11. INSISTENZA

kjbra

Il riscaldamento andò liscio e normale, né più né meno il solito. 
Simon e Zlatan in allenamento non erano mai insieme, oltretutto non erano espansivi di natura come lo erano altri. Zlatan forse tendeva a mostrare di più di sé, quando si divertiva od era di luna dritta ed allora scherzava e giocava un sacco con gli altri. 
L’Ibra compagno di squadra era molto diverso da quello che mostrava al mondo e tutti lo sapevano, per questo non tutti avevano paura di lui, perché non si imponeva con cattiveria ma autorità. C’era chi era profondamente timorato sia dell’autorità come di Dio, di conseguenza non era particolarmente rilassato con lui. Ma c’era chi, come Theo, se ne infischiava altamente dell’autorità così come di tutte le divinità del mondo. 
Era credente ma nella norma, non di quelli che non scendevano in campo senza aver pregato. Non pensava che qualcun altro oltre lui avesse potere sul proprio destino, di conseguenza non pensava di dover tenere la testa china.  In poche parole, non aveva paura di niente e nessuno e grazie a questo era riuscito ad ottenere risultati considerevoli a calcio, se si guardava la sua giovane età. 
A volte il talento puro non bastava, serviva carattere. Nel suo caso c’era entrambi e Paolo aveva visto proprio questo, in lui. 
Scendendo le scale per rientrare nel tunnel e tornare negli spogliatoi, alla fine del riscaldamento pre partita, Theo affiancò Zlatan che si era avviato in quel caso per ultimo, per non rischiare di incrociare nemmeno per sbaglio Simon. 
Theo attese come lui, capendo che rallentava e perdeva tempo proprio per non avere interazioni scomode. Peccato che l’interazione più scomoda era proprio lui. 
- Davvero giocherai così? - gli chiese schietto. Zlatan gli lanciò un’occhiata senza capire cosa intendesse, poi piegò le labbra e alzò le spalle. 
Probabilmente non immaginava ancora che Brahim avesse capito tutto e l’avesse condiviso con lui. Non sapeva nemmeno perché Brahim a Milanello l’aveva separato da Simon e Sandro, sapeva solo che l’aveva fatto. Non lo immaginava, ma non gli serviva. 
Zlatan non gli rispose limitandosi ad aumentare il passo, Theo sbuffò rimanendo indietro di qualche metro, lo guardò stizzito e scrollando le spalle si velocizzò decidendo che gli avrebbe fatto fare la partita in santa pace e che sarebbe tornato alla carica dopo.
Non esisteva nessuno in grado di fermarlo quando si metteva in testa qualcosa, in quel caso voleva aiutarli a chiarirsi e fare pace e in un modo o nell’altro ci sarebbe riuscito. 
Se poi non erano affari suoi, non contava niente, così come se nessuno dei due voleva intromissioni da anima viva o se magari entrambi fossero concordi con il troncare tutto senza necessità di litigi veri e propri o di scambi di parole seccanti. 
Il suo soprannome era Treno Frecciarossa e non solo perché era veloce come un treno, bensì perché andava dritto e spedito verso la sua destinazione qualunque essa fosse, cascasse il mondo, a costo di investire chiunque nel suo cammino. 

Cosa diavolo voleva Theo? 
Cosa intendeva con quella frase? 
Dal momento in cui aveva visto Simon in camera e poi aveva osato spostarlo come se non esistesse passandogli oltre, per Zlatan il mondo era scomparso del tutto. Nessuno era più esistito e non si era accorto che era stato Brahim a prenderlo e trascinarlo in pullman, non ricordava di essersi seduto con lui. Sapeva a malapena di essersi allenato con gli altri, ma non aveva idea di chi aveva avuto intorno né di cosa aveva fatto. 
Per tutto il tempo aveva solo fissato malamente la nuca biondo chiaro di Simon, non aveva messo a fuoco nessun altro. 
Come osava ignorarlo così? 
Sapeva che da un lato aveva ragione e questo macinava in lui come un cancro.
Era stato il primo ad andare con Brahim per provocarlo e vedere se si sarebbe ingelosito ed in quel caso se la loro relazione sarebbe potuta progredire. Forse non il metodo migliore per ottenere una cosa simile, ma la non reazione di Simon gli aveva fatto perdere la testa. Peggio quando poi aveva visto che si baciava con Sandro SUL SUO LETTO DOPO AVER USATO LE SUE COSE. 
L’aveva fatto apposta.
