27. ULTIMA POSSIBILITÀ

danieltheo

Theo rimasto solo, riaprì l’acqua calda e si riscaldò per poi provare ad inseguirlo. Schivò una scivolata che l’avrebbe tenuto fuori dai campi per molto tempo, rimase in piedi per miracolo e per un istante si fermò chiedendosi cosa fosse meglio fare. Il fatto che se lo domandasse era positivo, di norma non si faceva domande. 
- Che diavolo gli hai detto? - chiesero in coro i suoi due amici accorsi. Ma lì i secondi di riflessione di Theo erano già finiti e memore del ‘caccia le palle’ di prima, prese l’asciugamano e si precipitò fuori dalle docce, all’inseguimento di Daniel. 
Lo trovò alla sua postazione già mezzo vestito, doveva essersi messo i vestiti da bagnato e stava faticando coi jeans sui quali imprecava, i capelli tutti bagnati e spettinati che gli risaltavano ancora di più gli occhi tempestosi. 
- Non finirà così! - sbottò senza preoccuparsi che stavano facendo una sceneggiata davanti a tutti. Daniel lo raggelò con lo sguardo. 
- Sì invece. Per il tuo bene. È finita e chiudila qua! Ignorami, continua ad andare con chi ti pare e lasciami in pace! 
- Oh, ma guarda... se lo faccio davvero sono un senza palle, se insisto sono un rompicoglioni! Ti decidi? Cos’è che vuoi?  
Theo era esasperato. Non era abituato a litigare e discutere e da quando era al Milan l’aveva fatto praticamente solo con Daniel. Non sapeva che talento avesse, ma era di certo evidente. Il talento di entrargli dentro e destrutturarlo del tutto. 

Daniel finì di tirarsi su i jeans con un ultimo saltello e se li allacciò, poi afferrò la maglia e se la infilò rabbioso, fissandolo furibondo ma senza dire nulla. Era furioso perché aveva aspettato di rivederlo per parlargli e lo faceva ora, dopo due ore che lo guardava da lontano e per giunta davanti a tutti, dove di sicuro non poteva parlare liberamente. 
Per come lo vedeva lui Theo era solo un codardo che si faceva forte dicendogli cose grosse e provocazioni solo perché sapeva che non poteva reagire come voleva veramente, perché c’erano troppe persone. 
Voleva chiedergli cosa cercava, ma la risposta non l’avrebbe potuta sentire lì in mezzo ai compagni che li guardavano morbosamente curiosi. 
- Fanculo. - sibilò uscendo precipitoso dagli spogliatoi, coi capelli ancora bagnati ed arruffati. 

Theo che era ancora nudo perché non si era vestito, imprecò indeciso se rincorrerlo così com’era oppure lasciarlo andare. Ovviamente optò per vestirsi, ma decise anche che non avrebbe mollato. Aveva capito di non poterlo lasciar andare così. Era chiaro che Daniel provava ancora qualcosa per lui o non avrebbe reagito in quel modo. Certo, era devastante e molto probabilmente era geloso, ma questo lo rendeva ancora più interessante. 
Appena fu vestito si precipitò fuori ignorando gli sguardi curiosi e preoccupati dei compagni, fra cui Samu, Brahim ed Alexis che non osavano chiedere e dire nulla, perché sapevano. Una volta fuori dallo stabilimento, si diresse a destra verso il parcheggio dove alcune macchine già mancavano, fra cui quella di Daniel.
Theo imprecò scuotendo la testa, dando un calcio ad un gruppetto di sassolini ai suoi piedi i quali schizzarono ma senza finire su alcuna macchina. 
Si passò le mani fra i capelli che aveva lasciato in disordine e bagnati. 
“Che diavolo dovrei fare? Se vado a casa sua e becco suo padre peggioro le cose, ma devo parlargli, adesso mi sono stufato!” 
Non sapeva bene cosa dirgli e cosa cercasse di ottenere, sapeva solo che dovevano finire quel discorso, qualunque esso fosse.
Disperato prese il telefono e provò a chiamarlo, ma risultava ancora bloccato. Chiuse e sospirò insofferente quando una vocina preoccupata lo raggiunse alle spalle. 
Sentendo Alexis chiedergli se stesse bene, si girò di scatto e congiungendo le mani sotto il mento, disse: - Ti prego, prestami il telefono. Devo parlargli e non posso andare a casa sua. È zona rossa casa sua. 
Poi si ricordò di cosa aveva aggiunto Daniel a quel punto e fece un passo indietro istintivo, come se si fosse appena scottato: - E anche tu! - esclamò realizzandolo shoccato. 
Non da Alexis ma dal fatto che stesse di nuovo per sbagliare qualcosa senza volerlo.
Stava cercando di migliorare, di fare più attenzione alla volontà di chi per lui contava, fare attenzione ai loro sentimenti, di capirli, ma se non gli parlava, se non glieli diceva non era facile comprendere. 
- Io cosa sarei? - fece Alexis senza capire. 
- Zona rossa! Tu e casa sua siete zona rossa. Inaccessibile a me! 
Alexis impallidì e lo guardò convinto che scherzasse, Theo mise le mani avanti. 
- Lascia stare, chiedo a qualcun altro! 
Così dicendo corse dentro alla ricerca di Samu, tutti avevano i numeri di telefono di chiunque in squadra. Poi si fermò. Non avrebbe risposto a nessuno dei suoi amici. Storse le labbra e si fermò pensando a chi poter chiedere, in quello fu raggiunto da Alexis, di nuovo. 
- Si può sapere cos’è sta storia della zona rossa?  
Theo fece di nuovo un passo indietro. 
- Ci sono luoghi e persone off-limits. Daniel ha detto che tu sei off-limits. - spiegò semplice. 
- L’avevo capito, ma puoi approfondire? Perché lo sarei? 
Theo alzò le spalle e lo guardò ovvio. 
- E che ne so io? Me l’ha detto lui! Dovresti dirmelo tu! È geloso! È successo qualcosa fra voi? 

