*A volte per accettare la realtà che non ti piace, ci metti davvero tanto, ma poi quando qualcosa scatta e ci riesci, tu cambi e anche se ti ritrovi a fare le stesse cose di prima, non sono proprio uguali. Qualcosa ormai è diverso. È possibile a quel punto rimediare, tornare a come si era, risaldare la voragine? Lewis vive di piccoli istanti brevissimi, quasi insignificanti, ma che lo fanno andare in quella che sente la strada giusta, Seb invece sta per iniziare un nuovo libro, ma sente nel suo cuore che ogni tanto qualche pagina del libro vecchio la leggerà sempre. Buona lettura. Baci Akane*
30. IN PUNTA DI PIEDI
/Lew/
“Passiamo tutta la mattina a parlare di Jenson, di Michael, della Race of Champions, di razzismi, discriminazioni, del rapporto fra Michael e Keke che ha impedito di scegliere Nico l’anno scorso.
Parliamo tantissimo e ad un certo punto si tocca un discorso un po’ delicato.
- E comunque lui ha scelto te a prescindere dai Rosberg. - Dico infine mentre prepariamo da mangiare una pastasciutta con una salsa normale. Che prepara lui perché io pare sia un pessimo cuoco ed ormai ho assunto una cuoca che quando non c’è mi fa mangiare precotto o take away che se lo sa mia madre mi uccide.
- In che senso ha scelto me? Dicono tutti che Michael ha scelto me, ma non capisco il senso di questa frase... - Seb ovviamente vuole capire tutto quel che riguarda Michael e bene o male ne abbiamo parlato tutta la mattina quasi. Penso che potrebbe farlo all’infinito.
- Beh Michael è potente nel mondo della F1 ovviamente, insomma tutto quel che ha fatto gli ha permesso di essere un po’ una sorta di dio. Tutto quel che dice è legge, se lui stabilisce che uno non deve stare lì, quello non viene chiamato. Allo stesso modo se ne vuole un altro, quello sarà lì anche se gerarchicamente non ha senso. - Non so bene come metterla giù nemmeno io anche perché la questione turba un po’ anche me. Non sono invidioso perché vorrei essere io quello scelto da lui, era ovvio che cercasse un tedesco. Però ho l’impressione che qua dietro ci sia qualcos’altro.
- Ok, va bene. Quel che dice è legge ed ogni suo desiderio è un ordine, ma non è un prepotente che si impone. Io non lo vedo così. - Ed ecco. Toccategli tutto ma non il suo Michael.
Qua torna la gelosia, la riconosco facilmente ormai.
- Non prenderla così, non è prepotente, è molto socievole ed in gamba, però diciamo che si è conquistato il diritto di scegliere determinate cose. - Seb fa il broncio, oddio mi fa morire il suo broncio. Ha le sopracciglia aggrottate così gli premo il dito in mezzo e schiaccio per distendergli la rughetta.
- Eddai perché te la prendi? -
- Cosa significa che ha scelto me? Solo perché sono tedesco e non sono amico dei Rosberg? - Sospiro e capisco che non me l’asciugherò facilmente perché si è intestardito, così mi siedo su uno sgabello della cucina e sorseggio questo rosso che mi ha aperto per fare aperitivo mentre lui cucina.
Che poi lui che cucina per me. Non mi abituerò mai. Che bello.
- Non lo so, non credo sia solo quello. Penso che all’inizio fosse curioso. L’avevi già incontrato mi hai detto, quando eri nelle categorie inferiori. - Annuisce.
- È capitato. È sempre stato carinissimo con me. -
- Io penso ti abbia tenuto d’occhio perché eri un talento tedesco e lui è un po’ patriottico ma non nel senso che ‘forza Germania’, ma in senso che... - Alzo gli occhi al cielo e sospiro nel non trovare le parole giuste che nemmeno io conosco. Seb rimane col mestolo sollevato e mi guarda in attesa, incitandomi a continuare, così io provo a tradurre quel che penso. - Nel senso che tutti cerchiamo qualcuno a cui lasciare la nostra eredità specie se è importante e ci teniamo. E lui ci tiene a quel che ha conquistato. E tendiamo a cercare qualcuno in cui ci rivediamo per qualche ragione. Con cui pensiamo di avere qualcosa in comune. Io penso che lui si sia incuriosito con te e ti abbia tenuto d’occhio per vedere se potevi essere tu. -
E qua Seb spalanca gli occhi impallidendo come un ragazzino di dodici anni che incontra il suo idolo.
