*Passiamo a dare un'occhiata a come sta Theo prima della famosa partita con due partecipazioni speciali, suo fratello Lucas e suo padre Ibra. Infine seguiamo ancora Sandro e come si è sentito a tornare a San Siro. Ho voluto sottolineare il suo stato d'animo in merito a questo perché è una cosa che per lui è stata molto importante e aggiungeva un patema d'animo che in pochi avrebbero potuto sostenere. È stato forte e coraggioso in nostro Sandrino, che sarà sempre uno di noi. Buona lettura. Baci Akane*
3. ANSIA
L’ansia l’avrebbe ucciso.
Non aveva la più pallida idea di cosa aspettarsi da quell’incontro, era consapevole che vedersi così dopo tanto tempo e dopo quella chiusura traumatica, era un enorme rischio.
Avrebbe potuto mandare letteralmente a puttane l’intera partita, specie perché lui non era emotivo, era proprio impulsivo, perciò non poteva prevedere lui stesso le proprie reazioni, ma Sandro era Sandro e pensava ancora tantissimo a lui.
Aveva avuto un periodo di rabbia che l’aveva aiutato a risalire, si era buttato sul calcio e sul progetto di ricostruzione della squadra, infatti aveva fatto alcune buone partite anche a livello personale, ma poi mano a mano che il tempo era andato avanti e soprattutto quando aveva visto che il Milan era nel girone del Newcastle, era tornato il tracollo.
Per fortuna subito dopo c’era stata la pausa nazionale ed aveva visto suo fratello Lucas, era molto legato a lui e si era da subito confidato con lui. Più sfoghi che richieste di consigli e pareri che però gli aveva sempre dato.
Con lui si era lagnato a lungo per tutto il tempo inveendo contro il destino che li aveva messi per forza sulla stessa strada, per giunta con la prima partita.
- Ehi, non è che incontri solo lui in Champions, sai? Affronterai anche me, ma non mi pare ti importi! - Lucas lo disse per ridere e sdrammatizzare, lui arricciò le labbra infantile e fece il muso.
Theo infine si distese sul letto sospirando sconsolato, strofinandosi il viso con l’aria di chi non sapeva che pesci prendere.
- Non so come reagiremo. Non so lui come sta, cosa pensa e cosa vuole e non so che farò io. Potrebbe essere un disastro!
- Chiamalo prima, no? Almeno parlandoci al telefono puoi avere un’idea... è normale voler sapere come siete prima di rivedervi, stavate insieme...
Theo si girò a pancia in giù premendo la faccia sul cuscino dove mollò un urlo snervato, poi riemerse voltandosi verso il fratello che ridacchiava.
Era sempre esagerato.
- Non stavamo insieme. - puntualizzò inutilmente.
- Qualunque cosa foste, eravate qualcosa. - rispose secco Lucas.
- Sì, ma se stavamo insieme potevo pretendere di continuare a vederci anche se lui non voleva. Così... - cercò di ricordare cosa si erano detti quella sera traumatica nella quale si erano salutati. Ricordava solo ‘niente promesse’ e ‘cerchiamo di essere umani’. O qualcosa di simile. Non ne era più sicuro,
Comunque il senso era stato di sentirsi e vedersi ogni tanto senza impegno, ma lui aveva voluto troncare e non aveva potuto imporsi perché di fatto non erano una coppia ed erano stati oltremodo chiari.
- In ogni caso dovresti sentirlo prima proprio per chiarire il vostro status attuale, perché non puoi rischiare di giocare male e nemmeno lui. Tornerà nel suo vecchio stadio, non sarà sereno, no?
Lucas non era mai stato compagno di Sandro ma tramite suo fratello era come se lo fosse stato.
Theo non si stupì che sapesse così tante cose visto che gliene aveva parlato lui.
- Vediamo, forse dovrei... è che non ho il coraggio, sai? E se non mi risponde? Sai quanto ci starei peggio?
Lucas lo guardò meravigliato di quel suo lato codardo, ma per la verità non avendolo mai visto innamorato, non aveva mai avuto modo di testarlo.
Profondamente sconvolto di quel suo aspetto, gli mise una mano sulla nuca e gli spettinò i capelli corti con i resti del vecchio colore fatto che ormai sfociava nel biondino.
