*Mentre Leo è in ospedale in attesa di svegliarsi dopo una lunga e complicata operazione che purtroppo non gli ha salvato le gambe, Cristiano è da Neymar, in attesa di sapere come starà il suo ormai ex miglior rivale di sempre e di poter rendergli un ultimo omaggio. Fino a quel momento Neymar era un ammiratore di Cristiano, ma al tempo stesso rivale sul campo, tuttavia le tragedie uniscono tutti. So che volete sapere la reazione di Leo, ma dovrete aspettare un po', mi sono presa i miei tempi per approfondire bene ciò che succede fuori prima di arrivare alla parte più difficile. L'ho fatto anche perché sono sadica quando scrivo e volevo tenere la gente in sospeso. Ma tutti avranno il giusto spazio. Grazie a chi segue la fic, come vedete sto cercando di aggiornare più in fretta. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 4:
SOSPESO IN RIVA AL FOSSO
“Sono venuto qui per un rifugio.
Lontano dai venti e dai suoni della città
Sono venuto qui per avere un po' di pace.
Nel profondo dove le ombre sono pesanti
Non posso fare a meno di pensare a te.
[...]Mentre tu svanisci, mi rendo conto
Che è tutto finito
E niente rimane lo stesso”
/Skunk Anansie ft. Bastille & Rag n Bone Man - Remains/
Le parole di Sergio rimbombavano nella sua testa così come, Cristiano non poteva saperlo, quelle del primario avevano rimbombato in quella di Sergio prima.
Fissava il vuoto dell’enorme salone, fermo all’ingresso con la sua valigia accanto. Un bagaglio a mano di quelli che si portava in giro nelle trasferte. L’aveva fatto senza rifletterci, senza sapere quanto si sarebbe fermato. Aveva solo preso qualche cambio, il necessario per lavarsi.
- Vieni, la camera è pronta. - disse Neymar riscuotendolo dalle sue elucubrazioni. Cristiano si riebbe e nello sguardo vacuo tornò una luce decisa, sorrise gentile ed annuì prendendo il manico della valigia che inclinò per trascinarla sulle rotelle.
- Grazie di ospitarmi, non credo mi fermerò molto... voglio solo sapere come sta quando si sveglia e magari salutarlo brevemente.
“Un’ultima volta, visto che non giocherà più.”
Aggiunse fra sé e sé senza dirlo ad alta voce.
Neymar si strinse nelle spalle mentre lo conduceva nei meandri del corridoio e poi su per le scale nella zona notte, dove molte camere oltre alla sua erano disponibili.
- Questa è la camera di mio figlio quando viene a trovarmi... - disse con un sorrisino stentato che doveva essere sia di scuse per la camera per gli ospiti formato bambino, sia perché in effetti era divertente far dormire Cristiano Ronaldo in una stanza piena di macchine e supereroi.
Questi si guardò intorno e sorrise meglio, più divertito di quanto era riuscito ad essere Neymar, ancora teso.
- Sembra la stanza di mio figlio! - commentò avendo un figlio di solo un anno più grande. - E noto con piacere che anche a te non piacciono le cose piccole... - aggiunse sempre scherzando, indicando il letto matrimoniale dove un bambino di 4 anni probabilmente ci avrebbe navigato.
Neymar rise istericamente, ancora peggio dei precedenti tentativi.
- Sì, tanto un giorno crescerà perciò sono proiettato verso il futuro! - ma poi non trattenne il resto, amaro più che mai, fuori dal suo controllo. - Leo non lo sarà più, invece.
Cristiano lo guardò meravigliato, realizzando quanto enorme poteva essere in realtà la crisi di Neymar che già si notava.
- Ehi, non è morto, un futuro ce l’ha comunque. Non come quello che pensava, ma ce l’ha! - gli ricordò con la sua tipica forza d’animo. Neymar si riscosse ed annuì scusandosi con gli occhi grandi spalancati e lucidi. Voleva solo scoppiare a piangere, ma si vergognava a farlo davanti a lui, uno dei suoi idoli calcistici.
