5. DOLORE
* 24 Giugno 2017 *
/Charles/
“Jules. Alla fine l’ho rifatto. Avevo giurato non sarebbe successo di nuovo visto il senso di colpa che mi ha preso nei mesi successivi, ma adesso che sono di nuovo nella stessa identica situazione, ho ancora reagito così.
Nonostante il lutto, eccomi in pista pochi giorni dopo la morte di mio padre. Forse alla fine sono proprio così, me ne devo fare una ragione. Così come? Senza cuore? Un pilota prima che una persona? Come sono, eh?
Improvvisamente mi sento smarrito rendendomi conto che per la verità non lo so. Non so più come sono, ma forse non l’ho mai saputo perché nessuno si conosce veramente se non si trova mai in situazioni allucinanti ed io ormai dal 2014 sembra che non possa vivere più niente di normale e sereno.
Sembra proprio che sia ora io apra gli occhi e mi arrenda a capire che sono fatto così. Così come? Male. Insensibile. Freddo e razionale. Ma è vero che sono così?
È vero che sono freddo e insensibile? Cercando di capirlo, ci ripenso andando a ritroso.
È stato tutto frenetico, così tanto che non mi sono nemmeno reso conto di cosa facevo. Mi sono mosso per forza d’inerzia da quando sono sceso dall’aereo che mi ha portato qua a Baku per la quarta tappa del campionato di F2.
È come se fossi stato catapultato in un universo parallelo dove non era successo niente e mi muovevo come sempre, facendo quello che dovevo in quanto pilota Prema. Ho fatto le solite cose, le prove, le qualifiche e tutto è proseguito lineare, ricevevo le condoglianze e le solite domande da che cosa ci facessi qua ed io ho sempre dato le stesse risposte.
Faccio il mio dovere.
Sapevo che dovevo dire questo, me l’ero preparato dall’aereo, quando l’ho detto ad Arrivabene.
E questo ho fatto per davvero da quando sono sceso.
Il mio dovere.
Non è che non ci abbia mai pensato, ci ho pensato, è sempre rimasto lì con me il pensiero di mio padre, tutte le volte che dicevo la risposta prestabilita dal mio cervello, un’altra parte di me ne dava un’altra.
‘Ma il mio dovere di figlio quando lo farò?’
Quando smetterò con quello di pilota. Perché è questo che mio padre ha faticosamente forgiato, è questo che lui voleva io fossi. Il pilota. Ha messo ogni suo soldo e sforzo e preghiera, in questo, ed io alla fin fine mi sono ritrovato solo a pensare di non volerlo deludere. Di non calpestare ciò a cui lui teneva tanto.
La mia carriera di pilota.
Sono andato avanti dritto per la mia strada addirittura sorridendo, o per lo meno sentivo la mia faccia che si sforzava di farlo, spero di essere stato abbastanza convincente, ma adesso che sto per salire sulla macchina per la Gara 1 di sabato, c’è questo momento in cui chiedo di poter stare un po’ tranquillo per conto mio, perché ho bisogno di raccogliermi e concentrarmi e mi lasciano.
Vado al mio solito angolino all’interno del garage e davanti a me lo sfondo della gente che lavora sulla macchina per assicurarsi che sia tutto a posto per l’inizio della gara.
Pierre mi sorride dolcemente come solo lui sa fare.
- Sicuro? Vuoi che rimango? - mi chiede prima di lasciare che mi isoli. Io faccio il tentativo di un sorriso e sento la zona della bocca tirare sotto sforzo. No, non credo che sia arrivato agli occhi e forse era grottesco. Da come mi guarda Pierre me ne rendo conto. Tuttavia non è strana la sua domanda visto che sono stato io a chiedergli di accompagnarmi oggi.
Non aveva nessuna gara, perciò poteva e sono felice che ci sia, penso di non aver realizzato bene quel che ho fatto tre giorni fa.
Annuisco e mi siedo nella sedia appoggiando la schiena ed il gomito al mobile accanto dove c’è il casco che metterò. La tuta è indossata a metà, quando sarà ora me la tirerò su.
