*Se Sandro è teso all'idea di tornare a san Siro e rivedere Theo, quest'ultimo non è da meno. Non vede Sandro da mesi e non sa ancora cosa vuole per loro, ma sa che appena l'avrà davanti non avrà più alcun dubbio. Theo è sempre stato istinto ed esagerazione, ma ora è preda di sentimenti diversi da qualunque altro mai provato. Il loro ritrovo sarà speciale. Buona lettura. Baci Akane*

4. ASSOLUTA CERTEZZA

santheosantheo

Una manata sulla nuca gli fece finire il lobo occipitale nella fronte, ma non ebbe tempo di sentire dolore perché la stessa mano l’afferrò per il collo, da dietro, e tirandolo malamente da una parte, si era ritrovato un telefono in faccia.
- GUARDA!
C’era un video a tutto volume, il video mostrava i tifosi di San Siro che facevano un coro che non distinse subito. Solo dopo un po’ ci riuscì.
- Uno di noi! Tonali uno di noi! 
Successivamente ad essere inquadrato attraverso il maxischermo che veniva ora ripreso al posto dello stadio, era stato proprio lui, Sandro, che applaudiva dal campo ringraziandoli. 
A Theo era andato il cuore in gola a tradimento e per fortuna che era seduto nello spogliatoio, altrimenti sarebbe caduto male. 
Rafa, l’unico che avrebbe potuto osare tanto fra quelli che sapevano di loro, aveva ricevuto da un amico il video dell’arrivo in campo di Sandro avvenuto poco prima. 
- Lo hanno acclamato, non lo hanno fischiato! Lo sapevo! 
- Davvero? Fa vedere! - subito si inserì entusiasta Davide e poco dopo piombò su di loro anche Alessandro. Rafa fece ripartire il video e i ragazzi contenti annuirono felici ed entusiasti per il loro amico. 
- Grande! Lo sapevo che non l’avrebbero fischiato! - dissero tutti concordi. 
- L’avete sentito? Sicuramente si cagava addosso! 
- No non si è fatto vivo, ma penso che sia normale... non l’abbiamo cercato nemmeno noi...
Nessuno sapeva spiegarsi perché, ma era stato giusto così. Come per radunare le idee, entrare in una sorta di ottica traumatica dove si sarebbero dovuti affrontare. 
Theo, lì a forza a guardare quel video tre volte di fila, si era sentito via via sempre più dilaniato.
Dilaniato e spaccato in tante parti.
Non sapeva descriverlo, era assolutamente nel caos. Un caos mai provato. 
Non era il vederlo attraverso uno schermo, l’aveva già fatto spesso. E nemmeno sapere che ora l’avrebbe rivisto. O meglio, anche, ma non era quello a farlo sentire così strano. 
“Non l’hanno fischiato! Il mio amore non è stato fischiato!”
E solo mentre la sua mente gli trasmetteva a tradimento quel pensiero, Theo capì come stava. 
Era felice.
Era semplicemente felice di rivederlo e che lui stesse bene, perché se era stato acclamato dal suo adorato pubblico, significava solo che lui ora stava bene.
Sicuramente era stato uno straccio pieno di ansie, prima. Ma ora, sciolto il ghiaccio e appurato che i loro tifosi erano intelligenti, stava sicuramente bene e con un enorme peso in meno.
“Sicuramente ora sarà teso per colpa mia!”
Fu come avere un libro davanti e leggerlo senza nemmeno vederlo. 
Theo, improvvisamente, aveva ogni più piccola cosa chiara e come se non avesse mai avuto un solo minimo problema, finì di prepararsi. 

