NOTE: In realtà ho scritto questa (ed altre fic) su loro due subito dopo le Olimpiadi. La passione per questa ship mi è scoppiata proprio dopo Parigi 2024, com’era prevedibile. Però come notate mi sto decidendo a pubblicare solo ora. Mi piace il basket ma non sono esperta come lo sono del calcio. Mi piacciono sia LeBron che Steph, ma non li conosco tanto bene, ho scritto proprio ad istinto, perciò spero che il tutto sia almeno decente. Ho solo iniziato a scrivere ed è uscito questo. La fic si divide in 2 parti, la prima è una sorta di riassunto da parte di Steph su come è arrivato a Parigi cotto per LeBron, perciò in realtà la storia vera è nella seconda parte che arriva fra 4 giorni circa. Se volete rimanere aggiornati sulle mie pubblicazioni, seguite la mia pagina su FB. Abbiate pietà. Baci Akane

SOLO QUA ED ORA

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PARTE 1: PRIMA DI PARIGI

Uno dei primi ricordi rilevanti che ho con lui, siamo noi due che rotoliamo sul parquet in una partita di basket. 
In realtà non rotolavamo, io gli stavo sopra. Completamente. E per poco i nostri visi non sono andati a contatto diretto come le nostre mani.
La mia sulla sua, come una di quelle romantiche pose dopo che due fanno l’amore. 
La sua faccia sulla mia l’ho evitata per un pelo, ma il mio cazzo sulla sua pancia ed il suo sulle mie cosce no, quelli non li ho evitati.
Gli ho preso tutto lo stampo e ricordo d’aver anche pensato ‘ma cos’è sta cosa grande e dura che mi fa male e sporge tanto?’ Perché era una cosa piuttosto grande e sporgente. Quando ho capito cos’era sono saltato su schizzando come un invasato. Per fortuna l’azione di gioco in cui eravamo rimasti coinvolti nello scontro richiedeva la mia attenzione - o meglio i miei insulti - e tutto è passato subito. 
Non so che anno era, ma è stato troppo tempo fa, ormai. 
All’epoca ci odiavamo, penso. Beh, lui odiava me. Io non l’ho mai odiato, anzi. Solo che diciamo era difficile andarci d’accordo, per lo meno per me. 
Io andavo d’accordo con tutti, ma lui era chiaramente ostico nei miei confronti e non sapevo come fare breccia e farmi accettare nel suo universo brillante e molto selezionato. 
Non so cosa gli avessi fatto, ma ha passato molto tempo a detestarmi e quando stai sui coglioni a LeBron James te ne accorgi subito, così come se ne accorge tutto l’universo.
Però standogli io sulle palle, per me è stato praticamente impossibile trovare la chiave per arrivare a lui e sistemare un rapporto che non era proprio disastroso, semplicemente non esisteva. Io alla fine mi sono sempre adattato a lui ed a come mi trattava. Non porgevo certo l’altra guancia, insomma!
Come siamo arrivati poi a ridere e scherzare un sacco insieme ad ogni occasione e addirittura abbracciarci con un certo trasporto? 
Forse obbligandoci a stare insieme per qualche evento come gli All Star Game abbiamo scoperto un modo per tollerarci e per convivere fino a che, lentamente, ci siamo conosciuti meglio. 
Beh, lui l’ha fatto, io non ho mai avuto niente contro di lui se non che ad un certo punto il suo astio gratuito verso di me, mi aveva proprio rotto il cazzo. 
Non saprei dire cosa o quando, ma abbiamo lentamente iniziato ad interagire fra noi scherzando insieme. 
Quel tipo di gioco dove fingi di odiarti apertamente con una serie di battute cattive, quando poi tutti pensano che sia solo uno scherzo ma in realtà è solo la verità mascherata da buffonata. 
Però ha funzionato, invece di ignorarci o guardarci in modo teso - sempre ripeto per colpa sua - ad un certo punto scherzavamo e ridevamo un sacco insieme. 
Ma era un rapporto, quello? O forse solo un modo diverso di stare insieme visto che non potevamo continuare ad ignorarci? 
Siamo fra i due personaggi più famosi del mondo, tutti sanno qualunque cosa facciamo e dopo i primi tempi dove il nostro rapporto di indifferenza era una questione di Stato e ci rompevano le palle su questo presunto odio fra noi, ci hanno lasciato in pace quando abbiamo iniziato a ridere insieme perché a quel punto niente più odio: per fare articoli e contenuti, la gente doveva trovare qualcos’altro. 
