3. PRIMO PASSO NEL SOGNO

lestappen

- 08 Luglio 2016 -
/Charles/

“Alzo gli occhi al cielo azzurro completamente terso illuminato da uno splendido sole che rispecchia il mio umore, mentre supero i tornelli di Silverstone col mio pass insieme a mio padre che mi accompagna come sempre. Ho i nervi belli tesi e non sento cosa mi dice anche se credo di rispondergli, ma sta per arrivare un grande momento anche se mi ripeto con ossessione che la mia vita non cambia realmente oggi. So che non va bene essere così emozionati, devo essere freddo e lucido se voglio fare bene, ma penso che sia inevitabile guidando per la prima volta in F1. 
Per fortuna a Maggio, quando ho ottenuto la suerlicenza, ho già guidato la Ferrari a Fiorino, altrimenti adesso farei la parte del pivellino e sarebbe insopportabile per me.
Tuttavia oggi resta comunque un importante passo in avanti, sto per fare le mie prime prove libere in un GP di F1, guiderò una Haas qua a Silverstone. 
È tutto così eccitante che mi sento elettrico e mentre vado per il Paddock cerco di schiarirmi le idee prima di arrivare ai garage Haas; fra un po’ si comincia, stanno per arrivare i piloti di F1. 
So che devo fare una buona impressione, anche se non sarà determinante per il mio futuro. Se oggi dovesse andare male per ragioni a me sconosciute, avrò altre occasioni per convincere i Team Manager a puntare su di me e comunque l’essere entrato nel programma della Ferrari Driver Academy è stato probabilmente la mossa migliore per il mio futuro. Per questo mio padre e Nicolas hanno voluto mandarmici, perché un pilota formato da un programma così prestigioso prepara i ragazzi al pari di quel che fanno le piste delle categorie inferiori. Sono tutte cose importanti che vanno fatte, però diciamo che c’è differenza fra i piloti giovani che hanno unicamente gareggiato nelle varie Serie e quelli che hanno anche seguito un programma preparativo speciale. 
Mi sento cautamente ottimista oggi, però non posso negare che sono molto felice di essere qua e fare questo primo effettivo passo nel mondo della F1. Questo di fatto è più reale dei programmi preparativi e delle categorie inferiori perché è questo quel che voglio fare finché avrà forza di salire su una monoposto e condurla. 
L’essere giovani non è una giustificazione visto quanto presto è approdato in questo circuito Max Verstappen. A causa sua stanno cambiando le regole per approdare in F1 visto che lui ci è arrivato a 17 anni senza patente normale. Adesso vogliono i 18 e la patente regolare di guida, oltre che la Superlicenza FIA. Tutto per ‘colpa’ sua. Ma non mi lamento, io ho 18 anni e non ho ancora nessun contratto firmato con nessuno dei team di F1 per correre qua il prossimo anno, probabilmente sarò in GP2 o F2 che dir si vorrà e va bene così, ho il mio percorso e ci credo molto. Quando arriverò nella massima categoria, sarò pronto. È così che deve essere.
Comunque partirò da oggi, farò capire che non sono di certo inferiore a quello là che ha sempre avuto fretta in ogni cosa che ha fatto. Capiranno presto tutti che se lui c’è, ci devo stare anche io. Ma ci sarò, ne sono certo, solo che devo giocarmi alla grande tutte le carte importanti che mi capitano per le mani per raggiungere il mio scopo. 
Non sono un idiota, so che il mondo mi tiene gli occhi addosso grazie a Jules e a tutto quel che ha fatto per me, se non fosse stato per lui non sarei mai passato sotto l’ala di Nicolas e tutto quel che mi sta succedendo di giusto e di bello per la mia carriera lo devo a loro. 
Non dico che sia solo merito di altri se ora il mondo dei motori mi considera un predestinato, mi chiamano così infatti e sono convinti che io debba diventare un grande campione un giorno, ma sicuramente tutte le occasioni avute in questo settore sono arrivate anche grazie a loro e sta a me sfruttarle come ho sempre cercato di fare. Dare conferma che merito tutto quel che mi viene offerto o che c’è in circolazione è esattamente il mio dovere. 