Non li tagliava né li colorava da un po’. Da quando lui se ne era andato.
“Ah, l’amore...”
Pensò senza dire più nulla.
Theo raggiunse martedì 19 settembre con uno stato d’animo terribile.
Fino a quel momento si era trascinato grazie alle soddisfazioni calcistiche che al ritorno dalla nazionale erano svanite come per magia, quella sonora sconfitta nel derby l’aveva trascinato ulteriormente giù come non aveva pensato potesse succedere, finendo per perdere totalmente la voglia ed il coraggio di provare a sentire Sandro.
Aveva comunque atteso la sua chiamata od un suo messaggio che gli dicesse che gli dispiaceva per la partita, ma al suo posto era arrivato Ibra a dargli sostegno, inaspettatamente.
Sicuramente una piacevole sorpresa.
A lui in privato tirò fuori tutti i suoi pareri contro il mister e la sua incapacità di gestione. Ne disse di tutti i colori aggiungendoci il fatto che era colpa sua se Paolo e Sandro se ne erano andati ed ora ne pagavano tutti le conseguenze.
Ibra l'ascoltò paziente come un padre che torna da un lungo periodo di assenza a causa del lavoro, non sindacò sulle sue impressioni, né lo redarguì, ma alla fine gli disse solamente una cosa che lo demolì:
- Non si può cambiare quel che è stato anche se è un’autentica merda, ma si può lavorare sul presente. Prendi tutta questa rabbia e mettila in campo. Mi sono costruito una carriera, così e non credo sia andata così male...
Scherzò un po’, alla fine. Theo lo apprezzò ed ascoltò le sue parole realizzando che aveva ragione.
- Non è facile, ma ci proverò. Purtroppo è vero, la situazione è questa e sicuramente non cambierà, non ora.
Non gli aveva parlato di Sandro.
Rimase indeciso fino al momento in cui il cervello si staccò.
“Lo chiamo o no?”
Guardò il suo contatto sul telefono appiccicato alla faccia, steso sul letto indeciso se chiamarlo o no, ma alla fine si addormentò così.
Al suo risveglio aveva un gran mal di testa, ma cercò subito con ansia il telefono finito in mezzo al letto, nella speranza di vedere un suo messaggio che non era arrivato.
Si alzò sbuffando e di pessimo umore, Rade, che da quell’estate era finito in camera con lui poiché entrambi orfani dei rispettivi compagni, lo guardò e capendo al volo il suo stato d’animo si limitò a dargli il buongiorno.
Era raro vederlo di cattivo umore, ma ultimamente capitava spesso.
Non gli aveva mai chiesto niente, ma probabilmente aveva capito.
Lui e Sandro non avevano mai dato conferme di ciò che erano, si erano limitati a fare quel che volevano senza ostentare o mostrare certe manifestazioni in pubblico, tuttavia chi li conosceva bene aveva capito.
Qualcuno lo sapeva, pochi eletti.
Theo aveva apprezzato la discrezione di Rade e contento di avere il compagno ideale che sapeva stare al suo posto senza bisogno di richieste esplicite, non disse assolutamente nemmeno mezza parola per tutto il giorno.
Rispose a tutti a monosillabi mostrandosi straordinariamente serio, fissando di continuo il telefono in attesa di un suo cenno.
Si sentiva come un cane pronto a saltellargli intorno al suo fischio, si sentiva patetico, ma non poteva fare a meno.
Adesso Sandro era lì a Milano e quel pomeriggio l’avrebbe incontrato di nuovo.
Sarebbero stati faccia a faccia e più si avvicinava quel momento, più aveva il cuore in gola. Come quando aveva incontrato Paolo per la prima volta.
Il suo idolo.
Al pari del suo idolo, ora era Sandro?
Patetico, proprio patetico, si ripeteva come un mantra mano a mano che i minuti scorrevano.
Non aveva idea che Sandro era messo nello stesso identico stato.
La sua fortuna era stata non poter giocare l’ultima partita prima della Champions in virtù di quel piccolo provvidenziale affaticamento muscolare che gli aveva impedito anche di giocare in nazionale.
Non dovendo giocare col Newcastle in Premier, nessuno si era accorto che dal giorno delle estrazioni dei gironi lui era stato peggio che mai.
