8. UN GIORNO

lestappen

/Max/

“Non era scontato che ci ritrovassimo nello stesso hotel anche se trattandosi di questo era altamente probabile. È il più comodo a livello di location. 
Comunque non so perché quando lo vedo mi sento sempre felice ed entusiasta, forse per quel che dicevamo l’altro giorno con Daniel. 
È stato il mio rivale, l’unico anzi, della mia infanzia ed adolescenza. Mi ha rotto così tanto le palle in pista che quando ci siamo separati facendo ognuno la propria strada (letteralmente), mi sono reso conto il valore che aveva. 
Nessuno a contrastarmi e a rendere interessanti le gare che vincevo fin troppo facilmente. 
Mio padre avrà avuto metodi poco ortodossi, ma alla fine il risultato è quello che conta. Mi ha reso un pilota vincente e a me piace vincere, sebbene qua in F1 io stia facendo non poca fatica. Ma piano piano ce la sto facendo e so che andrà meglio. 
È bello, veramente, però vincere facilmente perché non avevo rivali non era divertente come quando lo facevo contro Charles.
Quando ho saputo che arrivava in F1 mi sono ritrovato catapultato a quei bei tempi, quando mi piaceva un sacco correre ed ho capito perché mi piaceva così tanto. 
Perché vincevo contro di lui che era così bravo e tosto. 
Un vero bastardo dalla faccia d’angelo. Lui ed il suo essere perfettino e pulito in apparenza per poi buttarmi fuori pista perché mi odiava.
Certo che mi odiava ed era ricambiato, ma poi siamo cresciuti, ci siamo separati ed ho potuto chiarirmi le idee, capire il suo valore e pensavo che per lui fosse lo stesso. 
Mi ero immaginato delle gare fra me e lui di nuovo interessanti all’insegna dei sorpassi al limite. Tutto ciò che mi aveva reso felice da ragazzino. 
Eppure quando mi ha incontrato prima nella hall non ha lasciato scampo, era evidente che non provasse nulla.
Il sorriso è arrivato solo alle labbra, ha risposto cordialmente perché è così che fanno i bravi ragazzi, ma non era minimamente entusiasta di rivedermi e di essere di nuovo qua a gareggiare contro di me. 
Sono rimasto deluso e anche quando sono andato da Daniel, ci ho ripensato tutto il tempo.
Non gli piacevo allora ed è ancora così. Le altre volte avevo avuto la medesima impressione, ma erano sempre circostanze particolari che non erano attendibili per capirlo. Oggi era inequivocabile. 
Charles mi ha sempre odiato davvero e continua ad odiarmi ancora, non era divertito nel correre contro di me, non lo è mai stato. 
Adesso si contiene perché fa l’adulto, ma gliel’ho letto in faccia la mancanza di entusiasmo nel rivedermi. 
Daniel le ha provate tutte per rianimarmi anche dopo che ci siamo sistemati in camera, ma non c’è stato verso, così stufo di stuzzicarmi a vuoto se ne è andato a cercare gli altri e gli sono andato dietro sentendomi in colpa.
Non sono mai stato un ragazzo vitale, socievole e pieno di amici, ma da quando sono arrivato in F1, grazie a Daniel lo sono diventato, mi sto facendo un bel giro e non so se posso chiamarli amici, ma piano piano mi sto sentendo sempre meglio in mezzo agli altri e sono contento di uscire dal mio piccolo guscio. Non voglio regredire per colpa di nessuno, perciò Max reagisci. 
Quando raggiungiamo gli altri di sotto, seguo Daniel pensieroso e ancora silenzioso senza farci realmente molto caso. Ci fermiamo da Seb, Lewis e Fernando che sono qua al bar dell’hotel a prendere un caffè, Seb tiene banco come sempre perché vuole rigorosamente un espresso italiano ed allora sta cercando di spiegare in cosa consiste e come deve essere per essere buono, come se al bar di un hotel come questo non lo sanno. 
Daniel, Lewis e Fernando lo prendono in giro, io rido rischiarandomi in fretta, ma mentre loro stanno facendo il circo parlando a questo povero barista che non ha fatto niente di male per essere messo in mezzo ai loro scleri, da un altro tavolo in fondo sento delle voci parlare in francese e quando mi giro vedo Charles, Pierre, Esteban e Stoffel insieme a bersi anche loro un caffè.
Quando li individuo, il mio cervello si spegne e mi estraneo dalla scena divertente a cui stavo assistendo. Per un momento non c’è nessun altro, spariscono tutti. 