Pierre mi lascia e gli altri meccanici che lavorano davanti a me sono un contorno che lentamente sfuma. Mentre se ne va, mi lancia un’ultimo sguardo preoccupato e mi viene in mente come un flash la sua mano che durante tutto il volo stringeva la mia, le dita intrecciate come se fosse il mio ragazzo. Adesso a mente più lucida mi chiedo che diavolo io abbia combinato. Sia con lui che con mio padre.
Ripenso alle sue lacrime copiose in ospedale, quando era venuto a darmi sostegno e con esso arriva anche il ricordo di quel giorno e della mia bugia.
**
- Ehi, papà, ma lo sai che ho una grande notizia? - non ci rifletto, la mia bocca si muove da sola. L’ho deciso quando sono entrato poco fa e l’ho visto. Me l’hanno detto, ma si vede comunque che se ne sta andando. Sono gli ultimi giorni con noi, forse anche gli ultimi istanti. Ogni volta che ci chiamano pensiamo che sia il momento perché è lì, se ne andrà da un momento all’altro.
Tuttavia saperlo era una cosa, vederlo è stato diverso. Appena l’ho avuto davanti ho capito che dovevo dargli l’ultima gioia della sua esistenza, perché io so cosa vuole più di ogni altro, cosa lo farebbe infine felice sopra di tutto. E so anche che questo è quel giorno.
Lui mi guarda con una luce di speranza come se sapesse, perché è questo che ha sempre aspettato di sentire da me. Come per mollare aspettasse di sentirlo. È stanco, è terribilmente stanco e provato e l’ossigeno gli dà fastidio, prova a toglierselo, ma io glielo rimetto come al solito.
Mi chino e gli carezzo la fronte dopo avergli abbassato la mano diretto alla mascherina d’ossigeno.
Non è una cosa da me e mai in vita mia lo farò più, però adesso la mia bocca si muove da sola e non esita nemmeno un secondo.
- Ho firmato con la Ferrari per il prossimo anno. - la bugia esce dalle mie labbra fluida mentre sorrido sforzandomi e sperando di essere convincente. Ti prego, fa che ci creda, fa che il mio sorriso sia abbastanza credibile.
Fa come fai da quando è morto Jules, sorridi per convincere. Ormai sai come si fa, devi solo continuare così.
Appena i suoi occhi si illuminano e mi mostrano la gioia che speravo di vedere, mi sento stupidamente meglio.
Sono meschino, sono una persona veramente meschina ed un pessimo figlio. Quando lo sapranno gli altri mi diranno tutti che ho fatto male, nessuno sarà d’accordo con me, ma solo io so che rapporto ho con lui e quanto conta la mia carriera.
Con la bocca coperta dalla mascherina d’ossigeno mi fa capire che chiede ‘davvero?’ Ed io annuisco e mi bruciano gli occhi che diventano annebbiati. Non ci vedo più bene, ma è colpa delle lacrime che si formano in reazione alle sue alla mia falsa notizia.
Non ho nemmeno una vaga speranza in questo momento di firmare e non solo per la Ferrari, ma anche per la F1. Spero di arrivarci un giorno, so che ce la farò, ma in questo preciso momento, a conti fatti, non ho niente in mano, ma lui si commuove di felicità alla mia notizia e così finisce che piangiamo insieme.
La botta più terribile della mia vita inizia con lui commosso per la realizzazione di tutti i nostri sogni più grandi e gli leggo la vittoria negli occhi stanchi e pieni di dolore. I sacrifici fatti per farmi arrivare dove avevamo sempre sognato, tutto quel che ha fatto per me, quanto ha spinto ma sempre nel modo giusto, senza mai esagerare, esortandomi a credere in me stesso. Ed era il nostro sogno, non il suo che ha riversato in me, era il sogno di entrambi, lo è sempre stato. Qualcosa che avevamo in comune e che avremo sempre, anche dopo.
