*In questo capitolo inizia la terza parte della fic, chiamata La strada definitiva. Da qui in poi si cresce e si prendono le cose sul serio, si decide solennemente cosa si vuole e si lotta fino alla fine per ottenerlo. Non ci si tira indietro, si fa tutto ciò che è necessario. Arriva quello che per me è stato il momento chiave nella vita di Seb, l'incidente di Michael in sci. Mi sono documentata al massimo sulla questione, perciò i dettagli sono reali. Ovviamente non penso che in ospedale ci fosse Seb, però so che era di casa nella loro famiglia e che era molto legato a Michael. Ho drammatizzato molto per rendere l'importanza del momento nella vita di Seb, nella realtà non ho idea di come sia andata e come l'abbia vissuta, ma penso l'abbia toccato molto. Il cap è solo col pov di Seb. Buona lettura. Baci Akane*
PARTE TRE: LA STRADA DEFINITIVA
60. LA PROMESSA
/Seb/
“Oggi mi sveglio con la voce di Michael che risuona nelle orecchie, mi sembra che fosse l’ultima telefonata che abbiamo avuto, quando si è complimentato con me per il mio quarto mondiale.
So che ho avuto molto più di quello che avessi mai osato sperare, ma quando mi ha detto che solo se vinci un mondiale con la Ferrari raggiungi la vetta, io ho distintamente iniziato a desiderare ancora un mondiale. Con la Ferrari.
Non si sa ancora nulla di certo, ma ci sono tante voci su di me in rossa, sarebbe un sogno che si corona e ripensare a lui che mi ha praticamente detto di correre per vincere uno con la rossa, penso proprio che lavorerò duro per arrivare a quel traguardo.
Siamo a fine dicembre e le vacanze sono ufficialmente iniziate perché tutti i vari impegni con le scuderie e la F1 sono davvero finiti, la ROC quest’anno non l’abbiamo corsa anche se avremmo dovuto, c’è stato un incidente ed hanno deciso di annullarla. Sarebbe stato il settimo anno a correre con Michael.
Non lo vedo, ma penso che sia in vacanza con la famiglia a sciare da qualche parte in Francia, mi aveva invitato quando mi ha fatto gli auguri di natale, un messaggino simpatico. Non dimentica mai nessuna occasione.
Ci avevo pensato seriamente se andarci o meno ma poi ho deciso di non invadere troppo i suoi spazi, mi giro e sorrido ad Hannah che vive con me da tre anni circa ormai, sbadiglio e scendo dal letto con una strana inquietudine addosso.
Capita da qualche settimana quando penso a Michael. Forse dovevo andare con lui a sciare. Chissà.
Ora che non corre più abbiamo poche occasioni di vederci, ma conoscendolo entrerà in qualche team come consigliere o manager.
Fra qualche giorno sarà capodanno e stiamo organizzando qualcosa coi nostri amici come ogni anno, una festa a casa di qualcuno.
Cerco di concentrarmi su questo e scacciare queste strane idee, sebbene mancano due giorni e quindi non è che abbiamo chissà quante cose da fare.
La giornata procede in modo strano, sempre un po’ nervoso senza motivo. Ma forse dentro di me lo sapevo. Forse esiste la predestinazione o qualunque cosa sia.
Il mondo circostante che scorre sparisce, mentre sto guidando per fare un po’ di spesa e la terra trema sotto i piedi quando dalla radio accesa sento la notizia che probabilmente sarà riportata per tutte le stazioni, per tutte le ore e tutti i giorni da qui in poi.
Ma non è la terra che trema, sono io che tremo. Io che tiro un freno che a momenti vado a sbattere, qualcuno dietro di me mi suona ma ogni rumore arriva ovattato. Fisso la radio come se potesse ritirare tutto, ma il cuore va veloce. Il cuore va così veloce che non sento niente, solo il cuore nelle orecchie, così alzo il volume mentre rimango fermo con l’auto in mezzo alla corsia con la gente che sicuramente mi manda accidenti.
Michael Schumacher ha avuto un incidente di sci, è stato trovato fuori pista svenuto con una ferita grave alla testa.
