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/Love is madness - 30 second to Mars ft Emma/

1. PAOLO MALDINI

dani paolodani paolodani chris diego

theo paolotheo paolo

/ Dani & Ale /

Fu come se dei riflettori si accendessero su un palcoscenico completamente buio, era il giorno due del secondo mese del 2020 e Daniel fece il suo ufficiale debutto in Serie A con il Milan. 
Da quel giorno fu come se il mondo notasse un nuovo attore che prima non avevano nemmeno saputo esistesse, ma appena le luci illuminarono quella scena, tutti iniziarono a guardare incuriositi ed interessati. 
Finalmente uno dei figli del leggendario giocatore del Milan si era ufficialmente unito al club dove suo padre era diventato immenso. 
Daniel aveva firmato per la prima squadra all’inizio della stagione 2019/20, ma era entrato in campo solo alla bellezza del due Febbraio in sostituzione di Samuel Castillejo. 
Quella stagione fece solo due apparizioni, risultando poi positivo al covid insieme al padre, dovendo come tutti in seguito fermarsi per il primo lockdown di quello che sarebbe finito nei libri di storia come un anno decisamente indimenticabile. 
Il fatto che Daniel fosse il secondogenito di Paolo e che giocasse come Christian nelle varie categorie giovanili del Milan non era di per sé particolare, lo era che fosse il primo dei due ad entrare ufficialmente in squadra maggiore e, soprattutto, a scendere in campo con la maglia.
Era questo che ti rendeva un vero calciatore a tutti gli effetti. Sebbene furono solo due le partite per cui lo fece in quella stagione.
Senza né arte né parte, solo qualche minuto di partecipazione, ma c’era stato. 
Tutti nel mondo l’avevano saputo, non guardato, magari. Ma saputo sì. Questo aveva permesso alla luce del suo palcoscenico di accendersi. 
Leggendariamente anche Paolo aveva percorso la strada di suo padre come storico giocatore del Milan ed ora, finalmente, uno dei suoi figli poteva fare altrettanto. Tutti gli sportivi ed i tifosi l’avevano aspettato senza pensarci troppo, tuttavia appena un altro Maldini era finalmente apparso in gioco con il suo nome sulla schiena, ebbene sì che tutti avevano iniziato a notarlo e pensarci e realizzare cosa significava.
In una qualche maniera la storia si stava facendo. 
Tre generazioni della stessa famiglia con lo stesso club. Non una famiglia qualsiasi, bensì una che al calcio ed al Milan in particolare avevano dato davvero tanto. 
Quello aveva il potere non solo di accendere le luci, ma anche potenzialmente di demolire qualcuno di così giovane e plasmabile, in bilico sul trionfare ed il bruciarsi. 
Immaginando l’enorme pressione che il giovane di diciotto anni aveva perché era nipote e figlio dei due grandi Maldini e che ora giocava come loro nella prima squadra del Milan, tutti pensarono di vederlo barcollare indeciso, magari intimidito ed impaurito in un ambiente eccessivo per lui, con troppe aspettative e pressioni.
Ma così non fu e quando le luci illuminarono il suo palco videro un ragazzo del tutto sereno, allegro, socievole e sicuro di sé. 
Lì per lì in molti all’interno della squadra, fra dirigenza, staff tecnico e compagni si chiesero come mai fosse tanto spavaldo in una situazione come la sua. Non parlavano di prestazioni in campo visto che aveva giocato poco, parlavano di atteggiamento vero e proprio. 
Fu chiaro la stagione successiva, 2020/21, insieme al nuovo compagno e subito amico Alexis Saelemaekers, quando in un’intervista-gioco per Milan Chanel aveva dovuto rispondere a certe domande in sette secondi di tempo ed aveva azzeccato tutto quello che riguardava il Milan, sbagliando tutto il resto che non lo riguardava. 
Daniel conosceva alla perfezione la storia del Milan, dagli albori e nel dettaglio. Era chiaro che sapeva tutto e sicuramente sapeva ancora più di quel che aveva poi detto. 
Non solo la conosceva, la gran parte lui l’aveva effettivamente vissuta come il primo degli spettatori lì in fila e non semplicemente negli spalti in una posizione di rilievo. 
Lui su quel campo c’era già stato, con suo padre.
Con giocatori incredibili lui ci aveva già parlato e giocato, in visita a casa sua. 
Aveva chiamato Nesta e Inzaghi zio Sandro e zio Pippo, così come con tutti gli altri storici e alcuni anche leggendari compagni di squadra, tutti uniti e amici di suo padre.
Lui aveva respirato il mito del Milan, l’aveva vissuto, c’era già stato dentro ammirando quello che per lui era sempre stato non solo suo padre, ma anche un Dio da raggiungere ed emulare. Un Dio sempre estremamente vicino a lui, che non gli aveva mai fatto mancare nulla per seguire la sua carriera. 
Così quando il suo sogno di diventare come lui aveva iniziato ad avverarsi, non era crollato comprensibilmente, ma aveva tenuto testa a tutto. Quella testa lui non l’aveva mai abbassata dimostrandosi caratterialmente inadatto, ma anzi aveva dato prova di estrema tranquillità e quasi spavalderia ed anche se non aveva ancora avuto tanto spazio per mettersi in mostra in campo, lui non sembrava minimamente irritato o infastidito, anzi. Era lì, tranquillo, sorridente a divertirsi. 
Perché lui sapeva, sembrava saperlo davvero, che tanto un giorno ci sarebbe riuscito. Forse non presto, magari gli ci sarebbero voluti ancora degli anni, ma ce l’avrebbe fatta.
Perché aveva parlato agli dei del calcio e li aveva chiamati ‘zii’. 
Aveva toccato le treccine di Ronaldinho e la pancia di Ronaldo il fenomeno, aveva giocato a palla con Kakà e Seedorf ed era andato al mare con Shevchenko perché lui e suo padre andavano spesso in vacanza insieme. Aveva imparato l’importanza di conoscere bene l’inglese, perché con certi dei, per esempio David Beckham, aveva parlato solo in quella lingua. 
Lui, con gli dei, ci era imparentato e di uno, uno dei più grandi di sicuro, ne era addirittura figlio. 
Perciò sapeva di essere un predestinato ed era lì ad aspettare di dimostrarlo perfettamente sicuro e consapevole che il suo momento sarebbe arrivato, perché la luce del suo palcoscenico, ormai, si era accesa. Si era accesa davvero. 


