*Ci siamo, sono tornata finalmente. Ci ho messo un po' a pubblicare il seguito perché ho avuto problemi al computer e poi di tempo, come sempre. Però ci siamo. Finalmente Sergio è da Leo ed aspetta il suo risveglio per dargli l'orribile notizia. È giunto il momento per Leo di svegliarsi e di sapere. Mentre Sergio affronta il suo compito peggiore, Riky finalmente arriva da Cris che è come una bomba a orologeria, pronto ad esplodere, che tiene ben pressato dentro di sé la sua peggiore paura. Se è successo a Leo, può succedere a tutti. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO 10: 
BUCO NERO

kunessi

/Hans Zimmer - Time/

C’era qualcosa in quello che stava vivendo.
Qualcosa di molto strano. 
Era stato tutto coerente finché non si era ritrovato fra le braccia di Sergio, cullato da lui mentre preda di una strana paura inspiegabile, cercava rifugio in lui. 
Aveva sentito una pace ed una forza potenti, un calore che si sprigionava dalle mani unite, le dita intrecciate come una coppia. Solo a quel punto aveva pensato ad Antonella e si era sentito in colpa, ma non tanto per lei quanto per i bambini. 
Quando l’aveva lasciato si era sentito molto peggio. 
Leo sapeva di aver avuto quel genere di istinti, pensieri e sentimenti per Sergio già da molto, ma non aveva mai ceduto sapendo che avrebbe rovinato un rapporto a cui teneva troppo. Così si era buttato a capofitto in una relazione eterosessuale con Antonella, facendo una famiglia che amava profondamente. 
Per questo non capiva come poteva essere, ora, che pur preda di un’angoscia inspiegabile, che non sapeva proprio da dove derivasse, ora avesse ceduto a quegli istinti profondi. 
Non l’aveva mai fatto. Non l’avrebbe mai permesso. Lui sapeva cosa si doveva fare, cosa si poteva, cosa era giusto e lo faceva sempre ad ogni costo, anche se significava perdersi e vomitare sotto pressione. 
Perché aveva ceduto? Perché Sergio lo stava abbracciando? Perché lo stava consolando? 
A quel punto, provando a fare mente locale, aveva capito che c’era qualcosa che non tornava. Non ricordava com’era finito lì.
Stava sognando. 
Se stava sognando doveva svegliarsi, ricordava di essersi svegliato quella mattina, di essere uscito in incognito e poi? Poi com’è che era finito a sognare? Perché dormiva? Il resto del giorno dov’era finito? Provando a ricordare iniziò ad agitarsi. Era tutto nero da un certo punto in poi, completamente nero. Il campetto, lui in borghese, la palla che rotolava nella strada. Sì, la palla. L’ultimo vero pensiero coerente era stato il pallone da calcio. 
Perché l’ultima cosa che ricordava era la palla e poi si era addormentato? Sempre che dormisse. 
E se non stava dormendo, in realtà?
Possibile che fosse successo qualcosa?
Ma cosa?
Mentre la sua coscienza piano piano iniziava a svegliarsi, cominciò a sentire sensazioni al di là di sé, del sé interiore, quello che sognava e che ora, improvvisamente, fluttuava nel nulla. 
Una sensazione reale. 
Qualcosa lo toccava, qualcosa toccava la sua mano, qualcuno. 
Stava dormendo, era steso in un letto, ora ne aveva la certezza e appena percepì la sua mano e la sensazione del materasso sotto di sé, Leo aprì finalmente gli occhi. 
Quando lo fece non aveva la minima idea di quanto tempo avesse passato addormentato, non sapeva che erano passate quasi dodici ore, non ricordava del suo incidente. 
Solamente le palpebre erano molto pesanti, difficilissime da aprire e tenere su, ma ce la mise tutta. La stanza prese forma sopra di sé, un soffitto bianco, le luci spente seppure una sopra il letto fosse accesa, una più piccola che non dava fastidio. 
Era notte, lo dedusse dal buio generale, dal silenzio. 
Cercò indizi nella stanza per capire dove fosse e si rese conto che doveva essere in ospedale. Lo capì dai rumori di un macchinario.
BIP - BIP - BIP
regolare. 
Il suo cuore. Qualcuno lo stava monitorando. 
Poi di nuovo la sensazione fisica, reale, concreta e calda sulla sua mano.
Calda ma con qualcosa di disturbante. 
Abbassò lo sguardo e vide che c’era quella di un altro sulla sua, ma era col guanto. Un guanto azzurro. 
