*Dopo che Cristiano ha portato a termine il suo compito e dato il colpo di grazia a Leo, può uscire di scena e lasciare il resto a Sergio, l'unico in grado di rigenerare realmente la persona che ama. Anche per gli altri è ora di andare avanti e riprendere a vivere le loro vite sospese. La vita va avanti per tutti. Ammetto che avrei voluto fare un colpo di scena, fare che Leo e Cris si baciavano, si mettevano insieme e lasciavano tutto e tutti, ma alla fine il mio cuore criska e kunessi non ha mollato! I prossimi sono gli ultimi due capitoli. Grazie a chi sta seguendo questa fic. Intanto, buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 22:
IL GIORNO DELLA RINASCITA
“Cosa faremo nel mondo?
Guarda cosa stanno passando tutti
in quale tipo di mondo vuoi vivere?
Sono il futuro o la storia?
Perché tutti soffrono
tutti piangono
tutti si dicono tutti i tipi di bugie a vicenda
tutti cadono
tutti sognano e dubitano
devi continuare a ballare quando le luci si spengono
Come ti vedrò in questo mondo?
Come mio fratello e non il mio nemico
Perché tutti soffrono
tutti piangono
tutti vedono il colore negli occhi degli altri
tutti amano
tutti hanno i cuori strappati
devi continuare a ballare quando le luci si spengono
tieni duro per la vita di tutti i giorni
Alla prima luce lancio le braccia aperte
Hallelujah”
/Coldplay - Everyday life/
Cristiano non chiedeva. Cristiano non aveva mai chiesto e non avrebbe di certo iniziato ora. Semplicemente faceva.
Faceva ciò che riteneva giusto con la sua tipica presunzione di avere sempre ragione.
Perciò quando uscì dalla sua stanza dopo essersi scambiato il numero di telefono con Leo per rimanere in contatto, con la promessa che sarebbe tornato a trovarlo, andò dritto dritto da Sergio, ancora con Riky, Neymar e Rafa a consolarsi un po’ a vicenda.
Cristiano sorrise vedendo Sergio ancora lì, con l’aria più distrutta mai vista.
Così tanto consumato in così poco tempo, realizzò vedendolo prima di farsi notare da dietro l’angolo.
Si erano fermati in una delle aree relax dello stesso piano del reparto, vicino alle macchinette. Non era molto riservata, ogni tanto qualcuno arrivava a prendersi un caffè e nel guardarli riconosceva qualcuno di loro, più Neymar che gli altri. Ma Rafa faceva lo sfacciato antipatico e diceva che non era il momento e capivano la situazione. Del resto tutti sapevano che in quell’ospedale era ricoverato Leo Messi.
Cristiano tossì e si fece avanti, i tre si voltarono di soprassalto pensando fosse di nuovo un intruso, ma appena videro che era lui, si rilassarono.
Riky si alzò subito, consapevole che doveva per forza essere successo qualcosa, non aveva immaginato precisamente la scena, ma sapeva che Cristiano, la sola presenza di Cristiano, doveva per forza aver scatenato una bufera in Leo.
- Come è andata? - chiese ansioso senza avvicinarsi troppo. Cristiano che aveva cercato di mantenere un’espressione normale, sospirò ed annuì stanco, come se quello gli fosse costata la stessa fatica di una giornata intera di allenamento serrato.
- È andata. - fece quindi. Gli altri lo fissarono attenti, in attesa del resto. - Ha reagito. - continuò cercando le parole per descrivere quanto successo. Gli altri non ne potevano più.
- Sì, ma come? - chiese impaziente Rafa facendosi vicino a sua volta, insieme anche a Neymar. Sergio rimase indietro, convinto che fosse comunque andata male.