Lentamente tutte le parole che mi ha sempre detto, ogni sostegno, ogni abbraccio a fine gara, affiorano nella mia mente e mi riscaldano e piango senza più cercare di trattenermi. Ci stringiamo la mano e rimaniamo così a sorriderci fra le lacrime, ma mentre lui lo fa per gioia per la mia finta notizia sulla firma con la Ferrari, io piango perché sono gli ultimi momenti con lui e lo so perfettamente.
È come se adesso finalmente si rilassasse.
Non c’è niente che ti prepara alla morte di tuo padre. Niente. Nemmeno lunghi mesi di sofferenza ed agonia da parte sua.
Sapere che adesso starà meglio e non soffrirà più in quel modo, non mi aiuta perché la disperazione che mi coglie in questo istante, per un solo momento, è atroce.
È come se risucchiassero da me tutta l’aria che ho in corpo. I polmoni si svuotano e si contraggono, la gola si serra in una morsa e non riesco a respirare anche se ne sento il bisogno, ma non ci riesco. Rimango qua fuori, seduto all’esterno dell’ospedale dopo che gli abbiamo dato l’ultimo saluto, in questa zona più isolata e nascosta dove posso stare all’aperto senza essere visto da nessuno, sotto questo caldo e soffocante sole di metà giugno.
Sento solo silenzio anche se non so se è reale, ma penso che sverrei se non fosse che due braccia mi avvolgono precipitose e invadenti.
Per un momento ho un moto di stizza, sto per dare una brusca gomitata a chiunque abbia osato. Anche fosse mia madre o i miei fratelli, ma la bocca di qualcuno si chiude sulla mia guancia mentre le braccia mi girano la testa prepotentemente verso di sé e mi obbliga a nascondere il viso contro il suo collo con una tale forza che mi sconvolge.
Solo quando sento la consistenza del suo corpo e sento il suo profumo iper dolce, mi rendo conto che ho ripreso a respirare e anche senza vedere so chi è.
- Mi dispiace molto, Charles. - sussurra Pierre cingendomi a sé mentre seduto per terra accanto a me mi copre con le braccia. Io ricambio dopo un attimo di titubanza, agendo senza rendermene conto, come mosso da un altro, come se fossi ipnotizzato ed io fossi spettatore di me stesso.
Rimango qua a piangergli addosso mentre sento che anche lui singhiozza.
Pierre non solo si è precipitato subito qua appena ha saputo, ma mi ha pure trovato. Mi ero nascosto abbastanza bene per essere lasciato in pace a piangere e disperarmi. Non voglio che la mamma e Lorenzo si preoccupino, non volevo farmi vedere così. Come ha fatto Pierre a trovarmi?
Quando mi prende il viso fra le mani con decisione e mi stacca dal suo collo per guardarmi, vedo che anche lui è in un mare di lacrime e per una volta reagiamo allo stesso modo a qualcosa. Il pianto è così simile e di nuovo, visto che anche lui fa quel che faccio io e che prova le mie stesse cose, non mi sento giudicato e non solo. Mi sento capito e condiviso.
Condiviso anche se il padre morto è il mio, ma lui si comporta come se fosse il suo e credo che sia così da lui, questa cosa, così tanto da lui, che mi conforta sapere che è qua. Non mi ha chiesto se volevo venisse come hanno fatto gli altri, è solo venuto.
Ci guardiamo senza dirci nulla, so che presto attaccherà con qualche frase di conforto piena di una sensibilità meravigliosa che lo caratterizza, ma in questo momento, in questo preciso momento, non voglio che nessuno dica niente.
Voglio rimanere così in silenzio a piangere davanti a lui, a piangere con lui, perché questo dolore condiviso improvvisamente è la sola cosa che mi permette di continuare a respirare.
Non c’è niente che ti possa preparare alla morte di tuo padre, nemmeno lunghi mesi d’agonia per una malattia terminale. Ma qualcosa che ti può aiutare a sopravvivervi c’è, forse.
Senza rifletterci, di nuovo per la seconda volta in pochi giorni, mi ritrovo a fare qualcosa impulsivamente.
Non lo penso, lo faccio e basta, come quando ho detto a mio padre quella bugia.