Senza la pressione e le dita continue puntate addosso, lentamente il nostro rapporto è diventato più o meno normale, anche se non so se posso definirlo tale. Non capisco il senso di ‘rapporto normale’ e sicuramente non saprei quanto sia indicato relazionarlo a LeBron. 
Penso che quello sia sempre stato tutto tranne che normale. 
Però ad un certo punto abbiamo iniziato anche a parlare seriamente, ma esclusivamente da soli. Capitava di rado di starci, ma se succedeva avevamo anche dialoghi che forse... beh, non definirei normali nemmeno quelli, sempre per il discorso che LeBron e normale nella stessa frase non ci stanno bene. Comunque erano dialoghi strani. 
Profondi, ecco. 
Perché non si giocava più a detestarci facendo battute cattivissime a raffica e punzecchiandoci come due bambini delle elementari. 
Si parlava di cose adulte ed una di quelle volte, forse in occasione di un All Star Game, non saprei bene, gli ho chiesto: - Come hai fatto a reggere quella pressione all’inizio della tua carriera? 
Una domanda a bruciapelo che forse nemmeno il suo migliore amico gli aveva mai fatto. 
L’ho capito da come LeBron mi ha guardato stupito, come se avesse sentito male. Io allora ho girato il capo verso di lui per fargli capire A, che non avevo paura di lui, e B che ero serio. Glielo avevo chiesto davvero. Così dopo un primo momento di stupore, ha poi risposto allo stesso tono. Serio, senza scherni vari soliti. 
Non so cosa possa aver pensato di me, me lo sono sempre chiesto. 
Tuttavia ha risposto: - Quella del ‘Prescelto?’
Io ho annuito sempre serio. 
Ero teso, in quel periodo. Dopo un lungo momento dove la mia carriera era decollata alla grande, il mondo mi osannava come il prossimo Re del Basket, il nuovo LeBron - forse una delle cose che hanno contribuito ad essere odiato da lui - e non sapevo come scrollarmi di dosso quel nervoso, quella responsabilità. 
Mi sembrava di giocare sempre male, di non essere mai abbastanza, anzi, di non essere più all’altezza, ma forse mi sbagliavo, forse il mio livello era sempre lo stesso, solo che ritenevo di dover crescere o non so. 
Lui guardando di nuovo avanti a sé, con la bottiglietta fra le mani che sorseggiava distrattamente, ha alzato le spalle e piegato le labbra all’ingiù. 
- Io sapevo di esserlo. Ne ero graniticamente convinto. L’erede del Dio del Basket. Il Prescelto. Il nuovo destinato a grandi cose. Non è che mi piaceva essere definito così, io ero convinto di esserlo davvero. 
Parlava con la stessa sicurezza che l’aveva sempre caratterizzato ed è stato lì che ho capito come ci è riuscito a non rimanere schiacciato da quel peso assurdo, come invece capita a molti, forse tutti. Iniziano bene, vengono osannati e definiti ‘eredi di’, fanno un paio di stagioni buone e poi si perdono o magari restano forti ma non diventano realmente quegli eredi divini. Diventano solo grandi giocatori di basket, ma non degli Dei. 
- L’arroganza ti ha salvato, in pratica. 
Non l’avevo detto per offenderlo e nemmeno scherzando come facevo sempre, lo pensavo davvero. LeBron mi ha guardato con uno scatto pronto a darmi una testata o a ribattere a tono, ma poi ha capito che ero assolutamente sincero, che lo pensavo senza malizia dietro. Non era un insulto, ma forse più un complimento, in un certo senso. 
- Penso che i più grandi di tutti i tempi in qualcosa si possono dividere in due categorie: i buoni ed i cattivi! - ha poi detto. 
Io l’ho guardato sorpreso e lui alzando il primo grosso dito ha continuato fissandomi dritto negli occhi con fare penetrante e magnetico, seduto sempre vicino a me. 
- I buoni hanno un carattere affabile, piacciono a tutti ma faticano a rimanere a galla e a reggere la pressione, tuttavia se sono davvero dotati alla fine in qualche modo ce la fanno. Di solito grazie al sostegno di qualche persona speciale che gli sta vicino a l’aiuta facendo un po’ da parafulmine o da salvagente. 
LeBron parlava come un guru, ricordo che mi aveva colpito il modo in cui lo faceva, ma anche come. Era lanciato come se per noi fosse normale parlare così tanto insieme e bene, ma era in realtà la prima volta così e prima di quel momento non avevo mai capito quanto gli piacesse parlare. Poi ha alzato il secondo dito.