Appena messo piede in campo, lo cercò trattenendo il fiato e quando lo individuò il cuore si mise a fare capriole. Il suo cervello andò totalmente in tilt, più del solito, e rimase lì imbambolato a bordo campo invece di correre verso l’area per cominciare coi consueti stretching. 
Era totalmente perso in un habitat a parte dove c’erano nuvolette e fiorellini e arcobaleni, lui era a qualche metro, forse più di qualche, e si allenava coi suoi nuovi compagni. Non l’aveva notato o forse faceva di tutto per non guardarlo, in ogni caso era lì e finalmente non sarebbe scappato. 
Era ancora fermo a fissarlo imbambolato, quando Rafa gli finì addosso. 
- Pezzo d’idiota, che ci fai piantato come un palo in mezzo al deserto? 
Ad una breve occhiata all’amico, capì subito. Theo sentì il suo braccio circondargli il collo e poi la sua risata. 
- Oh, capisco, il palo glielo vorresti piantare tu, ma dove non batte il sole... 
A quella sparata Theo scoppiò a ridere e sgomitandolo si divincolò ed andò di corsa dagli altri. In un nano secondo era già in area e si muoveva come uno scoiattolo che aveva bevuto il caffè.
Era felice.
Non c’erano dubbi. 
Non si sentiva così felice da mesi.
Per tutto il tempo si era fatto mille film su quanto atroce sarebbe stato rivederlo, invece ora era solo limpidamente contento. Così che non sapeva nemmeno spiegarselo, perché per la verità non sapeva ancora come avrebbe reagito Sandro nel ritrovarselo davanti. 
Stava ancora girato di spalle ai suoi compagni e nessuno aveva osato cercarlo per salutarlo. 
Come se non si potesse, se ci fosse un divieto. 
Era teso, tesissimo ed emozionato. Lo conosceva, sapeva che lo era.
Era certamente sull’orlo delle lacrime e forse c’erano già nei suoi occhi, così belli, splendidi ed espressivi. Così pieni di tutti i suoi sentimenti che non sapeva mai nascondere. 
Ma non importava, avrebbe fatto tutto lui. Avrebbe rimediato ad ogni ansia, paura e stupido pensiero fisso.
Era ora di smetterla con quella inutile presa di posizione, forse a Sandro aveva fatto bene chiudere con lui, lo vedeva bene nella sua nuova squadra e tutti gli stavano intorno cercando di farlo sentire importante.
Tuttavia non aveva minimamente importanza. Era a lui che non andava bene fare a meno del suo ragazzo.
Perché sì, dannazione.
Era il suo ragazzo!
Era ora di smetterla di non dire le cose come stavano per paura di fare figure di merda, di essere smentiti o scaricati.
Non l’avrebbe scaricato. Non glielo avrebbe permesso.
Ad ogni modo sarebbe bastato incrociare gli occhi con lui per capire cosa provava e come stava.
Appena avrebbe avuto i suoi occhi davanti senza filtri, schermi e distanze, avrebbe immediatamente capito cosa aveva dentro di sé Sandro. 

Sandro sentì come una specie di colpo all’anima.
Era una canzone di qualche cantante italiano che si era sentito tanto qualche anno prima.
Non ricordava bene la canzone, ma sapeva che diceva che quando la persona amata arrivava, lui sentiva un colpo all’anima prima ancora di vederla sul serio.
Aveva sempre pensato fosse una sciocchezza da cantanti, ma lì l’aveva capito. 
Il boato gli aveva indicato l’ingresso in campo dei ragazzi e lì il colpo all’anima fatidico era arrivato.
Non si era girato, sapeva che erano là nella loro area a riscaldarsi, non era minimamente necessario girarsi a guardarli. Aveva il terrore di guardarli.
Intorno a sé sentì qualche compagno avvicinarsi senza parlargli, come sapesse.
Probabilmente era Bruno.
Gli mise una mano sulla spalla e gli fece l’occhiolino, ovviamente era lui. 
Sapeva più degli altri quanto tenesse ai suoi ex compagni, ma per essere il più giusto possibile non li aveva sentiti i giorni precedenti di proposito. Ora infatti non voleva salutarli prima della partita, voleva rimanere concentrato, solo dopo si sarebbe concesso gli abbracci di rito. 
Era giusto così, 
Non aveva voluto guardarlo, ma sentiva la sua presenza e gli si era attanagliato lo stomaco. Per poco non aveva pianto.
“Resisti, devi farti novanta minuti ed essere almeno decente! Nessuno si aspetterà che tu sia il migliore in campo, ma decente sì! Sii decente!”
Se lo ripeté fino allo sfinimento e quando fu ora di rientrare negli spogliatoi per cambiarsi e prepararsi al fischio d’inizio, tornò a sentirsi sospeso.
Come quando entra l’acqua nell’orecchio e senti tutto ovattato e non capisci niente.
Percepisci rumori, suoni, voci che non distingui. Sono quasi dei ronzii. 
Si sentiva così. 
Il mister parlava, ma lui non riusciva a capire, tuttavia sapeva quale era il suo compito. 
A chi doveva mettere i bastoni fra le ruote.
Proprio quello che gli aveva rubato la maglia al Milan, lui era il suo obiettivo. 
Era probabile che Loftus-Cheek invece sarebbe stato messo appresso a Bruno mentre a lui avrebbero messo alle calcagna qualcuno che lo conosceva bene come le sue tasche. 
Fortunatamente non giocava nella fascia avversaria di Theo, come era capitato qualche partita all’inizio. Adesso l’avevano rimesso nella propria ed era meglio così. Ritrovarsi a tu per tu con Theo sarebbe stata la fine.
Presumeva che Pioli gli avrebbe messo addosso Rade. Lo conosceva bene e faceva egregiamente il suo dovere, qualunque cosa gli dicesse il mister, lui la eseguiva più che bene. 
Oppure Davide, anche lui era un probabile marcatore. 
Non riuscì a sentire nemmeno mezza parola del proprio allenatore, ma si ripeté mentalmente i compiti ricevuti quel mattino alla riunione tattica. 