Alexis trattenne il fiato mordendosi il labbro ed avvampò ripensando a quella notte. Pensava d’averla chiarita, pensava che la spiegazione fosse quella che si era dato, ma se arrivava a dire a Theo che era zona rossa forse c’era qualcos’altro dietro. Qualcosa che pure lui ignorava. 
- Non... non ne ho idea... niente... - decise che fra i due comunque sarebbe sempre stato dalla parte di Daniel. Poteva aiutare tutti, Theo compreso, ma se doveva schierarsi dalla parte di qualcuno in quel mondo, era senza dubbio Daniel, perciò non gli raccontò di quel bacio. 

Theo sapeva che qualcosa gli sfuggiva ed era per questo che era del tutto intenzionato a parlare a Daniel e chiarire. Certo aveva aspettato troppo, su questo aveva ragione, ma con lui ogni reazione era sempre sbagliata. Con lui mai nulla andava bene. Allora tanto valeva fare le cose alla sua maniera, farle per sé stesso, come a lui andavano bene. 


Daniel non sarebbe voluto andare a casa, non voleva rischiare di trovarsi davanti suo padre, ma non sapeva dove andare. 
Non aveva un posto. Dopo aver detto che Alexis era zona rossa non poteva andare da lui. Normalmente l’avrebbe fatto, si sarebbe rifugiato da lui, ma non poteva. Aveva paura che Theo glielo avesse detto e a quel punto non avrebbe saputo dare una spiegazione. 
Andò un po’ nel panico, nel pieno di un caos non facile da districare.
Era furioso come non mai ma non sapeva di preciso perché. Sapeva che lo era con Theo, di sicuro, ma forse anche con sé stesso, perché non poteva considerare Alexis una cosa sua. 
Era furioso perché non capiva come uscirne. 
Girò per le periferie di Milano fino a che non decise che era abbastanza calmo e di nuovo padrone di sé per eventualmente stare davanti a suo padre senza fargli capire tutto.
Così dopo quaranta minuti in macchina, tornò a casa. 
L’illusione di potersi gestire durò qualche istante, il tempo di notare un’auto sportiva familiare ospite nel loro vialetto. Non una qualunque. LA SUA.
- Oh Porca Puttana! Le vuole proprio prendere allora!  
Per un momento Daniel pensò di andarsene di nuovo senza scendere ed entrare, poi cambiò idea stizzito tornando a caricarsi come prima, quando se ne era andato. 
- Col cazzo che me ne vado! È casa mia! Dice che scappo quando me ne vado? Adesso gli faccio vedere perché me ne vado quando mi incazzo o quando sono troppo fuori di me!  
Così dicendo, come se parlasse con qualcuno, scese sbattendo forte la portiera. Le chiavi infilate nel dito, il cellulare in mano; prese distratto il borsone di calcio dal bagagliaio e si diresse a passo di carica in casa. 
Theo aveva un potere che non aveva mai visto in nessuno, non così specifico.
Quello di farlo uscire fuori di testa ogni volta. Solo con lui agiva come un matto perdendo il controllo e lui con suo padre aveva imparato che il controllo era oro, era tutto.
Paolo Maldini, per come l’aveva vissuto lui da figlio, era il re del controllo perciò era da sempre stato portato a cercare di essere come lui. Peccato che sempre più scalpitasse per perderlo, quel controllo. Se l’avesse fatto davanti a suo padre l’avrebbe deluso e non voleva. 
Non si annunciò, non lo faceva mai, ma sapeva che forse avrebbe dovuto farlo. 
Non sapeva nemmeno cosa aspettarsi, una volta dentro.
Sapeva che suo padre era a casa perché cercava sempre di mangiare in famiglia, se poteva. Aveva visto la sua macchina. 
Per un momento si sentì il cuore in gola. Non voleva fargli capire nulla dei propri problemi. Non voleva che nemmeno odorasse da lontano che c’erano dei drammi in corso nel cuore di suo figlio. Non perché si sarebbe sentito stupido, ma perché erano affari suoi. Non voleva. Semplicemente era una sua regola. 