- I cattivi sono gli arroganti presuntuosi teste di cazzo. O sono amati o sono odiati e sono sempre discussi per il loro atteggiamento da stronzi. Ma è solo grazie a questa arroganza che ce la fanno a reggere quella fottuta pressione di merda che chi li critica non ha fottutamente idea di quanto sia atroce. Ai cattivi non fotte un cazzo cosa pensano gli altri e quanto vengono insultati o criticati, loro sono dannatamente più forti tutte le volte che qualcuno gli fischia contro. 
Ovviamente mi ero rivisto subito nella categoria ‘buoni’, perché non ero un arrogante stronzo, se non altro se lo fossi stato non avrei avuto quella sensazione di affogare. 
Perciò l’ascoltavo come se fosse Gesù al Tempio e quello che diceva venisse da Dio stesso. Cercavo di capire se avevo scampo e come farcela. 
- Farsi aiutare da qualcuno a reggere, eh? - ho poi detto a fior di labbra e pensieroso fissando avanti. Lui è rimasto in silenzio per un po’ aspettando che approfondissi, ma quando ha visto che non lo facevo, l’ha fatto lui. 
- Oppure diventare arroganti! - e quella era una battuta, ma non di quelle per tenermi a distanza senza ignorarmi. Era una battuta per aiutarmi, per alleggerire la situazione. Per farmi ridere. 
Quando l’ho fatto, l’ho guardato sorpreso perché mi sentivo dannatamente leggero per la prima volta da mesi ed ho capito che aveva ragione, ma non glielo potevo dire. Agli arroganti se gli dici che hanno ragione è finita, ho pensato. 
Avevo condiviso il mio stato con lui, anche senza farlo in modo diretto ed esplicito, ma già mi sentivo meglio. 
- Nah, arrogante non è nel mio stile! Cercherò una buona spalla quando ne ho bisogno! 
Non so come mi è uscito, non ci ho di certo pensato, infatti non ho capito come suonava prima di sentirlo, lui però ha riso mentre avevo il mio primo batticuore senza ragione. 
- La mia è bella larga, se ne hai bisogno!
E lui, ovviamente, mi ha stupito ancora e avvampando come un adolescente mi sono sentito andare in fiamme. Ho guardato la sua spalla effettivamente molto larga, ma sapevo bene quanto lo era, infatti mi sono morso la lingua per non dirglielo. Contemporaneamente mi è passato un flash su una volta di qualche anno prima quando io gli ero addosso con gli stampi dei nostri cazzi uno sull’altro, le nostre mani allacciate quasi come una coppia di fidanzati a letto. 
E lì, proprio in quel momento, mi sono eccitato sul serio e consapevolmente. 
Lì me ne sono reso conto, ma penso che in realtà lo ero da sempre, in una piccola parte remota di me. 
Ero attratto da lui. 
Lui mi piaceva. Mi piaceva in quel senso. Anzi, in tutti i sensi, per questo avevo da sempre cercato di attirare la sua attenzione ed essere accettato e apprezzato o, forse, solo rispettato. Ma visto che lui non mi aveva mai digerito bene, alla fine avevo rinunciato. 
Tuttavia solo in quel momento me ne sono reso conto e ovviamente sono andato in confusione, ma di quello non gliene potevo di certo parlare visto che poteva stupirmi e dimostrarsi altruista ed una buona spalla su cui piangere, eventualmente, od un utilissimo confessionale, ma di certo gay non lo poteva essere. 
‘Di questo ne parlerò con qualcun altro, magari. Qualcuno di cui mi fido.’ Ho pensato finendo per farlo poco dopo col buon caro Klay. Che non mi ha aiutato molto, ma quanto meno mi ha permesso di non impazzire da solo dietro a questa shoccante rivelazione. 
Mi piaceva LeBron James. 
Mi piaceva di brutto! 


Non gli ho mai pianto addosso anche se mi aveva invitato a farlo, ma la sua spalla larga l’ho guardata eccome. Anche spesso. Tutte le volte che lo incontravo, ma non solo quella, pure il resto del suo corpo alto, enorme e possente e poi gli occhi. 
Ho sviluppato una sorta di ossessione per i suoi occhi ed anche se abbiamo quasi 20 centimetri di differenza, cerco sempre di guardarglieli quando parliamo e per riuscirci è inevitabile avvicinarmi a lui fino a sfiorarlo col mio corpo. 
Sfiorarlo ma non solo, lo tocco anche e lui non si è mai tirato indietro. Non è uno che fa passi indietro quando sta davanti a chi lo fissa dritto negli occhi attaccato a lui senza dargli spazio vitale. La vive come una sfida perché lui vive tutto come una sfida, anche una chiacchierata demenziale, una posizione uno davanti all’altro, qualsiasi cosa è una sfida e di conseguenza l’accetta sempre al cento percento. 