Io un giorno sarò realmente ciò che tutti pensano, però sta a me realizzarlo realmente. Gli altri possono spianarmi la strada e aiutarmi, ma sono io che la devo percorrere senza uscire dalla pista, io che devo vincere e avere successo. 
Perciò oggi è un giorno importantissimo, devo dimostrare che la fiducia in me è ben riposta e che non si sbagliano. 
Lo devo a Jules che ho sempre nel cuore e nella mente e alla mia famiglia che mi hanno sempre aiutato e sostenuto, ma è anche per me che devo farlo.
Devo farcela perché è questo che voglio da quando ho iniziato a capire cosa sono quelle cose che sfrecciano sulle quattro ruote. 
È questo il mio futuro e la mia vita stessa, non esiterò mai nonostante quel che è successo proprio in una di queste piste dove voglio correre a tutti i costi.
La F1 mi ha strappato via Jules e non c’è un giorno che non ci penso, ma come posso ignorare il fatto che da quando è morto io mi sono sentito vivo solo ed esclusivamente quando sono salito su una monoposto? 
È questo, è solo questo che voglio fare ed io oggi sono qua per metterci un piede, ma un giorno ci metterò anche il secondo e ci entrerò per intero.
Qua, proprio qua. Esattamente nel mondo dei motori che contano. 
Adesso percorro il Paddock di Silverstone come futuro pilota di F1 e non come pilota della GP3; sono qua per sognare, per adesso, ed in qualche modo è diverso da quel che farò di pomeriggio con il mio team per la gara del weekend della mia categoria.
Una miriade di persone sono sempre attive nel circuito da quando apre al mattino a quando chiude nel pomeriggio tardi ed io sono qua fra loro, oggi, circondato e un po’ più stordito e spaesato del mio solito. 
Le persone aumentano lentamente e quasi pigramente, c’è allegria nell’aria perché siamo in un circuito bellissimo e in questo weekend correranno anche le 2 categorie inferiori, perciò c’è molta più gente del solito ed io normalmente arrivo sempre dopo con la mia squadra per le prove e le qualifiche, e le gare la domenica le facciamo sempre prestissimo, perciò non incrocio mai tutti quelli che riguardano strettamente la F1, ma adesso che ci sono e li vedo, mi sento quasi ubriaco. 
Ormai stanno arrivano anche i piloti ed io mi guardo intorno per capire se ne trovo qualcuno di interessante o che conosco, nel frattempo mi rendo conto che ho perso mio padre che sarà già arrivato alla Haas, ma non mi turbo, anzi. Mi sento bene. Stordito, ma bene perché è qua che voglio stare, qua che voglio correre. In mezzo a questa gente, in questa categoria. Mi appartiene, lo so da quando andavo nel karting. 
Da quanto il cuore non mi batteva così senza salire su una macchina per una gara? 
Da prima di quel maledetto 5 ottobre del 2014. 
A questo pensiero inizio a tremare e appena succede mi fermo shoccato e mi guardo le mani. 
Io che tremo? Charles, non è proprio da te. Hai 18 anni, ad ottobre ne farai 19, non sei un bambino. 
Stringo le mani e le nascondo in tasca riscuotendomi con un respiro profondo, ci manca solo che qualcuno mi noti. Quando rialzo la testa decido di dirigermi al Motorhome Haas prima che mi vengano a cercare come un bimbetto che si è perso, non voglio di certo arrivare tardi alle mie prime prove. 
Sospiro cercando di ritrovare il mio sangue freddo, devo fare un’ottima impressione ogni secondo del tempo che passerò là dentro, mi giro intorno per cercare la facciata che mi interessa e l’ho appena individuata quando muovendomi bruscamente per raggiungerla, per poco non vado a sbattere contro qualcuno.