“Adoro papà, ma non lo coinvolgerò mai seriamente nella mia vita privata, non più del necessario! Non lo preoccuperò mai in alcun modo.” 
Così quando raggiunse il salone, stava spasmodicamente trattenendo il fiato e nascose il suo panico e la sua ira dietro ad un sorriso sorpreso. Apparentemente calmo, come se non ci fosse nulla di strano nel tornare a casa dopo un sacco dagli allenamenti e ritrovarsi a casa un compagno con cui non aveva mai mostrato d’essere così affiatato da vedersi fuori dal campo. 
In casa Paolo aveva visto Sandro, Alexis, Lorenzo, Rafael... ma Theo di sicuro mai. 
Li trovò seduti a bere un aperitivo analcolico. Paolo non disdegnava l’alcool visto che non giocava più, ma per dare il buon esempio, coi giocatori lo evitava. 
Così stavano bevendo qualcosa di fresco e un po’ amaro insieme a qualche stuzzichino che aveva richiesto con la sua tipica gentilezza alla loro collaboratrice domestica, che faceva loro anche da cuoca. 
- Ehilà... ciao... - salutò apparentemente normale. I due seduti uno nel divano, uno nella poltrona, lo guardarono insieme interrompendo il loro discorso. Daniel squadrò Theo sembrando del tutto neutro. 
In realtà stava cercando di capire quanto in estasi fosse quel pirla. 
Theo gli sorrise illuminandosi nel suo tipico modo contagioso e solare. Forse era colpa di quel sorriso se aveva perso la testa per lui. Nessuno sorrideva così. Anche suo padre lo salutò col sorriso. 

Theo rimase incastrato in quel modo paterno di approcciarsi che aveva con Daniel. 
Non li aveva mai visti veramente insieme; nelle occasioni in cui Paolo era al club Daniel non gli si avvicinava, alcune volte erano stati insieme ma lui non li aveva notati e forse nemmeno era stato presente. 
Era la prima volta che li vedeva insieme e rimase sconvolto nell’ammirare come Paolo si scindeva in un attimo, con uno schiocco di dita. Da che era stato un padrone di casa ed un direttore, quindi una persona diplomatica, amabile e professionale, a che divenne dolce e morbido. 
Morbido era la parola giusta. 
E luminoso. 
Lo vide illuminarsi nello sguardo posato su Daniel. Fu un attimo, non più di cinque secondi, poi tornò il Paolo direttore e padrone di casa. Ma quei cinque secondi bastarono a Theo per realizzare che poteva amare Paolo per un motivo in più. 
Non avrebbe mai voluto mettersi in quella situazione. Rivedere Paolo a Milanello o nelle partite era un conto, ed era già motivo di estasi così, ma farlo a casa in un contesto informale, per di più con Daniel era devastante. Rischiava di ricadere nel tunnel di dicembre e gennaio, quando non era riuscito a separare il fatto che Daniel fosse il figlio di Paolo e non un’entità a sé. Dopo averlo scoperto per caso, non se l’era più tolto dalla testa ed adesso tornava la questione.
Per questo non avrebbe mai voluto mettere piede lì. Per questo casa Maldini era zona rossa. Rossissima. Rosso sangue! 
Ma se voleva chiarire e avere una possibilità, se ancora una ne aveva, non aveva scelta.
Quello era proprio il momento per dimostrargli che invece stava bene, non era innamorato di Paolo ma lo ammirava, era un amore da fan, non era la stessa cosa che provava per Daniel e che fossero della stessa famiglia era una curiosa coincidenza. 
- Theo è passato perché voleva parlarti ma sei scappato prima che ci riuscisse. Dice che il tuo telefono ha dei problemi? - chiese senza capire di che genere di problemi fossero visto che con lui il telefono di suo figlio funzionava alla perfezione. 

