*Luci tutte su Sergio e Leo, il capitolo inizia con un flashback sulla prima volta che i due ragazzi si sono visti. Avevo letto qualcosa a proposito, sul fatto che era stato l'allenatore della nazionale argentina giovanile a spingere Sergio a diventare amico di Leo per far sì che i rispettivi difetti venissero migliorati dall'altro, immaginando anche che insieme sarebbero stati fortissimi. Poi vediamo nel presente un po' di uno e dell'altro. Finalmente ascoltiamo Leo, ma non sarà facile, quel che sta vivendo metterebbe a dura prova chiunque, nessuno ne esce indenne. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 16:
TREGUA DAL MONDO
“Per favore mettimi a letto
e spegni la luce
Stringi le tue mani
Dammi un segno
Fai tacere le tue bugie
Rimani qui vicino a me
Non ascoltare quando grido
Seppellisci i tuoi dubbi
E cadi addormentato
Trova
Io ero un brutto sogno
Lascia che le lenzuola
Asciughino le mie lacrime
E guarda l’unica via d’uscita sparire
Non chiedermi perché
Baciami, addio
Mai e poi mai
Addio
Mai e poi mai
Addio”
/Apparat, Soap & Skin - Goodbye/
Ne aveva sentito parlare molto come il nuovo fenomeno nascente del calcio, ma non l’aveva mai visto di persona. Ora che ce l’aveva capiva meglio perché tutti non facevano che parlarne.
Lui era incredibile e la cosa più pazzesca era che con la palla al piede era ancora più veloce che senza.
Quel ragazzino aveva una velocità normale, ma quando avanzava con la palla sembrava un treno. Per non parlare di come dribblava. Da che vedevi la palla, a che non c’era più.
Non aveva mai visto una cosa simile, Sergio l’aveva capito subito che quello era diverso. Nonostante la bassa statura era un autentico fenomeno. Anche lui era basso, forse poco di meno rispetto a lui, e si riteneva sufficientemente bravo a calcio, ma non c’erano paragoni con lui, lo sapeva.
- Lo vedi? - gli disse il mister facendolo saltare per lo spavento. L’uomo alle sue spalle indicava proprio il ragazzo che stava fissando esterrefatto.
- Lionel Messi? - chiese senza staccargli gli occhi di dosso, ipnotizzato dai movimenti che faceva nell’esercizio di corsa e dribbling.
- Voglio che provi a fermarlo. - Sergio lo guardò di scatto come se fosse impazzito.
- Sei matto?! - esclamò immediatamente, estremamente sincero e senza peli sulla lingua. L’allenatore lo guardò serio, senza offendersi.
- No, sono serio. Nel prossimo esercizio ci saranno i contrasti, voglio che tu provi a fermarlo a tutti i costi.
- Perché dovrei? - chiese contrariato Sergio il quale non sentiva molto l’autorità degli adulti. Francisco Ferraro, l’allenatore della nazionale argentina under 20 di quel lontano 2005, lo guardò sorpreso di quella domanda.
- Come perché? Innanzitutto perché te lo dico io e poi perché tu sei uno dei più forti e voglio capire se riesci a fermarlo, a che livello siete. E poi non si fanno queste domande, si fa e basta! - parlando si era un po’ inalberato, ma non perché fosse arrabbiato sul serio, bensì perché lo reputava una gran faccia tosta. Alla prossima gli avrebbe dato uno scappellotto!
Sergio si affrettò a spiegare il suo punto di vista, capendo che se l’era presa.
- Ma guardalo! È impossibile fermarlo!
- Ma ci devi provare lo stesso! - esclamò Ferraro. Sergio sospirò poco convinto stringendosi nelle spalle, tornando a guardare Leo che ripeteva l’esercizio della corsa e del dribbling nel modo più perfetto mai visto.
- Ho capito, ma più che contrastarlo sarà meglio che ci gioco insieme! Tanto quello lì è impossibile fermarlo, te lo dico io! - Sergio non aveva paura di niente e nessuno ed era polemico di natura, era sfrontato ed avventato, tutto l’opposto di Leo che, finito l’esercizio per la seconda volta, li salutò con un’espressione timida e si mise in fila dietro agli altri compagni che parlavano e scherzavano fra di loro, escludendolo.