Non noto nemmeno che Stoffel sta prendendo in giro Pierre lanciando occhiate inequivocabili verso Lewis e Seb, non vedo quanto ridono e si divertono. Noto solo ed esclusivamente Charles ed il suo bel volto ancor più delicato e perfetto di quando era un adolescente. 
Vedo la sua bocca piegata in un sorriso, vedo che rincara la dose di battute verso Pierre, ma vedo anche i suoi occhi seri e tristi.
Charles sorride e sta scherzando, ma nemmeno con loro che sono sicuramente i suoi amici del circuito, lo fa sul serio. 
Allora non era colpa mia. Non ero io il problema. Non faceva quella faccia per me.
Charles parla apparentemente sereno, gli altri ridono, ma nessuno dei suoi sorrisi raggiunge mai gli occhi che da lontano e dall’esterno si notano ancora meglio. Sono una nota stonata nel quadretto complessivo. 
Charles ha perso il suo sorriso, quello autentico. Quello che ricordo fin troppo bene nell’ultima volta che abbiamo corso insieme al go-kart, in quel 2013 lontano, eppure non poi così tanto.
Ma per lui devono essere passati secoli, così sembra vedendo com’è adulto adesso, nonostante i tratti giovani. 
Una posa poco rilassata sulla sedia e quelle risate così stonate. Sembrano quasi tristi come i suoi occhi. Qualcuno se ne accorge che è grottesco? Sembra un pugno in un occhio. 
Per un istante mi sento malinconico.
Ho passato la mia infanzia e adolescenza ad invidiarlo per come era felice con suo padre, tutte le volte che li vedevo li invidiavo e ho voluto così tanto essere lui, che alla fine mi sono pentito di non aver nemmeno cercato di essergli amico. Siamo sempre stati solo rivali ed ora forse non mi considera nemmeno più quello. Sembra mi abbia dimenticato, quasi. 
Sa chi sono, naturalmente, ma per lui che io ci sia o meno non gli fa differenza. Non è contento come quella volta che ho saputo che sarebbe passato in Sauber. 
Dov’è finita quella felicità che gli ho sempre invidiato? 
In cimitero con il suo amico Bianchi e suo padre?
Con una gomitata vengo richiamato da Daniel che mi ripete la domanda. 
- Vuoi anche tu questo fantomatico espresso prima che il barista si dimetta? - ripete la battuta che ha fatto ridere tutti ed io rido prontamente replicando con un’altra stronzata all’altezza: - Solo se lo fa Seb! 
Lo chiamano tutti Seb nel circuito, perciò mi sono adattato subito. 
È uno dei piloti che ammiro e rispetto per quel che ha fatto qua in Red Bull ed in generale per tutta la sua carriera; è un gran pilota, non si discute. Il fatto che lui ha vinto 4 mondiali di fila con la squadra per cui ora corro io mi riempie di sogni e speranze. Se ce l’ha fatta lui, ce la voglio fare anche io. Non perché mi ritengo alla sua altezza o migliore, ma perché voglio anche io lasciare il mio segno come l’ha lasciato lui qua. È il pilota più vincete della Red Bull, l’eroe di casa, ed io voglio unirmi a lui. Voglio essere un altro eroe di casa. Voglio diventare vincente quanto lui, lasciare il mio segno, far sentire il mio nome ovunque. 
Si dice che solo con certe macchine puoi pensare di vincere un mondiale, prima di Seb la Red Bull non era fra queste, ma adesso lo è grazie a lui che ha dimostrato che si può. Io farò altrettanto. Vincerò perché con la Red Bull si può.
Stare con lui, come sempre, mi riempie di vitalità e combattività. Non che mi manchi, ma a volte mi sembra di perdere il punto della questione. 
A volte quasi non ricordo perché lo faccio. Forse perché so che devo e spesso mi dimentico che lo faccio perché lo voglio.
Voglio vincere, voglio avere successo, voglio farlo perché mi piace veramente. 
A volte mi perdo, ma stare in mezzo a persone come loro mi fa bene da matti, mi fa ricordare che un sogno ce l’ho anche io. Un sogno mio e non imposto da mio padre. Forse all’inizio era il suo sogno, ma adesso che sono qua in mezzo ai piloti più vincenti degli ultimi tredici anni, voglio essere alla loro altezza. Non il loro erede o degno.
Voglio proprio avere ciò che hanno ottenuto loro. 
