*Il grande incontro fra Cristiano e Leo. L'intera fic praticamente è stata scritta per questo momento, in realtà. La scena che volevo scrivere dall'inizio, finalmente al capitolo 21 l'abbiamo! Io ho quest'immagine di loro due, grandi rivali, i più grandi che la storia del calcio abbia mai visto, ma che si rispettano molto. Io penso che sono diventati tanto forti anche per superarsi a vicenda, ispirati in qualche modo uno dall'altro. Non li ho mai shippati né considerati amici, ma sicuramente sono due che si rispttano molto e che, soprattutto, sono stati preziosi uno per l'altro per la loro crescita. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 21:
IL MIGLIORE DI NOI
“La tensione sulla mia coscienza, la sento straziare nel profondo
I muri si stanno avvicinando, ho bisogno di una via uscita da esplorare
Quando l'occasione preziosa arriva bussando alla porta
Ti tufferai nelle acque o rimarrai in piedi sulla riva?
Perso da tempo ma ho trovato
La luminosità del giorno, il qui e ora
I vecchi modi non sono visibili
Prima di andare, ti aspetto”
/Zack Hemsey - Lost and Found/
Quella volta si sarebbe potuto salvare.
Sergio l’aveva di nuovo trascinato in una delle sue scorribande notturne, totalmente contro il regolamento. Ma all’ultimo, sul momento di essere beccati, Sergio l’aveva coperto e si era fatto beccare da solo dal mister, quasi sapesse che erano di nuovo in giro.
Avrebbe potuto salvarsi grazie a quel debosciato del suo amico ed era rimasto fermo qualche istante a capire la situazione, se era stato beccato anche lui e se Sergio sarebbe stato punito.
Capendo che sì, ovviamente, sarebbe stato punito in modo esemplare, Leo era uscito dal suo nascondiglio e si era auto denunciato.
Sergio l’aveva guardato battendosi la faccia con una mano, come a dire che non ci poteva credere. Lui aveva sorriso mortificato al mister e gli aveva detto che se doveva punire qualcuno, doveva farlo anche con lui.
E così ovviamente era successo.
Il mister li aveva spediti subito a correre fuori, sotto la pioggia, di notte, ad una temperatura per fortuna sufficientemente afosa da rendere quasi piacevole la doccia forzata.
- Perché l’hai fatto? Non ti aveva beccato, non aveva senso finire in punizione insieme. - Sergio non era proprio arrabbiato, solo che non capiva perché Leo gli era venuto dietro. Per lui invece era così ovvio e scontato. Aveva alzato le spalle ed aveva detto con una semplicità allucinante:
- Ovvio, no? Siamo amici nelle gioie e nei dolori e tutto quello che fai tu, lo faccio io. Insieme nel bene e nel male, ad ogni costo. Non importa cosa. E poi ho accettato di fare questa cazzata, non mi hai obbligato.
Sergio si era fermato al ‘nel bene e nel male, ad ogni costo’. Quello l’aveva commosso, ma Leo non se n’era accorto grazie al buio ed alla pioggia.
L’aveva anzi buttata sul ridere, l’aveva abbracciato e gli aveva entusiasticamente baciato la guancia.
- Ti amo, fratello, lo sai? Adesso non mi sento più solo! Sono così felice di averti incontrato! - l’aveva detto con entusiasmo, gridando per superare il casino della pioggia scrosciante. Ma lo pensava davvero, Leo lo sapeva perché lo conosceva.
Non si era più sentito così. Felice di avere un amico. Perché non era un amico come gli altri, in quel momento l’aveva capito. Era un amico speciale, un amico davvero diverso e sapeva che qualunque cosa sarebbe successo, sarebbero stati davvero sempre insieme. Nel bene e nel male.
Leo strinse gli occhi sotto il palmo della mano che premeva come un forsennato, mentre ansimava quasi in una crisi di panico.
Adesso non sarebbe più stato così. L’aveva voluto lui, del resto, e alla fine l’aveva ottenuto.
