*Finalmente il gruppo si decide ad andare da Leo nel disperato tentativo di aiutarlo in qualche modo, anche solo facendolo reagire. Cominciano Rafa e Neymar, ma non è facile. Certe cose ti segnano ma non solo, ti cambiano radicalmente e Leo in questo momento non è minimamente più il ragazzo gentile e a modo che hanno conosciuto. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 19:
REAZIONI
‘Non avevo molto da dire
Non sono andato oltre la luce
Ho chiuso gli occhi e ho chiuso me stesso
E ho chiuso il mio mondo
E non mi sono mai aperto a nulla
Che avrebbe potuto portarmi indietro
Ho dovuto chiudere tutto
Ho dovuto chiudere la mente’
/Moby - Extreme ways (Peter Gregson remix)/
Il problema di cercare una reazione è che prima o poi la si ottiene. Però sono le conseguenze quelle a cui al novanta percento nessuno è pronto.
Era pomeriggio.
Uno di quei pomeriggi che sarebbero finiti con un acquazzone che avrebbe spazzato via tutto.
Cominciava col sole e poi il vento portava le nuvole. Nuvole sempre più scure e basse. Poi la pioggia e i tuoni.
Ma c’era il sole, quando arrivarono tutti e cinque in ospedale, avendo cura di entrare dal retro, dal parcheggio del personale, per evitare il più possibile di essere notati.
Il custode aveva riconosciuto solo Sergio poiché l’aveva già fatto entrare la sera prima, poi aveva notato che era in compagnia di altri quattro, aveva cercato di capire chi fossero, ma Sergio aveva giocato la carta del vip e così aveva capito che probabilmente erano compagni di squadra di Leo Messi.
Sergio aveva sentito Antonella al telefono e si era sfogata con lui sul marito, questo gli aveva dato la spinta a tentare di fare qualcosa il prima possibile. Era una bassa possibilità che uno di loro avrebbe ottenuto qualcosa, ma sebbene Cristiano fosse convinto che Riky avrebbe combinato qualcosa, lui era al contrario più propenso proprio per il portoghese.
Conosceva Leo ed anche se ora era in una fase mai vista da nessuno e totalmente diverso da sempre, sapeva che da qualche parte doveva esserci ancora un po’ del suo vecchio amico. E quel vecchio amico avrebbe reagito solo ad un rivale che veniva a sbandierargli in faccia che ora era lui il più forte, che l’avrebbe superato e gli avrebbe preso tutto ciò che una volta era stato suo.
Ovviamente le intenzioni di Cristiano non erano quelle, ma Leo avrebbe potuto prendere così la sua sola presenza lì. Avrebbe potuto entrare in stanza e farsi vedere senza dire niente, questo avrebbe probabilmente provocato quella famosa reazione.
Ci sperava, non ne era sicuro, ma se in lui c’era un barlume del Leo di un tempo, poteva succedere.
Gli avrebbe fatto male, ma visto come stavano andando le cose poteva essere la sola cosa utile.
- Non vuole vedere i figli, è questo che mi fa impressione, lui li ha sempre amati un sacco... - disse Sergio ai ragazzi dopo aver messo giù la conversazione con Antonella, ora a casa sua poiché non aveva resistito più di qualche ora lì.
Riky rabbrividì e Cristiano scosse la testa, mentre Rafa e Neymar si guardarono.
Rafa sembrava più sicuro, mentre Neymar era un gattino sperduto che seguiva perplesso il compagno di disavventure.
Fosse stato per lui non sarebbe mai entrato, ma Rafa era certo fosse una buona idea, così sospirando il compagno annuì.
- Non so cosa crediamo di fare, cosa dovrei dirgli, non so niente. - fece guardando Rafa, la voce un filo quasi inudibile. - ma se ne sei convinto, andiamo. - concluse amareggiato.
Rafa alzò le spalle sicuro.
- No che ne sono convinto, ma peggio di così che può succedere? Che ci insulta? Nemmeno me lo immagino... se succederà saremo testimoni di una scena leggendaria.
Rafa non era molto coinvolto, per questo poteva accettare l’idea di essere maltrattato da lui, ma per Neymar era diverso.
