*Tutti stanno male a modo loro, qualcuno lo dimostra apertamente, qualcuno lo nasconde, ma tutti sono colpiti dalla situazione di Leo. Rafa forse capisce meglio Neymar di Cristiano e forse nemmeno lui si capisce molto da solo. Perché è così concentrato sul controllare ogni cosa per dare di sé l'immagine che ritiene giusta, che non si rende conto di essere in prima linea, nel posto più pericoloso possibile. Mentre tutti scappano, lui va incontro ai cannoni. Nel frattempo Sergio arriva al cospetto di Leo. Una lunga notte lo aspetta. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 9:
IN PRIMA LINEA
“Non importa se ferisce
io voglio avere il controllo
voglio un corpo perfetto
voglio un'anima perfetta
voglio che tu noti
quando non sono in giro
tu sei così maledettamente speciale
Io avrei voluto essere speciale
ma sono una persona sgradevole, sono uno strano
cosa diavolo sto facendo qui?
io non appartengo a questo posto”
/Daniela Andrade - Creep (Radiohead cover)/
Rafa si sentì sopraffare, per un momento, vedendo Neymar seduto sul divano. Un divano estremamente grande dove lui stava rannicchiato, abbracciandosi le ginocchia contro il petto. Sembrava piccolo, un bambino.
Girava canale come uno zombie, come non fosse presente, ma il volume era così alto che sembrava stesse guardando un film interessantissimo.
Il compagno di squadra e di nazionale rimase fermo un istante a fissarlo, senza sapere come fare con lui, come aiutarlo.
Si isolava. Quando c’erano cose troppo grandi per lui, invece di provare a gestirle si isolava e se ne andava.
Prima o poi avrebbe dovuto mettersi in gioco, fare qualcosa piuttosto che rifugiarsi nelle fiabe infantili.
Provò di nuovo l’impulso di andare là e scuoterlo in ogni modo, fisicamente, emotivamente, psicologicamente.
Però capì che ognuno aveva i suoi tempi e non c’era un modo giusto per affrontare le questioni. Così distese i muscoli che per un momento aveva teso, prese una coperta con l’interno di pecora e l’esterno in microfibra rosso intenso e gliela mise addosso, poi si sedette vicino a lui. Si coprì appiccicandosi a gambe incrociate, gli prese il telecomando di mano con poca gentilezza, abbassò il volume ed andò su Netflix alla ricerca di qualche bel film da vedere. Non che poi sarebbe riuscito realmente a seguire, ma era evidente che a Neymar serviva quello e perciò a lui sarebbe andato bene.
Ma Neymar non aveva bisogno di un film od un gioco od una distrazione. Aveva solo bisogno di qualcuno che gli stesse vicino, che magari lo capisse, ma che per lo meno stesse con lui e basta. Senza dire o fare niente di speciale.
Qualcuno che lo riscaldasse, magari. Perché dentro di sé aveva un freddo enorme. Un freddo che partiva dalle ossa e nemmeno quella soffice coperta calda sarebbe stata sufficiente, ma l’accettò di buon grado accoccolandosi meglio contro di lui. Si appoggiò a Rafa con tutto il suo corpo, come se fosse un cuscino gigante e il compagno non disse nulla, quella volta. Non lo sgridò e non tentò di farlo parlare. Sollevò il braccio e lo circondò facendolo mettere meglio contro di sé.
Solo a quell’abbraccio sotto le coperte, al contatto dei loro corpi, si sentì un po’ meglio. Sentì meno freddo.
Meno paura.
“Forse con lui potrei affrontare questo casino.”
Forse con lui avrebbe potuto capire perché il fatto che Leo avrebbe lasciato il calcio per sempre e non avrebbe più camminato, lo turbava così tanto. E forse avrebbe anche trovato il coraggio di andare da lui, una volta sveglio, e salutarlo. Fare l’amico. Perché certo che l’avrebbe fatto, non sapeva come ci sarebbe riuscito, ma non c’erano minimamente dubbi che sarebbe andato da lui.
Ma per il momento ancora no, ancora un po’, si disse appoggiando la testa contro il suo collo, lì dove c’era l’incavo per la sua fronte. Sentì le labbra carnose di Rafa baciargli la testa, sui capelli fatti in qualche modo stravagante come suo solito e anche questo lo riscaldò.
Gli piaceva, Rafa, perché anche se erano entrambi ragazzi non si faceva problemi ad esternare manifestazioni fisiche di alcun genere, che andassero dalle più violente come le lotte che ogni tanto facevano, a quelle coccole che si concedevano. Niente di che, in realtà, e forse quella era la più sentimentale mai concessa, però non aveva quel genere di problema e gli piaceva per questo. Con altri compagni non avrebbe mai osato andare ad appoggiarsi addosso in quel modo e non avrebbe ricevuto un abbraccio ed un bacio in quel modo. Con amici anche più stretti di Rafa nemmeno.