- E avrebbe scelto me per questo ruolo? - Lo guardo meravigliato che non ci sia arrivato da solo, così scendo dallo sgabello e cammino verso di lui allargando le braccia ovvio.
- Seb ma cosa pensavi che intendesse la gente dicendo che ha scelto te? - Alza le spalle shoccato scuotendo la testa.
- Che dicessero un mucchio di cagate! - Sorrido e gli prendo il mestolo di mano girando la salsa che inizia ad attaccarsi, così chiudo il fornello e rimango davanti a lui, una mano di entrambi appoggiata sul piano di lavoro in marmo.
Le dita quasi si toccano.
Mi sta venendo la fissa delle nostre dita che si devono toccare.
Sento sempre una scarica incredibile quando succede, chissà se se ne accorge.
- Beh, ti ha chiamato e voluto alla race dell’anno scorso dopo solo pochi mesi di gare dove non hai fatto gran chè a parte nella fase finale. - Cerco di fargli notare che è così e basta e lui non credo sia in grado di accettarlo facilmente. Mi fa tenerezza quando fa così. Di solito appare spavaldo e fa lo scemo, ma ci sono momenti in cui si mostra in tutta la sua purezza.
Gli occhi gli diventano lucidi mentre realizza cosa significa, mentre lo capisce solo ora.
Lui vive tutto sul momento, è così immediato che è capace di fare una cagata colossale senza rifletterci e poi mettersela via così, con un colpo di spugna. Lo invidio. Io ci rimugino all’infinito sulle cose e non trovo nemmeno mai soluzioni.
Gli carezzo la guancia.
- È una grossa responsabilità e ti suggerisco di non farti schiacciare da questo pensiero. È lui che ha scelto te, ma lui anche se per te è dio, non lo è davvero. Diciamo che ti tiene d’occhio per vedere se ha ragione. Tutto qua. - E diciamo che se dovessi scommettere, scommetterei che lo riempirà di consigli e gli starà un sacco vicino. Scommetto che lo vedremo spesso nei circuiti da qui in poi.
Non riesco a capire effettivamente perché cerchiamo un nostro erede quando abbiamo conquistato tanto. Ma è un po’ come chi vuole figli. I figli o i nostri eredi sono le nostre impronte nel mondo. Impronte che andranno avanti di generazione in generazione. Io non sono l’impronta di nessuno dal punto di vista professionale, ma al tempo stesso non è detto che Seb lo sarà di Michael. Glielo auguro, ma lo auguro anche a me stesso.
Non di essere il suo erede, ma di avere un giorno una grossa eredità emotiva spirituale e professionale da lasciare. Di essere una persona con un grande bagaglio. Ecco cosa mi auguro. E mentre lo penso la mano scivola sulla sua nuca sui capelli lunghi e mossi e penso che sono così morbidi che non li lascerei più. Seb torna in qua e smette di avere la lacrima sugli occhi blu che mi distruggono ogni volta, si fa serio e piega la testa di lato in attesa.
In attesa di vedere che farò. Perché lui non farà niente, non farà più niente e lo capisco ora mentre non ne approfitta come faceva fino ad un mese fa quando mi aveva vicino o addosso.
Se vorrò toccherà a me. Si è proprio stufato di questa mia zona grigia. Ha ragione, ha maledettamente ragione, ma ogni volta che sono qua per farlo perché mi va e vorrei fosse lui, penso a Nico e ritiro la mano. Finchè riesco a farlo va tutto bene. Conta sempre quel che faccio, non quel che penso e che voglio.
Il pranzo è molto buono e lo riempio di complimenti mentre insisto per lavare i piatti e così mi fa fare. Questa cosa è tanto da coppia e forse la faccio per questo. Per sentirmi ancora un po’ parte di lui anche se non lo sono mai stato sul serio.
Sono un idiota.
Nel pomeriggio inizia a nevicare molto intensamente e così visto che adoro la neve mi metto la giacca e corro fuori senza guanti a farmi ricoprire dei fiocchi grossi che scendono dal cielo plumbeo.
Seb mi raggiunge infilandomi una delle sue cuffie e ride di gusto.