Per lui Leo era un suo caro amico e prima di questo era uno dei suoi dei. Era cresciuto a pane, Leo e Cristiano. I miti viventi, quelli che stavano facendo il calcio quando lui era un ragazzino. Riky era stato il suo spirito guida. Poi gli dei del calcio erano molti, ma con loro ci era letteralmente cresciuto, aveva sognato di essere un loro compagno e poi era successo.
Per lui era molto diverso. Essere insultato da una delle persone che ammirava di più in assoluto, uno di cui era anche diventato suo amico, era dura da digerire e ne era spaventato, ma non si sarebbe tirato indietro. Era giusto che anche lui desse un contributo.
Sergio diceva che Leo non stava reagendo, perciò se loro facendosi insultare da lui avrebbero ottenuto una reazione, andava bene.
Non gli piaceva l’idea, ma non poteva vivere solo di cose che gli andavano a genio.
La vita era anche amara e lo stava scoprendo ora.
C’era buio nonostante fosse ancora giorno. Ma le persiane erano abbassate quasi del tutto e quel po’ di luce esterna non era sufficiente. Il cielo si stava lentamente annuvolando.
La luce grande era spenta e rimaneva solo quella più piccola sul letto. La stanza era per due, divisa da un grande paravento con una tenda che si poteva chiudere od aprire, ma non c’era comunque nessun altro oltre a lui.
La porta era chiusa, bussarono per avvertirlo che entravano, ma non attesero il suo permesso. Rafa entrò e lo fece per primo arricciando il naso per l’odore. Non c’era puzza ed in realtà nemmeno odore di chiuso poiché era lì verosimilmente da qualche ora, prima era stato in un altro reparto. Era un odore particolare. Di medicinale, forse. Qualcosa di pesante, ma forse era l’atmosfera. Era palpabile la pesantezza.
Provò l’impulso di aprire la finestra e la luce grande, ma si trattenne.
Neymar gli stava subito dietro.
Leo si voltò a guardarli e appena li riconobbe fece solo un piccolo cenno di disgusto, poi non fece altro. Non li salutò, non si trattenne, non si sforzò di essere fintamente gentile. Era semi seduto sul letto, le lenzuola fino alla vita, una flebo gli introduceva qualche fluido che l’avrebbe aiutato, la sua cera non era splendida, ma si era aspettato peggio.
Aveva la testa fasciata per delle ferite sulla fronte, qualche ciuffo di capelli scomposto usciva da sopra le bende bianche. Altre erano sulle braccia, un polso ingessato, il sinistro.
Rafa provò ad immaginare come si sentisse, ma non ci riuscì. Solo lì davanti a lui e a quell’espressione vuota capì cosa aveva inteso Sergio dicendo che non era più lui e che il problema maggiore era la mancanza di reazioni di qualunque tipo.
Capì che non avrebbero ottenuto nulla e che non era nemmeno suo dovere cercare di ottenerlo, ma si ricordò di una delle frasi di Riky.
“Siamo qua per fargli capire che ci siamo. Non vorrà niente e nessuno, soprattutto all’inizio, ma ha comunque bisogno di sapere che è pieno di gente pronta a tutto per lui. Adesso non gli sarà d’aiuto, ma quando deciderà di scuotersi, lo saremo.”
Così entrò tirandosi Neymar, bloccato al di là della porta. Se lo trascinò per la mano e mentre si avvicinavano al suo letto, gli sorrise come se non fosse una situazione allucinante, come se lui non fosse bloccato ad un letto con le gambe insensibili.
Non aveva idea di cosa dirgli e voleva già scappare, ma non si sarebbe mosso ancora. Avrebbe tenuto duro. Non aveva scelta.
Solo un altro po’, si disse. Solo un po’ e poi possiamo andare.
Era così difficile anche solo stargli vicino.
Da un lato sapeva che non era ora, che era presto, dall’altro capiva quello che dicevano gli altri. Aveva bisogno di qualcuno che lo facesse reagire, ma soprattutto di sapere che c’erano persone disposte ad aiutarlo anche se stargli accanto era diventata la cosa più difficile del mondo.
Lo sapeva, Leo? Sapeva quanto dura era per gli altri stargli davanti nonostante tutto?
Forse sì, ma dubitava gli importasse qualcosa. Non aveva chiesto lui che venissero. Non aveva chiesto di sicuro nulla.
Rafa indicò la sedia libera dove probabilmente era stata Antonella e lo spinse a sedersi. Lui eseguì mentre titubante cercava di capire se l’avrebbe mai guardato o se avesse continuato a fissare il vuoto nonostante la loro presenza.