È stato portato in ospedale a Grenoble in gravi condizioni e lo stanno operando.
Le altre informazioni sono confuse e poco certe e la mia mente non registra più niente, solo Grenoble che non ricordo più dov’è, non so dove cazzo si trova, come ci arrivo e qualcuno mi bussa al vetro per dirmi di muovermi ed io lo fisso spiritato, in stato di shock. Qualcuno mi riconosce e capisce che non sto bene, ma non apro la macchina e nemmeno il finestrino e vedo che non sanno cosa fare.
Bene, nemmeno io.
Grenoble.
Devo andare a prendere un aereo e volare da lui, assolutamente. Quando uscirà dall’operazione voglio esserci. Forse sarò fuori luogo, ma ero di casa, la sua famiglia è un po’ come la mia famiglia.
Così la testa si rimette in moto cercando di ragionare per priorità.
Riavvio il motore e parto impostando il navigatore, gli chiedo di portarmi in aeroporto.
Poi prendo il cellulare e mentre seguo come un robot la strada che mi indica la voce elettronica, scorro i numeri della rubrica del telefono perché sicuramente devo avvertire qualcuno, ma non so chi. Chi devo chiamare?
Poi il suo nome spicca e mi fa rallentare mentre schiaccio il verde sul suo nome.
La sua voce mi risponde subito, immediatamente, ed è ansioso e preoccupato. Già sa.
- Ti stavo per chiamare ora. Dove sei, cosa stai facendo? - La sua voce mi restituisce un po’ più di coscienza.
- Dove... dov’è Grenoble? Dove diavolo... - Capisce che sono sotto shock e così lui con voce calma e ferma ma anche dolce mi dice che Grenoble è in Francia.
- Come stai, non starai mica guidando tu... -
- Vieni anche tu, Lewis. - Dico subito con l’ansia che cresce.
- Io... ci sarà tutta la sua famiglia... e tu ne fai parte in qualche modo, ma io... - Io li frequentavo molto infatti.
- Ma io ho bisogno di te ora. - Dico con ansia senza minimamente considerare che dovevo chiamare Jens e non Lewis. E che non posso implorarlo così. - ti prego... - Ma lo faccio. E lui sospira, a questo punto sente la voce elettrica del navigatore che mi dice di uscire dall’autostrada e solo ora vedo vagamente che stavo andando a 150, così freno bruscamente, mi suonano per la manovra e Lewis sente movimenti strani.
- Seb ma stai guidando tu sul serio? -
- Ero in macchina, non so dov’è Grenoble ma so che dovevo prendere un aereo... -
- A quanto andavi? -
- 150. - Rispondo automatico senza riflettere, senza capire che problemi ci siano.
- Ed hai messo il navigatore per l’aeroporto? - Perché è facile, è una strada che faccio miliardi di volte, la conosco. Qua capisce che sono completamente fuori e impreca agitato.
- Cazzo Seby! - sorrido di solito quando gli esce questo soprannome, ma oggi non riesco a capire.
- Lew credo sia grave, lo stanno operando, ha sbattuto la testa su una roccia e ci sono stati problemi e non so nemmeno... -
- Ci vediamo all’aeroporto di Grenoble, ma tu aspettami quando arrivi. Mi prometti che mi aspetti prima di andare in ospedale da solo? - Me lo chiede altre tre volte e poi capisco cosa mi chiede ed annuisco.
- Ho bisogno di te. - Ripeto solo.
- Lo so. Arrivo. - E questo è tutto ciò che mi serviva per riprendere un pochino della mia testa. Un pochino solo.
Non ho riflettuto due secondi in più su chi chiamare, sul motivo per cui ho cercato Lewis e su quanto mi abbia già solo aiutato sentire la sua voce.
Vedere il suo viso mi restituisce un po’ di umanità, perché stavo sprofondando. In aereo ho pensato e ripensato a Michael e a cosa può succedere se non supera l’intervento. Voglio solo che viva, solo che viva.