- Hai ragione. Ti lascio sistemare, io sono giù... - disse tirato senza riuscire più a sostenere il suo sguardo. Cristiano invece lo tenne sempre alto, sicuro di sé, con un sorriso incoraggiante che si spense appena il ragazzo di 23 anni si richiuse la porta alle spalle.
Sospirò passandosi le mani sul viso, si strofinò gli occhi nervoso e quando riemerse guardò la stanza senza vederla.
Sentiva che l’emotività drammatica di Neymar l’avrebbe schiacciato, non sapeva quanto avrebbe resistito, ma ormai andarsene dopo aver accettato il suo gentile aiuto non era un opzione.
Doveva rimanere e resistere. Essere uomo, come lo era sempre stato.
Lui era Cristiano Ronaldo, non andava in crisi, lui superava gli ostacoli. Ma quello poteva essere l’unico impossibile da saltare.
Era venuto seguendo l’istinto ed una volta lì aveva deciso di dimostrare che era un uomo d’onore, che sosteneva il suo miglior rivale.
Un rivale che ora non sarebbe più stato tale.
Cristiano impallidì pensandoci.
Improvvisamente si rese conto di non avere più nessuno da inseguire, nessuno da cercare di superare, a cui dimostrare di essere il migliore.
Non aveva riflettuto bene, perché venendo lì era solo corso ad accertarsi che una persona importante si salvasse, niente di più.
Adesso era diverso. Adesso capiva che era lì per accettare il fatto che l’assenza di Leo dal calcio, avrebbe cambiato tantissime vite, in tantissimi modi.
In particolare era lì per capire quanto la propria sarebbe cambiata e andarsene avrebbe significato accettarlo. Accettare quel cambiamento, viverlo, ricominciare.
Cristiano sopraffatto da quelle realizzazioni arrivate tutte in una volta, prese il telefono e faticò a scrivere il messaggio perché la mano gli tremava come una foglia.
Si morse la bocca e batté il piede per terra cercando di riprendersi e dopo diversi tentativi sbagliati, riuscì a scrivere. Scrivere perché parlare al momento era impossibile, vista la voce incrinata. Quella non sarebbe riuscito a mascherarla.
‘Quanto ti ci vuole ancora?’ Non molto gentile. Per niente. Così con altrettanta fatica, aggiunse: ‘Ney non reggerà per molto, io non sono bravo in queste cose.’
Come se fosse suo dovere. Neymar era come un fratello per Riky che non rispose.
Era in un volo transoceanico che dall’America l’avrebbe portato lì in Europa il prima possibile, ma comunque non in fretta come avrebbe voluto.
“Prima di stasera non arriverà e lui ha tutta l’aria di scoppiare da un momento all’altro. Possibile che non ci sia nessuno a consolarlo? Dove sono i suoi amici?”
Non che poi ne sapesse molto di lui e delle sue amicizie, ma improvvisamente concentrarsi su qualcun altro gli rese la vita molto più facile.
Avrebbe aperto presto un cratere nel pavimento se non avesse trovato una soluzione. C’era Cristiano Ronaldo in casa sua, sarebbe rimasto due giorni, probabilmente, ma non lo sapeva; in ogni caso ora era lì e non poteva permettersi di fare il bambino e frignare.
Il problema era che non aveva minimamente idea di come gestire una situazione simile.
Nella sua testa si alternavano momenti di coraggio ad altri di terrore.
Prima pensava a Leo che non avrebbe più camminato e voleva gridare e piangere, poi pensava a Cristiano, uno dei suoi eroi degli ultimi anni, e voleva essere forte e coraggioso.
Non voleva piangergli addosso, non voleva fare la parte del bambino. Lui era così forte, scherzava, parlava tranquillo. Lui si che era adulto, che stava facendo tutto nel migliore dei modi.
Doveva imparare da lui, era così che si affrontava tutto.
Non per niente era stato tanto indeciso su dove andare. Real Madrid con Cristiano o Barcellona con Leo?
Per lui erano stati sullo stesso piano, era cresciuto giocando con loro che facevano meraviglie in campo, li aveva amati insieme ad altri idoli come Kakà.