Due mani mi afferrano per le braccia tenendomi forte. Il primo istinto che ho è di scrollarmi e lo faccio senza pensarci, come un riflesso condizionato.
- Attento! - una voce bassa e un po’ roca mi raggiunge prima di mettere a fuoco il viso di chi mi ha bloccato. Una volta che mi sono liberato dalle sue mani scusandomi sbrigativo, lo guardo; non mi sembra una voce familiare, ma appena sollevo gli occhi sui suoi blu che si illuminano guardandomi, mi rendo conto che lo conosco. 
- Oh, ciao! - fa infatti lui con una sorta di entusiasmo, ma è più la sorpresa nel non aspettarsi di vedermi qua. 
La sua voce è cambiata così come i tratti del suo viso hanno cominciato a maturare rispetto all’ultima volta che siamo stati a tu per tu, ma considerando la nostra età è comprensibile.
Scuoto la testa come per svegliarmi dal mio trip, mi concentro su di lui e non sui dettagli o sul controllare le mie emozioni che non vogliono saperne di stare buone. 
Fino ad oggi ero abituato a provarle solo su una macchina, mai piedi a terra. 
- Non mi riconosci? Ma dai, facevamo sempre le stesse gare fino a due anni e mezzo fa...
Mi sento come straniato e catapultato ai giorni in cui lo vedevo praticamente ad ogni gara ed in un istante la mia testa si svuota. 
- Immaginavo di poterti incontrare oggi. - dico riprendo il mio aplomb tipico e con un controllo ineccepibile faccio mezzo sorriso forzato più per gentilezza che per convinzione. Sono perfettamente consapevole che se ne rende conto che è un dovere questo cenno che gli faccio e non c’è niente di felice in me nel rivederlo. 
È il primo anno che possiamo incontrarci accidentalmente correndo negli stessi circuiti anche se in categorie diverse, ma finora ci hanno salvato gli orari completamente diversi dei vari impegni coi nostri team ed in pista, salvo oggi che per la prima volta faccio quel che fa anche lui, infatti sapevo che il rischio c’era, ma volevo pensare di essere fortunato.
Proprio lui? Davvero? Se credessi in Dio gli chiederei se si è fumato qualcosa, ma non sono così dissacrante anche se sono ateo. Nel dubbio che esista veramente qualcuno lassù è meglio tenerselo buono per il futuro visto che io qua ci voglio correre per una lunga e gloriosa carriera in salute. 
- Max... Max Verstappen! - mi dice il suo nome come se davvero potessi dimenticare il mio peggiore incubo del karting. Forse ho un’espressione vaga od indifferente, per questo magari pensa che non lo riconosco.
- Certo che mi ricordo di te, ti ho pur detto che pensavo di vederti oggi...  
Stavo meglio senza vederlo, onestamente, ma lui sembra contento di ritrovarmi dopo tutto questo tempo, anche se forse è più la sorpresa che l’effettivo entusiasmo.
- Fai le prove libere? - è la deduzione più logica, passa subito alle informazioni ovvie tralasciando la mia risposta acida. 
Davvero non gli sto più sulle palle per quelle volte nel karting? È passato relativamente poco. Due anni e mezzo sono quelli dall’ultima gara insieme, poi lui è passato in F3 Europea mentre io in Formula Renault, perciò erano categorie diverse, con mia somma gioia. In seguito ha saltato la GP2 ed è arrivato in F1 ed è precisamente questo che mi è stato tanto sulle palle. Come ha potuto bruciare le tappe mentre io no? Mi è davanti, dannazione, dopo tutto quel che facevo per tenergli testa e dimostrargli che non era più bravo di me. Figurati se non si è montato la testa. 
Cioè, so che ne avevamo già parlato e sono sempre convinto che il mio percorso sia migliore del suo anche se ci metterò più tempo ad arrivare lì, ma che ci posso fare, mi fissa con quel sorrisetto da superiorità ed io glielo vorrei solo cancellare dalla faccia.