Lui, solo lui era così. Solo con lui ci riusciva. Solo da lui ne aveva realmente bisogno.
Cristiano rimase sulla soglia del salone ad osservarli un po’, per capire se potesse intromettersi o dovesse sgattaiolare di sopra, poi valutando che probabilmente non avrebbero fatto niente, decise di sistemarsi con loro.
Neymar gli porse un pezzo di coperta la quale era così grande che riuscì a coprire anche lui.
Non faceva freddo, erano a Barcellona a fine ottobre, però loro ne avevano. Di quel freddo che non ti sai spiegare.
Notò che Rafa non aveva avuto bisogno di chiedere a Neymar cosa voleva guardare, sapeva che avrebbe scelto uno stupido film comico probabilmente nella speranza di alleggerirsi un po’ e rilassarsi, così aveva scelto un classico, Scary movie, virò immediatamente sul primo per andare sul sicuro. A Cris non dispiacevano i comici ben fatti e quello gli era piaciuto, tuttavia non li valutava il genere di Rafa, ma dopotutto non lo conosceva per niente.
Vide che selezionò il portoghese come lingua per il film in quanto loro due brasiliani e lui appunto portoghese, poi senza dire nulla sprofondarono in quello stupido film che Cristiano non guardò realmente.
Dopo quindici minuti lasciò perdere il film e si mise a guardare il telefono.
Riky ancora non gli scriveva, ma non doveva mancargli molto secondo i suoi calcoli. Andò su internet e guardò le notizie principali. Su ogni sito di comunicazione di massa, su tutti i social, ovunque non si parlava altro che di Leo.
Non aveva ancora osato guardare in rete, ma adesso aveva deciso di farlo e l’ansia iniziò a salirgli. Contrasse la mascella cercando disperatamente di controllare il respiro per evitare che Neymar accanto a lui si accorgesse di qualcosa.
Non si parlava ovviamente di tutti i possibili scenari, ma anche di indiscrezioni totalmente false sul fatto che potesse anche non svegliarsi più. Non era un’opzione plausibile, secondo i medici, ma non volevano forzare il suo risveglio in quanto l’operazione era stata molto delicata. Però li avevano rassicurati su quello.
Leo si sarebbe svegliato.
Altre false indiscrezioni uscivano su svariati argomenti ed il nervoso iniziò a montargli; il colpo di grazia arrivò quando vide gli articoli con relativi commenti su di lui ed altri calciatori.
L’attesa del mondo alle loro reazioni.
Sergio e Cristiano erano stati avvistati a Barcellona, per il momento gli unici ad eccezione dei loro compagni di squadra.
Cosa avrebbero fatto, una volta lì? Teorie parlavano di Sergio a vegliare in ospedale, senza sapere esattamente la verità. Per fortuna le forze dell’ordine si erano adoperate sufficientemente per impedire a curiosi e media di sostare nelle vicinanze della villa di Leo, perciò anche tutto l’intero quartiere era protetto, il loro compreso.
Altri post parlavano proprio di lui.
Una parte di sé non voleva leggere, ma l’altra non poteva esimersi. Era sempre stato curioso ed egocentrico, gli piaceva sapere cosa diceva la gente di lui salvo poi prendersela quando dicevano falsità e cattiverie. Di solito queste le trasformava in forza che esprimeva sul campo, erano la sua motivazione a superare il proprio livello e giocare bene, ma in quel caso era diverso.
Si sentiva fragile e non voleva esserlo. Sapeva che dopo di questo non sarebbe stato facile giocare a calcio ed iniziava ad averne paura, in realtà.
Paura di tornare su un campo con gli scarpini a rincorrere un pallone. Da sempre il suo sogno, ciò che gli veniva meglio.
E se non sarebbe più stato capace? Se non avrebbe potuto raccogliere la famosa eredità di Leo?
Lesse gli articoli, tutti si chiedevano il motivo della sua presenza a Barcellona, qual era lo scopo della sua visita. In molti malignavano dicendo che voleva solo farsi vedere ‘bravo’ agli occhi del mondo, ma che in realtà era contento della situazione di Leo e sperava che si togliesse di mezzo. Perché ora sarebbe potuto diventare il più forte.
Queste e molte altre cattiverie si stavano spargendo, per fortuna qualcuno lo difendeva dicendo che invece non era tenuto a fargli visita, ma lo faceva perché era corretto o perché era suo amico anche se rivale sul campo.
Non era proprio così. Non erano amici. Erano rivali, ma non si odiavano.
