* Leo è in sala operatoria e ancora non si sa come sta andando, l'attesa è la cosa peggiore. Quando ancora può essere tutto e niente. Quando hai ancora speranze e al tempo stesso ti disperi come se fosse già successo l'impensabile. Ma poi arriva la sentenza e da lì non si torna indietro. Come ha reagito Neymar appena ha ricevuto la notizia dell'incidente di Leo? Lui che è venuto così giovane al Barcellona solo per poter giocare con Messi? Loro con Suarez hanno dato vita ad uno dei trio più forti del calcio ed hanno legato subito diventando così facilmente suoi amici. Nel frattempo arriva anche Sergio. Scusate per la lunga attesa, la storia è finita di scrivere, ma è da correggere e per farlo mi serve tempo che non sempre ho, visto che lavoro. Però mi impegnerò per pubblicare con più frequenza. Per sapere quando lo faccio seguite la mia pagina su FB. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 3:
LA SENTNZA CHE TOGLIE IL FIATO
‘ti aiuterò a portare il peso
ti porterò in braccio
[...] Se ti dico di chiudere gli occhi
se ti dico di guardare da un'altra parte
affonda la tua faccia sulla mia spalla’
/Editors - No sound but the wind/
Quel sorriso spensierato ed incosciente non sarebbe più stato lo stesso.
La luce tipica che risplendeva dietro gli occhi di Neymar si era spenta alla notizia sul suo compagno di squadra. Quella luce era opaca e destinata ad essere sempre più scura.
Seduto in sala d’attesa si tormentava le mani torcendosele e divorandosi unghie fino a farsi uscire sangue. Notandolo Rafinha gli diede uno schiaffo sulla nuca, poi gli prese la mano dalla bocca con decisione e lo costrinse ad intrecciare le dita alle sue. Si tennero così la mano, seduti vicini con tutti gli altri compagni di squadra.
L’intero club del Barcellona infatti era radunato in una stanza che per quanto grande, al momento sembrava estremamente piccola.
Neymar e Rafinha rimasero a stringersi la mano come due fidanzati fregandosene altamente di cosa sarebbero potuti sembrare, non era certo il momento per formalizzarsi pensando alle insulse opinioni degli altri. Quanto era stupido tutto quanto rispetto a quello che stava succedendo in sala operatoria?
La sessione di allenamenti non si era mai svolta, appena saputo di Leo si erano tutti precipitati in ospedale ignorando gli ordini dei dirigenti del club che gli aveva detto di aspettare notizie a casa.
24 ragazzi più Luis Enrique, l’allenatore, erano lì dal primo all’ultimo, ad aspettare di sapere se il loro amico si sarebbe salvato.
Era dentro da ore, ormai, e lì con loro c’era anche Antonella, la moglie di Leo, il quale aveva lasciato i figli alla loro governante che al bisogno faceva loro anche da tata.
C’era paura, nei loro occhi..
Qualcuno aveva avuto la sfortuna di vivere già momenti così drammatici e sembrava affrontarli meglio o peggio, come un tuffo nei ricordi. Qualcun altro, invece, non aveva mai vissuto niente del genere e non sapeva come uscirne.
Per Neymar era puro shock.
Era arrivato al Barcellona due anni fa principalmente spinto dalla presenza di Leo Messi.
Tutti i migliori club d’Europa lo volevano; all’epoca, nel 2013, aveva giocato solo in Brasile conquistando già fama e successo. Aveva letteralmente avuto l’imbarazzo della scelta ed aveva deciso per il Barcellona, l’aveva voluto con tutto sé stesso, per Leo. Per poter imparare da quello che al momento vedeva come il migliore. Neymar era nel panico all’idea di perdere un amico, non solo una guida od un grande campione.
Forse era questa la sua bellezza. La bellezza di un ragazzo che sapeva legarsi talmente tanto e con tanta facilità, da prendersi a cuore chiunque gli stesse intorno. Con Leo aveva legato immediatamente, non era mai stato la tipica star con la testa montata che teneva tutti a distanza per non farsi contaminare, perché non riteneva nessuno alla sua altezza.
Leo era la tipica persona che ti accoglieva e si comportava come uno qualunque, né come il più bravo calciatore della storia del calcio, tale era visto da molti, né come un capitano. O vice capitano nel suo caso.
Era uno come tanti e da questo Neymar aveva deciso che genere di campione volesse essere. Uno pieno di amici, che viveva a pieno qualunque cosa, chiunque, sempre, senza riserve.