Adesso uno non avrebbe più camminato e l’altro era lì con lui in attesa di non sapeva bene nemmeno lui cosa. Salutare il suo più grande rivale di sempre? Rivale che non sarebbe stato più tale, così come Leo non sarebbe più stato il suo compagno di squadra, forse nemmeno più suo amico.
Amico.
Si legava così facilmente agli altri.
Il nodo salì di nuovo e sentendo l’ondata in procinto di esplodergli dagli occhi, si schiaffeggiò le guance pensando alla forza di carattere che stava dimostrando Cristiano e andò in taverna, nella sala giochi che aveva fortemente voluto, aprì la musica a tutto volume tanto da far vibrare i vetri e si mise a giocare al flipper che si era comprato insieme ad altri giochi come il biliardo, il calcetto, le freccette, l’air hockey e il tavolo da poker.
Ovviamente non mancava la play station ultimo modello con simulatore e quant’altro.
Un bambino troppo cresciuto. Forse la propria età mentale era quella di suo figlio di 4 anni.
Neymar alzò le spalle e continuò a pigiare le dita sui bottoni del gioco mentre la musica latino americana rimbombava spaccandogli i timpani.
Così non riusciva a pensare.
A Leo che non avrebbe più camminato né giocato, un suo idolo, un suo esempio, una sua guida, un suo amico. Non avrebbe pensato a come doveva reagire per non deludere nessuno, specie Cristiano, l’altro suo idolo.
Non avrebbe pensato alla vita, alla morte, al destino e a tutte le cose brutte che stavano lì nell’abisso che si era aperto ai suoi piedi. Se non ci pensava non si sarebbe tuffato, non ci sarebbe caduto.
Sospeso in riva ad un fosso. Sarebbe rimasto così finché non l’avrebbe superata.
Cristiano si riscosse sentendo il pavimento vibrare. Impallidì e guardò i vetri tremare. Si raggelò irrigidendosi mentre il sudore divenne freddo lungo la schiena.
“Il terremoto?!”
Pensò congelandosi. Poi la musica gli arrivò coi bassi a palla, ovattata ma chiaramente tale e sospirò sollevando gli occhi al cielo.
- Neymar! - esclamò come faceva con Junior quando doveva sgridarlo per qualcosa che combinava.
Impugnando il cellulare uscì a passo di carica inseguendo quel chiasso e solo mentre scendeva le scale e si avvicinava alla taverna trasformata in sala giochi, con la musica che spaccava i timpani, esitò un momento perplesso.
“Ma che razza di reazione sarebbe questa? Mi aspettavo un fiume di lacrime... invece... gioca e ascolta musica? Cos’è, un bambino veramente?”
Entrando nell’enorme stanza addobbata a dovere con ogni gioco possibile, lo pensò realmente mentre un cantante latino dettava il ritmo del suo sedere scarno.
Neymar stava giocando a flipper e si muoveva a suon di musica come se niente fosse.
Forse era proprio così: un bambino, e da tale anche le reazioni emotive erano fra le più imprevedibili.
Cristiano individuò l’impianto da cui veniva la musica, erano diverse casse giganti collegate al cellulare di Neymar, infilato in una sorta di comando che contemporaneamente caricava il telefono. Andò dunque lì e deciso abbassò il volume fino a potersi parlare e sentire. Neymar si girò di scatto, non spaventato, ma nemmeno seccato.
Il portoghese allargò le braccia e alzò le spalle con aria di rimprovero.
- E allora? - fece solamente. Il più giovane alzò le spalle come se non fosse nulla di che, poi tornò a concentrarsi sul flipper, apparentemente una cosa essenziale.
Gli si avvicinò con le mani ai fianchi, ancora accigliato, fissandolo in faccia, provando a decifrare quell’espressione semplicemente concentrata sul gioco.
Nulla di strano se non fosse che in realtà un suo compagno di squadra nonché amico aveva appena ricevuto la notizia peggiore di tutte.