Nel bene e nel male sono solo parole che si dicono quando non hai mai provato un male così forte da non volere più nessuno.
Non era colpa di Sergio, Leo lo sapeva. Aveva fatto di tutto per mandarlo via e alla fine ci era riuscito, ma non ne era felice.
Aveva comunque sperato che resistesse. Una parte di sé sapeva che Riky aveva ragione, che da solo non ce la poteva fare. Non voleva nessuno se non Sergio, ma non ce la faceva a vederlo così. Era in una condizione così diversa da com’era quando si erano fatti quella specie di promessa, di stare sempre insieme.
Sergio lo amava come lo amava lui, ma aveva amato un Leo in forma, fortissimo, il miglior calciatore del mondo e di tutti i tempo. Una persona solare, serena, gentile e positiva.
Non poteva amare lui, spento, perdente, cupo, depresso, sofferente. Una persona comune come tanti, senza più il suo talento, ciò che lo rendeva speciale.
Non poteva amarlo. Si sarebbe spento a sua volta nel stargli vicino.
Perciò era meglio così. Aveva ottenuto ciò che voleva.
Sergio se ne era andato ed adesso doveva imparare a vivere veramente da solo.
“Quando si dice che vuoi stare solo, non sai cosa significa finché non lo sei davvero.”
Ma ormai non ci poteva fare niente. Assolutamente niente.
Era solo un’altra delle fottutissime cose di merda che doveva accettare anche se non voleva, anche se erano atroci. Tanto una più una meno, cosa poteva cambiare?
Quando varcò la soglia del reparto, tutti quelli che stavano camminando indaffarati si fermarono a fissarlo e ben presto si aggiunsero altri che, come richiamati da una sorta di blocco generale, avevano capito che era appena successo qualcosa di incredibile.
Ed era vero.
Cristiano Ronaldo era appena entrato nel loro reparto.
Già vedere le altre stelle era stato pazzesco, qualche profano non li aveva riconosciuti tutti, ma lui sì.
Lui sì che lo riconoscevano anche quelli che non seguivano lo sport.
Cristiano, testa alta, sapendo già dove era la stanza di Leo poiché gli avevano detto quale fosse, andò dritto per il corridoio senza esitare. Non sorrise a nessuno, non si fermò a parlare con anima viva. Non esitò, sebbene si sentisse al centro di una scena da film. Una parte di sé gongolava nell’essere il centro dell’universo di così tanta gente, un’altra voleva sparire. A volte anche se hai ciò che desideri, non sai che fartene.
Gli piaceva la notorietà ed il successo, ma c’erano momenti in cui voleva essere uno qualunque. Ogni tanto, di rado, gli succedeva. Adesso non sapeva cosa voleva essere, in realtà.
Arrivò nella stanza di Leo che non condivideva con nessuno. Si fermò un momento. Prese un respiro profondo e ricordando le lacrime di Neymar e Sergio e l’espressione buia e tesa di Riky, entrò.
Appena mise piene nella camera, fu come se di nuovo tutto si fermasse, ma in realtà non era davvero così.
Leo aveva una mano premuta sul viso e respirava affannato, sembrava in una qualche crisi. Percependo la presenza di qualcuno, si tolse la mano e girò leggermente il capo fasciato per mandare via chiunque avesse ancora osato disturbarlo. Ma la voce non arrivò mai alla sua bocca.
Non in quel momento che rimase a fissarlo sconvolto, incredulo che su tutti fosse lì proprio lui.
Cristiano Ronaldo.
- Tu... - ebbe solo la forza di dire. La voce era appena percettibile, Cristiano si avvicinò al letto con un sorrisino appena accennato e nel complesso un’espressione sicura di sé, per nulla esitante. Così sembrava da fuori.
Se avesse solo saputo cosa gli si agitava dentro, invece.
Che portata aveva la tempesta che lo stava colpendo.
Il panico, il caos, un’apocalisse.
