*Sergio si unisce al gruppo più improbabile di tutti i tempi, dove personalità diverse e alcune anche molto forti cercano di prevalere in un'attesa difficile e sempre più complicata. Leo ancora non si sveglia e Sergio sa in cuor suo che sarà lui a dovergli dare la notizia peggiore di tutte e non sa come fare, ma per quanto assurdo sia, forse da un'ora in mezzo a gente che conosce appena potrebbe riuscire a ricavarci qualcosa. Sebbene, per il momento, sembrano solo cinque idioti. La mia personale considerazione di Luis è terribile perciò la mia versione di lui so che non è conforme alla realtà, ma alla fine la fic è mia. Spero continuate a seguire la fic, il risveglio di Leo non è ancora vicino, ma vi assicuro che avverrà. Nel frattempo ci distraiamo con quello strano gruppo. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 6:
QUALCOSA IN COMUNE
“Stiamo trascinando il passato
Quando ho già camminato sul limite?
Stiamo parlando giusto o sbagliato?
Chi cazzo sei per dirmelo?
Non mi importa
[...] Dì quello che vuoi dire
Pensa quello che vuoi pensare
A chi importerà cosa dici?
Non mi importa
Vedo rosso, vedo rosso, vedo rosso
E tu stai giocando col fuoco”
/I am giant - Playing with fire/
Neymar stava giocando a biliardo da solo.
Aveva spaccato il triangolo di palline e stava mettendo in buca una dietro l’altra, a caso, senza seguire alcuna regola specifica, nemmeno un ordine.
Semplicemente buttava dentro le palline che riusciva e quando le mancava ci riprovava, essendo solo e non potendosi alternare con gli avversari.
La musica ora non era più latina, come tendenzialmente preferiva, ma era passato all’house e all’elettronico.
Praticamente era stordente.
Il volume estremamente elevato faceva tremare la casa e appena varcata la soglia della sua sala giochi/rifugio, si era investiti di questo potente suono a ripetizione che impediva di pensare anche a chi invece voleva farlo.
Rafinha ignorò totalmente la musica, andò dritto dritto da Neymar e lo spinse con vigore facendolo rovesciare sul tavolo, la stecca rimase in mano ma le palline sotto di sé vennero spinte dal suo corpo fragile e sottile e rotolarono per conto loro.
Non gli gridò nulla perché tanto non si sarebbero sentiti, si guardarono uno sorpreso per il gesto, l’altro furioso e a muso duro.
Poco dopo la musica venne abbassata, di nuovo Cristiano era andato alla fonte più disturbante ed aveva agito secondo un senso quanto meno logico.
Gerard si affrettò a prendere Rafa per il braccio, per evitare di fargli partire il pugno.
Luis rimase lì incuriosito, quasi divertito, ad osservare la scena. Come se per lui non fosse un grosso problema un litigio fra compagni, ma più che altro si pregustasse un bel siparietto comico, quasi.
Cristiano, perplesso, rimase in disparte non sapendo come intervenire.
- Si può sapere che cos’hai nel cervello? La cacca? - tuonò Rafa cercando, nonostante la furia che lo inondava, di controllarsi ed evitare di picchiarlo con un pugno.
- Ma cosa vuoi tu da me?! - sbottò Neymar scendendo dal tavolo da gioco, impugnava ancora stretta la stecca senza però l’intenzione di usarla contro di lui, nemmeno concependo un gesto simile. Dentro di sé un turbine di emozioni, Rafa gliele leggeva negli occhi verde chiaro e le capiva tutte, una ad una, ma gli dava fastidio lo stesso.
A nessuno piaceva quella situazione, tutti ne soffrivano per vari motivi, eppure perché lui doveva fare il bambino consapevole di farlo? Perché doveva scappare da una realtà troppo amara da ingoiare? Tanto avrebbe dovuto affrontarla che gli fosse piaciuto o meno. Stava mancando di rispetto a Leo in quel modo!
- Voglio che la smetti di fare il bambino! Ti sembra normale ascoltare musica e giocare qua sotto? Siamo venuti per te, per aspettare insieme notizie su Leo e tu scappi?
Inaspettatamente, Neymar gettò la stecca per terra con forza che schizzò e si scheggio, finendo per rotolare con un baccano che si estinse con il piede di Cristiano che la bloccava giù.
