*Mentre Leo in ospedale è alle prese con la notizia peggiore di tutte e Sergio è deciso a lasciargli tregua dal mondo e mantenere il silenzio con chiunque fino al mattino, Riky è arrivato da Cristiano e Neymar ed anche se non ha una bacchetta magica, è quasi come ne abbia una. È ora della notte, è ora di affrontare questioni sepolte da tempo per tutti e quattro, emozioni che non si possono più ignorare, mentre si guariscono a vicenda e si ricaricano. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO 11:
LIBERTÀ

criska neyfinha

“Quando provi a fare del tuo meglio ma non ci riesci
Quando prendi quel che vuoi ma non quello di cui hai bisogno
Quando ti senti così stanco ma non puoi dormire
Torna indietro
E le lacrime iniziano a scorrere sul tuo viso
Quando perdi qualcosa che non puoi riavere
Quando ami qualcuno ma va tutto in fumo
Potrebbe andare peggio?
Le luci ti guideranno a casa
E infuocheranno le tue ossa
E io cercherò di consolarti
Lassù e quaggiù
Quando sei troppo innamorata per lasciar perdere
Ma se non provi non lo saprai mai
Che importanza hai“
/Coldplay - Fix you/


Non sapeva come si sentiva realmente. Sapeva solo di avere freddo, un freddo che niente riusciva a cancellare. 
Quando aveva visto Riky davanti casa sua si era sentito assurdamente meglio, aveva come percepito che lui in qualche modo sarebbe riuscito ad aiutarlo. 
Perché lui era il suo fratellone, il suo idolo, la sua guida. Di calciatori brasiliani bravissimi ce n’erano moltissimi nella storia del calcio, ma solo Ricardo Kakà se l’era preso sulle spalle e l’aveva guidato in tutti i modi, ogni volta che aveva potuto. Lui era stato l’unico a cui era importato qualcosa.
Si sentivano spesso al telefono, ci teneva veramente e quando era successa quella tragedia, aveva chiamato Riky, appena era riuscito a mettere insieme due ragionamenti sensati, e lui gli aveva detto che stava venendo lì. Era stato un sollievo assurdo sapere che sarebbe arrivato e si era come congelato.
Lui è Riky, sa sempre cosa fare, cosa dire. Ha sempre delle parole sagge e sacre da dire, sa sempre come comportarsi. Basta aspettare lui e tutto andrà meglio. 
In qualche modo era stato così, non aveva capito cosa e come, ma aveva iniziato a sentire che tutto stava andando meglio appena il suo dolcissimo viso sorridente aveva varcato la soglia di casa, superando l’ombra che c’era all’esterno. Con una dolcezza infinita, proprio come se fosse suo fratello per davvero, l’aveva abbracciato e le sue braccia avevano iniziato a scaldarlo. Poi le urla dal salone li avevano distratti e Riky si era come connesso su un’altra linea. Quella di Cristiano. 
Appena se l’era trovato davanti, anche per lui era stato lo stesso. Come avere una specie di dio, un dio di qualche tipo, un angelo, un santo, qualcuno con dei poteri sacri, comunque.
Aveva abbracciato Cristiano appena esploso con Rafa e si era calmato subito. Vederlo piangere appeso al suo collo gli aveva fatto impressione.
Erano tutti così bravi a parlare di come si sentivano, delle loro paure e dei loro dubbi. Oppure a mostrare i loro sentimenti, le loro emozioni, la rabbia, la paura, la tristezza. 
Ma lui? Lui cosa provava? Cosa sentiva?
Aveva sentito il bisogno di toccare Riky anche lui per riprovare quel senso di sistemazione, ma non aveva osato. Si era sentito solo, malinconico e abbandonato, ma Rafa l’aveva raggiunto e l’aveva sgomitato indicando col mento i due ragazzi abbracciati. 
- Avresti mai detto che il grande ed impavido CR7 sapesse piangere così? - gli sussurrò all’orecchio. Neymar rabbrividì al contatto delle sue labbra sulla pelle sensibile e ridacchiò più perché probabilmente qualunque cosa aveva detto doveva essere divertente, ma non perché l’aveva registrata realmente. Aveva registrato solo ed esclusivamente la sua bocca sull’orecchio. 
