*La palla passa a Riky e Sergio, i quali provano il tutto per tutto per scatenare in Leo una reazione e permettergli poi da lì di ripartire. E, in effetti, la ottengono. Solo che non è facile da subire. Da un lato è vero che è presto, dall'altro come dice Riky, certe cose non basta il tempo. Certe cose non le accetti mai, se non succede qualcosa, e più asptti e peggio è. Volevo comunque abbracciare forte Sergio, poverino. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 20:
QUELLA MALEDETTA REAZIONE
“non è rimasto niente da dire adesso...
mi sto arrendendo , arrendendo, hey hey, mi sto arrendendo adesso
sotto la mia anima
sento un motore
che collassa quando vede il dolore
se solo potessi bloccarlo
sono arrivato troppo lontano
per vedere la fine adesso
anche se la mia strada è sbagliata
io continuo ad andare avanti e avanti e avanti e avanti
[...] continuo a cadere, continuo a cadere giù....
se solo tu potessi salvarmi
sto annegando nelle acque della mia anima”
/Imagine Dragons - Nothing left to say/
Più camminavano, più sembrava che l’atmosfera diventasse pesante, l’aria irrespirabile. Quando varcarono la soglia della sua stanza in penombra, gli parve molto più buia di quello che non era in realtà. Colpa della pioggia che si era scatenata fuori la quale non permetteva alla luce di penetrare, già penalizzata dalle persiane semi abbassate.
Riky era consapevole di cosa sarebbe successo e non era così coinvolto da viverla male, gli dispiaceva, ma non aveva realmente mai avuto un rapporto tale con Leo da sentirsi angosciato all’idea di essere probabilmente insultato. Per lui era sicuramente più facile che per Sergio, ma comunque gli dispiaceva. Faceva di più per persone che conosceva molto meno, perciò era il minimo cercare di aiutare lui come poteva. Per lui era una questione di umanità.
Sergio andava avanti come un condannato a morte, lo sentiva accanto a sé. Fragile, tirato, consumato.
Non aveva realmente dormito quella notte, come potevi dormire accanto alla persona che ami che non si è ancora svegliata dall’operazione?
Forse si era appisolato ad un certo punto, poi di giorno era stato sempre con lui e non si era mai nemmeno appoggiato in un divano.
Aveva mangiato e vomitato, si era solo fatto una doccia e basta. Non vedeva i bambini dal giorno precedente ed in quelle condizioni riconosceva che era meglio così.
Non aveva mai avuto molto a che fare con lui, quasi nulla, però adesso era come se fossero amici di vecchia data. Non se lo spiegava, ma forse nel dolore ti spogli alle persone che meno te lo aspetti.
Non aveva cercato loro di proposito, era più stato scelto in un certo senso. Aveva semplicemente accettato, incapace di ragionare meglio su chi, come, quando e cosa fosse meglio. Perso alla deriva in un oceano, aveva preso il primo salvagente che gli era stato porto.
Leo era semiseduto nel letto, gambe leggermente sollevate coperte dalle lenzuola. Non se le era rotte, non erano ingessate al contrario del braccio dal gomito al polso. Anche la testa era parzialmente bendata.
Riky presunse che non si poteva muovere di un millimetro con l’operazione alla schiena che avevano fatto. Immaginò il suo busto fasciato rigido, sotto la camicia dell’ospedale.
Leo girò lentamente la testa, era stanco, ogni movimento gli pesava enormemente, era faticoso.
Aveva un’espressione cupa che si oscurò ancor di più quando li vide. Rimase un attimo interdetto dalla presenza di Riky, ma sapendo quanto era legato a Neymar pensò che fosse corso per sostenerlo.
Sapeva di essere stato duro ed ingiusto con lui, una parte di lui lo sapeva, la stessa che si era stretta quando gli aveva detto che gli voleva bene.
Sapeva che era sincero, che avevano legato in modo spontaneo perché era davvero un bravo ragazzo, di cuore, che si legava a tutti. Era solare e gli piaceva divertirsi. Era infantile ed immaturo, ma vicino a lui era già cresciuto parecchio.