- Con la Haas. - rispondo con un finto e forzatissimo sorriso che non raggiunge gli occhi. Tralascio il fatto che è impossibile non lo sappia visto quanto ogni notizia su di me gira come se fosse chissà cosa. Che oggi facevo le mie prime prove libere per la Haas l’hanno detto ovunque come se avessi vinto un mondiale. 
Ormai mi sto abituando, anzi, devo visto che se arriverò veramente qua sarà sicuramente peggio. 
Max annuisce e per un momento ci guardiamo senza saper cosa dire. So che mi sta osservando notando quanto sono cambiato in questi due anni di strade separate e forse non ha la più pallida idea di cosa dirmi, visto che il nostro tipico modo di comunicare era litigare. Beh, ci fissavamo male, con me è difficile litigare, preferisco un meraviglioso silenzio seguito da una sonora lezione in pista quando non sono io a riceverla. Questo perché mio padre vuole che io sia gentile e rispettoso, perciò non rispondere come vorrei è il mio modo di esserlo. Lo faccio solo per lui.
Fra l’altro gliene devo una, a Max! Ricordo ancora fin troppo bene che l’ultimo campionato disputato insieme ha vinto lui ed io sono arrivato secondo. Odio essere secondo. Che posizione di merda. Secondo non è primo. Lui era così felice, maledetto! 
Certo che mi ricordo di te, caro mio, e ricordo anche come ti chiamavo fra me e me. 
Stronzo. 
Un soprannome semplice da ricordare, scontato e poco originale, ma veramente rappresentativo. Adatto a lui e al suo modo di guidare da stronzo.
Spero che sia cambiato anche in questo e non solo nell’aspetto e nella voce. 
Svilupparsi fisicamente per dei diciottenni non è strano, ma quel che conta è il cervello. 
Finalmente la voce di mio padre che mi chiama mi salva da questa situazione imbarazzante di stallo terribile e con un cenno delle sopracciglia di totale circostanza, lo saluto ben lieto di filarmela. 
- Beh, ci si vede. - dico frettoloso. 
- Buona fortuna. - fa lui continuando a seguirmi con lo sguardo. 
Niente. 
Lo odio ancora. 
Non ci posso fare nulla, certe cose sono a pelle e sono per sempre, ma in questo caso non è a pelle. C’è una ragione precisa per odiarlo e nella fattispecie si chiama Master Series KF2 del 2012. 
Buona fortuna un paio di palle, smettila di gongolare solo perché tu sei stato più precoce di me nell’infilarti nel mondo del professionismo. Tanto ti raggiungo anche io e riprenderemo da dove ci siamo interrotti, non dimentico che ti devo un paio di lezioni arretrate. 
So che ti senti più bravo perché già dall’anno scorso sei in F1 mentre io il prossimo anno andrò solo in 2 se tutto va bene, ma che cazzo ti senti superiore, idiota? Ti chiamano Mad Max e Crash Kid perché fai solo danni su quelle macchine. Venire presto in F1 a che cazzo serve se poi fai ste figure di merda? Bisogna essere pronti e fare gare il più perfette possibile, non correre come se avessi il diavolo dietro schiantandoti come un coglione. Quello non è correre ma sbattere! 
Io arriverò qua dopo di te, ma non mi chiameranno MAI Crash Kid, sarebbe la cosa più fottutamente umiliante della mia vita. 
Cazzo, vedi come mi fa perdere le staffe sto qua? Due anni e mezzo che non lo vedevo, poi succede e sembro uno schizzato. 
Ma che potere innato ha?! 
- Tutto bene? - fa mio padre notando subito che ho una faccia strana, per quanto io sia bravo a controllarla. 
Tanto che glielo nascondo a fare?
- Ho incontrato Verstappen. - mugugno cercando di non aggiungere nessuna parolaccia. Non gli piacciono. 
Lui spalanca gli occhi immediatamente preoccupato. 
- Di già?! E avete litigato? - non mi stupisce che sia la prima cosa che mi chiede, ma scrollo le spalle e piego le labbra all’ingiù con finta innocenza. 
