura.
Sergio era più sbrigativo in quel compito, tendeva a fare tutto con troppa foga e ad andare forse troppo veloce, ma Leo si stava proprio godendo, quell’atto, quella volta.
Non era la prima volta che lo facevano ai mondiali, ma era la prima che lo facevano così.
E, soprattutto, con Leo attivo.
Sergio non ebbe nemmeno un attimo di esitazione o timore, nemmeno un po’ d’ansia all’idea di essere passivo e ricevere per la prima volta.
Le dita e la lingua di Leo si occuparono di lui con calma certosina e sentendolo in un godimento rilassato e perfetto, decise che era ora.
Si sollevò e leccandosi la mano ripetutamente, se la passò sulla propria erezione ancora dura. Quando si sentì pronto, scivolò in lui lentamente ma sicuro. Si fermò stendendosi sopra.
Sergio sciolse le gambe e le avvolse intorno alla sua vita afferrandosi al lenzuolo sotto di sé, le braccia alzate ai lati della testa, la schiena inarcata, lui completamente rigido.
Rimasero così per un po’ fino a che la lingua di Leo leccandogli l’orecchio ed il collo, iniziarono a rilassarlo.
Quando lo sentì sciogliere il fascio di nervi tesi, iniziò a muoversi lentamente, aumentando via via che lo sentiva meno dolorante.
Quando capì che cominciava a piacergli, aumentò l’andatura e l’intensità.
Ben presto i loro gemiti si levarono nella stanza senza remore, sapevano che qualcuno li poteva sentire, ma sapevano anche di essere in un posto sicuro ed anche se così non fosse stato, quel Leo lì era pronto a tutte le conseguenze. Avrebbe affrontato tutto e tutti, avrebbe sbaragliato ogni ostacolo.
Totalmente trasportati in quel viaggio di piacere, Sergio riuscì a completare il suo piacere e all’apice gli disse che l’amava da morire.
Si sentiva il cuore scoppiare, non aveva mai sentito così tanto e così a fondo il proprio corpo, ogni parte di esso. Le emozioni provate non le avrebbe dimenticate.
Quando Leo lo sentì venire, si sentì compiacere in un modo mai provato durante un amplesso, non lo capì, ma si lasciò trasportare da quell’orgoglio verso sé stesso, catturando quell’emozione.
- Domani ti porterò la coppa. - gli disse mentre aumentava seguendo i propri brividi che esplodevano insieme alle sensazioni di quell’orgasmo spettacolare.
- Lo so che me la porterai.
E Sergio lo sapeva davvero.
Quando Leo venne dentro di lui, se lo tenne stretto addosso, circondandolo con le braccia e le gambe, baciandogli il collo sudato e pulsante.
Lo lasciò mentre si riprendeva e quando lo sentì sciogliersi e abbandonarsi sopra di lui, sorridendo ansimante, lo abbracciò mettendosi più comodo sotto di lui.
Gli baciò la fronte e lo lasciò riprendersi, mentre lui stesso si imprimeva quella sensazione, quell’orgasmo, quella notte così perfetta.
- Sai, l’ho sempre immaginata così la notte prima della finale dei mondiali.
Non era stata la prima, l’altra era andata male e la ricordavano entrambi molto bene, con una tale amarezza da voler entrambi lasciare la nazionale.
Ma alla fine non l’avevano fatta e non sapevano quanto bene avevano fatto a resistere.
Il giorno dopo l’avrebbero capito.
- Grazie di non avermi abbandonato.
Quell’improvvisa frase di Leo, fece scattare Sergio che lo sollevò dal suo petto per guardarlo in viso.
Leo, sorridendo colpevole, si spostò stendendosi di schiena accanto a lui, ma Sergio gli andò sopra continuando a cacciare il suo volto.
Quando l’ebbe nel mirino, lo fissò torvo.
- Non ti avrei mai abbandonato. Mi stai facendo sognare, senza di te mi sarei spento, quando ho dovuto lasciare il calcio.
Leo sorrise intimidito.
- Non ce l’avrei mai fatta da solo.
- Adesso piantala, domani hai una squadra da guidare! Dovrai dare lezione di calcio ad un bel po’ di gente! Devi giocare per dimostrare di essere il migliore, non solo per vincere una coppa a cui entrambi teniamo!
Sergio decise che era meglio ricordarglielo e sentendoglielo dire, Leo si rilassò tornando a sorridere sereno e sicuro.
- Sei una parte essenziale della mia vita, ti amo da morire, non abbandonarmi mai.
Sergio lo baciò con la sua tipica foga, premendo le labbra sulle sue.
- Lo sai che non lo farei nemmeno se provassero a costringermi. Ti amo troppo anche io.
E non l’avrebbe lasciato.
Ma proprio mai mai.
Dal momento del fischio finale della partita che lo vide incoronare l’Argentina sul tetto del mondo, Sergio si precipitò in campo senza pensarci nemmeno un istante, stile toro impazzito, raggiunse Leo, l’abbracciò ad ogni momento disponibile e fra un saluto e l’altro del suo ragazzo, lo seguì come un’ombra fedele ovunque.
Ovunque Leo andasse ad abbracciare, salutare, complimentarsi, Sergio gli era dietro a parlargli a macchinetta e ad abbracciarlo ad ogni occasione.
E lo prese sulle spalle, con la coppa in mano, facendolo correre, e quasi decapitare inavvertitamente, per tutto il campo, saltando con lui sulle spalle che se gli fosse venuto un infarto in quel momento Leo l’avrebbe ucciso.
Lo seguì anche negli spogliatoi insieme alla squadra dove bevve champagne, fumò un sigaro di ottima fattura e cantò festeggiando con gli altri come se fosse un giocatore sceso in campo con loro.
Ma sempre lì con Leo.
E con Leo andò nel pullman della nazionale in giro per la città a festeggiare.
E, ovviamente, con lui tornò in albergo a continuare a festeggiare tutta la notte. Insieme agli altri e poi in privato, da soli.
In quello che era il coronamento del loro sogno più grande di sempre.
In quella notte che Leo aveva fatto la storia mettendo in chiaro a tutti una volta per tutte che lui era il migliore.
Leo in realtà non sapeva se lo era realmente, ma di sicuro Sergio lo pensava e se lui lo credeva, allora era proprio così.
Uno il destino dell’altro.