- Non ho chiesto niente a nessuno! Se voglio fare così, io faccio così! Chi cazzo sei per dirmi come devo reagire?
Cristiano si sentì preso in causa visto che gli aveva detto lui di chiamare qualcuno, così tentò di inserirsi facendo un passo verso di loro, ma a quel punto il campanello suonò. Il suono fu ignorato da tutti e vedendo che Rafa si gettava contro Neymar per spingerlo di nuovo sul tavolo da biliardo, continuando ad inveire furioso, scosse la testa e salì ad aprire immaginando fosse quel poveraccio di Sergio Aguero. Bell’atmosfera nella quale farlo venire.
Lasciò Gerard in totale controllo della situazione che tratteneva Rafa come se fosse un moscerino tenuto per le ali, mentre Luis se la rideva appoggiato al flipper, le braccia conserte. Forse voleva i popcorn.
Cristiano andò al citofono con la vena che pulsava sulla tempio. Non ce n’era uno di quelli là sotto che non gli desse fastidio. Forse Gerard, stranamente, non lo irritava. ‘Stranamente’ perché di norma era il numero uno a mandarlo fuori dai gangheri.
In quello stato d’animo, vedendo che era proprio Sergio nel display del citofono, gli aprì schiacciando il pulsante, aspettò pochi istanti e poi aprì anche la porta d’ingresso.
“Possibile che sono tutti dei bambini? Se sapevo chiamavo Andres, forse l’unico in grado di far ragionare qualcuno. Perché diavolo ho lasciato fare a lui? Uno che a momenti lo picchia, l’altro che se la ride e lui che fa il bambino. Ma che cazzo sono, l’asilo?”
Poco dopo si presentò all’uscio schiuso il ben noto Sergio Aguero, soprannominato Kun. In Cristiano era in atto una specie di rivolta interiore dove voleva uccidere tutti, suo malgrado sorrise al nuovo arrivato, riuscendo ancora una volta a controllarsi nonostante la voglia di gridare quattro insulti a tutti.
Sergio rimase sulla porta finché Cristiano lo abbracciò come fossero amici, poi lo fece entrare dimenticandosi totalmente di quei quattro dementi di sotto.
- Allora, hai notizie? Si è svegliato? - chiese con speranza.
Sergio scosse il capo, serio.
In realtà appena sarebbe stato possibile l’avrebbe incontrato, cosa a cui teneva realmente, e se ne sarebbe andato di corsa tornando a Madrid. Non era il suo posto quello. Per niente.
Non ci voleva stare, ma sapeva che doveva, lo sentiva, era giusto così.
Si sentiva di andare da lui prima di andare avanti definitivamente da solo nella sua vita come calciatore.
Sergio non riusciva a sorridere, nemmeno debolmente o per finta. Lo notò e rimase colpito perché sebbene non lo conoscesse, ricordava perfettamente la sua caratteristica principale, quella che saltava di più all’occhio quando lo si vedeva.
Il sorriso.
Aveva uno dei sorrisi più belli fra i calciatori e lo esibiva sempre.
“Questa sì che è una reazione normale!” Pensò quasi con sollievo non considerando che anche lui, che voleva gridare e che invece si tratteneva dal farlo, non era poi tanto ‘normale’.
Forse il fatto era che non esisteva, la normalità. Non quando si trattava di reazioni a lutti o simili.
- Io non so perché sono venuto, in realtà. È che fra un’ora devo andare in ospedale a dare il cambio ad Antonella e non so cosa dire ai bambini a casa e... - e non riuscì a finire la frase, Cristiano gli cinse le spalle col braccio usando forza e sicurezza, come se sapesse che sarebbe andato tutto bene.
Eppure come tremava, dentro di sé.
Come.
L’eredità di Leo, non ci aveva pensato fino a quel momento. Quando aveva pensato che voleva salutarlo prima di andare avanti sentendo di dover portare con sé un pezzo della sua eredità. L’eredità del calciatore più forte della storia di quello sport.
Se era pesante la propria, figurarsi tenere anche la sua.