Luis era diverso, il mister l’aveva pregato, appena arrivato, di legare con lui per ‘infilargli un po’ di sale in zucca’, testuali le sue parole. Per fargli smettere di fare le sue cazzate. Così aveva fatto, si era sforzato di diventargli amico, ma con Neymar era stato tutto spontaneo.
Quella parte di sé, ancora umana, si era dispiaciuto per averlo trattato in quel modo. Ma l’altra, quella che al momento prevaleva, non riusciva a farne a meno.
Era stufo di trattenersi e sopportare.
Non voleva vedere nessuno, non voleva parlare con nessuno, non voleva fare niente. Perché insistevano? Perché lo costringevano? Cosa diavolo volevano da lui?
Volevano essere maltrattati? Allora li accontentava. Ecco qua, ne aveva anche per loro se non se ne sarebbero andati subito.
Guardò il suo Sergio che già aveva subito il suo trattamento oscuro. Era tornato. Come poteva essere tornato?
Leo non se ne capacitò. Era consumato, non aveva chiaramente dormito e mangiato, si era fatto una doccia e basta. Ed era ancora lì, dopo che l’aveva trattato male.
Forse non abbastanza.
Non vedeva che lo stava consumando? Perché era tornato? Non capiva che più stava lì, peggio era per lui?
Adesso era un cancro, un cancro in metastasi. O meglio un virus altamente contagioso che ti prende i polmoni e ti uccide in poco tempo.
Sergio doveva scappare da lui come dovevano scappare tutti prima che li contaminasse. Degli altri non gli importava - non era vero, a una parte di sé gli importava ancora - ma di Sergio no. Sergio era diverso. Non voleva rovinarlo.
Non doveva tornare.
Doveva fare in modo non lo facesse, per lui, per il suo bene.
- È inutile che torni sempre. È inutile che tornate tutti. Ormai sono vivo, mi rimetterò, per il resto non potete fare niente. Non sono un bambino che ha paura a stare solo in ospedale, ho l’assistenza che mi serve, qua. Andatevene tutti, non tornate. Dormite, mangiate, tornate alle vostre vite. Non hai degli allenamenti, delle partite del cazzo?
Leo era come se non vedesse Riky e si concentrasse solo su Sergio, Riky però si intromise sentendo Sergio irrigidirsi accanto a lui.
- Sai bene che torneranno tutti.
Leo lo guardò come se lo notasse solo ora, anche se l’aveva distrattamente visto appena entrato. Si increspò infastidito.
- E tu che diavolo vuoi saperne? Non sei venuto a sostenere il tuo fratellino? L’ho fatto piangere, dovresti essere con lui ad abbracciarlo, no?
Riky rimase sconvolto di quella sua versione, sapeva che avrebbe reagito male, si rivedeva in lui, ma assistervi era diverso. Per quanto sai una cosa, alcune non le immagini realmente finché non le vivi.
Suo malgrado gli sorrise lieve senza scomporsi molto.
- Lo so perché con me sono sempre tornati, quelli che mi amavano davvero. Per quanto li trattassi male, loro tornavano sempre. Non hanno mai mollato. Non esiste forza al mondo che possa impedire a Sergio di tornare da te sempre. Devi prepararti, così risparmi le forze e invece di respingerlo, potresti provare a capire cosa fare da ora in poi.
Era molto calmo, come un grande saggio che parlava. Sergio lo guardò meravigliato della forza nella calma che stava esprimendo. Aveva ragione, per quanto sarebbe stato trattato male e respinto, lui sarebbe sempre tornato.
Leo lo guardò per un momento incredulo che osasse dirgli una cosa simile, senza parole.
- Ma che cazzo vuoi saperne, tu? Tu cammini, giochi a calcio, fai quel che ti pare...
Sergio vide un guizzo di dolore negli occhi sempre sereni e consapevoli di Riky e provò dispiacere per lui. Sapevano sarebbe successo, era venuto lì per quello. Per essere insultato e ferito.