Daniel lanciò un’occhiata indecifrabile a Theo, ancora trattenendosi spasmodicamente dal tirargli un pugno. Se prima era furioso ora era molto peggio e non sapeva che livello fosse, ma era un livello terribile. 
Daniel sospirò e lo prese in mano per fingere di capire di che problemi si trattassero. Finse anche di scoprire così che l’aveva messo fra i contatti bloccati per caso. 
- Devo aver cancellato per sbaglio il tuo numero e blocco qualsiasi numero che non ho in rubrica... è un’impostazione del mio telefono... - spiegò con molta prontezza. 

Theo sorrise capendo che la voleva gestire così per suo padre e visto che si stava comportando divinamente senza dirgli che avevano litigato mettendolo così nei guai, lo assecondò salvandosi il culo. 
- Oh era questo... allora te lo ridò così non ci saranno più problemi... chissà come si è cancellato... a volte succede... 
Non sapeva nemmeno cosa dire di preciso, Daniel lo fissò ignorando la tastiera digitale del telefono. Ovviamente il suo numero lo aveva già ed era bloccato. Theo glielo prese di mano e finse di scriverglielo e salvarglielo, ma in realtà andò nei numeri bloccati e lo sbloccò. Poi gli scoccò un’occhiata vittoriosa dando sempre le spalle a Paolo il quale analizzava la situazione rimanendo neutro, ma cercando in realtà di capire chi cercava di fregarlo. Posto che lì qualcuno ci stesse provando. 
- Allora... possiamo parlare? Ti rubo non più di cinque minuti. - disse Theo consapevole che a ora di pranzo in casa degli altri significava creare disagi. 

Daniel sapeva di non avere scelta e Paolo sapeva che Theo era lì perché avevano discusso su qualcosa e suo figlio l’aveva tagliato fuori.
Non era un idiota, ma da bravo padre finse di venir fatto fesso e si alzò andando in cucina. 
- Fate con comodo, se ti vuoi fermare a pranzo, Theo, mangeremo fra mezz’ora circa... 
Li lasciò soli. Appena lo furono, Daniel artigliò il polso di Theo e lo trascinò su per le scale, verso la propria camera, livido di rabbia e conficcando le unghie che per sua fortuna erano corte. 
Voleva ucciderlo. Theo lo sapeva. 
Appena dentro, al sicuro, Daniel lo lasciò e contemporaneamente, girandosi verso di lui con uno sguardo assassino, sibilò sottovoce: - Ti sei ficcato il cervello su per il culo per caso? 

Theo voleva ridere e ribattere con una battuta, ma sapeva che non era il caso. Alzò le mani in segno di scusa.
- Non mi hai lasciato scelta. Bastava mi ascoltassi! Non avevamo finito! Devi smetterla di piantarmi in asso senza darmi la possibilità di spiegarmi... non sono bravo ad esprimermi, l’avrai capito... e tu mi metti fretta e sbaglio!  
- Ah, ora è colpa mia? - chiese sulla difensiva, incrociando le braccia al petto. 
- No però diciamo che potresti darmi più tempo per spiegarmi meglio! 
Daniel voleva gridare, ma non poteva e questo lo faceva sentire pericolosamente frustrato. 
- Non so se l’hai notato, ma potevo farti saltare il posto in squadra in tutti questi mesi e non l’ho fatto. Perciò ricordatelo la prossima volta che pensi di venire a casa mia a dirmi certe cose! 
Theo non l’aveva ancora visto così arrabbiato e l’aveva già visto arrabbiato molto. 
Fece un passo indietro, congiunse le mani sotto il mento come in una preghiera, si chinò in avanti e lo ringraziò: - Lo so e ti ringrazio. Ma non sapevo come fare. Alexis è zona rossa e non volevo coinvolgere nessuno... non avresti risposto a Samu e Brahim sapendo che ero io... davvero non sapevo come fare e mi hai detto di cacciare le palle, no? 
O forse glielo aveva detto Alexis, ma non ne era certo. 