Questo mi piace di lui, fra le altre cose. 
Che se ti avvicini a lui fissandolo negli occhi, non farà mezzo passo indietro per impedirti di toccarlo, ma starà lì e ricambierà il tuo sguardo aspettando che sia tu a farti da parte. 
In questo modo ho approfittato molto.
Altro che mi ha fatto impazzire di lui in questi anni è che oltre a questo modo di comunicare a battute cattive uno verso l’altro che finivano sempre in scherzi e risate, è il modo in cui mi abbraccia.
Fortunatamente le partite in NBA ci danno sempre tante occasioni perché non ci scontriamo poco, essendo anche della stessa costa, perciò oltre a parlarci e scherzare, ci possiamo abbracciare per salutarci prima e dopo le partite, perché è usanza farlo fra giocatori, specie se c’è un certo rapporto. Ovviamente non tutti si abbracciano per salutarsi, ci sono anche quelli che si limitano a stringersi la mano. Io e lui all’inizio a malapena facevamo quello, poi dopo un po’ oltre a ridere insieme come due idioti - spesso grazie a me che cercavo di proposito la battuta cattiva che potesse innescare Lebron il quale matematicamente non mi deludeva mai - abbiamo iniziato anche ad abbracciarci. Prima solo gesti semplici, le braccia intorno alle nostre spalle, una pacca veloce, i menti appoggiati sulla spalla dell’altro. Poi abbracci veri e propri e quando sono subentrati quelli per me è stato via via la fine perché lui ha questo modo di stringermi. 
Mi infila il braccio sotto al mio e con la sua grande mano sulla mia schiena, mi attira prepotentemente a sé. A quel punto sento il suo corpo possente e forte premersi senza esitare contro il mio, prendo lo stampo di ogni muscolo sempre prorompente e mi appoggio a lui abbandonandomi senza trattenermi. Ci avvinghiamo uno all’altro e gli occhi mi si chiudono. Non lo faccio riflettendoci, ma è per catturare il momento, percepire tutto, perché mi piace, perché mi lascio andare a quello che aspetto più di tutti delle volte che lo incontro. 
Quell’abbraccio.
Quando mi afferra e mi attira a sé. 
A volte l’altra mano gigante scivola sulla mia nuca e mi tiene a sé con ancor più forza. Ultimamente ha preso a fare questa cosa. 

Recentemente gli hanno chiesto del nostro rapporto, avvicinandoci alle Olimpiadi di quest’anno, visto che il Dream Team era finalmente stato formato mettendoci insieme, e lui ha ammesso che all’inizio non andavamo d’accordo, ma che poi ha capito che non voleva perdersi questo rapporto con me perché sono cose belle che poi passano e che sono belle vissute in questo momento. Ha fatto l’esempio di rapporti di alcuni miti del passato e per me essere paragonato a loro, da parte sua, è stato come il premio che aspettavo. Il riconoscimento che cercavo da quando sono entrato in NBA. 
Volevo solo che ammettesse il mio talento, che riconoscesse che anche io ero al suo livello, non mi interessa essere migliore, sarei un idiota a pensarlo, ma non mi sento inferiore a lui. Ho lavorato tanto per non esserlo e col tempo ho capito la mia dimensione. 
Non è una competizione fra me e lui, ma più un camminare insieme nella stessa direzione. Quella degli Dei. Perché anche io voglio essere lì con lui, su quella cima, su quell’Olimpo. 
Sono così arrivato alla soglia di queste Olimpiadi pieno di consapevolezze e con quel suo ‘non voglio perdermi questo rapporto con lui’ che mi ha devastato. 
C’è da un paio di anni, questo rapporto fra noi, dove si vede andiamo d’accordo e scherziamo insieme e ci abbracciamo ridendo, ma non ne abbiamo mai parlato ufficialmente, lui soprattutto non ha mai detto nulla a proposito. 
Sentirglielo dire mi ha gettato nel caos. Finalmente avevo una delle tante cose che avevo sempre desiderato. Il suo rispetto ed un rapporto con lui. 
Davanti a me questo periodo per niente breve per prepararci alle olimpiadi e poi Parigi stessa. 
Fortunatamente in camera sono sempre stato con KD perché ho un po’ più rapporto con lui che rispetto ad altri della selezione di quest’anno e tutto è andato benissimo, Lebron invece è stato con Anthony Davis perché stando insieme ai Lakers è stata un’associazione normale anche per loro. La verità è che se non c’era KD sarei finito con LeBron essendo quello con cui ho più rapporto. Assurdo, vero? Proprio assurdo! 