Però si era sentito in dovere, quasi in obbligo. Non sapeva perché e questo lo irritava e si sentiva scoppiare ed era inaccettabile non potersi sfogare in qualche modo. Sentiva di aver bisogno di gridare e spaccare qualcosa, ma non poteva.
- Non dovresti guardare quelle cose ora.
La voce calma di Rafa si levò mentre abbassava il volume del film. Cristiano si voltò verso di lui, Neymar stava dormendo.
- Lo so. - disse poi riuscendo per qualche miracolo a calmarsi.
- Io non aprirò più internet, credo. Cioè mai più. Da qui in poi può solo peggiorare... - sapeva che si riferiva al mondo dei media e dei social.
- Lo so. - replicò ancora nascondendo a fatica la sua ansia che stava aumentando. La stava percependo, Rafa? E se si fosse accorto che stava male e voleva gridare? E se l’avesse fatto veramente?
- Perché sei qua, Cris? Potevi aspettare si riprendesse. Tu non sei un suo compagno e nemmeno un suo amico, no?
Infine qualcuno aveva avuto il coraggio di chiederglielo. Cris si sentì la vena del collo pulsare furiosa mentre l’angoscia lo attanagliava.
Angoscia perché in realtà non sapeva cosa rispondere. Non ne aveva idea, ma Rafa aveva avuto le palle di chiederglielo e non aveva usato fastidiosi giri di parole, non era stato accusatorio od odioso.
Nonostante questo voleva gridare, nascose le mani sotto le coperte insieme al telefono e strinse i pugni.
- Non lo so. Ho seguito un impulso. Ho pensato che fosse mio preciso dovere esserci. Ma non so perché, in qualità di cosa e cosa voglio ottenere. Nulla, credo. Non so.
Aveva deciso di essere sincero, Rafa lo apprezzò o per lo meno sperò che l’apprezzasse.
- Mentre tutti scappano dalla prima linea di fuoco per rifugiarsi al sicuro, tu ci corri incontro e ti spalmi proprio lì davanti ai colpi diretti. Non ti conosco per niente, amico, ma sei davvero strano.
Il suo commento l’aveva spiazzato e l’aveva guardato da sopra la sua testa. Rafa gli aveva concesso uno sguardo mezzo divertito, ma non aggiunse altro.
- Dorme? - chiese riferendosi a Neymar che gli stava praticamente tutto addosso. Cris annuì e lui così prese il telecomando e fermò il film andando alla ricerca di qualcosa di meno demenziale.
- Che genere preferisci?
Cris alzò le spalle.
- Metti quello che vuoi, non riesco a concentrarmi su niente, ora come ora.
Rafa non disse nulla, selezionando Rush, un film su Niki Lauda.
- Questo è uno dei miei preferiti. Ha un phatos unico. Quell’uomo ha avuto una forza d’animo ed un coraggio pazzeschi, pochissimo tempo dopo l’incidente dove è quasi morto, bruciato vivo, è risalito sulla macchina ed è tornato a correre. Aveva ancora la faccia ustionata e per tenere il casco ha provato un dolore inimmaginabile. Sai, se penso alla forza umana per me lui è il mio esempio. Senza ombra di dubbio.
Cristiano sapeva perfettamente perché aveva scelto quel film e soprattutto perché l’aveva messo su ora che Neymar dormiva.
Sorrise con un senso di gratitudine, comprensivo.
- Allora spero che Leo abbia la forza di Niki Lauda, ora. Perché gli servirà.
- Tutti dobbiamo avere la forza di Niki, da ora. Chi più chi meno, tutti dovremo averla. Queste cose ci cambiano, che ci piaccia o no.
Cristiano non disse nulla, guardò il film ammirato per la maturità che quel ragazzo stava dimostrando. E forse quella mattina non era così maturo, quando si era alzato, prima di sapere della terribile notizia. Ma per la sera lo era diventato e non perché lo aveva voluto, bensì perché aveva dovuto. Per chi lo circondava, per chi amava. Per essere forte al posto di Neymar.
Cristiano pensò infine che quel ragazzino fosse davvero molto fortunato e lo invidiò.
Varcare quella soglia era stata la cosa più difficile della sua vita.
Come raggiungere la vetta del K2. Ci era voluto forza e coraggio e l’aveva riversata tutta lì, ma di fatto, Sergio, sapeva che non era sufficiente, che altrettanta ed anzi di più ora ce ne voleva.
Si era dato il cambio con Antonella fuori dal reparto, lei gli aveva detto che non si era ancora svegliato, ma che gli infermieri stimavano che presto sarebbe successo, non sembravano molto preoccupati per quello. Preferivano non velocizzare i tempi provocando il suo risveglio e di questo lei era stata d’accordo.