Un giorno sarò di nuovo qua a bere un espresso con loro e ci saranno pure i miei mondiali a brillare. E nessuno mi chiamerà Mad Max, Crash kid o sopravvalutato. 
Sapranno tutti il mio nome e si mangeranno le loro maledette lingue. Meriterò di stare a questo tavolo a bere questo caffè con la gente più vincente degli ultimi anni della F1.
Quando mi volto verso Charles ed il suo gruppo lo faccio senza rendermene conto, ma lo becco a guardarmi proprio mentre ridevo e facevo battute con il gruppo più invidiato del momento. Eppure il suo sguardo, che distoglie immediatamente, non era carico di invidia come quello di Pierre. Sono sicuro di aver visto stupore, nei suoi occhi tristi. 
Chissà se vincendo un GP quella tristezza verrà cancellata? Vorrei proprio vederlo.


La sua voce mi raggiunge all’orecchio perentoria e mentre mi dice le solite cose il nervoso inizia a salirmi come sempre. Non me ne rendo conto, ma sto dondolando il piede per terra con la punta premuta. 
Sarebbe pure uno splendido spettacolo, quello che si apre davanti ai miei occhi, ma nemmeno me ne rendo conto. 
- Seconda fila non è male, ma se non la sfrutti alla partenza non servirà a niente. Parti accanto a Vettel, non riposarti sugli allori! Devi puntare subito alla testa, non adagiarti alla quarta posizione. Entra nella mentalità della vittoria. 
Vorrei dirgli se ha capito che davanti a me ho Lewis, Kimi e Seb, ma mi disumanerebbe e non mi va di sentirle. Voglio solo godermi la sua assenza. Mi segue tutte le volte che può, ma per fortuna non può sempre. Dipende più che altro da dove andiamo e da che gara è.
Questa è la prima della stagione e siamo dall’altra parte dell’emisfero, perciò per fortuna non mi ha seguito. 
Se fossi in un momento cruciale di una stagione in cui non vado abbastanza bene, non mi si staccherebbe. Ma per il momento mi godo la mia libertà.
O ci proverei, se non mi opprimesse con le sue solite telefonate. Ogni volta che faccio qualcosa con la macchina, che siano prove o qualifiche, mi chiama subito per dirmi l’ovvio. Niente che non mi abbiano già detti i miei ingegneri. Pensa che siano idioti? O che lo sia io? Mica mi sono rincoglionito tutto d’un colpo, dannazione!
So cosa si deve fare quando si è in seconda fila, ma non so se lui sa che siamo all’inizio, le macchine sono ancora da migliorare, non abbiamo ancora molta confidenza con loro e soprattutto in questo momento non siamo ancora all’altezza di Mercedes e Ferrari. Senza considerare che davanti a me stanno piloti di un certo spessore. Non dei rookie o degli idioti qualunque. 
Mio malgrado so cosa rispondere: - Sì certo che si punta sempre alla vittoria! Sai che odio stare dietro, la quarta posizione per me non è soddisfacente. 
Ripeto quel che mi ha sempre detto. Ha ragione, è questa la mentalità da avere. 
Sarà discutibile come padre ed essere umano, nessuno meglio di me può dirlo, ma quando si tratta di corse sa cosa dice e sa come fare per aiutarmi da un punto di vista tecnico e professionale. 
Sarebbe un buon coach per qualche giovane talentuoso testa dura ed indisciplinato come me che per emergere e tirare fuori quanto vale necessita di un metodo severo. 
È bravo, non gli posso dire niente. Quando ho dubbi su certe cose sa sempre darmi consigli buoni e non c’è mai una volta che mi dica cosa che non vanno bene riguardo le gare. 
Però la sua voce ed il modo in cui mi parla, restano sempre attanagliati al mio spirito ribelle. Può dire le cose più sensate e giuste del mondo, può aiutarmi e motivarmi quanto vuoi, ma ci sarà sempre una parte di me che sentendolo parlare mi farà afferrare la ringhiera come un ossesso. 
Appena mi accorgo dello stato in cui sono, mi mordo la bocca e mi irrigidisco ancora di più. Mio padre continua a darmi consigli non richiesti ed ovvi ma giusti, quando poi conclude col suo tipico motto.
- Non dire ‘sì’ perché ti conosco e sicuramente manderai tutto a puttane come sempre! 