Tutti confidavano in lui ed erano sicuri che avrebbe dato un apporto importante, sia per il suo valore come giocatore, sia perché era l’ex dei loro avversari ed in quei casi i giocatori avevano sempre un ruolo determinante.
“Se questi pensano che io sia in grado di fare il goal dell’ex si sbagliano! Piuttosto potrei fare autogol!”
Al sorriso eccitato del suo compagno di stanza, Bruno, Sandro ricambiò con uno stentato e teso.
“Beato lui che è contento! Io c’ho una fifa blu!”
- Dai, vedrai che non ti fischieranno!
- Tu non hai mai visto che fanno quando ci va Donnarumma in quello stadio... - rispose prontamente. Bruno non seguiva né le partite dell’Italia né quelle del PSG, ma avevano guardato insieme alla squadra e al mister qualche video con diversi spezzoni di partite del Milan per capire un po’ come muoversi contro di loro, tuttavia non erano stati molto utili in quanto era una squadra praticamente nuova in continua crescita.
- Non ti fischieranno, vedrai che ti preoccupi per nulla!
Quella, infatti, era una delle preoccupazioni di Sandro. Ma non la maggiore.
L’altra era rivedere Theo, ritrovarsi a tu per tu con lui.
Se l’avesse ignorato avrebbe avuto tutte le ragioni, ma sicuramente lui ci sarebbe stato male e già ora era un fascio di nervi.
Il giorno prima era andato a rompere il ghiaccio salendo sugli spalti di San Siro. I posti dove da piccolo era stato a guardare le partite del suo adorato Milan.
Era stato strano entrarci e vederlo vuoto ma soprattutto era stato strano tornarci.
Specie perché lo stava facendo da avversario.
Aveva afferrato la ringhiera ed era rimasto a lungo lì fermo a guardare mentre i suoi compagni avevano giustamente preferito percorrere il prato, come da tradizione.
Le squadre ospitate andavano a vedere lo stadio appena giungevano in città, camminavano nel campo dove avrebbero giocato e prendevano confidenza.
A lui quella confidenza non serviva, conosceva bene quello stadio.
A lui serviva solo coraggio. Il coraggio di tornarci.
Nessuno aveva realmente idea di quanto significasse per lui quello stadio e quella maglia rossonera, quanto era stato felice di indossarla la prima volta così come tutte le altre e quanto era stata dura togliersela poi.
Nessuno lo sapeva.
Ed ora quel trauma gratuito lo stava schiacciando, aggiungendosi all’altro.
Non aveva capito quanto legato fosse a Theo, in realtà.
Aveva pensato di poterlo superare interrompendo i contatti, ma quando quel mattino si era svegliato, il primo pensiero era volato a lui.
Quello era il giorno in cui l’avrebbe rivisto.
L’avrebbe salutato? Gli avrebbe sorriso? E lui? Lui che avrebbe fatto? Che avrebbe dovuto fare?
Salutarlo? Cercarlo? Parlargli? Stringergli la mano, abbracciarlo, sorridergli, cosa?
Cosa avrebbe dovuto fare, a prescindere da quel che avrebbe fatto Theo?
Si era preso tempo per capire se fosse il caso di interrompere quell’inutile tortura della chiusura dei ponti con lui, ma non era arrivato ad alcuna conclusione più per l’enorme incognita rappresentata dal suo ex ragazzo.
Theo era sempre stato imprevedibile. Quando gli aveva detto di lasciargli spazio, si era aspettato che non lo facesse, ma invece non si era fatto veramente più vivo.
Ora non aveva idea di come stesse, sapeva che stava male ovviamente, ma non sapeva se era anche arrabbiato con lui e se gli avrebbe fatto il muso.
Sandro pensò a lui tutto il giorno, fino a che, finalmente, le ore evaporarono ed arrivò il momento di entrare a San Siro come giocatore del Newcastle.
Il magone era enorme, sarebbe sicuramente scoppiato a pianger.e
Si sentiva ormai all’orlo.
Non aveva più le forze di sopportare tante terribili incognite.
Il comportamento dei tifosi del Milan, l’atteggiamento di Theo.
Quante cose da testare?
Ed ora c’era, ormai.
Ora era lì.
Il momento era giunto.
Sandro percorse i corridoi a lui familiari teso e serio come una corda di violino, fissando con occhi sbarrati, ma testa alta, convinto di imbattersi in qualche compagno.