Per lui vedere Lionel Messi in quelle condizioni fu deleterio e si perse, per un momento storico, sebbene la sua espressione esterna si mantenesse perfetta.
Leo era fasciato e non muoveva le gambe. Gli faceva una tale impressione superata solo dalla consapevolezza non visibile che non poteva camminare.
Suo malgrado, con voce sicura, Cristiano lo salutò pacato:
- Ciao, Leo. - perché era venuto? Se glielo chiedeva cosa rispondeva? Non lo sapeva. Aveva solo sentito di doverlo fare a tutti i costi. Non sapeva davvero, non ne aveva idea.
Rimasero fermi a fissarsi per un po’, Cristiano in piedi, la punta delle dita nelle tasche dei jeans aderenti, una posizione di sicurezza e forza.
Vederlo lì fu un duro colpo per Leo, il colpo di grazia.
Aveva immaginato di essere visitato da molte persone, ma di sicuro non da lui.
Già Kakà l’aveva sorpresa, ma si era dato una ragione. Adesso però capiva meglio perché era venuto, invece. C’era Cristiano.
Perché lui? Perché su tutti proprio lui?
Dopo lo shock per la risposta di Sergio, vedere lui gli diede uno scossone che seppure con sforzo lo spinse a cercare dii alzarsi a sedere, cosa che lo riportò bruscamente alla realtà per i dolori ancora atroci che aveva alla schiena, dove era stato operato. Perciò tornò ad adagiarsi giù e si limitò ad alzare la testiera del letto per poterlo vedere meglio.
- Che diavolo... - fece con voce roca. Tossì e si schiarì, nel farlo si sentì caricare. - che diavolo ci fai proprio tu qua? - chiese sempre più chiaro, con una durezza crescente. Cristiano alzò le spalle senza nemmeno più sorridere, lo guardò con tristezza e una patetica pena, nettamente e decisamente quello lo sguardo. Pietà. Eh no, eh!
- Non lo so, ho seguito l’impulso di venire. - rispose sincero, senza nemmeno fingere di saperlo.
- Ah, non lo sai? Forse posso aiutarti io, allora... - Leo si sentiva come strappare brutalmente dal vecchio sé che in qualche modo era rimasto dentro ben pigiato. Si sentì prendere il sopravvento da quello nuovo oscuro e brutale, pieno di odio e rifiuto per la vita e la realtà. - Forse volevi assicurarti che io fossi realmente fuori dai giochi, no? Volevi essere certo che io non ci fossi più! Ebbene eccomi! - allargò plateale il braccio sano, non potendo muovere quello ingessato. - Sono davvero paralizzato! - Leo alzò per la prima volta le coperte mostrando a Cristiano e a sé stesso le gambe. Non erano fasciate poiché non le aveva rotte. Erano escoriate e c’erano delle garze, per via dell’impatto con l’asfalto, ma ad essersi rotta era la sua schiena.
Erano perfette, ma sebbene muovesse tutto ciò che riusciva, quelle erano assolutamente immobili.
- Guarda qua! Non le muoverò più! Non correrò più dietro ad un pallone! Non farò più le mie magie!
Poi prese a darsi pugni nelle cosce per dimostrargli che non sentiva niente. Era vero. Non se le era ancora toccate, non ne aveva avuto il coraggio, ma adesso era come toccare le gambe di qualcun altro. Faceva una tale impressione che la propria foga, il proprio terrore aumentarono mettendosi a gridare quasi come un pazzo isterico.
- NON SARÒ PIÙ QUELLO PER CUI SONO NATO! NON SARÒ PIÙ UN CALCIATORE! NON SARÒ PIÙ IL CALCIATORE PIÙ FORTE DEL MONDO E DELLA STORIA, ADESSO MI SUPERERAI, SARAI TU IL PIÙ FORTE, COME HAI SEMPRE VOLUTO, NON DOVRAI NEMMENO IMPEGNARTI! IO NON SENTO PIÙ NULLA, NULLA, VEDI? È TUTTO VERO!