- All’inizio male. È stato devastante. Appena mi ha visto ha cominciato a dare di matto dicendo che ero qua per assicurarmi che fosse fuori dai giochi, ha gridato che adesso sarò io il più forte, poi si è scoperto le gambe ed ha iniziato a picchiarsi dicendo che era vero che non sentiva più niente. Quando si è infilzato con l’ago della flebo l’ho fermato, l’ho abbracciato e lì è scoppiato a piangere. - silenzio. Sergio a quel punto, lentamente, si alzò. Mosse qualche passo e mentre Riky faceva un sorriso soddisfatto, consapevole di cosa significava tutto quello, Cristiano li spostò delicatamente e andò incontro a Sergio.
- Si è davvero toccato le gambe ed ha pianto? - non ci poteva credere. Rivedeva l’immagine vuota e buia, priva di reazioni delle ore passate e non riusciva a figurarsi Leo in quelle condizioni. Cristiano annuì, si fermò lentamente davanti a lui, sovrastandolo in altezza. Lo guardò serio, intensamente.
- Ha capito cosa abbiamo cercato di fare, che Riky ha ragione a dire che da solo non ce la potrà fare e dice di aver bisogno di te. È devastato per come vi ha trattati. - lanciò un’occhiata anche a Neymar, ma a quello aggiunse subito. - Avrai tempo di far pace. - tornò a guardare Sergio. - Ma ora è essenziale che tu torni là e gli dimostri che non lo lascerai mai, gli sarai sempre vicino. Perché sarà dura e lunga, ma ne uscirà solo con l’amore di chi ama. - non glielo stava ordinando, ma Sergio capiva che non aveva scelta. Che aveva ragione. Neymar e Rafa si sentirono più leggeri nel sapere che Leo era tornato in sé e non avevano più fretta di sistemare le cose, consapevoli che l’avrebbero fatto presto.
Riky rimase lì dietro Cristiano, che ancora fissava Sergio in una situazione di stallo.
- Com’era quando sei entrato? - ma prima aveva bisogno di sapere una cosa, Sergio. Era servito a qualcosa devastarsi in quel modo e dirgli che non sarebbe più tornato? O avrebbe potuto evitarlo?
- Era in una crisi di panico. Qualunque cosa gli abbia detto, aveva fatto effetto. Io gli ho solo dato il colpo di grazia. Aveva bisogno di guardare in faccia la realtà. - rispose pacato Cristiano.
Sergio si sentì più leggero.
- Mi aveva detto di andarmene e non tornare più ed io gli aveva detto che l’avrei fatto se era quello che voleva. - Cristiano capì meglio il resto della scena a cui aveva assistito.
- Andrà tutto bene. - si intromise Riky affiancando Cristiano, lo prese a braccetto e mise una mano sulla spalla di Sergio, infondendogli calma e sicurezza. - Non l’ha detto sul serio, era in un momento oscuro. Anche io l’ho detto tante volte a Cristiano quando stavo male come lui. Ma lui è sempre tornato ed alla fine guai se non l’avesse fatto. Perché tanto lui fa sempre tutto di testa sua! - aggiunse per sdrammatizzare. Cristiano fece un sorrisino a sua volta, soddisfatto ed orgoglioso di sé, Sergio via via si sentiva sempre più leggero.
- Va bene. Farò anche io di testa mia, allora. A costo di essere il più grande stronzo sulla faccia della Terra! - decise quindi, rimettendosi figurativamente in piedi del tutto. Riky annuì.
- Va e fai ciò che devi, senza paura. Salutacelo. Torneremo a trovarlo quando starà meglio, magari a casa... - Sergio capì che se ne sarebbero andati e non li avrebbe visti, una volta uscito. Si appese al loro collo abbracciandoli di slancio, come se fossero improvvisamente grandi amici da una vita e non quasi sconosciuti.
Li strinse forte in quello che era il suo tipico modo di fare, di cuore, d’istinto, senza paura di niente. Impulsivo come sempre.
Cris e Riky lo cinsero a loro volta.
- Grazie per tutto.
- Era giusto così. - rispose Riky.
- Chiamaci se hai bisogno. - aggiunse Cristiano.
Poi se ne andarono. Ognuno per la propria strada. Come una folata di vento che prima ha portato delle foglie di alberi diversi da quelli lì nei dintorni, e poi lo stesso vento se le riporta via, quasi che prima fosse stato solo un sogno.