Seguo l’impulso che sento il bisogno di vivere e prendendogli il viso fra le mani così come lui prende il mio, annullo la breve distanza che rimaneva fra i nostri visi e lo bacio.
È la prima volta. Il primo bacio ad un ragazzo ed il primo a lui, sebbene a lungo a suo tempo avevo fantasticato di baciare Jules.
Jules mi torna in mente come un secondo pugno e se non fosse che le labbra di Pierre invece di respingermi mi accolgono schiudendosi e fondendosi con le mie, penso che tornerei in apnea.
Ma mentre ricambia e le nostre lingue si intrecciando con disperazione ed impulso, il sapore dei nostri pianti diventa un tutt’uno regalandoci un ricordo dolce-amaro del nostro primo bacio.
Dio, ma cosa sto facendo? Sto baciando un ragazzo, sto baciando il mio migliore amico.
Sono impazzito del tutto?
Riprenditi Charles. Riprenditi o te ne pentirai a vita e dopo non potrai nemmeno sotterrarti per risolvere tutto questo casino. È il tuo amico. Torna in te. Torna in te e fa quello che va fatto. Hai 19 anni, devi crescere, cosa sono queste scenate?
Mi stacco improvvisamente da lui trattenendo il fiato e lo guardo smarrito e confuso. Terrorizzato che possa pensare male e che mi giudichi. Solo perché gli piacciono i ragazzi e me ne parla da sempre non significa che ho il diritto di infilargli la lingua in bocca.
Solo perché ho sempre avuto il sospetto di essere innamorato perso per Jules, non significa che se sto male ho il diritto di baciarlo giusto perché è il primo bel ragazzo che mi capita sotto mano.
Che reazione è?
- Scusa, non so cosa mi è preso. Sono sconvolto, non dovevi accettare...
Ma Pierre mi sorride dolcemente e mi carezza le guance bagnate di lacrime con i pollici, me le asciuga e solo quando lo fa mi rendo conto che ho anche smesso di piangere, finalmente.
Respiro meglio, anche i battiti del mio cuore sono più normali, la testa martella di meno, comincia a diventare tutto respirabile e accettabile.
- Va tutto bene, Charles. Sono tuo amico, sono qua per qualsiasi cosa ti serva. Sempre.
Con questo mi riabbraccia come prima e lascio che lo faccia senza opporre resistenza. Lascio che la testa si adagi sulla sua spalla ed il mondo sfuma e si confonde. Così come il mio dolore.
È tutto strano, tutto assurdo. Tutto finito.
Mio padre se ne è andato per sempre ed io ora devo solo andare avanti senza di lui. Da qui in poi, per sempre. Renderlo fiero ed orgoglioso dall’alto od ovunque sarà. Tutto ciò che mi resta. Tutto ciò che posso fare per lui.
**
Riapro gli occhi dopo quella che poteva sembrare una meditazione, il mondo intorno a me riaffiora, il garage della Prema, i meccanici, la macchina che guiderò.
Papà, Jules, lo farò di nuovo e non prendetemi per un egoista insensibile, voi sapete che non lo sono. È solo che so quanto è importante per tutti noi che io salga su quella macchina, oggi e domani, e dia il massimo.
Anzi, non darò solo il massimo. Sono qua per vincere, per non buttare al vento tutti i vostri sacrifici e le speranze che avevate, tutti gli aiuti ed i sostegni che mi avete dato.
Se posso fare qualcosa di veramente degno per onorare la vostra memoria, quello sarà scendere in pista e correre in modo talmente perfetto da rendervi orgogliosi.
Da oggi correrò per entrambi. Da oggi tutto quel che farò sarà per vincere e diventare ciò che avete sempre visto in me.
Un campione.
Lo farò per voi e per me stesso. Perché è questo che mi avete sempre insegnato.
Sognare non è inconsistente.
Sognare è realtà. Ed io trasformerò il mio in questo.
In realtà.
Mi arriva la chiamata del mio team, li metto a fuoco, sono qua. Li guardo, annuisco e mi alzo iniziando ad infilarmi la parte superiore della tuta che pendeva alla vita.