E il piacere. Adesso per lo meno provava qualcosa, finalmente. Sapeva precisamente di cosa si trattava. Piacere senza ombra di dubbio. Nel gesto di Rafa nei suoi confronti. 
“In qualche modo mi ha sbloccato Riky, forse mi ha calmato, mi ha tranquillizzato. La sua sola presenza ha fatto una magia.”
- Vieni, andiamo a dormire che è tardi. Ormai avremo notizie domani mattina. - disse Neymar prendendo Rafa per il braccio e trascinandolo verso le scale e la relativa zona notte. 
- Ma come? Riky è appena arrivato, ha viaggiato 11 ore... - oppose resistenza cercando di non farsi portare via, ma Neymar sbuffò dandogli uno scappellotto sulla nuca in quelli che normalmente erano i loro modi di interagire. 
- Sei un idiota, non li vedi che non c’è più spazio per nessuno? Hanno bisogno di stare soli! 
- Ma stanno insieme? - chiese Rafa cadendo dalle nuvole. Neymar alzò le spalle e continuò a trascinarlo via a forza, mentre lui cercava di vedere come finiva fra i due, curioso come una scimmia. 
- Non lo so, ma mi sembra abbastanza evidente! 
Non conosceva quasi per niente Cristiano, ma quella reazione era semplicemente incredibile. 
- Riky è venuto qua praticamente solo per Cristiano e guarda lui come piange appeso al suo collo. Insomma, sono palesi! 

Rafa dovette arrendersi all’evidenza, gli dava fastidio ammetterlo, ma Neymar aveva ragione. Non che glielo avrebbe mai detto, naturalmente. Guai!
- E comunque dove mi stai portando? Io ho una casa, posso andarmene, finalmente! 
Rafa si divincolò con un gesto di stizza, perché appena arrivato Riky quello era tornato da zombie ad umano, mentre tutto il tempo lui non ci era minimamente riuscito a fargli avere quella reazione. 
Neymar lo guardò stupito, era così ovvio, che domande erano? 
- Dormirai qua con me, no? 
Rafa impallidì e lo guardò come se fosse matto. Dormivano insieme le serate prima delle partite, quando erano in trasferta perché poi in casa stavano nel dormitorio del centro sportivo del Barcellona e lì ognuno aveva una camera propria. Ma quello era diverso.
Era un altro contesto. Erano a casa e non c’erano partite di mezzo. 
- Per... perché? - chiese infatti nel panico, cercando di mascherarlo e riuscendoci male. Neymar alzò le spalle riprendendolo per la mano, non più per il braccio. 
- Come perché? Perché sei stato con me tutto il giorno, che senso ha che te ne vai? 
Continuava a non capire la sua logica e Rafa, sia pure a malincuore, sfilò ancora via la mano dalla sua, piazzandosi ben fermo lì in mezzo al corridoio, per niente intenzionato a fare come diceva lui. Non esisteva che faceva come diceva quello scemo. Non funzionava così fra loro. Normalmente litigavano tutto il tempo e si riempivano di dispetti, nessuno di loro due mai faceva ciò che diceva l’altro. 
- E invece non ha senso, smettila di dire cazzate! Sei stato tutto il giorno uno zombie, ho provato di tutto per farti reagire, ora arriva Riky e torni umano e cosa vuoi da me? Perché dovrei dormire con te? Ormai stai bene, no? Hai il ‘fratellone!’ - mimò il modo in cui Neymar chiamava Riky amichevolmente e solo troppo tardi si rese conto che quello suonava come gelosia. Si morse il labbro sperando che quello scemo non se ne accorgesse, visto che era drammaticamente vero. Neymar infatti tornò a prenderlo per mano, ma non lo tirò usando la forza come prima. rimase lì solo con la mano nella sua e lo guardò implorante, con due occhioni verdi da cucciolo smarrito. 
- Ma io non voglio dormire da solo stanotte. 