È un pensiero egoista che un giorno capirò quanto lo è, ma siamo egoisti quando abbiamo paura. Siamo maledettamente egoisti.
Lewis mi abbraccia forte e mi bacia la guancia, siamo imbacuccati e mascherati un po’ perché si congela visto che siamo al 29 dicembre del 2013, un po’ perché è così che viaggiamo in borghese, ci mettiamo occhiali scuri, cuffie, sciarpe e qualunque cosa possa nasconderci.
Ora sembriamo due amici in ansia per qualcosa.
Ma è questo che siamo, no?
Cazzo ora non ricordo nemmeno se posso stringergli la mano o no. Ma è lui che lo fa e mi toglie ogni dubbio.
Me la prende e mi tira dolcemente ma deciso.
Lewis ed il suo sorriso incoraggiante.
- Prendiamo un taxi, vedrai che andrà tutto bene. Hai chiamato Corinna? - Sa che io e Corinna siamo in contatto perché lo sono sempre stato con Michael.
Annuisco anche se non so cosa pensare, mi fido solo di lui e di tutto quello che dice e che fa. Ora mi rilasso un po’ perché non sono io a dover decidere cosa sia sensato fare, a dover ricordare come si guida, come si arriva ad un certo punto, come si chiedono le cose.
Fa tutto Lewis mentre mi stringe forte la mano e non me la lascia.
Non abbiamo bisogno di parole per sapere quanto sto in ansia.
L’ansia può uccidere. L’ansia può demolirci.
In macchina lui mi stringe fortissimo la mano, dolcemente intreccia le dita e non c’è nulla, non c’è un passato, non ci sono divieti, non ci sono cose o persone da ricordare, non ci sono riguardi. Ora come ore c’è solo lui qua vicino a me e basta ed io che guardando i suoi occhi dolci mi ricordo di respirare.
Corinna mi abbraccia forte, Mick si appende al mio collo e piange ed io cerco di ricordarmi che sono io quello più grande e che lui è un adolescente di 14 anni che sta vivendo una delle cose più brutte della sua vita.
Sono andato così tante volte a cena a casa loro con Michael, quella sera c’era anche Lewis e sembravamo una coppia che aveva appena fatto pace grazie a loro.
Ricordo quel momento come un treno e forse anche Lewis ci sta pensando mentre cerca di confortare Corinna dicendo che sta pregando per lui e che pregherà ancora.
Lei ringrazia e poi spiega un po’ di cose tecniche che registro vagamente anche se il mio cervello vorrebbe capire per sapere quanto devo preoccuparmi.
La sento parlare di un asticella per una videocamera con cui Michael scendeva fuori pista per fare delle riprese particolari, di come quest’asticella ha perforato o è entrata in qualche modo sotto il casco e ha fatto dei danni, di come la roccia poi abbia dato il colpo di grazia, di quanto sangue c’era sulla neve quando l’anno trovato.
Quanto rossa sarà stata la neve bianca?
Quanto è rimasto lì da solo prima di essere soccorso, prima di perdere i sensi cosa ha pensato?
Saranno stati i suoi ultimi momenti di coscienza, gli ultimi momenti in cui lui era Michael Schumacher, amato da tutti?
Ad un certo punto perdo la voce di Corinna mentre mi incanto pensando a queste cose, ma Lewis mi tira per mano dicendo che portiamo i ragazzi a prendere qualcosa al bar dell’ospedale e le prendiamo un caffè.
Così ci stacchiamo mentre la figlia maggiore, Gina Maria, dice che stanno dentro da un sacco di ore e che sicuramente è grave e Mick le dice di smetterla di ripeterlo. C’è un momento di isteria, io li guardo senza sapere cosa fare, ma Lewis lo sa e gli mette una mano a testa sulla spalla, li guarda e con pazienza dice che possono solo aspettare e che finché i medici non finiscono non si può sapere quanto è grave e come ne uscirà.
Gli dice che in quei casi si prega e si ha fede.
Fede.
Una parola che mi è distante anni luce.
Lewis è quello emotivo, ma oggi è una roccia. La mia roccia.
