/E se la vita ti volta le spalle? Basta una minuscola crepa nel vetro perfetto, da lì con un colpo forte tutto andrà in mille pezzi e niente potrà più ricomporlo./
CAPITOLO 1:
DESTINO INFAME
‘Sorte immane ed inane,
tu ruota volubile, stato incerto,
vano benessere sempre dissolubile,
obumbrata e velata
pure me sovrasti.
Ora per giuoco il dorso nudo
reco del tuo scempio’
- Carmina Burana - Oh fortuna -
Un pallone da calcio rotolava per il marciapiede delle vie trafficate di Barcellona, delle voci di bambini gridarono dal campetto vicino chiedendo se glielo poteva tirare.
Leo guardò la sfera con un sorriso, non l’avevano riconosciuto, probabilmente non l’avevano nemmeno guardato bene. Del resto non era solito andare da quelle parti, soprattutto da solo, ma quella volta aveva avuto voglia di mimetizzarsi fra la folla, essere nessuno.
A volte ne aveva bisogno. Si metteva un cappellino in testa, occhiali scuri e si comportava come uno qualunque. Era buffo, ma bastava questo per non farsi riconoscere.
Andare in giro da solo, comportarsi come una persona normale. La gente non guardava realmente gli altri, guardava una guardia del corpo che allontanava la folla e allora cercava il vip di turno. Però uno che girava da solo come un uomo normale che usciva a fare commissioni no, non lo guardava bene.
Leo fissò la palla protagonista di ogni sua giornata, la palla che in qualche modo gli aveva salvato la vita dandole un senso, facendogli avere successo, permettendogli di curarsi fisicamente e fare ciò che aveva sempre sognato di fare. Stava rotolando giù dal marciapiede venendogli incontro, così non ci pensò due volte e attraversando di corsa in prossimità di una curva a gomito, si apprestò a tirare con la sua tipica postura. Dal movimento del suo corpo così caratteristico, i ragazzini lo riconobbero e guardandolo bene, nonostante fossero lontani, si sgomitarono emozionati, increduli che fosse proprio lui.
Quale fortuna era mai quella? Incontrare Lionel Messi in persona senza appostarsi fuori dal centro sportivo del Barcellona o fuori da qualche stadio, non era da tutti e non avevano dubbi che fosse proprio lui, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi e di sicuro il migliore in quel momento.
Si era sempre ritenuto una persona normale come tante eppure pochi lo ritenevano tale, lo vedevano più come il dio del calcio, a quel punto della sua vita, al pieno della sua splendida carriera. Si era sposato con la donna che gli era sempre stata vicino, aveva due figli uno dei quali era nato da poco, giocava nel club di calcio più prestigioso del mondo, aveva vinto molti trofei sia individuali che di squadra, aveva successo proprio nella cosa che amava di più in assoluto e che gli veniva alla perfezione.
Leo non aveva nulla da rimproverarsi. Era stato molto fortunato, una fortuna dovuta al calcio e all’essere stato scoperto da un talent scout che aveva fatto di tutto per averlo, anche aiutarlo coi problemi di salute che aveva avuto da piccolo. Doveva la vita allo sport e quando vedeva un pallone la sua mente si azzerava, non era più nessuno e per l’istante in cui lui si apprestava a calciare, era tutto sospeso nel nulla. Niente esisteva.
Come in quel momento: non c’era una strada e non c’era un furgone che arrivava in corsa da dietro la curva, impossibile da vedere per lui da quella posizione. Lì per lui c’era solo una palla da calciare.
Un oggetto che così come gli aveva dato tanto, ora gli avrebbe tolto tutto.
Non si sa se si può chiamare destino, predisposizione di una forza sadica che gioca coi fili di qualche burattino, o chissà cosa… non si sa, fatto sta che non si può continuare ad essere sicuri della propria vita in eterno, perché la perfezione crolla per tutti, dal momento che non è di questo mondo.
Uno dall’esterno ci sarebbe arrivato subito: nessuno può essere così, avere tutto per sempre.
Mentre il furgone gli arrivava addosso ad alta velocità spuntando all’ultimo dalla curva, non poté far veramente nulla.
In realtà non se ne rese nemmeno conto, l’impatto fu immediato e violento. Fu più il rumore.
Prima il rumore delle gomme che cercavano invano di frenare, poi il botto di qualcosa che si scontra e si rompe.
Ci fu una frazione di secondo in cui, mentre volava a diversi metri, strisciando a terra come una freccia, se lo chiese.
Si chiese che rumore fosse stato.