- Ma dai, siamo cresciuti ormai! Ci siamo solo salutati... - cerco di essere il più generico possibile anche perché in effetti non è successo realmente niente. Insomma, non posso accusarlo di aver detto o fatto qualcosa per avermi infastidito. È la sua semplice presenza che mi dà sui nervi, ma non è colpa sua se esiste. 
Mio padre non sembra tanto convinto, assottiglia gli occhi per scrutare la mia faccia, il tutto qua davanti all’ingresso posteriore dei garage Haas mentre presumibilmente ci aspettano per quello che sarà il mio primo giro nel mondo che conta. Qualcosa che di sicuro preferisco al parlare con e di Max Verstappen.
- Ma c’avevi una faccia... - fa molto spontaneo. Io a questo punto rido cercando di essere convincente, sono bravo a fingere e a mostrare ciò che voglio. Ho dovuto imparare dall’incidente di Jules. È da lì che ho capito come fare per essere lasciato in pace e non far preoccupare quelli a cui tenevano a me. 
- Beh, non è il mio preferito da incontrare, speravo in Hamilton, Alonso, Vettel... - gli faccio notare con estrema semplicità. Per convincere devi essere così. Semplice, scontato. 
Questo in effetti sembra accettarlo e mettendomi una mano sulla spalla la stringe e con un sorriso sicuramente migliore del mio poiché sincero e non forzato, mi fa il cenno di entrare. 
- Vieni, ci aspettano. Sei pronto per un altro passo importante?
Mi trasmette in un istante tutto il suo entusiasmo come ha sempre fatto e mi rendo conto che la mia faccia è meno tirata di poco fa. Gli occhi bruciano e mi sento inondato da un guizzo inaspettato di felicità. 
È breve ma ben distinto.
Poi mi rendo conto che non devo passare per un ragazzino qualunque che entra nel mondo dei balocchi e mi controllo. Un respiro profondo, raddrizzo testa e spalle e poi annuisco con fierezza riprendendo totalmente il controllo. 
- Pronto. - faccio più serio che entusiasta. Mio padre ridacchia non aspettandosi da me niente di diverso ed alla fine entriamo. 
Devo essere il più possibile perfetto, nessun margine d’errore se voglio ottenere un sedile in F1. E lo otterrò. Non c’è altro prima di questo. 

Faccio gli esercizi di respirazione che mi hanno insegnato in Academy per rilassarmi dopo che mi sono messo la tuta ed il necessario, mi allaccio bene il casco e completo la vestizione chiudendo gli occhi e respirando ancora. 
Sono in un misto fra il teso e l’eccitato, ma lentamente mentre respiro in questo angolo del garage Haas mi sento via via sempre meglio. I nervi iniziano a stendersi e la mia mente a svuotarsi, ma mentre mi tolgo tutti i pensieri che hanno vorticato nella mia mente, un volto affiora dietro le palpebre chiuse. 
È uno dei visi più belli che io abbia mai visto, il viso che vedo sempre da ormai due anni. 
Rilassati Charles, devi salire sulla Haas e correre, non puoi pensare a Jules.
Mi chiamano per chiedermi se sono pronto e riapro gli occhi annuendo, vado da loro e salgo sulla macchina di Gutierrez che per adesso sarà mia. 
È strano, tremo ancora, è la prima macchina in F1 che tocco sebbene la Ferrari a Fiorino sia stata l’esperienza più straordinaria della mia vita ed estremamente formativa. 
Però questa volta si scende in una pista di F1.
Mi siedo e prendo il volante infilandolo come di consueto. So come si fa, non è la mia prima monoposto, ma questa è diversa da quella che guido sempre. Non ci sono paragoni.
Eppure non è questo. 
Non è proprio questo che mi emoziona tanto.
Respira, Charles, calmati e ascolta cosa ti dicono. Annuisco a tutto ed eseguo ogni indicazione. Sembro pronto e presente, ma c’è sempre una parte di me che rimane aggrappato all’ansia. Sono un ragazzino, non sono pronto.