Magari Sandro aveva preso l’iniziativa e sicuramente era successo perché non immaginava che Simon stesse con lui. Non ce la poteva avere con lui, del resto aveva solo avuto due palle incredibilmente grandi a fare una cosa che probabilmente tutta la squadra avrebbe voluto fare. Baciare Simon. 
Ce l’aveva con Simon, lui.
Che prima si sforzava di non avere reazioni fingendo non gli importasse nulla, poi flirtava con Sandro fino a spingerlo a baciarlo. 
Perché lo conosceva e sapeva che l’aveva spinto lui a farlo, probabilmente gli aveva dato dei segnali e lui era abboccato. 
Simon era manipolatore, otteneva sempre quello che voleva. Non succedeva niente a lui o intorno a lui che non volesse realmente. 
Ma se era infuriato con lui al punto da volersi vendicare usando la stessa moneta, perché diavolo non andava da lui a dirgli di tutto e a fare una piazzata tirando fuori la rabbia ed il fastidio che vedeva soffocava a stento? 
“Perché non vuole darmi la soddisfazione di vedere che gli importa di me. È sempre stata una gara, fra noi. A chi gestisce meglio le cose, chi la spunta, chi vince, chi si scopre prima, chi lo infila nel culo a chi!”
Zlatan, furioso, arrivò negli spogliatoi senza aver ancora messo a fuoco Theo ed il suo tentativo di intromissione. Sapeva solo che gli aveva detto qualcosa che non aveva capito, non si era interessato ad approfondire. 
Una volta dentro, continuò a non notare nessuno e a rimanere concentrato su Simon.
Voleva fargli avere una reazione, era sempre stato così. Aveva sempre voluto fargliene avere una. 
Si intendeva, una nei suoi confronti. 
Non riusciva a lasciarlo nel suo enorme sforzo di rimanergli indifferente, sapeva di non esserlo. Simon provava qualcosa per lui sempre più forte, qualcosa che si sforzava come un matto di soffocare o controllare o mitigare.
Simon era geloso di lui, ma non voleva dargliela vinta. 
“Perché, perché odia tanto scatenarsi, dimostrare i propri sentimenti, lasciarsi andare? Pensavo avesse visto che non succede nulla se per una volta ogni tanto si lascia andare con me. Ha imparato a farlo solo per scopare, perché è troppo bello per privarsene. Ma anche lì, quanto ho penato per farglielo ammettere? Per farglielo fare e accettare? Come se facesse un favore a me! Io trovo mille amanti, che cazzo me ne frega di lui? Che poi se non vuole, al diavolo. Che si fotta. Che se ne vada, no? Non rincorro nessuno nemmeno io! Non l’ho mai fatto, solo con uno ci ho provato e poi è finita in merda comunque e non ne è valsa la pena. Chi cazzo me lo fa fare, ora?”
Intenzionato a lasciar perdere e mollare, scese in campo e giocò la sua partita. 
Il Milan vinse 2 a 0 col Benevento, non segnò Zlatan ma fece un’ottima partita dove riversò in campo tutta la sua rabbia e la sua frustrazione, finendo poi per diradare la nebbia. 
Una nebbia che gli fece vedere ancora meglio di prima, qual era la situazione. 
“Simon si fotta, mi sono rotto i coglioni di lui. Non vuole dimostrarmi che ci tiene a me? Va bene. Non me ne fotte un cazzo. Che vada a cagare.”
Erano lunghe le occhiate che gli lanciava mentre si cambiavano, lui per lavarsi e farsi la doccia e Simon invece solo per togliersi la divisa inutilizzata e rivestirsi. 
Zitto e senza fare una minima piega, non uno sguardo fugace. Nulla di nulla.
Totalmente chiuso a tutto e tutti, di nuovo, forse peggio di prima. 
In un istante aveva gettato tutto nel cesso?
Ma poi tutto cosa?
Cosa diavolo voleva lui da Simon, anzi, cosa aveva cercato da lui tutto quel tempo?
Solo il suo bel culo, il suo bel viso, il suo corpo dove sprofondare, da scaldare e possedere? 
Aveva insistito tanto solo per quello? 
No, si disse scuotendo il capo incazzato, senza riuscire a fare quel che si stava dicendo da solo. 
Non era vero che non gliene importava. Qualcosa di diverso, con lui, c’era. Perché non era solo una bella scopata, per quella ne poteva trovare.
C’era qualcosa di diverso, con lui, che non aveva ancora mai avuto con nessuno e che voleva vedere come poteva diventare nel farlo progredire. 