Con questo sto per mandarlo a fanculo, cosa che non ho mai avuto il coraggio di fare, ma due braccia mi stringono da dietro con dolcezza e decisione insieme. Immediatamente mi rilasso contro di lui appoggiandomi al suo petto forte. Chiudo gli occhi dopo averli roteati all’indietro esasperato, ma finalmente la sua bocca mi bacia il collo e mi dà pace nonostante quello stronzo di mio padre continui a parlare al telefono. 
Io annuisco, non so più che dico sinceramente, vado col pilota automatico e poi finalmente mi molla. 
Quando metto giù la comunicazione, lancio il cellulare su una delle due sedie del terrazzo e impreco a denti stretti corrugando la fronte. 
Daniel mi stringe più forte cullandomi fra le sue braccia, continua a baciarmi il collo e la guancia rivolgendomi meglio verso la città notturna che da qua si vede molto bene. Solo ora inizio a vederla realmente sebbene fosse davanti ai miei occhi già da quindici minuti dannati.
Non so quasi nulla di Melbourne, tanto meno ho idea di che cosa sia quello splendido edificio antico, ma so che siamo in uno degli hotel più belli della città e più gettonati perché anche vicini alla pista. Non è sempre scontato che i piloti scelgano lo stesso hotel, ma la tendenza è quella anche se poi dipende.
Mentre guardo lo spettacolo notturno che si apre davanti ai miei occhi cupi, mi lascio posizionare e lentamente mi sento rilassare sempre più. Ci mette un po’, nel frattempo in un meraviglioso silenzio da parte sua, che non è per niente scontato, lascia che ci allieti solo il rumore della città sotto di noi e la sensazione del vento che soffia piacevole e fresco. 
Dopo un tempo indefinito, mi sussurra piano senza mollare mai la presa da dietro, in questo dolce abbraccio rincuorante che ora, isterico come sono, accetterei solo da lui.
- Meglio? 
Io annuisco. Vorrei parlare, sfogarmi con lui e dirgli cosa penso di mio padre, spiegargli la nostra situazione, condividere qualcosa ma so che se lo facessi sarebbe la fine. Non smetterei più di parlare e finirei per dire cose che non voglio vengano espresse ad alta voce. 
Se non le dico non esistono. Se non esistono, non mi hanno mai fatto male. Se non ho nulla che mi abbia mai fatto male, sto bene. Sto bene e basta, è così che voglio stare. Bene. 
Pensavo di essermi liberato di lui una volta entrato in F1 e diventato maggiorenne, me ne sono andato a vivere da solo e ho creduto che fosse finalmente finita, la mia prigione e all’inizio mi è sembrato fosse così, infatti ero felice, ma mi ero solo illuso. 
Non sono libero. Finché correrò in F1 non lo sarò mai, ma non posso smettere senza ripagarlo di tutto quel che ha fatto per me o mi ucciderebbe e non è nemmeno per questo, forse. Non ho più paura di lui, non è come quando ero piccolo che facevo quel che voleva per paura o che comunque gli andavo contro consapevole di beccarmi una sonora lezione fisica. 
Non è più così. Adesso è più mentale. Non posso andargli contro e scontentarlo in alcun modo perché è mio padre ed ha fatto di tutto per farmi avere successo in F1. Adesso che sono adulto capisco quanto sono stati grandi i suoi sacrifici, ma li ha fatti per sé stesso. Per vivere attraverso me il suo sogno che non aveva potuto vivere. 
Per lui non era sufficiente che io arrivassi in F1, lui ha sempre voluto che io vincessi e non solo dei GP, come è già capitato per fortuna. Lui vuole che io vinca dei mondiali e non posso mollare senza averlo fatto. Solo quando li avrò vinti sarò davvero libero da lui o davvero non smetterà mai più di parlare ed io non avrò mai la mia vera reale pace. Non posso vivere con uno che mi rinfaccia a vita le mie mancanze e le mie colpe. Quella non sarebbe vita. 
Lo so perfettamente, l’ho capito dopo la prima stagione completa in Red Bull. 
Mi ero illuso, comprendere che non era finita è stata dura e non è nemmeno questo il punto.
A me piace, dannazione.
Piace la F1.
Piace correre con le macchine. Quando lo faccio mi sento esattamente come vorrei essere ogni momento della mia vita.
Libero. Ma per ora mi ci sento solo quando corro.
E mi piace vincere, anche a me piace tanto, da matti, al punto da volere i fottuti mondiali, cazzo. 
Ho dei sogni miei, ora, ho dei desideri. Il primo giorno qua a Melbourne l’ho capito, bevendo quel caffè con Seb, Lewis e Fernando. 