Ai pugni sostituì i pizzicotti ed era così dolorosamente vero, che non sentiva nulla. Così tanto vero che non potendo accettarlo, prese l’accesso venoso della flebo messa nel braccio non rotto usando la punta delle dita che stavano fuori dal gesso, prese poi con la mano sana l’ago che nel togliere aveva provocato del sanguinamento ed iniziò a pungersi una delle due gambe usandolo come se fosse un piccolo pugnale.
- VEDI CHE NON SENTO NULLA DAVVERO? ADESSO SEI CONTENTO? LO SEI, CRISTIANO? - vedendo che si stava ferendo, Cristiano corse e gli prese la mano con forza, fermandolo. Da lì gli sfilò l’ago e sedendosi sul bordo del letto, si chinò e lo cinse con forza ma delicatezza per non fargli male.
Gli teneva la mano per impedirgli di farsi ancora male e contemporaneamente gli circondava la testa appoggiandola alla propria. A quel contatto Leo si spense, o meglio la sua rabbia, per lasciare posto solo al dolore. Un dolore che uscì straripante come un argine che finalmente era venuto dopo aver trattenuto a stento un fiume in piena.
Leo scoppiò in un pianto disperato e mentre lo faceva aggrappandosi alla sua mano che gli stava stringendo, nascondendo il viso nel suo collo muscoloso, pianse anche Cristiano.
La vita era così fragile ed effimera.
- Puntiamo troppo su cose così instabili che appena se ne vanno, ci crolla il mondo addosso e non sappiamo più come andare avanti. - sussurrò spontaneo Cristiano, trovando infine cosa dire e cosa fare.
- Costruiamo la nostra esistenza su un unico obiettivo e se questo un giorno manca sul più bello, prima di averlo vissuto con ogni mezzo, fino all’ultimo goccio, non riusciamo ad andare avanti. Io impazzirei, tenterei di uccidermi al tuo posto. E non posso dirti cosa fare per andare avanti, non saprei come andare avanti al tuo posto. E non oso nemmeno provare a capirti. Però... - Cristiano mostrò la sua voce incrinata dalla commozione, profondamente toccato da quella scena, dal suo pianto disperato. - però non mollare, Leo. Sono egoista, io al tuo posto non ce la farei mai, ma sappiamo tutti che fra noi sei tu il migliore. Perciò io non ce la farei, ma so che tu ce la farai. Perché sei e sarai sempre il migliore.
Non era quello il punto, lo sapeva bene Cris che a Leo non importava realmente niente chi era il migliore fra loro. Ma era quello che aveva sentito di potergli dire.
Era quello che pensava veramente.
Forse alla fine della sua carriera i suoi numeri l’avrebbero reso il miglior giocatore della storia, però lui sapeva che finché aveva corso nei campi di calcio, Leo era sempre stato il migliore di loro. E non l’aveva mai potuto accettare perché sapeva di poterlo superare in modo equo e giusto. Adesso quella condizione era cambiata e non avrebbe più avuto la possibilità di superarlo.
Avrebbe dovuto trovare un altro scopo per permettergli di superarsi ogni giorno e non mollare e dare il massimo. Ma l’avrebbe fatto, perché adesso avrebbe dovuto essere il più forte anche per Leo.
- Solo tu mi hai sempre battuto. Ma nessuno batterà mai me. Te lo prometto. E sarai sempre la motivazione che mi permetterà di continuare a correre e a fare di meglio. - non sapeva se gli interessava minimamente, non ne aveva idea.
Però era ciò che gli serviva, era ciò per cui era realmente venuto. Adesso anche lui poteva andare avanti.
- Non camminerò più Cristiano... - sussurrò singhiozzando fra le sue braccia, mentre Cristiano si sedeva meglio al suo fianco, sul letto, e gli permetteva di nascondere il viso contro di sé. - non camminerò mai più...