Ma che diavolo vai dicendo? Tira fuori le palle, Charles, sei pronto eccome. 
Dimostralo.
Adesso, adesso lo faccio. Il motore si avvia con un rombo che assorda tutti, se non fosse per le cuffie che hanno per proteggersi dal rumore. 
Vibra tutto, è potente. È estremamente potente.
Un motore simile, con una potenza simile, hanno ucciso Jules. 
Sei pronto Charles?
Sei pronto per guidare realmente una cosa simile?
Da qua non si torna indietro, si può solo andare avanti senza mai fermarsi. 
Stringo forte e forse troppo il volante che so usare alla perfezione, ma per un momento mi dimentico come si fa, dimentico tutto e sto per chiedere di ripetere cosa mi stanno dicendo, ma il viso di Jules torna ad affiorare davanti ai miei occhi che ora sono aperti. 
Trattengo il respiro, è quasi come vederlo lì in piedi al posto di uno dei meccanici che mi circondano. Lo vedo in ognuno di essi e poi in quello che mi fa il cenno da fuori il box di aspettare il segnale prima di uscire. Annuisco. 
È qua. È sempre qua. 
Lo è sempre stato e lo sarà ancora e ancora. Non ci sarà un metro che non farò senza lui. Da ora e per sempre. 
Andrà tutto bene. 
Un ultimo respiro, chiudo ancora gli occhi e vedo il suo dolce e delicato sorriso, quello che ora appartiene ad un angelo, poi li riapro, chiudo la visiera, il mondo si cancella, Jules sparisce, l’emozione, la tensione, ogni ricordo va via. Tutto viene cancellato, non sono più nessuno, solo uno che deve correre in una pista e niente altro. Solo questo. 
L’ingegnere mi dà il via ed io senza esitare né provare la minima emozione, accelero ed esco svoltando fluido come se non avessi fatto altro da quando sono nato, come se fossi un pilota di F1 da sempre. 
Prendo e parto e vado a fare ciò che devo, ciò che so fare benissimo, ciò che farò a lungo. 
Corro in pista e faccio un testa coda, inizio male, impreco ma non mi distraggo e non mi agito, con freddezza riprendo il controllo dell’auto e torno a girare come mi hanno detto di fare. 
Ho deragliato, ma sono ancora in pista e non mi fermerò di certo per questa sciocchezza. 
Senza esitare riprendo come niente e porto a termine il mio dovere, ma mentre lo faccio, mano a mano che accelero curva dopo curva, rettilineo dopo rettilineo, va sempre meglio.
I miei nervi sono più rilassati, la mia mente è più serena e non sto pensando. Non sto pensando proprio a niente.
Sono solo io e la mia macchina su una pista. Una macchina potente di cui non ho paura, che quando accelero cancella il tempo che smette di scorrere ed il mondo stesso lasciandomi meravigliosamente solo nell’universo. 
Sono velocità e libertà senza emozioni, rimorsi, rimpianti e sofferenza. 
Nessuno che amavo è morto. Nessuna decisione che ho preso mi ha fatto sentire una merda. Nessuna rivalità mi ha fatto sentire indietro. Nessun errore mi ha fatto pensare di non essere pronto. 
Sono io e basta e sono libero e sto bene. Sto alla grande. Sto meravigliosamente. 

Il mondo si ferma ed è quasi improvviso anche se non è proprio così, ho rallentato nella pit come si fa per poi frenare alla perfezione davanti al box Haas. I meccanici hanno agganciato la macchina e sollevata per girarla con me sopra ed infilarla nel garage, ma mentre tutto questo succede intorno a me, mi sembra come se mi avessero riattaccato una spina.
Il mondo torna improvviso, mi sollevo la visiera del casco e con esso tornano le mie emozioni, il cuore batte incessante, l’adrenalina scorre, la mente mi riporta le informazioni tecniche di quel che ho fatto. Ho portato a termine le indicazioni, ho fatto quello che dovevo ed alla fine l’ho fatto bene. 