Quasi trasparente, come se non fosse nemmeno arrivato.
Un perfetto sconosciuto se non per il suo curriculum che lo vedeva vincitore di una Champions League con il Real Madrid... non molto da protagonista in effetti, ma comunque nel curriculum c’era scritto e tecnicamente era vero. 
Del resto Theo poteva ritenersi già soddisfatto così, perché darsi pena per farsi strada ulteriormente? Era già stato sul tetto del mondo con uno dei club più forti, aveva vinto e fatto una foto di ‘famiglia francese’ insieme a Zidane e Benzema. Cosa poteva chiedere di più? Che pretese? 
Restava solo da godersi la sua giovanissima e già di successo vita senza aver fatto realmente niente per essere sul tetto del mondo. 
Perché allora accettare una sfida come quella di giocare al Milan, QUEL Milan? Un Milan che era l’ombra del grande sé stesso del passato, per cui non nascondeva aveva un po’ tifato da piccolo? Un Milan che non vinceva più niente di serio da tanto tempo e che aveva sempre più rose deludenti e nessun nome di spicco se non qualche strana eccezione? 
Certo, non aveva vinto col Real Madrid da protagonista ed aveva anche fatto la stagione passata in prestito ad una squadra minore della Liga per permettergli di accumulare esperienza, ma di fatto era comunque un giocatore del Real Madrid. IL REAL MADRID!
Poteva scegliere di meglio rispetto a quello che al momento era quel Milan. 
Però quando in vacanza ad Ibiza si era visto capitare al tavolino del bar nientemeno che uno dei suoi Dei d’infanzia, gli ci era voluto poco per decidere che la sua proposta, qualunque sarebbe stata, lui l’avrebbe accettata semplicemente perché veniva da lui.
Paolo Maldini. 
Aveva tentennato ovviamente, non perché il Milan al momento non fosse all’altezza del Real, ma perché il grande immenso unico e solo Paolo Maldini voleva puntare su di lui ed era convinto avrebbe fatto grandi cose in una squadra che voleva dargli spazio per mettersi in mostra. 
Il punto non era l’allettante proposta di avere, appunto, spazio. Cosa che piaceva comunque ad ogni giocatore in effetti. 
Bensì il punto, anzi, il problema, era che lui, il grande immenso unico e solo Paolo Maldini voleva puntare su di lui. Credeva che lui aveva possibilità di diventare un grande giocatore. 
Ma lui, il grande immenso unico e solo Paolo Maldini aveva giocato nel suo ruolo, era stato un terzino come lui, da giocatore. 
Per cui il suo tentennamento era arrivato lì. 
Il grande immenso unico e solo Paolo Maldini, uno dei più grandi terzini che la storia del calcio avesse mai avuto, aveva guardato lui, niente più che un pallido anatroccolino che faceva il terzino come lui ed aveva pensato che avrebbe potuto fare grandi cose nel suo stesso ruolo, nella sua stessa squadra. 
Glielo chiese in costume da bagno, con una maglietta bianca che mostrava perfettamente il suo fisico statuario, il tatuaggio sul braccio ed un sorriso da togliere il fiato, quasi quanto i suoi occhi azzurri che bucavano direttamente il petto arrivando al cuore. 
Aveva tentennato, certo. Perché deludere il suo idolo non era un’opzione allettante e lui sebbene fosse un figlio d’arte, ovvero avesse una famiglia di calciatori alle spalle, e si considerasse sufficientemente bravo da aver giocato sia all’Atletico che al Real, non era certo di poter reggere il confronto nella squadra del suo idolo, nel suo ruolo, sotto i suoi occhi vigili e splendidi.
Invece Paolo l’aveva addirittura incoraggiato dicendo che credeva in lui, che aveva occhio specie per gente nel suo ruolo e quando aveva detto proprio quelle parole, Theo era stato suo.
Non che avesse mai pensato seriamente di rifiutare. 
Era cresciuto guardando le sue partite e le sue imprese, aveva iniziato a nutrire dubbi sulla sua sessualità da grande, quando con l’avvento dei social aveva iniziato a seguire pagine su di lui, oltre che lui stesso, realizzando che era un gran pezzo di uomo, specie a torso nudo e coi capelli corti. E quegli occhi così particolari, dal taglio all’ingiù, azzurri e sinceri. Belli. Sicuri di sé. 