Sarebbe stato completamente solo, in quella posizione, mentre prima ci era stato insieme a lui, aveva condiviso tutto con lui, a modo loro, separati e da avversari, ma insieme. Le stesse cose, gli stessi premi, gli stessi obiettivi, gli stessi traguardi. Ma adesso sarebbe stato solo lui, non ci sarebbe più stato Leo. Avevano fatto la storia del calcio, adesso Leo si fermava, ma lui doveva andare avanti.
Adesso sì che stava diventando difficile.
Più le ore passavano e più peggiorava.
“Leo svegliati presto!”
Iniziava a sentirsi soffocare, oppresso da reazioni che sapeva di dover tenere, ma che in realtà non voleva.
Per un momento invidiò Neymar che, anche se infantile, aveva il coraggio di fare ciò che si sentiva.
Doveva tirare fuori una forza sempre maggiore, ne sarebbe stato in grado?
- Hai fatto bene a venire, qua puoi essere come ti senti. Tanto nessuno si sta facendo problemi in proposito... - a questa strana frase, Sergio lo guardò interrogativo e Cris si strinse nelle spalle portandolo giù in taverna, sperando in cuor suo di non star per fare peggio.
Già Sergio doveva affrontare una situazione tragica che riguardava quello che per lui era un fratello, se poi altri 4 stronzi intorno a lui non lo aiutavano, diventava impossibile.
Quando Sergio vide quei 4 stronzi, sulla soglia della sala giochi, si fermò con l’istinto di girare sui tacchi e andarsene.
“Davvero che cazzo c’entro con loro?”
Cristiano, davanti a lui, percepì la sua esitazione e si girò, lo guardò comprensivo e disse piano:
- Anche per me è uguale. Non so che cazzo ci faccio qui, non c’entro niente con loro. Ma abbiamo Leo in comune, no? L’attesa di qualunque cosa succederà quando lui si sveglierà.
A quello Sergio si ricordò cosa gli sarebbe aspettato andandosene da lì e con una sensazione simile al pugno allo stomaco, si sentì la nausea salire e capì che in qualche modo assurdo, era meglio lì con 5 persone che non conosceva, piuttosto che là in ospedale da Leo a dirgli che non avrebbe più camminato.
La sua mente nemmeno riusciva a concepire sé stesso che glielo comunicava.
Era inaccettabile.
Non sapeva come avrebbe potuto farlo, non ne aveva proprio idea.
Si girò verso gli altri e li guardò meglio.
Gerard e Luis litigavano fra di loro alzando le voci sopra la musica, sia pure bassa ma comunque aperta, e soprattutto sopra Neymar e Rafinha, i quali litigavano a loro volta sbraitandosi in faccia tutti a muso duro.
Quando Neymar e Rafa iniziarono a spintonarsi, Cristiano impallidì e tirò uno di quei fischi acuti e lunghi che staccò loro la spina.
I 4 si voltarono verso di loro e vedendo Sergio fu come se si spegnessero definitivamente, come se i motivi dei litigi non sussistessero più.
- Sergio è qua per passare un’ora con meno tensioni possibili, senza preoccuparsi di essere, dire o fare cose che non vuole. Perciò vorrei che per una volta la smetteste di fare i bambini e pensiamo a cosa fare.
Fece Cris da portavoce e Sergio gliene fu grato, ma poco dopo quattro oggetti non ben identificati gli vennero lanciati dai suddetti, accompagnati da delle lamentele circa il suo fare da padre e padrone.
- Piantala di fare il capo, non lo sei! - tuonò su tutti Gerard andando da Cristiano e spingendolo via, ma in quel gesto c’era gratitudine per aver messo fine in qualche modo a quella situazione assurda e spiacevole.
Cristiano sogghignò lasciandolo andare a salutare Sergio con una stretta di mano maschile e mezzo abbraccio.
Fra loro era così, l’argentino lo dedusse da come Cristiano non lo demolì ma rispose a tono. Un tono che sembrava seccato, ma in realtà, sotto sotto, era anche divertito. Questa volta davvero.
- Ma io SONO il capo. Devi accettarlo.
A turno anche gli altri andarono a salutare Sergio mettendo da parte ogni problema personale, ogni questione, smettendo come d’incanto di litigare.