Rafa si sentì sciogliere e proprio quando stava per cedere, quell’altro fenomeno aggiunse spontaneo: - Riky è di Cris, ti prego... - a quello tolse di nuovo la mano dalla sua, di scatto, con una piccola ferita che si stava aprendo sul serio dentro di sé. Di quelle ferite inequivocabili, specie se venivano dopo una giornata come quella, passata completamente a sostenerlo. 
- Beh dovresti metterti in fila davanti alla loro porta, magari quando finisce con lui ne ha un po’ anche per te! 
Con questo si girò e si avviò realmente verso l’uscita. Neymar ci mise un po’ a reagire perché probabilmente non aveva afferrato subito la questione, era quasi arrivato alla porta, stava recuperando le proprie scarpe abbandonate come gli altri all’ingresso, quando le sue braccia lo circondarono da dietro, strisciando decise intorno al suo torace da sotto le braccia. La sua bocca sull’orecchio gli sussurrò: 
- Ma io voglio te stanotte. Ti prego, Rafa... 
Rafa voleva cedere ai brividi di piacere, ne aveva molti e tutti scaturiti da lui in una sola volta. Con una potenza senza pari. Si sentì l’erezione dura fra le gambe. Cercò di domare il suo respiro e girando la testa a metà verso il suo viso, se lo ritrovò a pochi centimetri, a portata di bocca. Un soffio e l’avrebbe baciato. 
- Solo perché non puoi avere Riky. - puntualizzò pensando che adesso se ne sarebbe andato comunque. Peccato che il suo corpo non sembrava per niente convinto di farlo. 
- Avrei voluto comunque te. Voglio parlare con Riky, ne ho bisogno. Per me lui è come un fratello, la mia guida. Però posso farlo anche domani. Stanotte non posso stare senza di te. Ti prego Rafy... - lo pregò ancora, aderendo completamente al suo corpo. Il suo petto sulla schiena, il bacino contro i glutei, la bocca a baciargli il collo, deviando di pochissimo la sua bocca. 
“Peccato.” Pensò Rafa rendendosi ormai chiaramente conto che era dannatamente attratto da lui. 
“Magari mi vendico trombandolo!” 
Lo aggiunse senza troppi problemi. Non aveva mai avuto quel genere di pensieri verso di lui, anche se il loro rapporto era sempre stato ambiguo e particolare. Molto simbiotico. Però averne ora non lo turbava, era stato estremamente spontaneo pensarlo.
Così sospirò e scuotendo il capo rispose come se gli facesse un enorme favore: 
- E va bene, rimango stanotte. Certo che sei proprio un bambino viziato! 
Neymar si illuminò a gli baciò la guancia stringendolo più forte. 
- Grazie! 
Ma dopotutto era così bello farlo contento, che poteva farci? In fondo gli piaceva viziarlo. 


Era stato come spezzare delle catene che lo imprigionavano e lo obbligavano a fare cose che in realtà non voleva, ma che sentiva di dover fare. Appena Cristiano aveva visto Riky si era sentito libero, finalmente libero di essere realmente sé stesso e fare quello che voleva, che sentiva, di cui aveva bisogno. 
Piangere come un bambino appeso al suo collo, piangere fino ai singhiozzi, l’aveva sconvolto in tanti modi fino a farlo rinascere. Alla fine di un lunghissimo momento che non aveva saputo quantificare, era riemerso dal suo abbraccio sentendosi un disastro, col viso pasticciato di pianto, rosso e il naso sporco come quello di un neonato; eppure, nonostante quello, stava meglio. 
Sciolto, leggero, libero. 
Prima di farsi vedere meglio in viso, Cristiano sgattaiolò via da lui per rifugiarsi in bagno a lavarsi la faccia e ricomporsi. Si gettò dell’acqua fredda e rimase con le mani bagnate premute sugli occhi, sperando di sgonfiarli un po’. Quando si guardò si trovò comunque pietoso e imprecando cercò in ogni anfratto del bagno di Neymar qualcosa che potesse aiutarlo a mascherare il rossore ed il gonfiore, qualcosa che nemmeno lui sapeva bene cosa potesse essere perché non aveva le idee chiare. In ogni caso non trovò niente e sospirando spazientito mandò mentalmente a cagare quel bambino che amava tanto conciarsi come un pagliaccio con vestiti e capelli allucinanti, ma non si prendeva minimamente cura della sua pelle. 