- Sembri un bambino! - Così mi giro verso di lui con le braccia larghe e le mani coi palmi verso il cielo a raccogliere i fiocchi. Fiocchi candidi che scendono sul mio viso rivolto al cielo con sopra stampata una faccia ebete, probabilmente.
Giro i palmi all’ingiù e guardo come quei deliziosi cristalli bianchi belli grossi e consistenti si posano sulla mia mano, sul dorso nero spiccano e rimango incantato mentre per un momento mi perdo Seb. Quando torno a lui lo vedo che è davanti a me con le mani in tasca e mi guarda colpito con un’espressione totalmente indecifrabile.
Per un momento mi rendo conto che il silenzio è totale e giro lo sguardo sullo spettacolo circostante di questa natura immacolata piena di puntini bianchi che si posano leggeri e silenziosi.
Non c’è un’anima viva in giro, i cani di Seb corrono intorno ed è il solo tipo di suono che si sente. È tutto così strano e meraviglioso insieme.
I nostri fiati si condensano e lui è subito pallido più di sempre, con le guance rosse che spiccano insieme alla punta del naso. I suoi capelli nascosti dalla cuffia che si è messo dopo averla messa a me e siamo entrambi fermi da un sacco, alla fine, che siamo completamente ricoperti.
Raccolgo un altro fiocco che si vede bene e glielo mostro avvicinandomi perché rimane intatto per qualche istante.
- Sei gelido se non si scioglie subito. - Risponde lui logicamente, io sorrido.
- Non sono bellissimi? Guarda quanto sono perfetti! -Rispondo io, Seb si avvicina e guarda il successivo che si posa, ma mi prende le mani insieme fra le sue e constata che sono proprio fredde.
- Sei gelato sul serio. -
Sorrido.
- Tu invece no. - E le nostre mani allacciate sono tutto quel che volevo per oggi.
Mi basta questo. Non voglio altro.
Dio, ma come si fa a vivere così? Quanto penso di andare avanti?”
/Seb/
“Sento l’emozione scorrere in entrambi ed improvvisamente ci scaldiamo subito appena ci tocchiamo, mi porto le nostre mani alla mia bocca e ci alito sopra, i nostri sguardi incatenati, il suo meravigliato ed in difficoltà, quasi imbambolato anche, il mio con una punta di divertimento perché adoro vederlo in queste condizioni.
Gli piaccio ma non più di Nico. Finchè non sarà lui a lanciarsi su di me, non avrà più di queste piccolissime cose.
Piccole per me, ma forse per lui molto grandi.
Non diciamo niente per un po’, poi lo tiro dentro perché davvero gli verrà un colpo.
- Dai non voglio che ti ammali. Accendo il fuoco. - Quando lo dico Lewis si illumina all’idea del fuoco nella stufa e non capisco cosa ci sia di tanto incredibile.
Ridendo lo precedo in casa e mentre cammino lascio le sue mani e mi mancano. Mi mancano da matti.
Seduti davanti al fuoco che ho acceso come faccio da quando ero piccolo col camino dei miei, Lewis non ha distolto lo sguardo un secondo da me. Sorrido quando finisco e vedo come si incanta a fissare le fiamme e quel che cattura me è proprio come il fuoco colora la sua palle scura rendendola di un colore meraviglioso. È aranciato ed è semplicemente meraviglioso.
- Sai, ho scritto una canzone. - E quando dice questo mi fa quasi prendere un colpo, lo guardo con occhi spalancati.
- Cosa hai fatto tu? - Lui sorride imbarazzato.
- Sì, è la prima in realtà anche se scrivo versi da un sacco, ma non ho mai fatto una canzone vera e propria... - E così mi torna in mente che voleva farmi vedere una cosa. Pensavo fosse la moto che ora è in garage vicino alla mia.
- Dai... e me la fai sentire? - Lewis arrossisce e si tocca l’orecchio, oh come amo quando fa questo gesto.
- Non ho portato la chitarra... - Ma non è un problema visto che sparisco in camera che non gli ho fatto vedere e torno con la mia chitarra di quando ero adolescente.
Quando la vede Lewis ci rimane di stucco.
- Tu suoni?! - Penso che potrebbe sentirsi offeso se lo glielo dico visto che poi quella volta a casa sua non ho fatto cenni di saperlo fare.