Proseguì con lo sguardo sul proprietario e vide Sergio, come evocato dal suo sogno. 
Forse l’aveva sognato perché l’aveva sentito nel sonno, in qualche modo il suo cervello l’aveva registrato, doveva essere così. 
O forse perché aveva desiderato ardentemente vedere lui. 
Perché una piccola parte di sé sapeva che gli era successo qualcosa, anche se non ricordava cosa. 
Sergio era seduto tutto coperto da camici e cuffie, la testa appoggiava sulla mano che copriva la fronte e gli occhi, come se non lo volesse guardare, in realtà. 
Non dormiva, ma non riusciva a guardarlo. 
Leo provò a parlare ma si accorse di avere una maschera in viso per respirare meglio, così strinse la mano. Lo trovò molto difficile, ma mosse le dita. Le mosse prima piano, poi di più fino a riuscire a stringere. A quel punto Sergio si accorse di lui, si sciolse dalla sua posa rannicchiata, girò il capo e con una meraviglia come sospesa in un tempo senza fine, quasi fosse ancora nel suo sogno, lo guardò. 
I loro occhi si incrociarono, il mondo si fermò e l’istante successivo quelli di Sergio si riempirono di lacrime, quello dopo c’era la testa sulla sua, la fronte appoggiata contro la propria e le mani entrambe sul suo viso a stringerglielo.
Sergio singhiozzava mentre lo stringeva come se l’avesse perso e dalla sua reazione capì che probabilmente doveva essere stato così. Doveva averlo perso, per un momento. Per quanto? 
Capì d’aver avuto un incidente di cui non aveva memoria, provò a ricordare ma il pallone fu l’ultima cosa che la sua mente gli trasmetteva insieme ad una fitta di dolore, un mal di testa che sopportò. 
Sergio tornò a sedersi nella sedia accanto al letto, si asciugò le lacrime in modo infantile e si abbassò la mascherina chirurgica dal viso, cercò nelle tasche sotto il camice cercando un fazzoletto che trovò, si soffiò il naso e si diede contegno, poi schiacciò il pulsante rosso dal telecomando appeso alle spondine del proprio letto.
- Hai avuto un incidente, Leo. Un bruttissimo incidente. Prima c’era Antonella, le ho dato il cambio perché ora è a casa coi bambini. - Sergio si perse in dettagli che naturalmente voleva sapere, ma non tanto quanto la cosa più essenziale. 
Voleva parlare e chiederglielo, ma non riusciva a farlo, la maschera d’ossigeno sulla faccia glielo impediva e forse anche le corde vocali erano un po’ atrofizzate.
Lo fece con gli occhi mentre la paura subentrò lenta e strisciante, ricordandosi di quella del sogno. Era la stessa, in realtà.
Deja-vu.
Leo implorò Sergio con lo sguardò, lo supplicò di dirglielo. Doveva saperlo, doveva.
“Ti prego, ti prego Kun, dimmi cosa ci faccio qua. Ti prego. Ti prego.”
Sergio lo guardò, capì perfettamente cosa stava chiedendo e tornando a prendergli la mano, intrecciò le dita come nel suo sogno, come una coppia di fidanzati, fregandosi altamente di quello che erano realmente e che potevano e non potevano. In quel momento i confini ed i limiti non c’erano. 
Lo guardò dritto negli occhi e con una calma e forza che successivamente lui stesso non sapeva dove avesse tirato fuori, disse: 
- Sei stato investito da un furgone, eri molto grave, sei quasi morto. Sei stato sotto i ferri per molte ore. Ti hanno salvato, ma per le gambe non c’è stato niente da fare, Leo. Mi dispiace. 
Il mondo si fermò, lui si fermò. Le proprie funzioni vitali. Non sentì più i BIP del macchinario, seppure ci fossero ancora. Ma il suo udito si annullò focalizzandosi completamente sulla voce di Sergio. 
Con lo sguardo più grave e dispiaciuto del mondo ed una calma che non gli aveva mai visto addosso, non a lui sempre con l’argento vivo ed un’allegria contagiosi, concluse. 
- Dicono che non camminerai più, la tua spina dorsale era troppo danneggiata. Mi dispiace da morire. 
Non sentiva nemmeno più la sua mano sulla propria. 
Non sentiva niente. La sua voce sfumò, il mondo si annerì e tutto divenne un buco nero, un enorme buco nero che risucchiava la vita.
Un buco nero che risucchiò la propria vita in un attimo. Una vita finita. 