“In camera ho qualche prodotto, ma se adesso esco e torno a nascondermi in camera lasciando Riky in attesa che mi ricomponga e mi renda presentabile, è poco carino da parte mia.” Alla fine sospirò per l’ennesima volta, arrendendosi. 
La propria immagine era orribile, ma era quello che era. Riky l’aveva comunque già visto in condizioni pietose per non parlare di quel pianto infantile appena avuto. 
C’era poco da fare, dopotutto. 
- Cris? Tutto bene? 
La sua vocina dolce lo raggiunse da fuori la porta. Cristiano trasalì imprecando, lanciò un’ultima occhiata allo specchio e dandosi del ‘cesso ambulante’, si arrese ed uscì.
- Sì, scusami... 
Guardò come prima cosa il colletto della sua maglia, dove gli aveva pianto miseramente e si assicurò di non averlo sporcato. Delle macchie si notavano, sperando fossero solo lacrime e non muco gli passò la manica della propria maglia usandola come straccio, poi gli tirò la stoffa e finalmente si decise a guardarlo in viso. 
- Che sceneggiata, eh? - tento di prendersi in giro per sdrammatizzare e riprendere un po’ della propria immagine stoica a cui era affezionato.
Tornava di nuovo a sentirsi in catene, ma erano le catene che si auto infliggeva, così come il correre in prima linea di fuoco. Nessuno glielo chiedeva, si costringeva da solo. 
Riky sorrise dolcemente, paziente. Era di nuovo lì davanti a lui senza schermi e monitor a separarli. Quando era stata l’ultima volta che l’aveva visto? Realizzando che era molto più di quanto avrebbe voluto, l’emozione salì in un’ondata di calore che lo gettò di nuovo in confusione. Su tutte le creature dell’universo, lui era l’unico con quel potere. Nessun altro ci riusciva  a trasformarlo in un completo imbecille di quel calibro. 
“Che idiota che sono!”
Pensò agitato. 
Era sempre bello come lo ricordava, ma dal vivo era anche meglio. La dolcezza dei suoi lineamenti, in certi tratti anche femminili, un po’, come quella bocca carnosa che l’aveva sempre fatto impazzire. 
Quegli occhi neri e dolci, dolce come il suo sorriso. 
Puro. 
Non ci mise che qualche minuto a pensarlo con una lucidità che non aveva ancora avuto il coraggio di avere.
“Lo amo da morire. Con lui io guarisco da ogni male, mi rende addirittura migliore, mi sento libero di essere me stesso. Lo amo, non ho mai amato nessun altro e lo so da una vita, ma adesso non posso proprio nasconderlo.”
Ricordò che prima l’aveva detto a Gerard senza rendersene nemmeno conto, più per zittirlo e farlo andar via che altro. Ma una parte di sé sapeva che era vero. Lo sapeva. 
L’aveva sempre saputo e non aveva visto l’ora di poterlo dire a qualcuno. A Gerard andava bene, tanto non si sarebbero più visti se non in campo. 
Dolcemente Riky appoggiò una mano sulla sua guancia ancora calda di pianto, quel contatto lo riscaldò immensamente e tornò a sentirsi leggero e libero. 
Si sentì migliore, si sentì bene, si sentì curato, sistemato, aggiustato. 
Non riuscì a dire niente, ma non trattenne un altro abbraccio e questa volte senza lacrime. Un abbraccio sincero, spontaneo, di gratitudine. 

Non aveva minimamente immaginato che venendo lì avrebbe trovato Cristiano in quelle condizioni, eppure forse sì. O perché farsi un volo oceanico di 11 ore per vederlo?
Certo, ci teneva a salutare Leo quando sarebbe stato meglio, ma di sicuro non sarebbe successo in tempi così brevi. Originariamente, il suo primo pensiero non era stato di venire lì a Barcellona immediatamente. Si era prefissato di venirci, un giorno, ma non così presto perché sapeva che sarebbe stato difficile all’inizio per Leo. Però appena aveva sentito Cristiano dire che ci andava immediatamente, aveva capito che doveva farlo subito. Non aveva avuto esitazione, era stata una di quelle consapevolezze granitiche innate, come quando sapeva che se parlava guardando in alto, Dio era lì e l’ascoltava. 