- Anche casa mia è zona rossa se è per questo... - brontolò Daniel sospirando e iniziando a girare per la camera. Andò ad appoggiarsi alla scrivania in disordine e lasciò Theo in piedi a ballare su un piede e sull’altro, mordendosi nervoso la bocca in totale crisi esistenziale. Vederlo in quelle pessime condizioni un po’ lo aiutava. 
- Lo so ma sapevo avrei sbagliato in ogni caso, a questo punto ho deciso di venire a parlarti di persona. 
Daniel riconobbe che aveva avuto molto coraggio. Un coraggio estremo. 
- Come è andata? - chiese poi quasi morbido, consapevole della sua debolezza. Una tossicodipendenza quasi. Theo sorpreso che glielo chiedesse si strinse nelle spalle e si grattò la nuca incerto, imbarazzato. 
- Beh bene credo... shoccante... bello, non posso nasconderlo. Sarei un bugiardo! 
Daniel alla fine ridacchiò. Aveva evitato casa sua proprio perché terrorizzato dal ritrovarsi la sua grande debolezza davanti, per paura di ricadere nel tunnel. Ma aveva corso il rischio ed ora gli era ancora davanti alla disperata ricerca di risolvere qualcosa con lui. Theo si sentì meglio nel vedere quel piccolo spiraglio. 
- Cosa vuoi Theo? 
Theo inarcò le sopracciglia sorpreso della domanda. 
- Chiarire... te ne sei andato ed io volevo... 
Daniel scosse la testa, fece un passo verso di lui e duro, ma anche molto calmo e addirittura gelido, disse: - No, io dico veramente. Cosa vuoi? 
Lasciò che le sue parole facessero effetto e che l’attenzione di Theo si calamitasse su di lui e sul significato di quel che stava dicendo, cercò infatti di essere il più chiaro ed esplicito possibile.
- Ci siamo lasciati che tu non sapevi cosa volevi da me ed io invece volevo una storia seria, perciò ti ho detto di lasciarmi in pace, di dimenticarmi e di andare con qualcun altro se volevi. L’hai fatto e mi sta bene, davvero. Non ti sei più fatto vivo per tutto questo tempo, io ti ho bloccato e mi sono isolato, è vero, però di modi per parlarmi ne avresti avuti molti. 
Daniel proseguì con il riassunto esplicativo di quel che era successo fra loro, in modo da far capire a Theo qual era la reale situazione attuale fra loro.
- Tutto questo mi ha fatto pensare che avevo ragione, che dopotutto non volevi niente di particolare da me. Ora io torno, non ti parlo perché chiaramente penso che non ti frega nulla di me, mi hai scopato, sei contento. Tu per due ore non mi parli, io penso giustamente che ho ragione. Non te ne frega davvero. Poi arrivi e mi fai quelle scenate ed ora mi capiti qua e mi fai capire che invece qualcosa vuoi, che non era tutto là, che non era finito. Che diavolo vuoi, si può sapere? 

Theo si era come sospeso, il tempo si era fermato, il cervello aveva disattivato l’agitazione, l’ansia, il caos e soprattutto la capacità di parlare, aveva lasciato solo quella di sentire. 
Finalmente aveva capito. Aveva capito molto bene Daniel, forse per la prima volta da mesi, da quando si era intrecciato a lui.
Ci era impazzito perché era incomprensibile, ma ora che lo capiva, ora che era chiaro, era certo di un’altra cosa. Una cosa nuova.
Poteva amarlo, se si fosse messo con lui. Non lo amava ancora, l’amore era una cosa che si conquistava col tempo, ma l’avrebbe potuto amare. 
Lì su due piedi capì che aveva realmente l’ultima possibilità con lui. L’ultima in assoluto. Poi non ne avrebbe avute altre. 


Note Finali: dicendo che Theo cercava di evitare Paolo spero si capisca che intendo di mettersi in certe situazioni complicate al di fuori del contesto sportivo e professionale, situazioni che possono dar vita a qualcosa di intimo e personale. Frequentare casa sua o vederlo alle prese dirette col figlio, è una di queste situazioni.