La testa era vuota, così vuota. Aveva voglia di piangere.
Ricordava tutte le partite di Leo, ricordava come poi con gli amici al campetto cercava di replicare e poi in allenamento con il suo club. Ricordava ogni giocata che l’aveva ispirato a crearsi uno stile proprio.
E ricordava la felicità nel sapere che il Barcellona di Leo lo aveva voluto.
Aveva cercato di imparare da lui il più possibile, e ci era riuscito. Con lui vicino era migliorato moltissimo come giocatore, ne era consapevole.
Più di ogni altra cosa a renderlo davvero felice era stata la sua amicizia.
Quando l’aveva invitato a casa sua con altri compagni di squadra per fare qualche festicciola e lui era venuto.
MSN. Uno dei trio più forti del mondo del calcio, della storia.
MSN contro BBC. Era un’epoca leggendaria e loro ne erano protagonisti.
Ma adesso la M non c’era. Non ci sarebbe più stata.
Avevano vissuto un periodo da favola, un sogno che ora però era finito.
Aveva voglia di piangere, non di essere forte e dirgli chissà quali parole di conforto.
Che parole potevano essere sufficienti?
- Come stai? - chiese Rafa consapevole che Neymar non avrebbe avuto la forza di dire nulla. Rigido lì seduto accanto.
Leo alzò le spalle, scosse la testa e lo guardò amaro.
- Tu che dici? - Rafa rabbrividì, lo conosceva da poco di persona, ma non era mai stato trattato male o con acidità.
Testimoni di qualcosa di incredibile, certo, ma che sarebbe stato meglio non vedere mai.
Neymar trattenne il fiato.
- Mi dispiace molto, amico. È una cosa atroce. - fece calmo, facendosi forza. Ancora parlava solo lui. Ancora Neymar non riusciva a dire nulla.
Leo non rispose. Quei lunghi silenzi non li avrebbero mai dimenticati. Quei silenzi affilati come lame di coltello.
- Volevamo farti sapere che ti siamo vicini, che se hai bisogno di qualcosa devi chiedercelo. - continuò Rafa sperando di potersene andare presto.
Leo però a quel punto rispose, di nuovo duro, di nuovo amaro, forse anche con un fondo di cattiveria.
- Potete farmi camminare? - fu peggio che essere picchiati od insultati. Neymar con gli occhi lucidi lo guardò perso, Rafa non trovò nemmeno una risposta. Non ce n’erano. Il silenzio era sempre peggio. Leo guardò il brasiliano anche se prima aveva parlato con Rafa. Avvelenò ulteriormente il suo volto e con acidità, gli disse:
- Adesso la squadra è tutta tua. Tocca a te farla vincere. Dovrai essere me. Auguri. - con un altro tono avrebbe potuto essere una bellissima frase di lascito, ma con quello fu peggio di una sprangata di ferro e a quel punto Neymar tirando su col naso sussurrò solamente:
- Ti voglio bene, Leo. - dopo di questo corse fuori lasciando andare le lacrime.
Non gli aveva lasciato il suo posto in squadra, l’aveva solo ferito. Come se Neymar avesse voluto sempre e solo quello. Essere lui. Era questo che aveva sempre pensato di lui, mentre gli diventava amico e lo guidava verso la strada dei più forti?
Pensava davvero che gli importasse qualcosa del ruolo in squadra e cose del genere?
Neymar si fermò poco più avanti, appoggiandosi al muro e coprendosi la bocca, cercando di trattenersi. Stava per cadere, le ginocchia stavano per piegarsi, ma ad impedirgli di andare giù arrivò il braccio forte di Rafa che lo sostenne cingendolo, poi lo tirò deciso verso l’ascensore allontanandolo dagli occhi indiscreti lì intorno. Infine, solo una volta dentro, senza nessuno a guardare, lo abbracciò forte prendendosi cura del suo pianto a dirotto.
- Sei stato bravo, sei stato forte. Hai fatto quello che era giusto. sussurrò Rafa al suo orecchio mentre lo stringeva.
“Davvero? E allora perché mi sento una merda?” Era sicuramente stata la cosa più difficile della sua vita, ma l’aveva fatta comunque. Fino al giorno precedente non ci avrebbe minimamente pensato ed adesso piangeva appeso al collo di Rafa perché l’aveva fatto.