Si scende in pista.
Ho un dovere da svolgere.
Aspettatemi lì un attimo, vado, vinco e torno. Poi rialzerò la visiera e tornerò a pensare a voi e a sentirmi in colpa per essere stato così bene da pilota, così bene che mentre porterò la macchina sull’asfalto riuscirò a dimenticarmi persino come mi chiamo.
Mi dimenticherò di voi, lo so perché è già successo con Jules tre anni fa.
Dimenticherò che siete morti, il dolore, le lacrime, le promesse. Dimenticherò ogni cosa.
Sarò solo velocità.
Curva. Rettilineo. Accelerata. Frenata. Traguardo.
Un attimo solo. Il tempo di fare ciò che va fatto.
Il gran sorriso di Pierre è lì appena scendo dalla macchina e mi accoglie facendomi capire che è tutto vero, che ce l’ho fatta sul serio e non l’ho solo sognato. Non è stata la mia immaginazione.
Ce l’ho fatta, papà.
L’ho vinta per te, questa corsa.
È la Gara 1 di 2, domani darò il massimo come oggi e sia quello che sia, ma sono qua e sto facendo il mio dovere e lo sto facendo bene, come ti ho sempre promesso.
Farò di tutto ed oltre per realizzare la previsione che ti ho fatto.
Ti ho fatto andare via dicendo che avevo già firmato per la Ferrari anche se non era vero, ma sarà così. Sarà così, un giorno. Firmerò con la Ferrari e allora la mia non sarà più una bugia ma una previsione, fino ad allora non mollerò mai in nessun caso, per nessuna ragione al mondo!
Alzo la coppa del primo classificato, nel gradino più alto del podio, sollevo il pugno con l’altra mano e lo stringo, getto la testa all’indietro e guardo il cielo che sta sopra di me. Un bel cielo azzurro da dove ora mio padre mi guarderà in prima fila.
Alzo il dito e lo punto verso di lui, perché so che è lì e chiudo gli occhi per un secondo, sorridendo con una serenità che non pensavo avrei mai potuto provare più.
È un momento distinto, fugace come una folata di vento, ma mi sento realizzato e non ho dubbi che sia così. Non è l’euforia per la vittoria di una gara, è proprio realizzazione, serenità, sollievo. Non ho solo vinto, non ho solo fatto il mio dovere.
L’ho reso contento, ne sono certo. Sono venuto per questo e l’ho compiuto e mentre me ne rendo conto capisco che alla fine era giusto così.
Dovevo venire, correre e vincere.
Nonostante la mia decisione contro tutti, non ho mai esitato e sono andato dritto per la mia strada. Nessuno avrebbe corso al mio posto, io ho voluto farlo, ma la verità è che ho avuto dubbi fino all’ultimo momento e probabilmente ne avrò ancora nei giorni futuri, quando l’adrenalina calerà. Ma qua, ora, mentre sono con la coppa in alto e le mani al cielo, mentre guardo lassù dove sta lui, sento che alla fine ho fatto bene.
Alla fine era la scelta giusta.
Questo è il mio regalo per te perché vedrai, non ti ho mentito. Ho solo anticipato quel che succederà fra qualche anno.
Io firmerò davvero per la Ferrari, vedrai.
Ero preparato a tante cose, ma non a questa.
Di solito i piloti di F2 e F1 non si incontrano casualmente, gli orari sono sempre ben diversi ed il programma è pensato proprio per evitare sovrapposizioni ed ingombri, a meno che non ci siano eventi che li accomunano o che i piloti stessi non vogliano incontrare gli altri, è una cosa che non capita.
Per questo oggi non me l’aspettavo.
Naturalmente dopo questa nostra gara loro hanno le Qualifiche, ma è ben in là.
Quando lo vedo venire verso di me per un momento penso di girarmi per vedere chi c’è dietro, perché sicuramente sta andando verso qualcun altro. Ma non mi giro perché vedo chiaramente i suoi occhi blu fissare i miei. Non sta guardando oltre, sta puntando a me, perciò mi faccio forza ed anche se non era fra le persone che avrei voluto incontrare, metto su la mia maschera migliore a cui ormai sono abituato, e non scappo.