Sergio entrò nel reparto per l’ennesima volta, si fermò, prese un respiro profondo e mentre sentiva di nuovo l’ansia assalirlo, pensò alla forza di Cristiano e alla serenità di Riky e si incamminò. In qualche modo ce l’avrebbero fatta.
Cristiano, camminando accanto agli altri, sempre eretto come se fosse il re del mondo, si mise gli occhiali scuri nonostante la pioggia potente e con un sorrisino soddisfatto, disse:
- Visto? Sapevo che era giusto che io venissi qua! - Neymar e Rafa scoppiarono a ridere spingendolo e fischiandolo.
- Ma se non hai fatto altro che dire che non sapevi perché eri venuto!
- Certo, ma sapevo comunque che dovevo esserci! - replicò senza perdersi d’animo, ancora estremamente convinto di sé.
- Solo perché sei un enorme egocentrico! - questa arrivò da Riky, il solo che poteva osare dirgli certe cose. Cristiano lo guardò con un piccolo broncio, poi rispose:
- Ma molto sexy!
Riky ridendo gli stampò un bacio sulla guancia. Non prima di essersi assicurato di non avere nessuno intorno a parte loro.
- Molto sexy! - confermò.
E, continuando a scherzare come se fossero tutti amici di vecchia data, se ne andarono.
Non gli aveva detto che glielo avrebbe mandato, non aveva nemmeno detto che ci avrebbe parlato. Non sapeva, perciò, se aspettarsi il ritorno di Sergio o meno. Ma lo aspettò.
Dal primo momento che rimase solo, fino a quando finalmente qualcuno che non fosse un assistente od un infermiere lo fece.
Leo fissava insistentemente la porta chiusa, era di vetro e plastica. Dalla finestrella cercava di capire se qualcuno stesse per entrare e chi fosse. Quando finalmente un’ombra spuntò, si tese tutto e gli sembrò come che il cuore gli mancasse un battito. Quella volta non era il personale sanitario.
Ne era certo. Leo, rigido e ansioso, fissò ad occhi spalancati la porta aprirsi e richiudersi. Stava ancora trattenendo il fiato, quando lo vide.
Non trattenne le lacrime che sembravano ormai incapaci di fermarsi.
Senza riuscire a parlare, tese la mano del braccio sano verso di lui con un’impazienza ed un bisogno evidenti, tremava e piangeva. Ma sorrideva, anche. Piangeva di gioia nel rivederlo.
Poteva essere tornato per ribadire che non l’avrebbe più visto, ma Cristiano gli aveva lasciato dentro una nota di speranza a cui voleva aggrapparsi.
Sergio era serio ma anche teso, glielo leggeva in faccia, sempre così espressivo e chiaro in quello che provava.
Lo vide chiudere la tenda che divideva i due posti letto della stanza, nonostante l’altro fosse vuoto lo fece per assicurarsi che dal vetro sulla porta nessuno li vedesse.
Poi si affrettò ad arrivare al letto, gli prese la mano e incapace anche lui di dire qualcosa, gli mise l’altra sulla guancia, si piegò su di lui e lo baciò. Non disse nulla, non fece niente altro, mentre gli stringeva la mano e gli carezzava il viso con gli occhi stretti e le lacrime che scendevano.
Lo baciò e basta. Leo rispose al bacio come se non avessero fatto altro che baciarsi per tutta la loro vita, come se fosse normale, per loro.
Eppure era il loro primo bacio e non si erano fatti molti discorsi in merito.
Solo Sergio gli aveva dichiarato che l’amava prima di dire che se ne andava.
Ma erano morbide e tremanti, le sue labbra, e sapevano di pianto, come le proprie.
Leo si impresse ogni sensazione, mentre si sentiva rigenerare dentro, nell’anima. Mentre il calore prendeva il posto del freddo e la luce invece quella del buio.