Forse era stato giusto e utile, forse no, ma almeno aveva fatto qualcosa. Non per la propria coscienza, bensì perché certe cose erano giuste comunque, anche senza un motivo specifico.
Piangendo appeso a Rafa, gli venne in mente Cristiano che non aveva capito fino a quel momento. Era lì e non sapeva perché, sapeva solo che era giusto.
Ora sì che lo capiva e non lo invidiava, ma lui era forte, molto più forte di loro messi insieme, ne era convinto.
Il cielo sembrava dovesse appoggiarsi alla superficie terrestre, tanto che era basso.
I tre rimasti fuori, si strinsero nelle giacche che avevano indossato, rabbrividendo sia per il vento sempre più forte, che per lo spettacolo cupo che si presentava loro.
Era inquietante.
- Dovremmo entrare, a momenti pioverà. - asserì Riky. Cristiano e Sergio annuirono, il primo ad aver interrotto il silenzio che si era creato dal momento in cui erano entrati Neymar e Rafa.
Era come se fosse troppo sacro e grave per parlare, nessuno osava proferire parola, consapevoli che non c’era più niente da dire, non rimaneva altro che aspettare.
Aspettare una reazione, un cambiamento, una notizia.
Girati per entrare nell’ospedale, avevano il parcheggio interno del personale e dei pazienti con permessi speciali alle spalle. Il vento si alzò quando le porte del padiglione si aprirono facendo uscire i due brasiliani entrati da non molto.
Riky si fermò per primo, gli altri alzarono lo sguardo e videro.
- È andata così male? - fece con un filo di voce Sergio, il quale in realtà non si era aspettato niente di diverso. Neymar aveva gli occhi gonfi e rossi di pianto, un pianto fresco che non era ancora finito. Le lacrime sulle ciglia lunghe, il verde delle sue iridi era incantevole. Rafa gli teneva la mano, consapevole che lì era al sicuro.
Scosse il capo e alzò le spalle.
- Non mi aspettavo andasse bene, solo che fa male. Gli ha detto che adesso la squadra è sua... ma non come un passaggio di eredità, come una sfida a farcela al suo posto. Una specie di accusa... come se... - a Rafa non venivano le parole anche se voleva parlare al posto di Neymar perché sapeva che non sarebbe riuscito a dire nulla. Per lui completò la frase in modo corretto Cristiano:
- Come se fosse colpa di Neymar che sta bene e prenderà il suo posto come giocatore più forte del Barcellona. Il suo Barcellona.
Riky e Sergio lo guardarono rabbrividendo mentre Rafa annuiva e Neymar nascondeva il viso contro la schiena del suo compagno, facendosi piccolo.
Come lo capiva bene.
Più passava il tempo e più era chiaro che era Cristiano e non Sergio l’unico in grado di capirlo alla perfezione.
Ecco perché era lì.
Vedendolo, sapendolo, Riky guardò Sergio con una serena rassegnazione, consapevole che il loro destino sarebbe stato uguale a quello di Neymar.
- Andiamo insieme?
Sergio rimase basito nel vedere che non ci andava con Cris, infatti lo guardò smarrito.
- Non vai con lui? - Riky accentuò il sorriso.
- Penso che lui andrà da solo alla fine.
- Dopo che ci ha distrutti tutti, dici? - capì Sergio perplesso. Riky annuì tranquillo e si mise sulla porta grande in vetro, tenendola aperta col suo corpo per farlo passare.
- E cosa dovrei fare, ucciderlo? - scherzò amaramente Cristiano capendo dentro di sé, come tutti gli altri, che in qualche maniera aveva ragione.
Lui doveva essere l’ultimo perché sarebbe stato perfetto. Perfetto in qualche modo.
Riky ridacchiò lievemente guardandolo mentre Sergio gli passava davanti entrando.
- Reazioni, ricordi? Siamo qua solo per farlo reagire.
- Ma al momento sono quello che probabilmente odia più sulla faccia della Terra. - era stato lui a voler venire, ma era anche consapevole che era un situazione assurda.
- Appunto. - replicò Riky. - Se non lo fa reagire quello...
Dal cielo iniziarono a cadere dei grossi goccioloni di pioggia che in poco aumentarono di numero ed intensità, entrarono in fretta tutti e cinque, mentre due di loro andarono verso l’ascensore ed il piano di Leo.