Lo capì solo dopo che il proprio corpo si fu fermato con la faccia a diretto contatto con l’asfalto, ed il sangue che iniziava ad imbrattargli il viso e la bocca.
Capì che quel rumore era stato lui che veniva investito.
Gli ci volle qualche istante per realizzarlo mentre il buio lo avvolgeva in un oblio quasi dolce.
“Eh no caro Leo...” si disse, mentre tutto scemava via come il colore troppo liquido gettato a casaccio su una tela. “Questa volta non te la caverai”.
Come poteva, del resto?
Non sentiva più il suo corpo.
Che fortuna, avevano pensato poco prima i ragazzini notando il grande Leo Messi apprestarsi a passare loro la palla. Gli stessi che correndo sul posto, gridando e vedendo la posizione innaturale del suo corpo, pensarono che quella fortuna fosse invece una disgrazia.
***
‘Luce del giorno In incubi Di un mondo freddo'
Nel giro di poche ore ogni mezzo di comunicazione possibile era attivo: in tutta la Spagna e nel resto del mondo intero non si parlava d’altro.
Ci fu chi la ricevette per telefono, chi per televisione, chi per giornale o amici, ma tutti, entro qualche ora, lo seppero.
Il grande calciatore Lionel Messi era stato investito da un furgone e versava in condizioni gravi in ospedale. Non solo la sua carriera, ma la sua vita erano a serio rischio.
La sessione di allenamenti mattutina stava giungendo al termine, ancora l’ultimo quarto d’ora di partitella prima della sua conclusione.
Per Sergio sarebbe finita prima.
Non notò subito l’arrivo di corsa di uno dei segretari del club, non si rese nemmeno conto che concitato diceva qualcosa all’orecchio direttamente di mister Pellegrini.
In quel momento Sergio pensava come tutti i suoi compagni a giocarsi quell’ultimo quarto d’ora, in ciò che probabilmente era la parte più bella degli allenamenti. Aveva appena ricevuto un pallone perfetto da David e puntando dritto alla porta si era dovuto fermare a fronteggiare Vincent. Naturalmente contro di lui il mister metteva sempre il loro difensore più forte, perciò non solo doveva impegnarsi molto per superarlo, ma doveva anche stare attento a non venire ucciso accidentalmente dal suo compagno e amico.
Niente di personale, diceva poi quando lo faceva sfortunatamente volare per il campo dopo avergli ‘delicatamente’ preso palla.
Quello non fu il caso, Sergio quella mattina era particolarmente in forma e riuscì a superare indenne il difensore, aveva appena puntato alla porta, stava caricando il suo tipico tiro in rete quando il fischio prolungato e acuto del mister lo fece sbagliare.
- SERGIO! - tuonò Pellegrini dopo essersi tolto il fischietto dalla bocca.
Solo a quel punto il giovane attaccante del Manchester City notò la presenza di uno degli assistenti del club e ancor peggio la strana espressione dell’allenatore.
Non era per niente confortevole.
Era una di quelle facce gravi, serie. Lui non era uno che scherzava molto, anzi, tendeva un po’ ad avere la stessa espressione arcigna di natura, ma ormai avevano imparato a distinguerle. Quella era una di quelle serie. Di quando si danno notizie brutte, quando c’è decisamente qualcosa che non va.
Sergio non l’avrebbe dimenticata, così come non avrebbe dimenticato l’anomalo caldo che in autunno in Inghilterra non era normale.
Il sole era ingannevole, quel giorno.
- Ce l’ha con me mister? - Sergio provò a scherzare perché di natura era portato a farlo, nella speranza di sbagliarsi, di ricevere una risposta ironica dall’allenatore. Non fu così.
Manuel Pellegrini rimase cupo e gli fece un cenno con la mano di venire e basta, senza più dire null’altro. Sergio inghiottì a vuoto e sentì distintamente il cuore mancare un battito, cosa impossibile scientificamente parlando a meno che tu non stia avendo un vero infarto. Però in certi casi ti pare come di sentire una contrazione anomala del tuo organo interno, è una sorta di illusione trasmessa dalla forte ansia improvvisa che ti attanaglia lo stomaco. Si stringe così tanto che è come se qualcuno ti colpisse con un pugno. L’effetto è l’illusione della mancanza di un battito cardiaco.
Una volta uscito dal campo e raggiuntolo, Pellegrini non diede alcun ordine alla squadra e rimasero tutti fermi in sospeso, nella medesima impressione stranita del loro compagno. Era strana quell’interruzione e decisamente aveva un’espressione inquietante, non c’erano dubbi.