- In realtà so di cosa parlo perché dopo l’ennesima operazione al ginocchio ho perso tutto ciò che ero e che avevo, gioco a calcio, ma non sono minimamente più stato al posto in cui ero. Vivevo un sogno che è andato perduto per colpa di un fisico troppo fragile. Nel 2011 volevo lasciare il calcio, ma chi mi amava me l’ha impedito. A cosa è servito continuare? Non è più calcio quello che ho fatto dopo, non il mio. Però l’ho fatto. Ma la verità è che una volta che sono andato via dal Milan e che ho cominciato coi calvari al ginocchio, per me il sogno è finito. Capisco che è molto peggio non camminare più, però rifiutare la realtà e l’amore degli altri non ti aiuterà. Perché io sono uscito dalle tenebre della depressione solo grazie a quell’amore che all’inizio rifiutavo.
Leo lo guardò stordito, non riusciva a credere a quel che sentiva. La gente si paragonava a lui.
Certo che non era l’unico ad aver provato cose simili, che aveva avuto la carriera stroncata o che subiva tragiche ingiustizie.
Ma cosa diavolo voleva quello lì da lui ora?
Perché era venuto? Voleva che diventasse positivo, battagliero e che accettasse così di punto in bianco una cosa simile?
Perché diavolo non lo lasciavano semplicemente in pace? Perché non poteva star male e rifiutare la vita finché ne aveva voglia?
- Perché? - fece poi piano, a denti stretti e fissandosi le gambe coperte dalle lenzuola. Stringeva il pugno della mano sana.
Riky lo guardò stupito del tono basso e teso.
- Cosa?
- Perché dovrei accettare tutto questo? - chiese Leo sempre col tono basso. Poi alzò gli occhi di scatto e li posò fiammeggianti e oscuri su quelli perplessi di Riky. - Perché diavolo non posso stare male se non potrò più camminare? L’ho scoperto stamattina, potete darmi tregua? Potete lasciarmi in pace? Che cazzo c’è di male se sto di merda? E poi tu chi cazzo sei per parlarmi così? Chi ti conosce? Chi diavolo sei per venire qua e farmi la predica? Dannazione, ma lasciatemi in pace tutti quanti! Voglio stare solo per il resto della mia vita! Solo e basta, cazzo!
Riky voleva avere pietà, voleva dirgli che aveva ragione, perché anche lui si era sentito esattamente così e aveva voluto solo stare solo, ma l’avevano salvato le insistenze di Cristiano che era sempre tornato ogni giorno, nonostante quanto l’avesse sempre trattato male in quel periodo.
Sapeva che era proprio la cosa più sbagliata crogiolarsi nel proprio solitario dolore.
Così insistette anche se normalmente non avrebbe calcato così tanto la mano.
- Invece devi accettare l’aiuto di chi ti ama! Non vogliono farti reagire, vogliono solo poterti stare vicino. Se insisterai nell’isolarti non ne uscirai più. Non è una questione di tempo, Leo. Non è che dopo un po’ che starai solo a soffrire poi passerà ed un giorno ti sveglierai e dirai ‘ok, è ora di vivere’. Hai bisogno di gente intorno a te, anche se ti danno fastidio, ora. Devi accettarli.
Riky sapeva di star superando un limite che non doveva, ma erano lì in cerca di reazioni, qualunque sarebbe stata meglio del nulla che aveva cercato di avvolgere l’anima di Leo. Anche la rabbia e l’odio, andavano bene. Perciò calcava la mano, anche se era l’opposto del suo tipico modo di fare. Lui preferiva essere dolce e comprensivo, perché aveva imparato che si otteneva sempre di più così che con le cattive.
- NO INVECE! NON DEVO! NON DEVO ACCETTARE NESSUNO! - così tuonando, Leo prese la bottiglietta d’acqua nel comodino accanto e la scagliò per terra. - VOGLIO CHE VE NE ANDATE, NON VOGLIO VEDERE NESSUNO! SERGIO, TORNA A LONDRA, DIMENTICAMI, CAZZO! IL LEO CHE AMAVI È MORTO!
In seguito prese le lenzuola e se le tirò sulla testa, come per annullare la loro esistenza lì in quel momento. O come per annullare sé stesso.