Qualcosa c’era ed era ora di ammetterlo 
“Ma che faccia anche lui qualcosa, per un volta, puttana troia!”
Un’ombra si frappose fra lui e le forti luci dello spogliatoio, mentre era chino a togliersi le scarpe da calcio coi calzettoni e i parastinchi. 
Ibra con ancora i capelli legati ma mezzi disfatti, alzò lo sguardo per vedere di chi si trattava col cuore stupidamente in gola per un momento, nell’imbarazzante speranza istintiva che fosse Simon che voleva parlargli. 
- Davvero non farai nulla? Lo lascerai andare così sul serio? 
Ma era Theo a stargli davanti. Zlatan indurì le labbra in un profondo fastidio rabbioso. Perché tutti si mettevano in mezzo tranne l’interessato? 
Brahim l’aveva tirato via da Simon e Sandro quando aveva fatto per raggiungerli a Milanello, Theo lo incitava a reagire. Già in due si erano intromessi, tranne Simon che insisteva nel farsi i cazzi suoi quando invece non avrebbe dovuto. 
Realizzò a quel punto che Brahim doveva aver capito in qualche modo che aveva una relazione con Simon e doveva averlo detto a Theo, naturalmente. 
Di conseguenza in poco l’avrebbero saputo tutti. 
- Non c’è un cazzo da fare. - sbottò a denti stretti e rabbioso Zlatan, basso, roco e penetrante. Lo sentì solo Theo nonostante fossero nello spogliatoio in mezzo a tutti i loro compagni e c’era un chiacchiericcio generico, ma nessuno badava a loro.
Theo era candidamente nudo con l’asciugamano sulla spalla pronto per andare a lavarsi. Gli stava praticamente spiattellando in faccia il suo pene, ma a lui non faceva né caldo né freddo, sicuramente non la stessa reazione nel vedere quello di Simon. 
No, decisamente non era una questione di sesso e basta, fosse stato quello avrebbe reagito anche a Theo. 
Il terzino sinistro aveva una posizione di sfida, il mento alzato, poggiava su un piede e batteva la punta con l’altro. Lo fissava battagliero dritto negli occhi. 
Scosse il capo duramente e faceva impressione perché non aveva mai visto Theo serio. L’aveva sempre visto ridere, scherzare e fare l’idiota. Per un momento rabbrividì. 
- Sì invece che c’è. Non è da te mollare. Non ti ammiro perché molli quando è difficile. Tu qua dentro sei un esempio per tutti, assumiti le tue responsabilità e comportati come ci si aspetta da te! 
Zlatan si sentì la vena pulsare pericolosamente sulla fronte, un lampo attraversò gli occhi e si alzò di scatto davanti a lui. Alto, minaccioso, veloce come un fulmine, i muscoli tesi in un istante, segno di un’ira da non scatenare. 
Per qualche miracolo era rimasta sopita e controllata, ma era di nuovo lì scalpitante per colpa sua. 
- Ma tu che cazzo ne sai di noi? 
Non gli importava nemmeno sapere come ne fosse a conoscenza, era abbastanza ovvio il modo, ma voleva invece sapere come diavolo osava parlargli così. 
Andò a muso duro davanti a Theo che però non si mosse e non indietreggiò, di nuovo senza il filtro della paura, cosa che a Zlatan era sempre piaciuto di lui. 
Altri intorno notarono la scena, Brahim, Samu e Sandro si fecero subito vicini per paura che si scatenasse qualcosa.
Nella sua postazione, nella sedia comoda, Simon aveva quasi finito di cambiarsi e non si era perso un solo istante, ma non aveva sentito e non aveva nemmeno cercato di farlo.
Si era tenuto le cuffie alle orecchie di proposito, per non sentire ed isolarsi. Perché non si credesse che gliene importasse qualcosa. 
Zlatan con la coda dell’occhio notava che Simon stava fermo seduto e continuava ad allacciarsi le scarpe, ma non vedeva bene cosa faceva. Se li guardasse, se li ascoltasse. Lo sguardo era totalmente fisso su quell’impertinente che aveva davanti. 
I tre amici non intervennero, vedendo che nessuno dei due avrebbe alzato un dito, ma li tenevano d’occhio consapevoli che sarebbe potuto comunque succedere qualcosa. 
Theo alzò il mento ancora di qualche millimetro, senza mollare il colpo nonostante la differenza di centimetri, poi piano in modo da farsi sentire solo da Zlatan, sussurrò: - Quello che so è che non puoi lasciarlo andare così. Non me ne importa un cazzo dei dettagli. È stupido mollare. Tu non sei stupido. 