- Mmm... - fece allora il mister massaggiandosi il mento pensieroso, guardando Leo isolarsi con la palla al piede che portava avanti. - Mi hai dato un’ottima idea. - proseguì con sempre più convinzione. Sergio lo guardò senza capire, Ferraro gli diede una manata sulla schiena facendogli un gran male. - Lascia perdere i contrasti, non serve che provi a fermarlo! Voglio che diventi suo amico! - Sergio strabuzzò gli occhi incredulo che gli dicesse una cosa simile, ma lui ne era veramente convinto.
- Scherzi? - l’uomo scosse il capo, gli mise una mano sulla spalla e strinse la presa guardandolo deciso negli occhi.
- No, sono serissimo! Voglio che diventi suo amico. Siete uno l’opposto dell’altro, tu sei troppo sfrontato ed indisciplinato, lui è troppo chiuso e timido. Insieme vi influenzerete a vicenda positivamente e potrete migliorare anche da un punto di vista calcistico! Voglio che diventate la coppia d’oro dell’Argentina! Avete la stoffa, vi migliorerete a vicenda se collaborerete! - più ne parlava, più ne era convinto tanto che Sergio capì che non avrebbe più cambiato idea e sconsolato gli chiese:
- Queste cose non si comandano, non sono facili... come dovrei fare, secondo te? - per il mister non era un problema, sapeva che con la sua capacità socievole avrebbe comunque fatto amicizia presto con lui.
- Innanzitutto diventate compagni fissi di stanza. - Sergio pensava scherzasse. - Da oggi sarete compagni, sono serio. E poi voglio che tu lo coinvolga in tutte le cazzate che ti saltano in testa. Vedrai che in pochissimo legherete! Siete perfetti uno per l’altro!
Sergio era convinto fosse la cazzata più assurda mai sentita. Come si poteva stabilire di diventare amici? E soprattutto come si poteva vedere se due erano fatti uno per l’altro? Non erano mai stati insieme, non si conoscevano e lui si era già fatto dei film.
Convinto che sarebbe stato un fallimento totale e che non sarebbero nemmeno mai stati in grado di collaborare, Sergio decise di accontentarlo comunque perché tanto non gli sarebbe costato niente.
Così annuì.
- E va bene. - Francisco Ferraro sorrise fiero della sua idea, convinto che un giorno il mondo intero l’avrebbe ringraziato per la visione che aveva avuto e per quella coppia d’oro che gli stava per regalare.
E ci aveva visto giusto.
Un giorno il mondo l’avrebbe ringraziato per avergli regalato uno dei duo più forti del calcio, ma soprattutto loro due gli sarebbero stati grati. Per avergli regalato un compagno per la vita, qualcosa che non avevano ancora avuto il coraggio di definire a loro stessi, ma che sapevano essere il rapporto più importante mai avuto.
Sergio si riscosse da quel tuffo nel passato, normale pensare alla prima volta che l’aveva visto. Coincideva anche con la prima volta che l’aveva visto giocare a calcio dal vivo. I brividi l’attraversarono. Non sarebbe più successo.
Non avrebbe più giocato a calcio, non avrebbe più corso.
Erano stati uniti dal calcio e adesso cosa sarebbe successo?
L’avrebbe perso? Si sarebbero allontanati?
Improvvisamente quell’ipotesi lo gettò nel panico con un’ondata di gelido terrore, si mise a tremare. Perdere Leo.
Quella possibilità divenne in un istante talmente orribile ed inaccettabile che guardando Leo seduto sul letto dell’ospedale, ebbe un pensiero così limpido e puro che fu impossibile ignorare.
“Lo amo. E non come un amico od un fratello. Lo amo come un uomo, lo amo profondamente. Da quanto lo amo? Da una vita, forse. E perché lo capisco solo ora? Perché adesso potrei perderlo.”
Non era solo una paura infondata portata dalle forti emozioni provate. Era una possibilità concreta.
- Chiudi quella finestra, la luce mi dà fastidio. - disse atono Leo senza nemmeno guardarlo in viso. Aveva aperto le persiane della camera d’ospedale per far entrare la luce del mattino appena cominciato, ma non sembrava ben intenzionato verso quello che di solito rappresentava la vita.
Sergio rabbrividì più per il tono che per il contenuto della frase.
- Ma è una bella giornata, un po’ di luce ti farà bene... - fece mite cercando di essere il più comprensivo e paziente possibile.
- Non voglio la luce, non voglio l’aria, non voglio niente, ora. Voglio solo alzarmi e camminare. Puoi farmi camminare? - Sergio si sentì strappare via il cuore dal petto a mani nude, trattenne il fiato e sentì gli occhi pungergli di lacrime brucianti. Lo guardò, finalmente lo fissava, ma forse sarebbe stato meglio il contrario.