Uno che se riceveva la notizia che un compagno, un amico, stava rischiando di morire, andava nel panico ed invece di fare la cosa più logica, andare in ospedale da solo, si precipitava dalla prima ed unica persona a cui era stato in grado di pensare.
Rafinha.
Rafa se l’era visto piombare in casa quella mattina prima ancora di ricevere la notizia stessa.
Stava facendo colazione coi boxer quando qualcuno aveva suonato come un forsennato, insistentemente. Era andato ad aprire seccato allargando le braccia con aria scocciata, ma non aveva nemmeno detto ‘che diavolo c’è!’
Aveva solo potuto accogliere quella specie di furetto sottopeso ed alquanto ossuto, chiudere la porta e stringerlo a sé.
L’aveva saputo subito, immediatamente, che doveva essere successo qualcosa. Qualcosa di brutto.
Qualcosa che forse non sarebbe riuscito ad affrontare.
- Leo... - aveva balbettato sotto shock. Neymar non stava piangendo, non ci riusciva, come non riusciva a parlare.
- Leo cosa? - aveva chiesto preoccupato capendo che doveva essergli accaduto qualcosa e proprio il fatto che non riuscisse a parlare gli aveva fatto capire che no, probabilmente non sarebbe riuscito ad affrontarlo.
A quel punto a Rafinha era suonato il telefono e per qualche ragione gli si era gelato il sangue.
Neymar gli piombava in casa in quelle condizioni nominando ‘Leo’ sconvolto, il telefono suonava. Qualcosa gli fece collegare il tutto al peggio. Subito.
Di solito dipende dall’indole della persona, c’è chi è più portato ad essere ottimista e pensa che la notizia non è troppo brutta, e c’è chi invece è pessimista e pensa subito al peggio.
Rafinha non era forse né l’uno né l’altro, ma la potenza delle emozioni di Neymar era tale che pensò subito alla cosa più orribile di tutte.
“Mica è morto!” Non l’aveva pensato per scherzare e sdrammatizzare da solo.
L’aveva pensato seriamente.
Quando pensi ad una cosa del genere, qualunque sia poi la notizia reale e l’esito della situazione drammatica che vivi, te lo ricorderai per sempre quel pensiero.
Ti segna, è una delle cose più sconvolgenti arrivare seriamente a pensare che qualcuno possa essere morto. Te lo ricorderai comunque il momento in cui hai pensato che una persona sia morta.
Rafa aveva così risposto al telefono con l’ansia di chi già sapeva anche se non era così, qualcuno che non aveva subito riconosciuto gli aveva dato la notizia di Leo in ospedale, in gravi condizioni e a quel punto era tornato.
Non che fosse bravo in certe situazioni, né particolarmente forte, ma lo era stato lì. Lì in quel momento per la prima volta in vita sua, probabilmente, era diventato forte, sicuro, deciso.
Lì era diventato una roccia.
La roccia di Neymar.
L’aveva preso per le spalle, l’aveva scosso con forza e l’aveva obbligato a guardarlo negli occhi per davvero.
Neymar l’aveva fatto. L’aveva guardato realmente e come per magia era tornato, era tornato il necessario per andare avanti.
- Non è morto, è in ospedale, gli stanno salvando la vita. Non si piange e non si pensa a niente finché non è finita realmente. Niente, capito?
Neymar non aveva annuito, ma Rafa l’aveva scosso prepotentemente: - MI HAI CAPITO? - chiese ancora più forte, alzando la voce.
Neymar così aveva annuito aggrappandosi a lui, alla sua roccia. Fidandosi solo perché era lui e sembrava sapere cosa diceva.
Rafa non lo sapeva, semplicemente non aveva potuto far altro. Per lui. Per Neymar.
- Adesso mi vesto e andiamo in ospedale, non ci muoviamo finché non abbiamo buone notizie.
Non lo pensava realmente. Che bastasse il pensiero positivo per far andare bene qualcosa, ma era costretto a crederci ora, per lui. Perché se a Neymar serviva una roccia, lui sarebbe stato la sua roccia.
Ed ora in ospedale continuava ad esserlo, costringendosi a non pensare a Leo in sala operatoria da ore, né ad altri eventi drammatici della sua vita.
Quanto si può stare sospesi in un limbo in un’attesa snervante senza morire a tua volta?
Ad interrompere quella sospensione drammatica dove nessuno pensava realmente a qualcosa di particolare, arrivò da fuori una specie di fulmine a fare un gran chiasso.
Stava litigando con qualcuno che lo stava inseguendo e lui lo stava mandando via per nulla intenzionato a fermarsi.