Il punto non era che Theo aveva osato intromettersi, ma che avesse avuto addirittura le palle di farlo lì negli spogliatoi in mezzo a tutti.
Questo lo colpì così a fondo che lo fece fermare a chiedersi se avesse ragione in qualche modo. 
Fece così mezzo passo indietro e prendendo i pantaloncini che ancora indossava, se li sfilò insieme agli slip sportivi. 
Non disse nulla, si limitò ad afferrare asciugamano busta poi andare a lavarsi. 
Solo nell’istante in cui lasciò gli occhi di Theo per recuperare le cose, lanciò una fugace occhiata a Simon e vide che aveva la musica alle orecchie e che si stava infilando la giacca leggera. 
Zlatan indurì la mascella. 
“Su una cosa ha ragione Theo. Col cazzo che mollo, invece. Non mi sono mai arreso, specie con lui. Non lo farò di certo ora.”
Magari non sapeva lucidamente il motivo per cui non potesse proprio mollare nonostante volesse, ma sapeva che alla fine l’avrebbe spuntata ancora.


Simon non intendeva fare il primo passo. 
Non l’avrebbe mai e poi mai fatto. Ma nemmeno il secondo, il terzo o l’ultimo. 
Non voleva più fare passi. 
Si era spinto anche troppo oltre, l’aveva capito quando aveva spinto Sandro a provarci. Non aveva mai avuto l’intenzione di andare oltre un bacio, ma quello sì che l’aveva voluto e aveva spinto Sandro a darglielo.
Dopo che era successo e si era ritrovato davanti Zlatan infuriato, si era sentito enormemente bene, come se tutto fosse andato a posto.
Gli aveva ricambiato lo stesso identico torto subito, gli aveva fatto provare le medesime cose che gli aveva fatto provare lui andando con Brahim, ma dopo di quello basta. 
Per lui era finita così. 
Non voleva altro, ne era graniticamente certo.
Era finita lì, in quel modo. 
Alla loro maniera, o meglio alla sua, perché sicuramente quando Zlatan faceva finire qualcosa, faceva fuoco e fiamme. 
In pullman si mise davanti, proprio dietro il mister e lo fece di proposito per impedirgli di avvicinarsi nel caso assurdo che avesse voluto farlo. 
Sapeva che se Zlatan avesse messo la parola fine alla loro storia, l’avrebbe fatto con un gran casino, non certo così in silenzio, ma lui non ne voleva sapere. 
L’avrebbe chiusa in quel modo e Zlatan doveva accettarlo. 
Si era anche comportato da stupido nel ripagarlo con la stessa moneta, non era tipo da vendicarsi, non l’aveva mai fatto, ma si era trovato a farlo contro la propria volontà. La logica non aveva tenuto. 
Solo dopo si era sentito pronto a concludere. 
Da lì in poi non intendeva più dire mezza parola a Zlatan. 
Ascoltò musica tutto il tempo, una playlist di musica classica mescolata a colonne sonore di film particolarmente apocalittiche che metteva quando era così furioso da dover calmare i nervi a tutti i costi.
Non si era mai sentito così in vita sua, forse solo l’anno prima proprio con Zlatan. Era sempre lui, in qualche modo, a ridurlo in quello stato. 
Lux Aeterna, Requiem for a dream, Lacrimosa di Mozart, Dies Irae, l’Inverno di Vivaldi, The last of the Mohicans, Night on the Bald Mountain, Time e altre tutte di quel genere da fine del mondo. 
Si estraniò caricando il proprio animo di canzoni che rispecchiavano dei sentimenti che ignorava di avere. 
Era furioso con Zlatan, ma non voleva parlarne, non voleva risolvere, non voleva nemmeno mettere sul piatto colpe, pensieri e fatti. 
Non voleva più nulla se non chiudere, seppellire e dimenticare. 
Si era lasciato andare fin troppo, con lui. Non amava perdere il controllo fino a quel punto. 
Sapeva come sarebbe andata se avesse insistito. 
Ricordava come gli avevano solleticato le mani quando la notte prima gli aveva detto d’aver fatto sesso con Brahim e poi quello stesso pomeriggio, sulla soglia della loro camera, a tu per tu con lui. 
Gli aveva letto facilmente come sempre negli occhi, nella sua intenzione di provocarlo ancora di più per farlo esplodere e l’aveva quasi fatto.