“Certo che lo è, così più tardi si sveglia, più tardi gli deve dire che non camminerà. Ed ora toccherà a me, quanto ci scommetti?” Ma non aveva detto niente, Sergio. L’aveva abbracciata e salutata dicendo che la notte l’avrebbe fatta lui e di dormire a casa, di venire a dargli il cambio l’indomani mattina.
Successivamente era entrato nel reparto di Terapia Intensiva, era stato accolto da un’infermiera che gli aveva dato le indicazioni su come vestirsi per entrare in stanza, così si era messo il camice verde di TNT, la cuffia bianca dello stesso tipo, la mascherina chirurgica azzurra sul viso ed i guanti in nitrile color blu.
Aveva varcato la soglia della sua camera come si sarebbe potuto fare per entrare nella tana di un lupo mannaro addormentato.
Leo non era un lupo mannaro e nemmeno un mostro, era solo la persona da cui tutti al momento volevano stare lontani. Ora che sapevano che non avrebbe camminato.
Non aveva nemmeno idea se la notizia delle sue condizioni era trapelata, lo sapevano solo Antonella, i compagni di squadra e il personale sanitario che l’aveva avuto in cura, perciò se fosse trapelato sarebbe stata colpa di qualcuno di loro. Non che fosse un problema, presto o tardi il mondo avrebbe appreso la notizia peggiore di tutte e lì sarebbe stato l’inferno.
Solo che non voleva che Leo fosse l’ultimo a saperlo, non lo riteneva giusto.
Si sedette cauto accanto al letto con le spondine alzate, non aveva il respiratore e sicuramente era una cosa molto positiva, ma aveva una maschera d’ossigeno per respirare meglio ben fissata al viso.
Aveva la testa fasciata e sulle braccia, un polso ingessato, il sinistro.
Aveva gli elettrodi sul torace per monitorare il cuore che infatti si sentiva battere regolarmente dal macchinario che trasmetteva anche la saturazione e la pressione con relativi strumentari sempre su Leo, in questo caso sul braccio e sul dito.
C’era un minutaggio preciso per la misurazione automatica della pressione che nel caso fosse stata alterata, avrebbe fatto suonare il monitor e di conseguenza gli infermieri sarebbero accorsi.
Si chiese se fossero normali tutti questi accorgimenti o se fossero solo perché era Lionel Messi.
Era strano vederlo così, era atroce, quasi.
Ma era assurdamente meglio che trovarlo sveglio. Sapeva che quando avrebbe aperto gli occhi sarebbe stato peggio.
Inghiottì il magone che lo colpì guardandolo in quelle condizioni, meno peggio di quello che si era figurato. Le coperte gli impedivano di vedere bene com’era il suo corpo. Quanto era fasciato, là sotto? Dove l’avevano operato?
Guardò le sue gambe attraverso le coperte ed inghiottì iniziando a tremare, sentendosi male, quasi.
Una morsa allo stomaco vuoto lo attanagliò e dovette sforzarsi di non vomitare.
Non avrebbe più camminato.
Non aveva realizzare realmente cosa significava fino a che non lo aveva visto e sapeva sarebbe stato molto peggio vederlo sulla sedia a rotelle, vederlo incapace davvero di farlo.
Per un momento venne sopraffatto da tutte quelle consapevolezze e strinse forte gli occhi cercando di respirare a fondo, mentre si sentiva iperventilare e col cuore in gola.
“Calma, calmati Sergio. Che se si sveglia ora non serve nemmeno che parli, lo capisce da solo. Calmati. Devi sostenerlo. Devi....”
Riaprì gli occhi e lo guardò cercando di esercitarsi a farlo, usando il tempo in cui lui dormiva per riuscire a guardarlo senza voler piangere, gridare e scappare.
“Ma che cazzo ci faccio qua? Dovrei andarmene, dovrei essere lontano da qua anni luce, come tutti. Dovrei essere su un altro pianeta. Che diavolo sto facendo qua? Non è il mio posto, non lo è...”
Ma sapeva che mentiva a sé stesso, che c’era un unico posto a cui lui apparteneva, ed era lì, vicino a Leo.
Più di un fratello per lui, da molto tempo ormai. Anche se non avevano mai avuto il coraggio di portare la loro relazione su un altro piano, lo sapevano entrambi. Non avevano mai avuto bisogno di parlarne, ma sapevano che era così. L’avevano sempre saputo.
Pensandolo, gli prese la mano, quella libera. Il fastidio di toccarlo attraverso i guanti.
Appena lo toccò si sentì come invadere da un’ondata di calma tiepida, si fece intorpidire da essa e lentamente capì che in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Per lui.
Era difficile, così difficile, ma sarebbe stato la sua roccia.