Vincent recuperò la palla appena persa e la lasciò sotto al proprio piede, lo sguardo fisso ai due uomini a cercare di capire che diavolo stesse succedendo.
Qual era quel motivo tanto importante da interrompere il finale della partitella?
Sergio sovrastato dal mister di qualche centimetro, venne penetrato dai suoi occhi azzurri che cercavano sbrigativi e disperati un modo adeguato per dare quella notizia. In alcuni secondi constatò che comunque non ci sarebbe stato un sistema migliore, nemmeno pensandoci per ore intere, forse.
Alla fine semplicemente glielo disse, senza nemmeno molto tatto. Gli mise la mano sulla spalla come a dargli sostegno almeno in uno dei modi in cui non era molto bravo.
Sergio rabbrividì a quel contatto, poi la voce profonda e roca del mister parlò:
- Sergio, devi fare subito le valige e precipitarti a Barcellona. Leo ha avuto un brutto incidente ed è grave. So che siete come fratelli, ci ha chiamato direttamente Antonella, voleva parlare con te ma non rispondevi. - e quel battito a Sergio mancò di nuovo, anche se non era un infarto quello che stava avendo. Non che ne fosse sicuro.
Si sentì improvvisamente atrofizzato, la sua mente bloccata alla parola grave.
Impallidì nonostante l’allenamento al caldo che aveva appena fatto, il sudore si raggelò e gli si drizzarono tutti i peli del corpo. Impossibilitato a muoversi, cercò di parlare ma la voce gli uscì roca, le parole si incespicarono. Tossì, chiuse gli occhi per cercare di riprendersi mentre le giunture ribollivano trasmettendogli una serie di sensazione terribili e contrastanti.
- Cosa significa grave? - chiese quindi con la voce pronta a rompersi in un pianto a dirotto.
Manuel si rese conto di dovergli mentire.
- È stato investito ed è in sala operatoria, non sappiamo altro, ma è meglio che tu vada subito. Avrai un permesso speciale per questi giorni. Ci terremo in contatto - concluse sbrigativo senza andare in alcun dettaglio né trattenerlo ulteriormente.
Sergio rimase ancora lì fermo a fissarlo, incapace di capire realmente come stesse il suo amico, ma non avrebbe ricevuto altre risposte da Pellegrini il quale gli diede una spinta per farlo riscuotere ed andare a lavarsi e cambiarsi.
La verità era che Leo rischiava la vita, al momento, ma lui non ebbe di certo cuore di dirglielo. Come, del resto?
Come dire che quello che per te era un fratello al momento stava per morire e che era quella l’entità della parola ‘grave’ usata da lui ora?
“È stato investito, è stato investito, è stato investito!”
Si ripeteva Sergio mentre correva verso gli spogliatoi, rischiando di cadere.
Appena dentro si precipitò al suo borsone e lo prese, lo aprì ed afferrò il suo cellulare nel quale notò effettivamente molte chiamate da Antonella.
Il cuore tornò a saltargli in gola, anche le mani iniziarono a tremargli.
Senza pensarci su un secondo, la chiamò subito e aspettando che lei gli rispondesse, il cuore gli assordò le orecchie impedendogli di sentire.
Sergio era in piedi davanti alla panchina, rigido, immobile, il fiato sospeso, gli occhi sbarrati come a cercare di andare oltre lo spazio che lo separava da Barcellona.
Non ebbe bisogno di porre alcuna domanda. Dopo un secondo infinitesimale durante il quale gli parve di aver perso l’udito, esso tornò fermo e netto con la voce di quella che considerava una cognata.
- È in sala operatoria! È grave! Sono le gambe! Le gambe, Sergio! Ed è veramente molto critico! Non so se ce la farà! - Da lì in poi la sua voce tornò a perdersi nel rumorosissimo panico che subentrò nelle sue orecchie. Un panico che divenne come un fischio fortissimo simile allo stridere dei freni del treno.
Non seppe quanto rimase in quelle condizioni, ad un certo punto Sergio si rese conto di essere seduto e di star guardando il telefono che era ancora aperto sulla chiamata ad Antonella. Si accorse che lo stava chiamando agitata e rimettendoselo all’orecchio, disse roco e sbrigativo.
- Arrivo! Tienimi aggiornato! - con questo chiuse la conversazione e da lì in poi fu solo il caos. Un caos che gli impediva di capire cosa dovesse fare per primo, da cosa iniziare. Non ci arrivò da solo, furono i suoi compagni che, finita la sessione in anticipo, corsero da lui per affrettarsi a salutarlo e dirgli quanto gli dispiaceva ed ottenere quante più informazioni possibili da fonti dirette.