Tutto torna anche piuttosto in fretta. 
Anche lui.
Ehi Jules, alla fine avevi ragione tu, eh? Ero pronto... 
Lo vedo di nuovo sorridere e mi sembra mi dica che lo sapeva che lo ero e che non ne aveva mai dubitato. Ma ugualmente anche se so che ora lui è contento di me, ovunque sia, il mio rimpianto per aver corso quella famosa fatidica gara di ottobre, mi appesantisce come di consueto. Dovrei esserci abituato, ma forse non succederà mai, però per questi 26 giri di prova non c'era niente. Assolutamente niente. E stavo così bene. 

Appena scendo mio padre mi accoglie contento, ha un sorriso enorme, gli occhi lucidi di commozione ed è estremamente orgoglioso di me. Lo metto a fuoco, sorrido senza rendermene conto, il sereno torna, i dubbi vengono sbaragliati e lascio che sottolinei le cose positive di queste mie prime prove. È andato tutto benissimo, a parte un testacoda iniziale da cui mi sono ripreso come nulla. Ho fatto i giri che mi avevano detto, mi sono avvicinato al tempo del mio collega di Haas più navigato ed esperto di me e sono tutti molto contenti. 
Mio padre è la mia ancora nella realtà perché da solo tendo ad essere negativo o severo con me stesso, a volte nemmeno vedo bene, se sono solo. Non capisco cosa mi capita né cosa provo, ma lui mi fa sempre capire che cosa ho fatto e dopo il suo prezioso punto di vista positivo, va tutto meglio. 
Mi lascio abbracciare da lui e mentre lo fa, vedo passare fuori dal garage Max diretto da qualche parte, lancia casualmente un’occhiata dentro il mio box e mi vede mentre abbraccio mio padre sorridendo. Lui fa un cenno, io non ho tempo di restituirglielo, ma era strano il suo sguardo. È stato breve, troppo per distinguere bene ogni cosa e lui sembrava avesse un passo sostenuto. 
Sembravano gli sguardi che aveva dopo delle brutte gare nei karting, quando andava da suo padre che lo fissava cupo e severo. 
Ho sempre avuto l’impressione che fra quei due ci fosse qualcosa che non andava e dopo che Alex mi ha confermato le voci sui maltrattamenti, ho fatto uno più uno e non mi sono stupito del suo modo di fare da padrone della pista così aggressivo. 
Il pensiero su di lui è un lampo, nella realtà, e come arriva se ne va mentre il mio, di padre, mi regala tutta la serenità e la stabilità di cui ho bisogno ricordandomi che adesso è meglio riposare in vista delle prove della mia categoria nel pomeriggio. 
Il primo passo è andato, ma sarà solo il primo di una lunga serie. Fra un po’ di tempo io sarò qua sul serio e non come pilota di prova. 
Avrò un sedile in una di queste macchine. Ce la farò.
Aspettami che ti rimetterò io a posto, Max.”


Note: le cose tecniche di quella giornata di prime prove libere di Charles in F1 sono vere, mi ero informata più che potevo. Gli approfondimenti emotivi di Charles ovviamente sono mie aggiunte personali, così come l’incontro con Max nel paddock. Mi piaceva pensare che anche se ogni tanto sono stati negli stessi circuiti anche se in categorie diverse, non si siano mai incontrati. Volevo fare che da qui ricominciasse la loro storia sospesa, me la sono immaginata così la scena e dovevo assolutamente scriverla. Magari nella realtà quando si sono incontrati la prima volta dopo i tempi burrascosi dei go-kart i due erano amichevoli e sorridenti! 
Cerco sempre di evidenziare l’enorme differenza di vita fra i due, specie per quel che riguarda il modo in cui sono stati cresciuti e dei loro padri che hanno avuto un impatto molto importante per le persone che poi Max e Charles diventano. Nel prossimo capitolo ci sarà un altro salto di tempo e sarà dal pov di Max. Grazie a chi commenta e legge la fic, spero continuerete a seguirmi. Baci Akane