Voglio essere come loro. Un vincente. Un fottuto vincente. Chiudere la boccaccia a tutti perché tutti mi hanno sempre criticato. Ma voglio esserlo principalmente perché mi piace. Mi piace essere vincente. 
Per questo sono così tanto incazzato con me, quando sento o vedo mio padre. 
Perché alla fine voglio le stesse cose che vuole lui e non smetterei nemmeno per porre fine a questa tortura mentale, perché ormai lo voglio anche io. 
Abbiamo lo stesso maledetto sogno del cazzo e mi dà fastidio da matti. 
Perciò no, non ne parlo e fingo che sia una normale conversazione col mio solito padre ingombrante a cui ormai lui è abituato. 
Mi piace Daniel perché non è invadente, è sveglio. Sa da solo le cose, non gliele devono dire. Ha capito che ho un rapporto teso con lui ed ogni volta che lo vedo e lo sento si limita a starmi vicino e ad aspettare che mi passi. Se non succede subito, sa cosa fare e a questo punto, con un sorrisino malizioso che faccio apposta per innescarmi, mi giro verso di lui e gli circondo il collo con le braccia. Non lascio spazio per parole, non servono richieste esplicite. 
Lo spingo dentro la camera mentre lo bacio e lui ridendo contro la mia bocca, mi stringe meglio la vita e mi solleva dirigendosi al letto su cui mi stende, dove mi farà suo cancellando definitivamente quella sgradevole sensazione che mi lascia sempre quell’uomo. 
Diciamo che non me ne sono ancora liberato, ma sto lavorando per riuscirci. Nel frattempo, grazie a Daniel e al suo corpo, so come fare per impedirgli di rovinarmi le giornate. 


Alla pesa incrocio Charles nella sua tuta bianca e rossa della Sauber con ancora il casco addosso. I nostri occhi si incrociano, ci guardiamo, ci riconosciamo, difficile il contrario coi nostri nomi scritti addosso, ma non fa nemmeno un cenno.
Mi ignora come non fossi nemmeno qua.
Si pesa prima di me, poi se ne va verso il suo garage in perfetto silenzio. 
Per tutto il weekend ci siamo incrociati di continuo, è capitato e capiterà di più guidando nelle stesse gare, però non mi ha mai fatto cenni o rivolto la parola. 
Pensavo sarebbe stato diverso ritrovarci qua insieme da adulti, ma evidentemente la sua puzza sotto il naso è cresciuta con lui, da piccolo l’aveva, o almeno io pensavo l’avesse, ma adesso ne ho la certezza. Forse crede che potrei infettarlo e che inizierebbero a chiamare anche lui Crash Kid. 
È un soprannome normale per i nuovi arrivati, per lo meno questo mi ha detto Daniel per sdrammatizzare. In realtà non credo sia proprio vero, qualcuno ce l’ha avuto, è vero, ma non tutti. Ci sono quei piloti perfetti da subito, vedi Lewis. Vediamo come se la caverà questo piccolo principe snob che nemmeno mi caga.
Vaffanculo, Charles, tu e chi ti credi di essere. Non è giornata, poi.
Già so cosa mi aspetta appena recupererò il mio telefono e per un momento spero che qualcuno me lo rubi anche se so che non è possibile. 
Dannazione. 
Mi sembra di sentire la sua stramaledetta voce arrogante che mi rimprovera con delusione. 
‘Davvero Max? Non solo non hai mantenuto la posizione, che sarebbe comunque stato deludente, ma l’hai addirittura peggiorata. Sei finito sesto, Max. Sesto. È così che si corrono le gare? Dove credi di arrivare con quell’atteggiamento perdente? Ma tanto lo sapevo che sarebbe finita così. Ho buttato i miei soldi! Dovevo prendermi un jet privato e viaggiare in giro per il mondo, altro che portarti su e giù per l’Europa a farti avere i pezzi migliori per la tua macchina o farti fare le gare che contavano! Che spreco di tempo e soldi, Max!’
Mi sembra già di sentirlo, è la solfa che preferisce. Adora farmela. Secondo me se iniziassi a vincere un sacco, si sentirebbe male. Sarebbe più incazzato di farmi complimenti e non avere niente da dirmi. 
Pezzo di stronzo. Ma un giorno te la faccio vedere veramente. Vincerò, eccome se vincerò. Non solo GP, ma dei cazzo di mondiali di merda! E poi me ne andrò a fanculo dalla tua vita!
Dannazione!”