Dubbi che aveva tenuto segregati in sé stesso fino al magico incontro ad Ibiza, quando dopo aver accettato la sua proposta, aveva acchiappato la ragazza di turno di quelle vacanze e ci aveva dato dentro con gli ormoni a mille. 
“Beh, che c’è di strano? Incontrare il proprio idolo che ti corteggia e ti vuole nel suo club non è mica una cosa da poco, no?” L’eccitazione era del tutto normale, si era detto mentre ripensando all’incontro andava su di giri come un matto. 
Non ci aveva dato peso, ma una piccola minuscola parte di sé si era sentito strano ad eccitarsi tanto sessualmente mentre pensava al grande immenso unico e solo Paolo Maldini. 
Tanto più che quando l’aveva rivisto per le firme, le foto e tutte le varie promozioni di rito, era tornata di nuovo quell’eccitazione fisica e di nuovo si era preso la prima sotto mano e se l’era fatto selvaggiamente. A quel punto aveva dovuto farsi una domanda. 
Quanto normale poteva essere?
La risposta arrivò quando lo incontrò di nuovo durante uno degli allenamenti, venuto in visita al club che dirigeva. 
A stento aveva trovato una ragazza, visto che non ne aveva una fissa in quel momento, ma era quasi impazzito prima di poter sfogare gli ormoni e sempre con il pensiero a Paolo. 
Al punto che aveva anche pensato di puntare su un compagno qualunque che sapeva ci sarebbe stato. Qualcuno c’era sempre che ci stava a fare sesso così senza impegno, solo per divertirsi. Gay consapevoli, gay repressi, gay solo per sesso, gay nascosti... c’erano tante categorie, nell’ampio e variopinto mondo dell’omosessualità. Molti erano bisessuali, avevano una relazione etero vera e propria e una famiglia, ma si divertivano di più col sesso gay. Qualcuno faceva finta che fosse solo una questione di scaricamento ormonale, qualcuno invece sapeva perfettamente di cosa si trattava. 
Per Theo non era chiaro, aveva solo pensato:
“Quasi quasi vado con uno di loro e chi se ne frega!”
Ma poi aveva trovato in rubrica il numero di una ragazza che non si ricordava chi fosse e perché ce l’avesse, ma per fortuna aveva risposto subito ben volentieri al suo appello. 
Da quella volta aveva capito.
Se era disposto a fare del sesso con un ragazzo dopo aver visto Paolo, forse doveva considerare l’idea di essere almeno un po’ tendente in quel lato. Magari non sempre, solo in certi casi e con certe persone, ma lo era. Insomma, era stato disposto a farlo, anche se poi non l’aveva fatto. 
Era chiaro il motivo.
Il grande immenso unico e solo Paolo Maldini. 
Era stato drammatico per lui ritrovarsi il figlio in squadra in via del tutto fissa e non eccezionale, nell’estate del 2020. 
Così drammatico che aveva cercato di non farci casi, di non considerare il piccolo dettaglio. 
Anche se poi, un giorno, era capitato.
Dopo aver conquistato il titolo d’inverno col Milan proprio grazie ad uno dei suoi goal dell’ultimo minuto, aveva consegnato la vittoria a Paolo rendendolo estremamente felice tanto da essere abbracciato da lui con passione e romanticismo - a detta sua.
A quel punto, proprio lì, aveva realizzato che in squadra con lui c’era il figlio del grande immenso unico e solo Paolo Maldini. 
E lì era cominciato il dramma!
 


Note Finali: Nell’inizio come sempre presento e spiego i protagonisti, soprattutto Daniel aveva bisogno di un po’ di approfondimento. Ho messo il video di riferimento di cui parlo nel capitolo, mentre ho messo una foto sua da piccolo con Maradona per il punto in cui parlo di lui con le leggende del calcio; con quelli del Milan non ne ho trovate ma si sa che comunque erano di casa Maldini e lui era di campo rossonero, la foto scelta per esprimere questo concetto è infatti lui con Polo e Christian in campo.

La presentazione di Theo è realistica nel senso che quando è arrivato le cose stavano come le ho descritte, in effetti lui è esploso come calciatore e come ‘personaggio’ più avanti, ma all’inizio era un po’ l’oggetto misterioso. Io l’avevo notato già prima al Real (che seguo dal 2009) e non era minimamente il Theo che conosciamo oggi. Comunque è assolutamente vero che lui è patito da morire per Paolo. Le due foto loro che ho messo sono precisamente dei momenti citati nel capitolo.