Una luce che presto sarebbe stata reale, perché avrebbe chiesto di tenere la finestra sempre aperta e anche se pioveva e iniziava il freddo, avrebbe anche voluto che il vento entrasse. Per sentirsi vivo. Perché lui era ancora vivo.
Non era morto. In qualche modo era vivo e anche se doveva capire come, non avrebbe mollato.
Se Sergio sarebbe rimasto al suo fianco, non avrebbe mollato mai. Sentiva di potercela fare.
- Perdonami, ma non ti libererai di me così facilmente! Lo sai che faccio sempre di testa mia! - sussurrò Sergio prendendo fiato sulle sue labbra. Si piegò in un sorriso, mentre respirava ancora emozionato. Aprirono gli occhi guardandosi da vicino, le fronti appoggiate.
- Ti amo, Sergio. Credo di averti sempre amato. Ti prego, qualunque cosa succeda non abbandonarmi mai! Promettimelo che avrai una pazienza infinita anche se tu di solito non ce l’hai mai avuta... - Leo era estremamente agitato e terrorizzato, ma Sergio sorrise sentendosi pieno di forze e così lucido come non lo era mai stato.
- Lo sai che ti amo anche io. E lo sai che non mollerò mai con te. - tornò a baciarlo per suggellare quella promessa, poi si sedette sul letto con lui, tenendogli la mano del braccio sano. Le loro dita intrecciate, appoggiati uno all’altro nella posizione che Leo doveva mantenere ancora per alcuni giorni, prima di iniziare a muoversi.
- Non sapevo come fare, mi serviva tempo. Ero sconvolto da quello che ti era capitato e da come stavi. Non ti avevo mai visto così. Ma adesso sto bene ed ho capito. Non mollerò. - si scusò Sergio consapevole che era stato debole proprio quando sarebbe dovuto essere forte. Ma Leo capiva, capiva meglio di lui.
- Sei sempre stato così emotivo ed impulsivo. Anche io lo sono, a modo mio. Ma tu vivi tutto al massimo, ogni emozione, senza vie di mezzo. Per questo l’hai presa male questa cosa. Non potevi essere diverso. - spiegò al suo posto. Sergio non si sconvolse nel vedere che lo conosceva meglio di quanto si conoscesse lui stesso. - Dovrai essere la mia forza. - aggiunse poi, piano e spaventato. Sergio strinse la sua mano e chiuse gli occhi mentre con la testa si appoggiava alla sua, ancora fasciata.
- Lo sarò. Te lo prometto. A costo di trasferirmi qua. - disse deciso senza esitare, consapevole che la sua vita era a Manchester. Leo sorrise debolmente.
- Magari è più facile se mi trasferisco io in Inghilterra, che dici? - Sergio sollevò la testa per guardarlo e capire se era serio, Leo smise di sorridere ed annuì. - Penso sia la cosa migliore, no? Qua sarebbe troppo dura ricominciare e voltare pagina. Barcellona è sempre stata tutta la mia vita, rappresentava il massimo dei miei sogni, li ho vissuti e... e non li vivrò più... - esitò trovando difficile continuare. Inghiottì e ricominciò. - Ma se me ne vado, almeno per un po’, mi farà bene. Ad Antonella andrà bene se glielo chiedo per voltare pagina. - Sergio non sapeva come avrebbero potuto affrontare tutto quello insieme alle loro compagne, ma decise che in qualche modo avrebbero fatto, purché insieme.
Annuì.
- Allora facciamolo. - così sarebbe stato.
Leo appoggiata la testa a quella di Sergio, chiuse gli occhi stringendo la sua mano ed in quel momento gli tornò in mente un altro ricordo, come un flashback con la potenza di un treno.
Quel giorno Sergio gli era piombato in casa come se fossero vicini di villa e non distanti migliaia di chilometri. Leo, stupito, l’aveva guardato convinto di aver dimenticato qualcosa. Tipo gli ultimi giorni. Era in nazionale e l’aveva scordato?
- Sergio? - chiese titubante. Ma lui si vedeva che aveva qualcosa. I suoi occhi brillavano di lacrime ed era al colmo della gioia.