Quando chiediamo dei caffè ed i ragazzi prendono qualcosa da mangiare perché sono qua da ore, chiedo piano a Lewis:
- Quanto è grave secondo Corinna? - Sussurro perché non voglio che i ragazzi mi sentano. So che l’ha detto ma io mi sono perso.
Lewis non mi nasconde la risposta:
- Tanto. - E questo fa una sorta di eco che rimbomba.
Rimaniamo in silenzio fino a che torniamo in sala d’attesa, con Corinna ci sono altri parenti fra cui Ralph a cui ci avviciniamo per parlare un po’, però arriva di continuo gente e sia lui che sua moglie sono sempre interrotti e richiamati di continui, così io e Lewis siamo per lo più in parte; non so cosa fare, so solo che non voglio andarmene prima di avere notizie.
Forse è troppo la mia presenza qua, sicuramente lo è. Ma è come se sapessi dentro di me che se me ne vado non lo vedrò più.
Ma forse è solo la mia paura.
Seduto vicino a lui torno a prendergli la mano e lui me la stringe di nuovo, mi sento meglio.
- Come si prega, Lewis? - Lui fa un sorriso dolce e dispiaciuto insieme perché sa cosa significa questa mia domanda.
- Parli con Dio e gli chiedi quello che vuoi, quello che speri. Gli chiedi quel piccolo miracolo. -
- In cambio devo promettere qualcosa? - Scuote la testa.
- Però tutti lo fanno. Per far capire quanto è importante quello che chiedi. - Annuisco concentrandomi sulla sua voce dolce e calma.
Chiudo gli occhi e mi copro il viso con una mano mentre l’ansia cresce prorompente.
Ti prego Dio. Sono uno di quelli che vive senza chiedersi se esisti o meno, ma oggi sono qua a chiederti di salvargli la vita. Sono qua a darti quel che vuoi prendere di me. Non importa cosa sia.
Poi la voce dolcissima di Lewis delicatamente comincia a pregare come mi ricordo ci insegnavano a catechismo. Dice la sua formula e chiudo gli occhi appoggiando la testa alla sua spalla mentre prega e non facciamo altro. Solo questo.
Che questa formula magica tenga Michael qua con noi. Nessuno è pronto a perderlo. Nessuno.
L’operazione finisce dopo un tempo interminabile, quando siamo tutti un po’ addormentati.
Corinna lo vede per prima e quando esce ci spiega che è stato messo in coma farmacologico per permettere al cervello di assorbire l’emorragia e risolvere piano piano i danni provocati dal trauma, perché chirurgicamente hanno fatto tutto quello che potevano e non possono che aspettare che il cervello ora agisca da solo nel tempo.
- Quanto rimarrà in coma indotto? - Chiedo tornando piano alla vita nel sapere che è almeno vivo.
Lei si stringe nelle spalle e la vedo fragile e trasparente.
- Non lo sappiamo. Perché dipende da come reagirà lui ora e da quanto in fretta assorbirà il sangue. Può essere tanto come poco. Non c’è modo di saperlo. Di solito questo genere di cose non si risolvono in pochi giorni, ma in settimane se non mesi. Quindi ci ha detto di prepararci ad un lungo e duro periodo e di avere molta pazienza e fede. -
Fede. Ancora questa parola che risuona. Lewis sorride dolcemente ed annuisce.
- Potete vederlo ma uno per volta e per pochi minuti, bisogna indossare camice, mascherina e tutto quello che vi forniscono e... -
- Seby vai tu, io ti aspetto qua. È più importante per te. - Corinna sorride a questo suo gesto perché lei come Michael ha visto molte volte le nostre dinamiche e molte mi ha sentito mentre parlavo di lui a Michael a casa loro. Per un momento si ricorda di questi scenari e forse Michael gliene parlava divertito, chissà che le raccontava di noi.
- Ti voleva bene come ad un fratello. - Dice lei guardandomi. Io rabbrividisco ed annuisco andando con la mano leggera di Lewis che mi spinge ad entrare.
Non è una di quelle scene che puoi superare facilmente e dimenticare.