Volevano una reazione? Eccola lì. Ed ora?
Sergio era rimasto impietrito tutto il tempo, ammutolito e rigido, mentre lo stomaco gli si stringeva sempre più forte. Se fosse stato pieno avrebbe vomitato di nuovo. È così che doveva finire? È così che Leo voleva che andasse? Nonostante sapesse del suo amore e forse l’aveva sempre saputo, non lo voleva più? Non c’erano davvero speranze? Si sbagliavano tutti?
Avevano tanto voluto una reazione, ma forse, alla fine, era stato peggio averla. Forse la non reazione era meglio, ma ormai era tardi. Orami era arrivata, quella maledetta reazione. E cosa se ne doveva fare?
Nel sentire quell’ultimo scoppio le lacrime che aveva trattenuto a stento, uscirono copiose sul viso. Si alzò mettendo una mano sul braccio di Riky che tentò di rispondere, si fece accanto al suo letto e senza toccarlo e togliergli il lenzuolo dalla testa, tentò di parlare. Era difficile, era impossibile riuscirci. Fece alcuni tentativi tirando su col naso, singhiozzò alcune volte maledicendosi per non riuscire ad essere più forte.
Poi, con un filo di voce spezzato, riuscì a dire:
- E va bene, se è questo che vuoi non ci vedremo mai più. Comunque ti amerò lo stesso.
Riky lo fissò sconvolto, spalancando gli occhi incredulo che le cose fossero andate proprio all’opposto di quello che sperava.
Solo la sua insistenza, il suo amore costante avrebbero salvato Leo. Sergio non poteva arrendersi, non poteva proprio!
Stava cercando qualcosa da dire, ma vide la sagoma di Leo, coperta dalle lenzuola, smettere di respirare. Riky capì e si fermò, mentre Sergio con la mano stretta come un forsennato sul suo polso, lo tirò verso l’uscita.
Lo vide che tratteneva anche lui il fiato, livido mentre le lacrime scendevano grosse sulle sue guance.
Appena fuori lasciò un singhiozzo e si aggrappò al suo collo, mentre Riky, per proteggerlo dalle occhiate curiose ed indiscrete del reparto, lo conduceva via dal corridoio.
- Se non reagisce a questo, non so proprio come fare.
Riky capì che non se ne sarebbe andato, che non si sarebbe arreso, e sospirò sollevato.
Potevano avere speranza. Sergio aveva avviato il meccanismo e Cristiano, ora, gli avrebbe dato il colpo di grazia.
Quando Cristiano li vide uscire dal reparto, si raggelò.
Sergio si appoggiava a Riky che lo cingeva dolcemente, sostenendolo. Era in uno stato terribile, aveva appena pianto e gli occhi erano gonfi e rossi. Riky, serio e quasi solenne, gli andò davanti, si fermò, lo guardò negli occhi e poi disse:
- Tocca a te.
Cristiano ebbe un fremito, esitò come non gli era mai capitato in vita sua.
- Cosa posso fare io che non è riuscito a voi?
Riky alzò le spalle, come se invece sapesse ciò che a lui era ignoto.
- Basterà che tu ti faccia vedere. Saprai cosa fare, sii te stesso.
Cristiano inarcò un sopracciglio scettico.
- Dovrei essere uno stronzo arrogante egocentrico? - era così che si poneva in pubblico, perché tutti lo vedevano in quel modo e lui ci marciava per difendersi.
Riky sorrise.
- Quello che colpisce sempre nel segno e che ‘il bene è ok, ma il male lo rende inarrestabile’. - disse parafrasando una delle sue frasi più celebri.
Quando Cristiano veniva insultato rispondeva sempre così. Che la cattiveria che riceveva lo rendeva inarrestabile. Ed era vero.
Il male l’aveva reso forte, sentendo quella frase il portoghese capì cosa voleva da lui Riky, cosa si aspettava.
Anche se non sapeva precisamente come realizzarlo, annuì, mise una mano sulla testa di Sergio, spettinò i suoi capelli neri già scompigliati di loro e li superò varcando la soglia del reparto.