Entrò senza chiedere il permesso, com’era tipico suo. Non stava nella pelle, stava facendo tanti piccoli saltelli sul posto. Ovviamente Leo sapeva che non si era perso dei giorni e che erano in una delle normali ‘finestre’ di club.
Perciò non poteva proprio essere che lui gli piombasse lì così solo per una serata fra amici. Ogni tanto lo faceva, ma se i loro giorni liberi coincidevano e non succedeva spesso in realtà.
Sergio doveva dargli una grande notizia, e non sapeva da dove iniziare. Così ad un certo punto gli aveva solo preso le mani fra le sue, le aveva strette forte e con l’aria di chi era la persona più felice sulla faccia della Terra, aveva detto a gran voce.
- LEO DIVENTERÒ PADRE! - Leo l’aveva guardato meravigliato e stordito.
- Wow... è una notizia meravigliosa... ma potevi anche darmela per telefono... - era contento che Sergio diventasse padre, ma non era probabilmente la notizia che l’avrebbe fatto saltare di gioia. Essere padre è una benedizione, ma è decisamente una cosa che riguarda te e tua moglie. Perciò nel caso di Sergio era un unione ulteriore fra lui e Giannina, cosa che l’aveva turbato quando si era sposato con lei ed ora non era di certo la cosa che lo rendeva più felice.
Non se lo spiegava, era un sentimento puro, istintivo. Ma lo nascose bene, per il suo bene.
Sergio si mise le mani alla bocca e avvicinandosi come se dovesse poi baciare lui e non le sue mani, fece trattenere il fiato a Leo. Il cuore gli mancò di un battito e per un istante leggendario aveva pensato che l’avrebbe baciato davvero sulla bocca. Non si sarebbe spostato. L’aveva stabilito lì su due piedi.
- Diventerai il mio padrino, vero? - poi si era corretto goffamente. - Cioè il padrino di mio figlio. - Leo aveva chiuso e aperto gli occhi un paio di volte per capire cosa gli aveva appena chiesto, poi capendo che era un modo per rendere reale ed ufficiale il loro legame, si sciolse come un cioccolatino al sole. Aveva sorriso con le lacrime agli occhi avvicinandosi a lui a sua volta. Anche lui quasi come a baciarlo. Solo le loro mani a separare i loro visi.
- E come lo chiamerai? - chiese come se fosse importante, solo per prendere tempo. Sergio alzò le spalle.
- Non ne ho idea! Non so nemmeno se sarà maschio o femmina! È solo un fagiolo, ora. Lo chiamo fagiolo. Però io voglio legalizzare il nostro rapporto, il nostro legame. So che è una cosa stupida, ma vorrei essere tuo fratello, avere un legame reale insomma. Come le coppie che si sposano. Ma non c’è una cerimonia per rendere fratelli due amici. Perciò se sarai il padrino di mio figlio saremo legalmente qualcosa... cioè non so cosa, ma lo saremo!
Leo aveva riso sciogliendo la tensione, sentendosi sempre più vicino al baciarlo. Poi l’aveva abbracciato.
- Ne sarei onorato, fratello. - ma mentre l’aveva detto, qualcosa aveva stonato. Perché non era quello il legame che aveva voluto legalizzare. Ed ora lo sapeva.
- Il legame era l’amore. - sussurrò Leo tornando al presente. Sergio lo guardò spostando di poco la testa, senza capire a cosa si riferisse.
- Quando mi hai chiesto di diventare il tuo padrino per legalizzare il nostro rapporto. Perché volevi essere mio fratello. Non era quello, vero? - Sergio ricordando quel momento, sorrise imbarazzato e con aria di scuse.
- Non sapevo bene cosa volevo, era tutto confuso. Sapevo solo che volevo essere legalmente il tuo ‘qualcosa’.
Leo rise di nuovo, ma non per sciogliere la tensione, bensì perché si sentiva meglio.
- Ci amiamo da un sacco di tempo, è vero? - Sergio annuì.
- Eh già...