Non è una di quelle scene che vorresti rivedere.
Non è una di quelle scene che rivedrai.
Gli occhi si offuscano appena lo vedo steso nel letto d’ospedale di terapia intensiva, tutto intubato con la testa bendata e coperto.
Mi avvicino piano e rimango in piedi vicino a lui tremando, tremo così tanto che devo prendermi al bordo del suo letto, ma poi gli prendo le mani.
Se è l’ultima volta che lo vedo, vorrei toccarlo.
Le mie mani si posano sulla sua, stringo e la consistenza molla mi terrorizza.
Non dimenticherai mai la volta in cui stringi la mano di uno che non ricambia la tua presa.
La mano di una persona importante per te.
Inghiotto a vuoto.
Non so se ti rivedrò, non so cosa succederà. Nessuno ha dato false speranze o azzardato pronostici ed è giusto così.
Da qui potresti non uscirne, da qui potresti andartene, da qui potresti svegliarti e migliorare.
Da qui possono succedere mille cose.
Ma il trauma è stato molto grave e non sono idiota, quando succedono queste cose al cervello la tua vita cambia, tu cambi. In ogni caso non sarai mai più come prima.
Me lo dico ora mentre ti guardo per avere la forza di camminare ancora, per non essere impreparato a qualsiasi notizia arriverà, ma so che è impossible.
So che niente ti prepara davvero.
Niente è sufficiente.
Ripenso all’ultimo dialogo a voce che abbiamo avuto, al telefono mi dicevi che eri felice se andavo alla Ferrari, che lo meritavo e che non c’era niente di meglio che vincere un mondiale con la rossa e che un giorno l’avrei fatto.
Quel giorno gli ho detto che se ci fossi riuscito glielo avrei dedicato e lui ha detto che ci sarebbe stato, quel giorno.
Ci sarai, Michael?
Se ci sarai capirai cosa starò facendo e che lo farò per te?
Mi pento improvvisamente di non averglielo detto, non sa che mi sono preso un impegno solenne su questo e a lui piacciono gli impegni solenni.
- Non so se mi senti ora. - Dico piano con voce roca e ferma. - E non so se ti sveglierai e ti rivedrò. - Che ottimismo. Ma quando lo vedi così non c’è spazio per altro che questo. - Ma voglio prometterti che io un giorno vincerò un mondiale in rossa. Sarò sul tetto del mondo e dedicherò la vittoria a te. Te lo prometto. -
Perché oggi è il giorno in cui cresco e smetto di vivere le cose come vengono e prendere quel che c’è con incoscienza e senza penarci.
Oggi è il giorno in cui cresco e mi impegno per far andare tutte le cose a cui tengo nel modo in cui voglio. Oggi è il giorno degli impegni solenni. Delle promesse solenni.
Oggi è il giorno in cui si cresce.
Quando esco ho la sensazione che non lo rivedrò, ma non so se sono solo troppo scosso dalla sua visione o cosa.
Comunque torno da Lewis, salutiamo Corinna e Ralph, gli dico di farmi sapere sviluppi e se hanno bisogno di qualcosa. Poi con Lewis ce ne andiamo decidendo di fermarci a mangiare qualcosa, nessuno dei due mangerà molto ma Lewis insisterà per farmi mandare giù qualcosa.
Non mi chiede com’è e cosa gli ho detto ed è una cosa che rimarrà per sempre fra me e lui.
Ma la promessa di crescere e prendermi tutto quel che ho sempre desiderato la estendo anche a Lewis.
È ora di smetterla coi giochi da bambini e di essere seri nelle cose che voglio, verso le persone che amo.
Pensavo che l’amore non esistesse, poi pensavo che comunque anche se esisteva finisse.
Ora sto ancora aspettando che finisca e forse non succede perché a volte l’amore non finisce.
Mi sono chiesto se era amore quello che provavo per Lewis, ma lo vedo qua vicino a me e mi chiedo... beh, cos’altro dovrebbe essere? Se oggi sono in piedi è solo merito suo.
Lotterò, lotterò per tutto quello a cui tengo. Lo prometto.”