Seguì infine gli altri fuori dagli spogliatoi una volta che fu arrivato il momento. 
Si sentiva vicino al collasso.
Aveva i battiti a mille e non riusciva a calmarli. Batteva di continuo i piedi per terra e le dita sulle cosce. 
Si mordicchiava le labbra e l’interno delle guance e continuava a fissare davanti a sé con occhi sbarrati e terrificati come se non ci fosse niente.
Ancora i rumori ovattati. 
L’ansia era tale che gli aveva fottuto non solo il cervello, ma anche i sensi.
Non era per la partita, grazie ai tifosi rossoneri si era calmato in quel senso.
Era per lui.
L’incrocio diretto con Theo.
Era quello che lo stava uccidendo. 
In quel momento dubitava anche che sarebbe riuscito a correre.
Il Newcastle si presentò in fila per primo, ma lui era fra gli ultimi. 
Ormai era giunto il momento, stavano arrivando anche gli altri. Li sentì sfilare accanto, li vide superarlo, tutti lo toccarono sulle spalle o sulla schiena stringendogli la mano, non lo abbracciarono ma lo salutarono, cercavano contegno poiché la partita non era ancora stata giocata e non dovevano deconcentrarsi, ma fu come se non se ne fosse mai andato. Come un fratello che torna da una lunga vacanza.
Il caos era ancora in pieno regime nel suo cervello, non sentiva ancora bene, percepiva le voci, ma non riusciva a capire cosa gli dicevano. Non riusciva a captare il senso. Lo salutavano, supponeva gli stessero chiedendo come stesse, ma non era il momento di chiacchierare.
Probabilmente stava avendo un ictus. 
Davide che aveva abbracciato di più, Mike, Fik, Malik, Tommaso, Rade, Olivier. I nuovi gli fecero un cenno di gentilezza.
Rafa gli diede uno schiaffone sulla nuca e lo abbracciò dandogli un bacio.
Questo lo aiutò, ma non gli restituì la funzione del suo cervello.
Il caos rimase, ma gli sorrise. Gli sembrava che i nervi cominciassero ad allentare. 
Però ancora non sentiva, o meglio non capiva.
C’erano tutti, mancava solo lui. 
E lui, infine, arrivò.
All’ultimo, come sempre. Ma passò i propri compagni in coda e si piazzò esattamente alla sua altezza. 
Si piazzò lì, con una prepotenza tipica sua, lo toccò sul braccio, strinse il gomito con forza trasmettendogli elettricità e gli lanciò una strana occhiata.
Strana era dir poco.
Conosceva bene Theo così come tutte le sue espressioni. Era istinto puro, ma esagerava sempre in ogni reazione che aveva, al cento percento.
Sia che fossero belle, sia che fossero brutte e pessime, ma lui non aveva mai reazioni contenute.
Quella lo shoccò profondamente.
Era lì, apparentemente tranquillo, ma non arrabbiato, né col muso.
Avrebbe potuto ignorarlo e stare dietro, se fosse stato incazzato con lui.
Invece si era piazzato proprio davanti a lui di proposito, fermi lì qualche secondo nel tunnel, in fila insieme, in attesa di entrare in campo. 
Era rimasto lì, il tocco di pochissimi secondi, una stretta decisa, distinta ma fugace ed infine quell’occhiata.
Così carica di mille cose eppure tutte trattenute dentro di sé.
Anzi, no trattenute.
Contenute.
Pressate. 
Ma lì, tutte lì.
E Sandro le vide, le sue emozioni, alla penombra del tunnel rossonero in cui erano, prima di entrare a San Siro e giocarsela. 
Le vide e fu come se una saetta lo colpisse trasmettendogli una potentissima scarica elettrica.
In quel momento il suo cervello tornò così come i suoi sensi.
Theo gli parlò e lui capì, capì davvero e non dovette intuire quel che gli diceva.
Era tornato alla vita. 
- Ehi, come va? - niente di che, ma lo capiva, non c’era più il caos. Era di nuovo tutto a posto. Era in perfetto controllo. I nervi non erano tesi, non stava per svenire, i battiti erano tornati regolari. 
- Bene, dai. Tanta ansia, ma bene! Non vedo l’ora di iniziare. 
Gli rispose con qualcosa di totalmente normale per fargli capire che non c’erano problemi. Che non ce n’erano più.
E lì, guardandosi, entrambi si capirono. 
Si capirono con una chiarezza talmente sconcertante da non saperla spiegare a voce a nessuno, nemmeno a loro stessi.
Lì, mentre i loro occhi si incontrarono, in quel breve lasso di tempo, capirono che era tutto a posto fra loro. Che tutto sarebbe tornato alla normalità e che dopo quella partita avrebbero fatto sesso. 