- No cioè strimpellavo da ragazzo, adesso è da una vita e non ricordo più niente, infatti la devi accordare. - Gliela consegno e lui la prende con una cura tipica di chi se ne intende.
In realtà ero abbastanza bravo ma poi ho completamente perso la mano e dovrei reimparare tutto.
Lo guardo mentre seduto sul bordo del divano l’accorda appoggiando quasi l’orecchio allo strumento. Si concentra chiudendo gli occhi mentre gira le chiavi sul manico ed i suoni si susseguono sempre più regolari.
Per un momento mi perdo in questa scena.
Lui illuminato dal fuoco con la mia chitarra in mano e poi dopo un po’ fa la scala intera, a questo punto le sue dita iniziano a correre sul manico e a pizzicare le corde. Le guardo e mi incantano, mi appoggio comodo e lo guardo mettendo la testa sul bracciolo del divano mentre i piedi finiscono dietro di lui perché ci stanno visto che è tutto in avanti.
Lo guardo e aspetto, così senza dire nulla si mette a suonare quello che ha composto.
Inizia con un giro di chitarra che ha un bel riff, fa un paio di questi e dopo un po’ si schiarisce la voce ed inizia a cantare.
E sorrido perché è come lo ricordavo.
La sua voce dolcissima e delicata intona armoniosamente con la melodia e le sue parole si levano nella stanza accompagnate dalle note.
È malinconico quel che ne esce. Molto malinconico.
Mi concentro per capire a cosa pensava mentre scriveva e a cosa si riferisce e mi rendo conto che parla della sua profonda indecisione e di come si sente in un punto cruciale della sua vita.
Qualcosa di effimero nelle sue mani, ma così vitale. Sente che deve afferrarlo ma ha paura di farlo ed ha paura anche di cosa succede se non lo fa.
E così rimane lì spettatore della sua vita, senza il coraggio di prendere una reale decisione. Senza sapere se afferrarlo o lasciarlo andare.
Ora non vorrei essere presuntuoso e pensare di essere io il responsabile di questa canzone, però sembra pensi a noi e a quella che io credo sia la nostra situazione.
Quando smette il silenzio è interrotto solo dal crepitio del fuoco e rimango a guardarlo mentre quasi impaurito dalla mia reazione aspetta di sapere che ne penso. E sorrido dolcemente per ciò che mi provoca questo ragazzo.
- È stupenda. Grazie di averla condivisa con me. È così piena di sentimento e poi come ti ho detto l’altra volta canti e suoni benissimo. Se ti stufi di correre buttati sulla musica. - Cerco di non andare nel dettaglio del testo per non metterlo in difficoltà.
- Sei il primo a cui la faccio sentire. - Lo guardo meravigliato, le labbra si piegano in un sorriso e sento quasi che i miei piedi dietro la sua schiena siano l’ennesimo contatto fra di noi, ma sento anche che se li togliessi quel contatto resterebbe. Perché ormai siamo incatenati. - E cosa pensi del testo? - Chiede dopo un po’ incerto. Mi stupisco che voglia parlarne, ma mi faccio serio e lo accontento con la mia sincerità.
- Sembra parli di me. Sbaglio? - Perché a volte non parliamo di noi come se ci fosse un elefante in cristalleria, ma poi ci riusciamo così come niente. Quasi uno sparo.
Lewis non riesce a guardarmi e gioca con le corde della chitarra senza suonarle. Nervoso.
- No non sbagli. - Faccio un’aria un po’ malinconica che però non vede perché non osa guardarmi e questo momento rispecchia la sua canzone. È lì che vuole ma non osa. Ed ora è così. Vuole ma non osa. Non sarò io a farlo, Lewis. Non lo farò.
- Quando scriverai la soluzione a questa canzone, voglio sentirla. Me lo prometti? - Ed in un attimo mettiamo in piedi una promessa strana. Lewis alza lo sguardo e mi sorride con un certo sforzo e carico di vergogna. Ma dolce come sempre. Annuisce sorridendo grato che non insisto, incredibilmente delicato devo dire.
Non diciamo altro, poi si mette a suonare altro e mi chiede come mai non suono più e finisce che mi dà lezioni che mi fanno ricordare un po’ di cose dimenticate. Cose che evidentemente non si perdono mai sul serio.
Non ho la stessa delicatezza di notte quando non ha scelta che dormire nel letto con me perché non ho camere per ospiti.