Era vuoto, cupo, oscuro. Non l’aveva mai visto così. Era sempre stato gentile, specie con lui. Alla mano, mite, allegro, accomodante. Era sempre stato tante cose, tutte belle e positive.
Era normale reagire male, si disse Sergio ricacciando a stento le lacrime e riabbassando un po’ gli scuri della finestra. Era normale, si ripeté.
Doveva avere pazienza e dargli tempo. Non sapeva come ne sarebbe uscito, ma sapeva che l’avrebbe fatto in qualche modo. Leo era sempre riuscito in tutto, ce l’avrebbe fatta anche ora.
Solo gli serviva un po’ di tregua, ora.
Ne aveva bisogno.
Vedendo il messaggio di Antonella che era arrivata, Sergio lo salutò.
- Tornerò in giornata. - L’amico non rispose, non lo guardò. Fissava un angolo vuoto della stanza, inespressivo, assente.
Sospirò arrendevole e se ne andò.
Era impossibile, si disse.
Era impossibile superare una cosa simile in poco tempo e da soli, non sapeva come si poteva fare. Chiunque al suo posto l’avrebbe rifiutato. Come fai ad accettare che non camminerai più? Che non potrai più essere ciò che sei sempre stato, per cui hai lottato un sacco e dato tutto te stesso?
Lo capiva bene, ma sapeva che in qualche modo Leo doveva uscirne.
“O si ucciderà. Ed io non posso vivere senza di lui.” Pensò andandosene dal reparto, andando incontro ad Antonella nel disperato tentativo di non farsi vedere sconvolto. Strinse gli occhi che gli bruciavano sperando non si notassero le lacrime che erano sull’orlo delle ciglia.
- Non è più lui, Anto. Preparati. L’ha presa male, ma era ovvio. - disse alla moglie del suo migliore amico. La donna sospirò consapevole di stare per affrontare una delle sfide più dure della sua vita.
“Lo amo.” Si ripeté lui andandosene. “Lo amo ed ora è troppo tardi per vivere questo sentimento in modo normale. Adesso niente sarà più normale. La normalità è appena stata bandita da questo mondo. Dio Santo, come siamo stupidi a perdere tempo fingendo di non vedere ciò che è evidente, a fuggire dalla pura verità, a spaventarci per delle sciocchezze. Lo amo ed adesso probabilmente è tardi perché il Leo che ho visto là dentro è appena diventato totalmente incapace di amare. Come faremo?”
Aveva camminato invece di chiamare un taxi, quasi lasciandosi trasportare da una specie di marea invisibile che l’aveva portato letteralmente a perdersi per Barcellona.
Aveva ignorato le chiamate ed i messaggi di Karina, preoccupata per il fatto che non tornava a casa.
Ma lui come poteva tornarci ora che aveva realizzato candidamente di amare Leo lo stesso giorno in cui l’aveva probabilmente perso?
Come tornare da lei, guardarla negli occhi e fare la parte del fidanzato? Come essere convincente? Lui era sempre stato spontaneo, non era mai stato in grado di mentire. La sua fortuna era stata l’ottusità. Fortuna e maledizione insieme. Così ottuso da non capire mai l’origine dei veri sentimenti per Leo, così da non dover tentare di fingere con sua moglie prima e la sua fidanzata poi. Ma forse avrebbe potuto evitare un matrimonio ed una famiglia basata su sentimenti irreali, se se ne fosse accorto subito. Tanto poi era finito comunque, pur senza la reale motivazione. Ad un certo punto si erano resi conto di non amarsi e non erano più stati in grado di andare d’accordo, lui e Giannina. Ma non aveva mai ammesso a sé stesso che il motivo era l’amore verso qualcun altro. Imperterrito poi, infatti, si era messo con un’altra donna, Karina. Proprio per dimostrare a sé stesso che con Leo era solo amico. Non l’aveva nemmeno fatto a livello conscio. Solo ora vedeva la propria storia, le proprie scelte, per quel che erano state.
“Eppure Benji è la cosa più bella della mia vita... non è giusto che la gente sia benedetta dal dono dei figli, se lo desidera?”
Il caos regnava nella sua mente, totalmente incapace di mettere insieme due parole di senso compiuto.
Al punto che finito in una delle piazze più popolari di Barcellona, una delle più belle che già a quell’ora presto del mattino iniziava a riempirsi, si sedette ai piedi di una delle fontane e scrisse a Cristiano dove era.