- IO NON INTENDO PER NIENTE FERMARMI E REGISTRARE UN CAZZO! NON DEVO CHIEDERE NIENTE A NESSUNO! SO PRECISAMENTE CHI CAZZO CERCO!
Sergio Aguero era arrivato agguerrito più che mai, acceso come un fiammifero, inseguito da qualcuno della sorveglianza. A quel punto, nei pressi della sala d’attesa più affollata che mai, si girò e vide una serie di ragazzi ammassati, il primo che riconobbe fu proprio Neymar il quale si alzò di scatto tornando presente come per magia, come se gli avessero riattaccato una spina.
Lasciò senza rendersene conto la mano di Rafa il quale si alzò con lui, altri lo imitarono.
- LUI! GLI CHIEDA CHI SONO SE NON MI CREDE!
Sergio indicò furioso proprio Neymar il quale automaticamente si fece avanti annuendo.
- Sergio Aguero!
Sentendo quel nome, Antonella lo raggiunse e sistemò subito le cose.
Sergio si era presentato con la barba ancora da fare, il cappellino, gli occhiali scuri e aveva ‘osato’ non indossare alcuna divisa del club che lo potesse rendere facilmente riconoscibile, come se tutti i vip dovessero farlo.
Il sorvegliante, del resto, aveva ricevuto severe indicazioni sul non far passare nessuno proprio per la presenza del club del Barcellona e di Lionel Messi in sala operatoria. Ma impedire ad un argentino di raggiungere il suo migliore amico, era quasi impossibile.
Sergio non aveva agito in modo logico e razionale tirando fuori i propri documenti e rendendosi riconoscibile, aveva spinto l’uomo ed era corso dentro comunque.
Una volta liberatosi di lui, abbracciò Antonella tremando come una foglia sia di rabbia che di ansia.
- Ti prego, dammi buone notizie! - disse quasi implorando. Lei purtroppo non gliele poté dare.
Nemmeno il primario di chirurgia che finalmente era uscito dalla sala operatoria poté dar loro buone notizie.
Non del tutto, per lo meno.
Aveva ancora la sensazione delle sue braccia che stringevano automaticamente Antonella, rifugiatasi istintivamente contro di lui alle parole del chirurgo.
Era stato sorprendentemente delicato, ma anche estremamente onesto. Non aveva voluto indorare una pillola completamente amara.
Sergio si ripeteva mentalmente la scena, le sue parole e tutto si concludeva con Antonella in lacrime che lo abbracciava disperata, soffocando un pianto a dirotto contro il suo petto.
Le loro famiglie avevano spesso fatto molte feste insieme, i loro figli erano come fratelli, così come lo erano lui e Leo. Eppure Sergio era partito da solo, senza nemmeno parlarne con la sua compagna. Era solo partito immediatamente col primo volo, non aveva considerato niente e nessuno.
Karina, l’attuale ragazza di Sergio, però sarebbe presto arrivata insieme al piccolo Benji il quale avrebbe avuto il gravoso compito di distrarre i figli di Leo ed Antonella, in particolare ovviamente Thiago; ma i bambini riescono in imprese che agli adulti spesso sono impossibili.
Era stata la donna a pensare ai dettagli ed alle cose pratiche. Aveva fatto una piccola valigia al suo fidanzato che era partito con senza niente in mano. Precipitoso come sempre.
Non sapeva quanto si sarebbero fermati, ma di sicuro non un solo giorno. Era quella la sensazione avuta da Karina quando aveva organizzato ogni cosa.
Lo sguardo di Sergio fissava attraverso il vetro della porta in plastica bianca. All’interno Antonella si era ripresa dopo il piccolo crollo alla notizia del chirurgo, adesso sedeva accanto al suo letto col camice, la cuffia, la mascherina ed i guanti forniti esclusivamente a lei per assistere il marito nel primo delicato risveglio in seguito all’operazione.
Lo vedeva dalla piccola finestra, ma il suo cervello lo scindeva in due. Da un lato l’immagine di Leo steso nel letto bendato, intubato e col respiratore, gli occhi chiusi, le lenzuola bianche, le coperte azzurre. Dall’altro c’era il primario che usciva dal blocco operatorio e spiegava l’esito dell’operazione.
Gli avevano permesso di stazionare lì fuori per qualche minuto solo perché era lui, ma non sarebbe comunque potuto entrare perciò quando Antonella sollevò lo sguardo appesantito e pieno di un pianto che aveva solo sospeso, lui le fece cenno che sarebbe andato.