Come si dice alla persona che ami, la persona più importante della tua vita, che non camminerai mai più? Che non potrai più fare ciò che è sempre stato tutto per te?
Sergio se l’era chiesto per ore senza saper come fare, senza riuscire nemmeno ad immaginare le parole per dirglielo, tanto che non era nemmeno stato capace di guardarlo in viso, ad un certo punto.
Ma alla fine, semplicemente, l’aveva fatto.
Le parole erano uscite da sole. 
Crudeli, calme, agghiaccianti. 
Sergio vide gli occhi di Leo farsi prima enormi, poi vuoti. Come se la luce della vita avesse per un momento abbandonato la sua persona. Si spaventò, si alzò di scatto in piedi e si chinò su di lui, gli strinse forte la mano, un’altra sul viso ad accarezzarlo, i battiti sul monitor indicarono un’accelerazione netta, così come la pressione presa in quel momento era alta.
In quel momento arrivarono gli infermieri, non era passato che qualche minuto, nella realtà, ma gli sembrò un’eternità. 
Li sentì dire qualcosa a proposito di un’altra emergenza, poi qualcuno gli chiese di uscire, Sergio balbettò qualcosa a proposito del suo risveglio e della notizia.
Sapeva che avrebbe potuto lasciare la bomba ai professionisti, ma aveva pensato che almeno questo glielo dovesse, a Leo. 
Farglielo sapere da qualcuno che lo amava, che lo conosceva. 
Non sapeva dove aveva trovato il cuore per farlo, ma c’era riuscito e appena fuori rimase davanti alle porte a vetri a guardare gli infermieri adoperarsi per lui, prendendogli i parametri e iniettargli qualcosa in vena. 
L’ansia salì, si sentì vicino ad un collasso, rigido come il marmo, in procinto di cadere per terra svenuto. 
Ma rimase lì, stoico, trovando la forza dentro di sé, una forza che non aveva mai saputo di avere. Una forza inumana. Quella forza che hai e che tiri fuori solo quando serve, quando serve realmente. 
Una forza che, ora lo sapeva, avrebbe avuto per tutto il tempo che sarebbe servito. 
Guardò l’ora e valutò se dire a qualcuno del suo risveglio, poi notò che anche se con gli occhi aperti, dopo la notizia non sembrava stare bene. Capì che in quelle condizioni emotive non sarebbe stato in grado di vedere nessuno. Non avrebbe voluto.
Così decise di aspettare l’indomani mattina per avvertire Antonella e gli altri. 
Decise di dargli ancora qualche ora di tregua dalla vita, dalla realtà che presto l’avrebbe risucchiato come un buco nero, senza lasciare niente se non angoscia e dolore. 
Lo stesso che ora gli attanagliava lo stomaco in una morsa di ferro, fino a fargli male, un male che non avrebbe mai dimenticato. 
Quella era paura. 


- E se non si sveglia più? Se i medici non hanno detto la verità o se si sbagliavano? Si sbagliano spesso alla fine. 
La voce di Rafa raggiunse sia Cristiano che Neymar, il quale si svegliò proprio su quella frase dopo che, finito il film e dopo ore di una posa statica per non svegliare il ragazzo su di sé, decise di muoversi.
- Ti sembrano cose da dire? - fece brusco Cristiano fissandolo torvo, come se avesse appena bestemmiato.
Era ancora nell’estasi magica del film, quando alla fine dell’impresa titanica di Niki Lauda tutto sembra possibile perché lui ce l’ha fatta. 
Non capì nemmeno come gli poteva venire su una cosa simile proprio ora, alla fine di un film del genere, così bello. 
Rafa si strinse nelle spalle stiracchiandosi e allungando le gambe anchilosate mentre Neymar si raddrizzava assonnato, strofinandosi gli occhi. 
- Dobbiamo pensarci, prima o poi. Pensiamo che la cosa più grave sia che non camminerà più, ma se invece rimane in coma? 
Neymar guardò Rafa realizzando che non aveva sognato una frase simile, che l’aveva detta davvero. 
E lo guardò come faceva Cristiano, con l’aria da ‘ma sei pazzo?’
- No, invece! - sbottò Cristiano alzandosi e gettando con un gesto di stizza la coperta. - Finché una cosa non succede è inutile pensarci! Ora come ora abbiamo solo le parole dei medici e nessuna ragione per non crederci! 
Era la prima volta, quella sera, che era seccato ed alterato. Rafa pensò che fosse al suo limite di sopportazione, qualunque motivo avesse lui per sopportare tutto quello. 
- La ragione è che non ci sono ancora notizie, dorme troppo! 
- E che ne sai tu? Hai tanta esperienza di gente in quelle condizioni? 
- Hanno detto che si sarebbe svegliato da solo in qualche ora, è notte! - gli fece notare senza paura Rafa, stufo anche lui di essere il mediatore comprensivo.
- Cristo Santo, non è già abbastanza grave la sua paralisi? Vuoi metterci anche il coma, adesso? Io non ce la faccio, adesso. Non riesco a pensare anche a questo. Proprio non... 
Rafa non lo fece finire, mettendosi a sedere in punta per proseguire il discorso, arrabbiato e acceso a sua volta, come se avessero già litigato prima per questo. 
- Il fatto che VOI non ce la fate non significa che la realtà non sia una merda! Leo non camminerà più e non si è ancora svegliato. È questa la verità, che vi piaccia o no! 