Ricordava a tratti le conversazioni della sera precedente e ricordava l’arroganza di Cristiano nel dire che solo lui poteva capire Leo, perché erano entrambi della stessa pasta, dello stesso mondo. Erano entrambi ad un livello tale che solo loro due si potevano capire a vicenda.
Da lui aveva avuto sincerità, aveva avuto ragione quando gli aveva detto di non lasciarlo mai solo perché si sarebbe ucciso, al suo posto.
Perciò voleva che fosse ancora crudelmente sincero. Doveva sapere una cosa importante. Ne aveva assoluto bisogno per capire se provare ad andare avanti o mollare in partenza.
“C’è speranza che Leo si riprenda emotivamente? Che torni almeno un po’, in qualche modo ciò che era? O l’uomo che ho sempre amato è morto in quell’incidente?”
Sapeva che era presto per pensare una cosa del genere, si era appena svegliato, aveva appena appreso quella terribile verità. Doveva dargli tempo, lo sapeva. Ma non poteva fare a meno di farsi lo stesso quelle domande. Aveva bisogno di una risposta sincera e il più vicino alla realtà.
Cristiano gliela doveva dare, qualunque essa sarebbe stata. Ne aveva bisogno.
Si era pentito. Una parte di lui si era pentito di avergli risposto in quel modo, ma non di cosa aveva chiesto. Non voleva vedere il giorno che si replicava mentre lui si sentiva in una notte eterna. Dovevano capirlo invece di rompergli le palle, ma nessuno poteva. Nessuno ne era in grado, nemmeno Sergio. E gli bruciava che lui non lo capisse, ma se l’avesse fatto non avrebbe aperto quella dannata finestra.
Però si era sentito lacerare dallo sguardo ferito di Sergio, pieno di lacrime. Una parte di sé. Quella stessa che appena sentito quel senso di colpa era stata rinchiusa a doppia mandata in profondità. Non poteva. Non aveva tempo anche per quello ora.
Era sempre stato giusto, giusto verso chiunque, giusto in ogni situazione, giusto per tutto e tutti. Perché era il suo carattere e perché era stato cresciuto così. Ma non poteva più, non ce la faceva. Al momento un solo sentimento regnava dentro di sé. Uno solo.
La rabbia.
Ma c’era anche disperazione, angoscia, paura, rifiuto. Una serie infinita di emozioni negative. No, non aveva spazio per la comprensione, era ora che gli altri lo capissero e se non ci riuscivano, se non potevano, allora dovevano andarsene.
Non aveva bisogno di essere spronato o compatito, ma solo capito. Però nessuno poteva, nessuno era lui o come lui e stava vivendo esattamente quel dramma. Nessuno.
Ne era assolutamente convinto.
Aveva camminato giocando a calcio, il calcio era stato il suo sogno irraggiungibile per via della sua statura ed era stato curato grazie al calcio che gli aveva dato una vita normo-dotata e non solo, anche e soprattutto il suo grande sogno.
Sentirsi realizzati è la cosa che più in assoluto si cerca insieme alla felicità e si crede che sia l’amore a poterti dare tutte queste cose, ma non è così. La verità è che se sei realizzato, se realizzi il tuo sogno più grande, allora sei felice come nemmeno amare ed essere amato può lasciarti.
Lui aveva assaggiato a lungo quel genere di stato ed ora doveva rinunciare.
Per tutta la vita aveva solo voluto essere un calciatore e sapeva che prima o poi avrebbe smesso, ma era una questione di tempo. Tempo che fino al giorno prima aveva avuto e che ora non aveva più.
Aveva programmato di essere ciò che aveva sempre desiderato per ancora diversi anni, ora invece tutto saltava per aria e doveva in aggiunta affrontare il trauma del non poter nemmeno più camminare o rialzarsi.
E sebbene Antonella parlasse di miracoli della scienza dove prima o poi ci si rialzava da una carrozzina, non sarebbe comunque avvenuto in un attimo. Ormai aveva perso.
Aveva perso la sua vita per cui aveva sempre lottato.
Aveva perso una delle cose che contava di più in assoluto.
Magari un giorno l’avrebbero guarito, ma sarebbe stato tardi.
Adesso la sola verità era l’unica che non poteva accettare, ma pur rifiutandola non sarebbe servito a niente. Perciò gli serviva un po’ di tregua. Tregua dal mondo.