Tuttavia non era una cosa minimamente accettabile, non era stato cresciuto così ed oltretutto odiava la violenza. 
Ma cosa più importante, non si poteva abbassare al suo livello. Era Zlatan che perdeva la testa e usava la violenza, lui no, non l’aveva mai fatto e non avrebbe di certo iniziato ora. 

Quando il pullman arrivò a Milanello, Simon scese continuando a mantenere la musica alle orecchie, senza dire niente a nessuno recuperò le proprie cose e andò alla macchina tirando dritto con la testa alta e lo sguardo puntato sul proprio mezzo. 
L’aprì col telecomando e con un altro tasto sollevò il cofano, arrivò e posò dentro il bagaglio a mano che conteneva le cose usate in quei due giorni, poche in realtà, il solito stretto necessario. 
Poi chiuse e, sempre con la musica apocalittica alle orecchie a tutto volume, si girò per andare verso la guida e si ritrovò un muro umano davanti. 
Zlatan, di cinque centimetri più alto, gli sbarrò la strada e lui gli andò contro senza averlo notato. 
Simon alzò lo sguardo facendo un passo indietro, non lo evitò come se non esistesse, ma non si tolse le cuffie e non spense la musica. Continuò a fissarlo gelido, in attesa che fosse lui a levarsi. 
Zlatan rimase in attesa, dritto, con le sopracciglia alzate in chiaro segno di ‘te le levi o no?’
Oh, com’era sempre il migliore a far capire cosa pensava. 
Simon l’ammirò una volta di più, lui nemmeno se voleva ci riusciva. Tanto più che ormai non voleva comunque più.
Rimase fermo e non mosse nemmeno un dito, così Zlatan si indicò le cuffie immaginarie intendendo che era lui a doversele togliere, ma Simon ancora non fece cenno di collaborazione, così sospirando spazientito gliele tolse lui prendendogli gli AirPods, toccandogli le orecchie nel gesto. 
Simon rabbrividì dalla testa ai piedi. 
- Non credi che dobbiamo parlare? - chiese duramente. 
Simon stese il palmo in attesa che glieli restituisse, ma Zlatan lo ignorò continuando a fissarlo in attesa. 
- No, non credo. - fece duramente. Vide la vena di Zlatan battergli sul collo teso. Poteva immaginare tutti i muscoli che conosceva fin troppo bene tirarsi e gonfiarsi. 
Inghiottì cercando di mantenere il controllo, ma era sempre più difficile.
La verità era che voleva ancora gridare e picchiarlo per quella sua mania di provarlo e tirarlo fuori dai suoi limiti. Se i limiti c’erano dovevano restare lì.
Si sentiva tremare sin dentro nelle ossa, all’idea di come si sentiva, ma esteriormente riuscì a mantenere per un pelo una fermezza stoica. 
Appoggiò la mano aperta contro il petto di Zlatan il quale senza staccare gli occhi dai suoi, sospirò e gli mise le cuffie sopra toccandogli con i polpastrelli il palmo. I brividi lo attraversarono, ma Simon si scostò e gli passò oltre andando alla portiera della macchina, infine salì e senza aspettare che si spostasse, mise la retromarcia, uscì dal parcheggio e sfiorandolo senza però toccarlo, quasi come non lo vedesse più, se ne andò. 
Solo una volta per strada si ritrovò a correre, con ancora quella musica da funerale a tutto volume che sfondava le casse.
La musica alta era una mania di Zlatan, così come le corse folli in macchina. Ma ancora non bastava. Non stava meglio, non lo sarebbe mai stato. 
Doveva soffocare quello stato d’animo. Ucciderlo per sempre. Sotterrarlo, esorcizzarlo ed impedirgli di uscire ancora e distruggerlo in quel modo.
Nulla al mondo poteva e doveva avere un tale potere su di lui. 
Corse così tanto che si ritrovò per vie ben lontane dal proprio quartiere, da casa sua, dalla famiglia che l’aspettava a casa. 
Corse e basta. 
E non si sentì mai meglio. 

Zlatan aveva affondato così tanto le dita nei palmi delle mani, che si era procurato dei leggeri graffi. Quando sentì alle sue spalle dei passi ed una presenza ferma in attesa, già sapeva chi era e girandosi di scatto non lo guardò mai, né negli occhi, né in nessun altro modo. 
Gli passò accanto deciso, sempre i pugni chiusi. Nel sfiorare Theo, sussurrò a denti stretti: - Zitto. 
Theo, questa volta, non parlò.