Max si ferma proprio davanti a me e tende la mano mentre fa un cenno che non so interpretare. Non credo sia un sorriso, sicuramente è rattristato.
Il suo volto solitamente è molto aperto, ma adesso sembra confuso lui stesso su come si sente.
Mio malgrado gliela stringo senza esitare.
- Condoglianze, mi dispiace tantissimo per tuo padre.
La sua voce come sempre bassa e graffiante mi raggiunge in un tono particolarmente teso.
Io faccio come ho fatto finora, sorrido ma non so che fanno i miei occhi, dubito seguano l’esempio delle labbra.
Annuisco senza scompormi in alcun modo, rimango dritto e rigido, le nostre mani si sfilano subito dopo.
- Grazie. - rispondo educatamente. È così che si fa, ormai lo so fare bene.
Sorrisi, strette di mano, risposte educate.
Lui rimane un istante di troppo davanti a me ed è come se notasse qualcosa, qualcosa che lo colpisce ed ho conferma che lui è come sempre molto espressivo.
Tuttavia non mi dice nulla e senza prolungare oltre questo momento imbarazzante, se ne va tornando indietro da dove è venuto.
Lo seguo con lo sguardo stupito. Non mi ha incontrato per caso e dato che c’era mi ha fatto le condoglianze.
Mi ha proprio cercato, è venuto per me.
Quando lo vedo entrare nel suo box, noto che inizia ora ad animarsi col suo team, non sono nemmeno arrivati tutti. Di solito in questo momento i piloti sono nei Motorhome a riposare dopo le prove libere del mattino, alcuni nemmeno sono ancora qua.
È il primo che vedo girare fra quelli di F1.
Voleva vedermi di proposito?
La domanda resta insoluta e una mano gentile si posa sulla mia schiena, la riconosco prima di sentirne la voce altrettanto dolce.
- Ehi, andiamo? - fa Pierre con la sua tipica delicatezza. Un sorriso incoraggiante.
Io annuisco e vengo via con lui verso l’uscita del Paddock. Per oggi noi abbiamo finito, domani è un’altro giorno, un’altra gara importante che farò di tutto per vincere.
Mentre cammino affiancato da un Pierre che mi riempie di complimenti per la mia corsa, mi accorgo che la nebbia che riempiva la mia testa questa settimana finalmente se ne sta andando e capisco di nuovo, senza ombra di dubbio, che c’è un’altra cosa importante da fare. Devo parlare a Pierre di quel bacio prima che rovini tutto fra noi o che si faccia dei film. Non so cosa provi realmente per me, né se gli abbia fatto piacere, momento terribile a parte, ma so che io voglio fra noi rimanga com’è sempre stato. Una bella amicizia. Voglio che lui sia il mio amico per sempre, la mia confort zone, il mio rifugio, colui che mi capirà e che mi accompagnerà in ogni circostanza. Non voglio un fidanzato, tanto meno qualcos’altro.
Adesso non sarei lucido per nessun altro che un amico. Non posso permettermi che le cose fra noi si rovinino, non voglio che mediti un cambiamento nel nostro rapporto. Sarò chiaro prima che pensi ad altro.
Pierre sorride comprensivo. Se l’aspettava, lui già sapeva prima di me. Ma di cosa mi stupisco?
- Mi dispiace, ero solo fuori di me e non sapevo quel che facevo. Tu eri lì, piangevi come me, stavi male come me e mi capivi così bene che io in quel momento ho capito d’aver bisogno solo di quello. Uno che mi capisse bene. Non so perché sono finito a baciarti, spero sia tutto a posto fra noi.
Avevo esordito dicendo ‘devo parlarti di quel bacio’.
Lui con la sua composta serenità mi ha fatto capire che se lo immaginava e mi aspettava al varco.