Non disse altro. Pianse a lungo ripetendo solo questo. Cristiano non rispose, non fece nulla, nonostante questo, alla fine Leo capì di sentirsi meglio. Capì quello che cercava di dire Riky prima.
- Non si può stare soli nel buio. - disse fra sé e sé dopo che si rese conto di sentirsi meglio.
- Tornerà. - Cristiano sapeva a chi pensava. Leo anche. Lo guardò speranzoso.
- Dici? - Cristiano sorrise.
- Ne sono certo. - Leo volle credergli.
Ognuno a modo suo aveva avuto un ruolo in quell’esplosione, ognuno aveva scatenato una piccola reazione, ma la sola presenza di Cristiano aveva fatto straripare il fiume.
Era vero, avrebbero potuto dargli un po’ più di tempo. Aveva saputo solo dodici ore prima che non avrebbe più camminato ed in quelle dodici ore era riuscito a mostrare uno squarcio preciso di tutto quello che avrebbe aspettato i suoi cari intorno a lui per chissà quanto.
Sì, forse un giorno si sarebbe ripreso. O forse lasciandolo così come voleva stare, da solo a crogiolarsi nel suo dolore, sarebbe affondato così tanto da non poterne più uscire in nessun modo, nemmeno con gli aiuti degli altri.
Riky ci era passato nel suo piccolo e di carattere erano simili.
Leo ci rifletteva mentre le lacrime sembravano esaurirsi per lasciargli la lucidità di riflettere su tutto quello che era capitato in quella giornata che sembrava un mese intero.
Entrambi gentili per partito preso, estremamente pazienti e molto positivi, capaci di tutto per chi amavano, ma anche così distruttivi e cupi nel dolore.
Da soli non se ne usciva, da quelle cose.
Forse aveva ragione.
Era anche stato ingiusto con Neymar, ma quando l’aveva visto gli era scattato il nervo, il primo della giornata, nonostante avesse già avuto modo di respingere sia Sergio che sua moglie.
Lui adesso sarebbe stato il più forte del Barcellona. Avrebbe preso il suo prezioso posto nel SUO club. Non ci aveva visto più, ma era stato ingiusto con lui. Non lo meritava.
Anche se era un ragazzino immaturo che doveva crescere, era di buon cuore ed un amico sincero, si affezionava così facilmente agli altri.
Non era stato per niente giusto con lui.
Il peggio era stato Sergio.
Aveva cercato di allontanarlo consapevole che gli avrebbe fatto solo male, aveva cercato di salvarlo da lui perché anche nel dolore lo amava.
Lo amava.
Era così ovvio, così cristallino.
In certi momenti non c’era più spazio per quegli stupidi blocchi che ci si impone quando sembra di dover affrontare una vita normodotati, in mezzo ad una società che ti giudica se sei diverso e ti demolisce.
Sarebbe stato meno grave se non si fosse mai sposato, ma l’aveva fatto convinto che il sentimento per Sergio fosse solo amicizia. Una forte incredibile amicizia, ma non amore.
Ma aveva solo perso tempo ed un’occasione importante per non ferire nessuno.
Adesso non era più un problema ammettere quali erano i suoi veri sentimenti per Sergio, perché era più dura e complicato rimediare alla ferita che gli aveva inflitto.
Sarebbe tornato?
Ma era giusto, dopotutto, che lo facesse? Solo perché lui da solo, anzi senza di lui in particolare, non ce l’avrebbe fatta. Solo per questo?
Sarebbe stata dura, il fatto che ora avesse avuto il coraggio di guardare veramente in faccia la schifosissima realtà, non significava che sarebbe stato tutto facile. Anzi. Da lì iniziava la parte più difficile.
No, non era giusto. Forse era meglio così, dopotutto.
Sergio doveva odiarlo e vivere la sua vita da solo, senza rovinarsi per lui.
Senza rendersene conto, Leo tornò ad essere sé stesso. Ritrovando il suo tipico cuore generoso.