- Che fai?! - chiese meravigliato. Cristiano non era di certo uno che le mandava a dire, non si faceva problemi a fare domande e conversazioni scomode, sembrava non avere paura di nulla. Sembrava non avere argomenti tabù.
Neymar alzò ancora le spalle con fare apparentemente menefreghista.
- Non si vede? - rispose quindi, ma lì la sua voce lo tradì. Era tesa, sottile, tramava. Cristiano non mollò la presa, non lo faceva mai. Era la sua caratteristica, del resto.
- Vedo solo che stai giocando a qualcosa di stupido, mentre Leo non si è ancora svegliato dall’operazione che gli ha appena salvato la vita. - Neymar inghiottì a vuoto due volte, Cristiano guardò il pomo d’Adamo che andava su e giù capendo la sua tensione.
“Esploderà se fa così!”
- Lo ricordo, grazie. - fece polemico. L’attaccante del Real Madrid rimase sorpreso del suo tono, ma in quel momento era più grave la sua reazione.
- E allora che cazzo fai qua sotto, si può sapere?
- Che diavolo dovrei fare? - Neymar scattò mollando improvvisamente la presa sul flippr, la pallina schizzò, rimbalzò un paio di volte e poi cadde alla base. Gli occhi del brasiliano schizzarono pieni di un sacro terrore, sbarrati, corrucciati.
Cristiano si irrigidì non sapendo come muoversi, sentendosi come un elefante in una cristalleria. Com’era inadatto a quelle cose.
- Non lo so, ma non credo che giocare e sentire musica sia normale! disse senza tatto, com’era tipico suo.
“Quando cazzo arriva Riky?” La sola cosa a cui poteva pensare, ormai, era il suo arrivo. Sentiva in qualche modo che quando sarebbe arrivato, avrebbe messo tutto a posto. Non riusciva a spiegarselo, ma aveva quella sensazione.
- Io devo tenermi occupato, capisci? Non posso stare seduto a pensare a lui e a quello che gli è successo e a cosa significa che non camminerà più. Perché so che in qualche modo cambierà le vite di tutti noi e non so come e non voglio pensarci, non posso, non sono in grado. E non voglio nemmeno vivere tutto... - a quel punto, gesticolando nevrotico, si prese con vigore il centro dello stomaco e strinse il pugno tirandosi la maglietta aderente che indossava: - tutto questo! Non posso lasciarlo andare! Credo che esploderò! Mi sento morire, capisci? Sto cercando di gestirlo, perché se lo libero non so cosa sarà...
Neymar enfatizzò la propria situazione come enfatizzava tutto quello che gli capitava, Cristiano un po’ lo conosceva, ma non troppo bene. Lo conosceva attraverso ciò che i media mostravano di lui, attraverso le partite che guardava. Ogni sua reazione era una pantomima, ma faceva parte del suo carattere esagerato, emotivo, drammatico e pure infantile, se voleva essere sincero.
Adesso doveva essere adulto, doveva maturare e forse era quello il problema. Non sapeva come si faceva.
Lui non è che fosse tanto in grado di guidarlo in quel percorso minato. Ne aveva abbastanza a stare calmo mentre voleva solo scoppiare e gridare.
Gli mise solo la mano sul braccio, impacciato. Lui sapeva sempre cosa fare, sempre. Solo ora non ne aveva più la minima idea.
Sospirò, scosse la testa e indicò il telefono.
- In due è un mortorio, che ne dici se chiamiamo qualcun altro intanto che aspettiamo notizie? - a quella frase Neymar si rilassò e tornò a respirare dopo un lungo attimo di tensione. Per fortuna aveva capito, sembravano dire questo i suoi occhi espressivi da gatto. Ora solo un gattino spaurito.
Annuì e andò al telefono recuperando la rubrica, vedendolo che cercava qualcuno da chiamare, Cristiano alzò gli occhi al cielo maledicendosi.
Rimandare certe cose era solo più doloroso, ma dopotutto lui chi era per imporre?
Tanto doveva solo aspettare Riky. Lui avrebbe saputo sicuramente come fare. Lui sì.