Ed eccolo lì a perdere la pazienza come spesso succedeva. Era rimasto calmo per troppo tempo, sforzandosi contro il suo essere polemico per partito preso. Rafa sapeva di essere ingiusto con loro, perché ognuno reagiva come voleva, ma era stufo di aspettare interminabili ore in un’incertezza che sembrava sempre più tragica. Tutti nascondevano la faccia sotto la sabbia, come se questo li proteggesse da chissà cosa. Anche Cristiano, ora, ci si metteva.
Lui aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma sembrava che fosse tabù e non ne poteva più nemmeno lui. 
- La verità è che si sta per svegliare e avrà la notizia peggiore che un calciatore potrebbe ricevere! È il più bravo del pianeta, il più bravo di sempre, e da ora non sarà più niente! Tu non capisci come si sentirà, io sì! 
Non era stato per niente delicato nell’insinuare che solo lui poteva capirlo perché era l’unico bravo come Leo, visto che Rafa non era niente a confronto. 
Non si era sentito offeso per questo, era vero dopotutto. Gli dava fastidio che facesse finta anche lui che il suo coma non fosse una reale possibilità. 
Lui doveva parlarne e con Neymar era impossibile. 
- Tu non puoi sapere se si sveglierà presto! Che cazzo facciamo se resta in coma? - proseguì come un toro contro il suo drappo rosso, i toni sempre più accesi.

- Io lo so e basta! - alzò la voce Cristiano, col sangue al cervello, la pressione alle stelle. Sentiva le vene pulsare nelle orecchie, il cuore in gola, la rabbia ribollirgli nelle vene. Una tale rabbia da voler spaccare qualcosa, magari la faccia di Rafa che se ne stava lì impertinente a sfidarlo. 
Perché non capiva? Nessuno capiva come si sentiva, nessuno capiva un cazzo!
Nessuno capiva che ora come ora l’unico che poteva sapere come si sentiva Leo era lui, perché nessuno era come lui e gli sembrava di impazzire e voleva gridare e Rafa lo sfidava.
Si misero a litigare alzando la voce a vicenda e nessuno dei due sentì il campanello di casa, nessuno notò Neymar alzarsi come un automa ed andare ad aprire. 
- Non lo sai, non sei Dio, non sei il più forte di tutti, sei solo uno dei più forti! Non porti alcun peso inumano sulle spalle, sei come gli altri! Se lo capissi ti sentiresti meglio! - gridò Rafa a tu per tu con Cristiano, in piedi davanti a lui. Mentre la voglia di dargli un pugno lo stava dilaniando. I muscoli tesi, le mani strette lungo i fianchi, la mascella contratta.
- Non puoi proprio capire, non capirai mai, nessuno capirà mai un cazzo di cosa significa la pressione che hanno le persone come me e Leo! Oh ma che te lo dico a fare! 
Così dicendo ruggendo, si girò per andarsene a sbollirsi da un’altra parte, ma proprio sull’uscio della porta del soggiorno, con la voglia di gridare e sbattere la testa contro il muro, si scontrò quasi con Ricardo, il quale bloccò la sua fuga senza nemmeno toccarlo.
E lui lì, fermo, in silenzio, gli staccò la spina. 
La sua sola presenza, tanto bastò a far straripare il fiume e, finalmente, portare la pace. 
Cristiano si appese al suo collo nascondendo il viso e lasciò andare le lacrime come se non ne potesse più. Come se tutto il suo tener duro fosse solo per quello, per aspettare lui. 
Riky gli cinse le spalle con le braccia, affondò le mani sulla nuca e gli carezzò il collo e con una dolcezza infinita gli sussurrò all’orecchio, baciandoglielo delicatamente. 
- Ci sono io, adesso. Andrà tutto bene. - e no, non poteva saperlo. Nessuno poteva. Ma si sentì come se fosse vero. In qualche modo lo sapeva, lo sentiva. Ne era certo. 
Riky era arrivato, ce l’avrebbe fatta. Avrebbe potuto affrontare tutto, qualunque cosa, anche il coma di Leo.