Theo guardò gli occhi di Sandro che per un momento si riempirono di terrore, ma poi appena gli parlò lo vide come rilassarsi. 
A quel punto, mentre gli rispose come niente fosse, capì che quell’atroce sospensione fra loro era appena finita e che dopo di quello sarebbe tornato tutto alla normalità. 
Anzi. Non solo.
Capì che dopo la partita avrebbero scopato alla grande. 
Non ci fu reale tempo di molto altro, furono richiamati ad uscire e seguirono la scia dei loro compagni interrompendosi. Perciò si schierarono in fila come di consueto a sentire l’inno della Champions in attesa di incrociarsi di nuovo e stringersi la mano. Theo sentì l’emozione salire. 
Era finita. Quella tortura del cazzo era finita, lo sapeva, non c’era nemmeno bisogno di parlarne.
Non sapeva perché, ma era finita e non aveva dubbi. 
Non ce n’erano.
Sugli occhi di Sandro non si sbagliava mai, anche se prima aveva visto per un breve ma netto momento il buio ed il panico nel suo sguardo, ma sapeva. 
Gli avversari iniziarono a sfilare davanti a loro stringendogli formalmente la mano.
Tutti passarono, tutti strinsero seri. 
Poi arrivò lui.
Sandro in mezzo ad altri giocatori.
Non rallentò, non voleva bloccare la fila nell’abbracciare tutti.
Fu molto professionale. Strinse le mani e sorrise cercando sempre di contenersi per non farsi vedere troppo felice di vederli.
Con lui, però, quel breve lasso di tempo, quella piccola stretta vigorosa trasmise loro una scarica elettrica indicibile e nel guardarsi, nel sorridersi maliziosi, Theo li vide meglio e non ebbe dubbi.
I suoi occhi, come sempre, non mentivano.
Dopo la partita si sarebbero rivisti in privato e avrebbero fatto cose. 
Tante, tante cose, per recuperare tutto il maledetto tempo perso di quei mesi interminabili. 

Sandro non aveva minimamente il controllo di sé.
Cercò di non sembrare un giocatore del Milan per rispetto ai suoi nuovi compagni, perciò li salutò con delle belle strette, ma non si dilungò in abbracci.
Fece dei sorrisi che sperava non dimostrassero eccessivamente la sua contentezza, poi arrivato davanti a Theo non seppe proprio cosa successe.
Perse completamente il controllo, seppe solo che nello scambio di sguardi con lui gli venne un’erezione, per fortuna non troppo eccessiva.  
Eppure gli era partita di brutto. 
Quando? Quando si erano promessi di tornare a letto insieme dopo quella partita? Quando era successo?
Eppure era vero, lo sapeva. Lo sapeva lui come Theo. 
Che tutta quella tortura, quella chiusura per permettergli di voltare pagina era finita. Non avevano proprio scelta, non era un’opzione. Era così e basta.
Perché passare quella serata, una partita intera, e poi andarsene senza più dirsi nulla, né toccarsi ancora era praticamente impossibile. 
Non sarebbe mai e poi mai successo. 
Lo sapevano tutti e due che non si sarebbero separati ignorandosi. 
Era così ovvio. 


Note Finale: è vero che c'era il coro per Sandro allo stadio quando è entrato, lui era molto serio e concentrato e si è visto in qualche inquadratura che era molto emozionato e commosso. È vero anche che Sandro e Theo si sono incrociati brevemente nel tunnel prima di entrare in campo, ma si vedevano pochissimo. Le foto della stretta di mano in campo parlano da sole, naturalmente.

Ah. non credo che i ragazzi prima della partita guardassero i telefoni, ma ho pensato che potesse essere plausibile che un amico di Rafa allo stadio potesse aver ripreso il coro, in ogni caso mi serviva per ovvie esigenze di copione, abbiate pietà. 

Concludo dicendo che qualunque sia la verità, sarò sempre a sostenere Sandro. Non importa cos'è successo e cos'ha fatto, per me resterà sempre un cuoricino da abbracciare forte e ti aspettiamo comunque al Milan, un giorno.

SANDRO SEMPRE UNO DI NOI!