Prima di entrare si erano messi d’accordo. A breve sarebbero arrivati Karina e Benji e non volevano portare il figlio in ospedale, perciò li avrebbe portati a casa di Antonella e Leo dove sarebbero stati coi piccoli Thiago e Mateo.
Sarebbero rimasti lì da loro a dormire finché sarebbe stato necessario. Una frase che diceva tutto e niente. Cosa poteva significare? Per quanto sarebbe stato necessario?
Sergio non ne aveva idea, sapeva solo che non sarebbe mai riuscito ad andarsene in quelle condizioni. Finché Leo era così, lui sarebbe rimasto lì.
Una volta uscito dal reparto di terapia intensiva, fu come uscire da una bolla, una sorta di mondo incantato dove non senti nulla, non sei nessuno e non devi fare niente.
Appena varcò la soglia, si ritrovò davanti alla realtà, al mondo così come l’aveva lasciato prima.
Tutte le facce dei giocatori che a stento riconosceva in quel momento, sfocate si sovrapponevano davanti a lui con le loro ansie e le loro domande.
Nel panico li guardò senza avere idea di cosa dire e a chi, poi i suoi occhi neri riconobbero due facce in particolare a cui si aggrappò emotivamente per tornare anche lui sul pianeta Terra.
Ora accanto a Neymar c’era un altro viso estremamente noto.
- Cristiano...
Cristiano Ronaldo in un’ora e mezza di volo privato era arrivato a Barcellona, incapace di stare fermo a Madrid in attesa di qualche notizia. Le notizie aveva deciso di andare a prendersele da solo, di prima mano, per assicurarsi che fossero vere.
- Ciao, non riuscivo a starmene a casa, dovevo sapere realmente cosa stava succedendo... - si giustificò come se improvvisamente fosse il capitano del Barcellona e parlasse a nome di tutti. Una dote naturale.
- Io... - Sergio boccheggiò faticando comunque a rimanere coi piedi al suolo. La sua testa non collaborava. Non voleva saperne, ma l’ansia dei compagni di Leo era tale che sapeva che se non avesse detto qualcosa, l’avrebbero appeso al muro.
Scosse la testa facendosi indietro, sentendosi improvvisamente soffocare. Il mondo iniziò a girare, si sentì nettamente mancare e mentre le ginocchia gli tremavano con gli occhi che passavano forsennati da uno all’altro, la mano di Cristiano sulla sua spalla lo fermò.
Fermò la sua testa che girava, il suo panico che dilagava.
- È vivo? - chiese pratico focalizzandosi sulla cosa principale. A quella domanda semplice e diretta, unita anche alla presa forte e decisa della sua mano, Sergio annuì ricordandosi cosa doveva dire.
- È vivo, sembra sia fuori pericolo. Adesso è in Terapia Intensiva, finché non si sveglia Antonella starà con lui e nessuno può vederlo. Appena si sveglia e le sue condizioni generali migliorano lo sposteranno di reparto e allora sarà possibile vederlo, ma ci vuole un po’ di tempo. Probabilmente oggi non lo vedrà nessuno.
- Ma sta bene, starà bene, insomma... - insistette Neymar ancora agitato, il quale voleva sapere la cosa più fondamentale.
Sergio a quella specie di domanda lo guardò perso. Come poteva stare bene uno investito da un furgone?
- Finché non si sveglia è impossibile dirlo. - disse ripetendo a macchinetta le parole del dottore alle sue stesse domande.
- Ma l’operazione è andata bene, hai detto... - continuò imperterrito Neymar facendosi ancora avanti. Cristiano cercò di frenarlo sentendo Sergio sotto la sua mano così teso da poter essere pericoloso. Aveva la sensazione di stringere una corda di violino tirata troppo.
Sergio infatti l’avrebbe spinto se si fosse avvicinato ancora e se avesse fatto ancora domande di quel tipo, ma la presa dl portoghese lo fermò sufficientemente. Seccato, astioso ed insofferente rispose acido e senza minimamente rifletterci. Impulsivamente come sempre.
- È andata bene perché è vivo, ma non camminerà più. Non c’è stato niente da fare per le gambe! Leo non starà bene per un cazzo, anche se si sveglia! - poi realizzando d’aver sbagliato scosse la testa e scattò via dalla mano di Cristiano per allontanarsi con un secco - Fanculo! -
Infine la sentenza. Una sentenza che tolse fiato e speranza a tutti. E, in un certo senso, per qualche istante, anche la vita.