Appena gli si era appeso al collo piangendo in quel modo aveva capito il motivo per cui l’aveva fatto. Una parte di sé aveva già capito che Cristiano sarebbe stato così male d’aver bisogno di lui e con una presunzione che nonostante le apparenze era tipica sua, aveva saputo immediatamente che doveva essere lui. Cristiano aveva bisogno di lui e nessun altro. 
In attesa fuori dalla porta del bagno, dove si era rifugiato per sistemarsi, ripensava all’ultima volta che si era sentito così in subbuglio, così emozionato. A Madrid, compagni di squadra, si era sentito spesso così, tutte le volte che se l’era ritrovato nudo davanti o che avevano dormito insieme. Per non parlare di quando si erano abbracciati per le più svariate motivazioni, spesso per qualche goal di Cristiano. Ma l’ultima, veramente l’ultima era stata quando si erano rivisti qualche mese prima, durante la pausa estiva, alle prime settimane di Luglio, Cristiano era andato in America da lui a trovarlo, con la scusa di una vacanza a Miami. Così vicino a dove viveva lui, ad Orlando, sempre in Florida. Perciò perché non  approfittare? Avevano fatto due giorni insieme in barca, stranamente soli, stranamente emozionante ed imbarazzante, ma bello come essere ubriachi. Indimenticabile. Stordente. Quel senso di subbuglio che provava ora, l’aveva vissuto per tutte le 48 ore con lui sul suo yacht mentre non era mai riuscito a fargli la domanda fatidica. 
‘Perché solo io e te e non qualche altro amico comune?’ 
Non gliel’aveva mai fatta perché aveva avuto paura della risposta, ma aveva provato quelle stesse emozioni di ora, quelle che provava sempre. Come se fosse convinto che sarebbe potuto succedere qualcosa da un momento all’altro, col conseguente terrore visto che lo voleva e ne aveva una paura infinita. Non poteva ed era assurdo pensare che solo per il semplice fatto che Cristiano fosse gay, allora dovesse per forza interessarsi a lui. Non esisteva, era presuntuoso, come lo era sempre stato, sotto sotto, oltre gli spessi strati di gentilezza e finta perfezione. Era egoista e presuntuoso. 
Cristiano segretamente innamorato di lui? Dai, come poteva essere? E poi anche se fosse stato a lui non poteva importare. All’epoca, solo tre mesi prima, stava disperatamente cercando di ricucire la sua relazione con Carol dopo la precedente separazione. Convincerla che l’amava, che amava lei, era diventato sempre più difficile e sparire con un altro proprio nel mezzo di quel difficile processo, non era stata una grande idea. Specie alla luce del fatto che poi Carol l’aveva definitivamente lasciato un mese dopo. 
Riky ripensò a come era tornato a casa dopo quei due giorni con Cristiano e a come era scoppiato in lacrime dicendo che non l’amava più perché amava un altro. A quel punto era diventato impossibile fingere con sé stesso prima e con lei poi. 
Riky alzò le mani vedendo che tremavano. 
Le stesse mani che appena si erano posate sul viso di Cristiano, poco dopo, per accarezzarlo, erano tornate ferme e calde. 
L’effetto che gli faceva Cristiano, che gli aveva sempre fatto, non era mai cambiato. Era sempre lo stesso. Potevano passare mesi e forse anni, i chilometri a separarli potevano aumentare, ma l’effetto non sarebbe mai cambiato. 
Eppure adesso era diverso, no? 
Adesso era libero, libero di essere veramente sé stesso. 
E poi era diverso anche per un altro motivo. 
Perché ora lì, davanti a Cristiano dopo tutte le tribolazioni passate a contrastare ciò che era e provava, intestardendosi in una strada ‘più giusta’ con Carol, finalmente si sentiva aggiustato, sano, a posto. Nel suo posto più giusto. Accanto a lui.