Dopo il mio bel discorsetto lui stringe la mia mano e accentua il suo splendido sorriso. I suoi occhi brillano rendendolo come sempre sensibile e dolce, la persona positiva e splendida di cui ho bisogno accanto.
Voglio che tutto rimanga così, immutato.
Siamo seduti uno accanto all’altro qua fuori, il sole che è sceso ha dato sollievo alla calura di Baku. Si sta finalmente decentemente anche se c’è comunque un gran caldo lo stesso.
Pierre mi lascia la mano subito ed annuisce.
- Lo sapevo, non ti devi preoccupare. Anche io ero fuori di me quel giorno, perciò siamo pari. Va bene così.
Penso alla fine non servisse nemmeno specificarlo a parole, ma per me la chiarezza è essenziale. Non devo lasciare niente di confuso intorno a me. Devo sapere esattamente dove camminare.
Gli lancio un’ultima occhiata qua accanto, lo spingo con la spalla lieve, lui dondola dall’altro lato e ricambia il gesto amichevole mentre incrocia le braccia sulle ginocchia.
- Grazie. - concludo. Lui sorride ed io mi sento di nuovo sollevato, più leggero di prima.
- Come stai tu? - chiede poi lui tornando ad osservarmi per studiare le mie micro espressioni. Io fisso davanti a me il giardino del ristorante dove siamo a cena, la squadra dentro che prosegue per conto suo. Dopo la mia vittoria hanno voluto concederci una bella cena, penso che fosse più per me che per loro, ma è stato un ottimo risultato.
- Bene. Meglio. Più lucido. So che sarà sembrata una scelta egoista o folle, ma mi ha aiutato correre. Mi ha schiarito le idee e disteso i nervi. - rispondo sinceramente. È di questo che ho bisogno. Di lui. Del mio migliore amico a cui dire tutto. Non ho bisogno di un fidanzato od uno con cui fare sesso. Non mi serve questo.
- Nessun rimpianto? - lo chiede perché ricorda bene come andò dopo Jules. Tanto convinto ero prima di correre, quanto poi mi sono sentito una merda dopo.
- Probabilmente da Lunedì. Adesso per come mi sento penso ancora d’aver fatto bene. Era quello che mi serviva per... sai... riuscire a convivere col mio dolore. La mia vita va avanti e devo trovare il modo di proseguire senza sprecare gli sforzi che mio padre ha fatto per farmi arrivare fin qua. Credeva in me, perciò devo... devo riuscire a farcela ad ogni costo. Per lui.
Pierre mi ascolta mentre parlo a ruota libera senza sentirmi un idiota che parla di cose troppo personali o sentimentali. Non mi sento debole, solo passato sotto un tritacarne. Non so se questa sensazione se ne andrà mai via, ma per il momento penso al passo successivo nel futuro prossimo. Oggi sono un pilota, devo correre e vincere. Paradossalmente questo è più facile che essere un ragazzo che ha perso il padre. Perciò mi concentrerò su questo e di volta in volta vedrò.
Pochi piani, da ora, se non quelli di non deludere mio padre.
Ce la farò per te, papà. Un ultimo sguardo al cielo, poi appoggio la testa alla spalla di Pierre sentendone un gran bisogno, lui mi mette una mano sulla guancia e appoggia la testa alla mia tenendomi con sé. Grazie di esserci.”
Note: quel weekend Pierre era davvero presente lì con Charles, infatti le foto sono tutte prese da quella gara; si suppone fosse lì per sostenerlo perché non aveva gare e non correvano nella stessa categoria in quel periodo. Nel volo per andare a Baku, Charles ha davvero incontrato Arrivabene e gli ha davvero detto che andava a fare il suo dovere, cosa che colpì molto Arrivabene stesso. Charles ha parlato spesso di quei momenti e della sua scelta di correre, così come della bugia che ha detto al padre in punto di morte sull’aver firmato per la Ferrari, cosa di cui non si è mai pentito solo grazie al fatto che alla fine ha firmato davvero, anche se non subito. Ovviamente di Max che gli fa le condoglianze non ci sono notizie ed è una mia aggiunta. Grazie dell’attenzione. Baci Akane