Qua ci dormo con Hannah quando viene a trovarmi, ma non è che lo usiamo molto in quel modo.
Il modo che vorrei usare con lui.
Un po’ mi torturo da solo, ma posso vendicarmi su di lui perché se le cerca anche lui, non solo io.
La stanza è già buia e vediamo nella penombra, gli occhi abituati cominciano a distinguerci. Il letto matrimoniale, noi stesi uno accanto all’altro, entrambi nel nostro senso per guardarci ancora meglio.
E la mia mano che si carezza fra le gambe. Sente che sto strofinando qualcosa, che la sto muovendo. Chissà se capisce cosa faccio.
Che ce l’ho dentro i boxer e che mi carezzo l’erezione.
- Sai quella notte là a Londra... - Inizio confidenzialmente, la voce bassa e roca.
- Alla Race? - Chiede curioso. Annuisco.
- Quando poi siamo tornati in camera... -
- Che Michael ha salvato la tua integrità? - Cita la scena che gli ho raccontato e sorridiamo, ma poi affondo, mi faccio serio e mi avvicino a lui che rimane immobile perché io lo so che vive di questi momenti. Lo so bene.
- Quando seguivo il tuo consiglio. - Silenzio. impallidisce. - E mi masturbavo da avanti e dietro insieme... - Perché lo voleva sapere da matti, io lo so. - Mi immaginavo a letto con te e Jenson insieme. - Lewis si morde il labbro ed io inarco un sopracciglio mentre la mia mano si muove con sempre più intenzione fra le mie gambe. Guardando il suo viso così bello che si sviluppa anno dopo anno. - Ti piace l’idea che pensavo a voi? - Chiedo poi sfacciato.
- Cosa te lo fa pensare? - Chiede poi cercando di prendere tempo, colto in fallo in tanti sensi. Non vorrei dire cazzate ma penso che anche lui stia muovendo la mano, ma forse sono io e basta.
- Che quando ti mordi la bocca o te la lecchi, ti piace quello che guardi o senti. - E lo fa di nuovo, io sorrido accattivante, sono ancora più vicino col corpo.
- Mi piace che pensavi a me mentre avevi un orgasmo. - lo ammette. Non dice nulla a proposito di Jenson ma per me questo è sufficiente perché mi faccio serio e abbandono l’espressione al piacere che mi attraversa.
Non ci tocchiamo, non ci sfioriamo e non facciamo nemmeno segno di farlo. Però anche lui fa un’espressione uguale alla mia e ci respiriamo quasi addosso.
Giochiamo col fuoco, lui più che altro, perché io sono totalmente libero di fare quel che mi pare.
L’orgasmo di ora è simile a quello, solo che ora il suo viso non lo immagino nella mia mente ma ce l’ho qua davanti.
È chiaro cosa facciamo, ma non ci siamo interrotti e non ci siamo detti stupide cose di circostanze.
Non serve, a quanto pare.
Stanotte dormiremo così con questo sapore di sesso non consumato fra di noi che ci farà diventare matti.
E non diremo niente. Non una parola.
Il giorno dopo non ne parliamo e facciamo come se fosse stato tutto un sogno erotico proibito, fa colazione, parliamo e scherziamo come niente fosse e poi se ne va in aereo. Sospetto andrà da Nico, gli tengo io la moto che torni a prendersela quando il tempo è migliore. O meglio queste sono le intenzioni, ma alla fine questa moto rimarrà nel mio garage accanto alla mia per sempre. Così penso che mi toccherà dimenticare qualcosa di super figo da lui la prossima volta, per ricambiare questo regalo che poteva farmi in un altro modo meno contorto, ma comunque troppo carino e totalmente da lui.
Quando i giorni passano e prima di ricominciare la nuova stagione non ci vediamo più, anche se ci sentiamo di tanto in tanto e ripenso a quel che è stato fra noi fino ad ora. E penso che forse è finito qualcosa quel giorno a casa mia. La mia voglia di aspettarlo, forse. Ed è cominciato qualcosa di nuovo. La mia voglia di vivere e di fare esperienze. Non so per lui com’è e come la vive, ma so che per quel che mi riguarda, una nuova fase inizia davvero e non vedo l’ora di buttarmi. Con un po’ di malinconia per quel che avrebbe potuto essere se solo non ci fosse stato Nico di mezzo.”