Ho schivato il disastro, ma in realtà nella mia testa quel disastro è sempre dietro l’angolo.
Il ritiro preparatorio alle Olimpiadi non è lunghissimo ma nemmeno poi così corto e si vive praticamente tutti insieme, è una cosa a cui nessuno di noi è abituato perché normalmente col club non fai ritiri, vivi per conto tuo, con la tua famiglia, raggiungi la palestra, ti alleni con gli altri, poi giochi e quando lo fai fuori prendi un aereo con gli altri e magari dormi in albergo una sera e poi torni subito a casa. È così che funziona. A volte giochi tantissimo ed è quasi come se vivessi con loro, altre hai un po’ di respiro, diciamo. 
Ma qua con la nazionale è diverso, per questa decina di giorni siamo tutti insieme, si vive in simbiosi, le nostre vite sono decise dal mister e dal suo programma. Qualunque cosa facciamo è stabilito da lui, anche il cibo, gli orari di sonno-veglia, tutto quanto e ognuno lo rispetta e lo prende sul serio, non solo perché siamo professionisti, bensì perché ci teniamo tutti, questa volta.
Ci stiamo preparando alle Olimpiadi, saranno le ultime di LeBron e lui ha già detto dal primo giorno che ci tiene e quest’anno siamo tutti obbligati a fare sul serio, che non andrà via da Parigi con altro che un oro al collo. 
Nessuno oserebbe contraddirlo, non per paura, ma semplicemente non lo fai. Punto. È quel tipo di carisma: quel che dice è vangelo, non ti senti costretto a seguirlo, lo fai di tua volontà; lo fai perché vuoi. 
Io dal canto mio ho contribuito a dire che volevo il mio primo oro olimpico in carriera e che ci tenevo come ad un titolo NBA, perciò avrei fatto sul serio quanto lui. 
Ognuno ha concordato con noi, però la verità è che fra il dire ed il fare, per me, c’è di mezzo il fatto che non ho realmente mai vissuto così tanto con lui.
Qualche All Star Game, ma non sono eventi così lunghi, un paio di giorni e finisce tutto, è diverso. Non hai nemmeno tempo per capire che succede e non sempre partecipiamo entrambi e non sempre ce lo godiamo come dovremmo. 
Anche se negli ultimi anni, forse sentendo la fine vicina, sentiamo ogni occasione ed incontro molto di più. 
La consapevolezza striscia dentro di me. 
Se deve succedere qualcosa, può essere solo ora. Hai tempo queste Olimpiadi per realizzarlo, altrimenti sai che non accadrà mai più. Perciò deciditi, caro Steph, perché sai che tocca a te. Che lui non farà mai una mossa simile, perché è LeBron James. 
Il punto poi non è che lui non farà mai la prima mossa, il punto è che lui non è così. Ci piacciamo, ma il modo in cui mi piace lui è diverso da quello in cui io piaccio a lui. 
È esattamente questo il punto. Perciò è vero, è l’unica volta che può succedere qualcosa, ma  non può comunque essere visto che io non gli interesso in quel senso. Potrei creare un’occasione, potrei farmi avanti e buttarmi e poi ritrovarmi a nuotare in quella putrida Senna bella solo da fuori. 
Sarebbe la fine e non voglio rovinare questo rapporto creato con fatica specie perché per quanto sembri bello e sicuramente migliorato rispetto ai primi anni, resta complicato. 
C’è sempre questa rivalità fra noi che fa da padrone e che stabilisce il tema delle nostre battute serrate. Sono tante e sono divertenti e ci piacciono, ma sono tutte su questo genere. 
Io sono migliore, te lo sogni sono io il migliore, prova a superarmi, vedi di non rimanere troppo indietro. Cose di questo tipo, che ci piacciono, ma di fatto è così che è. Tolto questo tipo di dialogo, ci sono le poche volte in cui parliamo in modo profondo, ma non sono poi molte. Non avremmo un rapporto, senza questo tipo di interazione. 
Eppure ci divertiamo un sacco insieme. 
Eppure mi stringe sempre in quel modo, quando c’è occasione in campo.
Con quel braccio sotto il mio che mi avvolge la vita e mi attira a sé togliendomi il fiato. Se ne accorge, quando lo fa? Si accorge di cosa mi provoca, di come mi fa sentire? Vede che chiudo gli occhi quando lo abbraccio? 
Dio, dammi la forza per non fare una di quelle cazzate che rimpiangerei per tutta la vita. 
Ti prego. Fammi stare buono.
FAMMI STARE BUONO!