Non sapeva se erano già arrivati, ma quando passò davanti allo spogliatoio dei padroni di casa, quello dove un tempo sarebbe entrato, lo sentì immerso nel silenzio e capì che ancora non c’erano.
Prese un respiro di sollievo ed andò dritto nel proprio, quello che ormai era il suo in quanto ospite.
Si cambiò in completo silenzio, i suoi compagni sapevano perfettamente che per lui era difficile e che non aveva scelto lui di venire al Newcastle, ma avevano apprezzato il fatto che non avesse mai detto nulla a proposito. Non una parola di conferma o depistaggio.
Quel silenzio aveva detto tutto e niente, ma ora nessuno di loro aveva il prosciutto sugli occhi.
Era chiaro.
Adesso era proprio evidente quanto Sandro stesse male nel tornare lì, quanto avesse voluto essere nell’altro spogliatoio. Ma nessuno disse nulla.
Il silenzio intorno a lui continuò, anche se in realtà parlavano più o meno normalmente cercando di stemperare a sua volta la tensione. Insieme si avviarono in campo per il riscaldamento.
Sandro tratteneva il fiato, si mordeva il labbro e cercava disperatamente di apparire normale.
Sapeva di non riuscirci, era consapevole che i suoi occhi parlavano sempre troppo.
“Non piangere, non piangere!” si ripeteva come un mantra.
Infine mise piede nel campo che il giorno prima si era rifiutato di calpestare.
Quando lo fece, si sentì tremare.
Il pubblico fischiava l’arrivo degli avversari, com’era normale. Niente di eccezionale, dopotutto. Fra loro una piccola fetta di pubblico ospite cercò di applaudirli, ma si sentivano poco.
Il cuore gli andò in gola.
Fischi, lo sapeva. Ma non per lui, fischi generali per gli avversari, cose normali, non mirati a lui, ma ancora non l’avevano messo a fuoco.
Infine venne annunciato dallo schermo gigante sugli spalti che mostrava le facce dei calciatori. Quando entrò, applaudì in alto a salutare come si conveniva, poi andò nella propria area coi suoi compagni cercando di non sentire ed iniziò a fare stretching.
In quel momento notò che i fischi iniziarono a calare fino a che si trasformano in applausi.
Sandro si aggrottò cercando di rimanere concentrato e professionale.
Era riuscito a non piangere, andava tutto bene.
Applausi?
No, non applausi.
C’era un coro, lì.
Ed il coro veniva dal pubblico di casa che ricopriva la maggior parte dello stadio.
Sandro alzò il capo spalancando gli occhi.
“Che cosa?”
Un coro, sì. Era proprio un coro. Ma non un coro generico.
Delle parole presto si distinsero nette, un unico boato si espanse totale, netto e chiaro.
- UNO DI NOI! TONALI UNO DI NOI!
Quando distinse quelle parole ripetute come un’unica voce fortissima, non riuscì a trattenere le lacrime e applaudendo per ringraziarli stupito, ne ricevette altri in risposta.
Caos.
Quello era il caos, non capiva più niente. Lo stavano applaudendo ed incitando. Non lo stavano fischiando.
Non ce l’avevano con lui.
Avevano capito, gli volevano ancora bene, lo consideravano ancora uno di loro.
Uno di loro.
Ed uno di loro lo era davvero e lo sarebbe sempre stato.
In pochi videro le lacrime traditrici, abbassò subito la testa e le nascose, se le asciugò senza farsi vedere, ma gli occhi lucidi furono ripresi in diretta mondiale e non ci poté fare nulla.
“Gli occhi, i miei maledetti occhi che parlano sempre da soli!”
Cercò di tornare agli esercizi, ma vide i suoi compagni sorridere contenti per lui, capendo che quello era un coro bello anche se non conoscevano l’italiano.
Non era finito male, era una bella squadra anche quella. Doveva crescere, maturare e migliorare, ancora molte cose non andavano, ma erano dei bravi ragazzi.
Tuttavia non erano i suoi.
Sandro non avrebbe mai dimenticato quel momento. Il momento del suo ritorno a casa, la sua vera casa, ed in particolare quello dell’accoglienza del suo pubblico.
Uno scoglio era andato, adesso rimaneva l’altro.