Sergio li guardò disporsi per la sala, guardandolo in attesa di notizie, il motivo per cui l’avevano chiamato, probabilmente. Sebbene l’avessero usato per sapere cose su Leo, quello era il male minore fra tutti gli altri.
- Non so ancora niente, Leo non si è svegliato e fra un po’ andrò a dare il cambio ad Antonella.
Dopo di questo non avrebbe più detto niente. O per lo meno sperò di poterlo evitare.
Neymar si sentì deluso come gli altri, avevano tutti sperato di sapere che si era almeno svegliato, ma ovviamente nel constatare che non era così, tornò a sentire l’ormai consueto bisogno di stordirsi. Guardò il proprio telefono infilato ancora nell’impianto Hi-Fi, ma spento da Cristiano. Si morse il labbro, stava per seguire il terribile impulso di andare ad accendere cominciando a sentirsi come dei crampi alle gambe, quando Luis di punto in bianco e come se avesse totalmente senso, disse:
- Io ho fame!
E lì, assolutamente automatico, Cristiano rispose immediato:
- Non ti darò il mio braccio, perciò se non sai trattenerti ti metto una museruola!
Non l’aveva detto per smorzare una tensione salita alle stelle, l’aveva detto perché lo pensava davvero, ma con questo tutti scoppiarono a ridere sorpresi, grati di quella battuta obiettivamente riuscita. Tutti ovviamente tranne Luis che squadrò male Cristiano, il quale aveva osato scherzare sulla sua, sia pure stupida, mania di mordere gli altri.
- Guarda che non lo faccio apposta, è un impulso di quando sono tanto sotto pressione! E poi ci sto lavorando su!
Cristiano, seduto sulla poltrona da computer, guardò Luis che stava sul tavolo da hockey di fronte a lui e come se non fosse stato inopportuno, rincarò la dose ben convinto di quanto detto:
- E adesso sei rilassato? No perché se sei rilassato hai bisogno di cambiare psicologo, sai?
Gli altri continuarono a ridere, Neymar si stese sul biliardo, accanto a lui lo imitò Rafa che nascose istintivamente il viso sulla sua spalla. Quel contatto lo fece rabbrividire, lo scaldò e lo fece stare meglio.
- Dio, quanto amo la tua acidità, Cris! - replicò Gerard che in quanto ex compagno di squadra di Cristiano al Manchester United lo conosceva piuttosto bene.
Eccome se lo conosceva.
Anche Sergio finalmente ridacchiava, era un sorrisino timido, tirato e stentato, ma c’era indubbiamente.
Forse il primo da quella mattina.
Neymar non lo sapeva, ma lo immaginò ricordandosi che di Sergio la gente notava sempre il suo sorriso, come forse nel proprio caso. Il sorriso di ora non era gran che, ma almeno c’era.
“Stiamo tutti ridendo per non piangere. Perché se piangiamo non ci fermeremo più.”
Pensò come un fulmine a ciel sereno. Girò la testa verso Rafa baciandogli istintivo e fugace la fronte prima di rialzarsi a sedere insieme. Rafa si rilassò accanto a lui, lo sentì nel contatto delle loro braccia, ora appiccicate. Il litigio di prima un lontano ricordo. Ora, solo la voglia di far pace, farla come si doveva.
Rafa aveva solo cercato di aiutarlo, a modo suo. Che poi quei modi non fossero delicati era un altro discorso, ma sapeva perché l’aveva fatto.
Per lui. Era fortunato ad averlo nella sua vita, Neymar lo pensò mentre tornò a guardare l’appannaggio di Sergio. Lui avrebbe riavuto Leo?
- Comunque l’idea di mangiare qualcosa non è male, credo che nessuno mangi dalla colazione stamattina... - disse poi Cris, sempre come se fosse lui il capo di tutti. Gerard tornò a guardarlo stufo di quei suoi modi, ma il portoghese precedendolo gli fece il dito medio, si alzò e andò verso il salone e successivamente la cucina, ignorando totalmente ogni sua tipica e prevedibile lamentela. Lamentela che però si premurò di fare ugualmente inseguendolo di corsa. Neymar sentì la sua voce rispondergli qualcosa polemico, senza capire di cosa si trattasse, ma se ne disinteressò del tutto una volta rimasto lì sotto con Rafa.