14. SCENE DA MILANELLO

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Zlatan non aveva mai rincorso tanto qualcuno in vita sua come stava facendo con Simon, non era la prima volta che lo faceva, ma l’altra volta alla fine aveva avuto successo. 
Ora che continuava a rincorrerlo sembrava fallire di continuo, nonostante questo non intendeva smettere.
Sentiva di non potersi fermare, perché sarebbe stata una resa e lui in vita sua non si era mai arreso. 
Però non aveva mai lottato così tanto per qualcuno e la cosa lo mandava in bestia, perché non riusciva a mostrargli quanto questo significava che ci teneva. 
Non riusciva a farglielo capire, ma se solo ci fosse riuscito, se solo l’avesse compreso, sicuramente tutto si sarebbe risolto. 
Ancora non riusciva a lasciar andare. 
A lasciar andare lui, Simon. 


Avendo otto giorni totali per preparare la partita e venendo da due in sette giorni, avevano concesso due giorni a casa, la domenica ed il lunedì. 
Simon ne aveva approfittato per dedicarsi totalmente alla famiglia e staccare completamente la spina da qualsiasi altra forma di vita estranea ai suoi figli e a sua moglie. 
Sebbene ormai faticasse sempre più a stare con lei come un tempo, ci era riuscito subito dopo che si era messo con Zlatan. O che per meglio dire aveva deciso di continuare la loro relazione sessuale nonostante sua moglie e la decisione precedente di troncare una volta tornato a casa con lei.
Forse perché non si era mai soddisfatto del tutto. O forse perché non ne aveva mai avuto abbastanza.
Comunque ce l’aveva fatta. L’aveva gestirla molto bene, con freddezza e  tranquillità, una calma e lucidità mentale sconcertante anche per lui stesso. 
Ora, però, gli risultava sempre più difficile perché pensava troppo a Zlatan. Prima aveva avuto successo compartimentando, adesso Zlatan era anche nel comparto-famiglia e non riusciva a lasciarlo fuori. 
Questo stava minando la sua stabilità ed il suo controllo in casa. 
Stava per scoppiare un putiferio, nella sua vita privata, nella sua testa, nella sua anima. O forse era già scoppiato. 
A stento riusciva controllare e gestire tutto come prima e si chiedeva cosa sarebbe successo se non ce l’avesse fatta. 
Cosa avrebbe fatto. 
“Non esiste il ‘se non ce la faccio’. Devo farcela. La domanda che mi devo fare è ‘come faccio a farcela ancora? Come la faccio funzionare? Come ritrovo il controllo della mia vita?’”
Ma non era una domanda che riusciva a rispondere ancora. 


Martedì gli allenamenti furono di mattina, il primo giorno in cui si rivedevano dopo quanto accaduto sabato, dopo quella rottura nel gelido silenzio di Simon. 
Zlatan, totalmente intenzionato a non fargliela passare così come voleva e come minimo a costringerlo a dirglielo in faccia se voleva veramente mollare, si era caricato di una furia sempre più pericolosa che a stento aveva domato grazie un po’ ad Ante ed un po’ alla fuga in montagna dove aveva camminato fino in cima ad una delle più ripide salite della Lombardia. 
Aveva anche fatto taekwondo nella palestra di fiducia usando il maestro che aveva acconsentito a concedergli l’utilizzo sia di sé stesso che del posto. 
Aveva poi corso a folle velocità per le vie deserte e sicure fuori Milano, aveva nuotato facendo un numero considerevole di vasche fino a non averne più e si era sfinito in ogni altro modo possibile, sempre con la musica elettronica che rimbombava a massima velocità. 
Tuttavia non era servito a nulla poiché quando finalmente era arrivato martedì, lui si era presentato prestissimo a Milanello non riuscendo a dormire all’idea di rivedere Simon e poter per lo meno parlargli. 
Si sentiva impazzire, ma ugualmente nonostante gli bruciasse essere in quelle condizioni, non poteva fare a meno di concentrare ogni briciolo di sé su di lui. 
Come osava ignorarlo, prima di tutto?
E poi perché si ostinava a non voler assolutamente provare nulla per lui o quanto meno a non ammettere i suoi sentimenti per nessuna ragione al mondo? 
Quando i compagni iniziarono ad arrivare, era già stanco fisicamente anche se non se ne rendeva conto poiché troppo concentrato su tutte le figure che vedeva arrivare. 
Appena giunse l’ora della colazione di squadra come da programma, Zlatan si interruppe e prendendosi un asciugamano se lo mise sul collo per poi precipitarsi di corsa nell’area ristoro ad aspettarlo.
Gli si sedettero subito vicini Ante e Rade, entrambi consapevoli dell’importanza che aveva per lui quel giorno. 
Zlatan era molto serio e totalmente taciturno e cupo, tutti lo notarono e capirono che non tirava aria, perciò nessuno osò avvicinarsi né salutarlo nemmeno. 
Theo ed i suoi soliti combina guai gli lanciarono delle lunghe occhiate mettendosi insieme al tavolo. Li vedeva parlottare, sapeva che era lui il soggetto dei loro discorsi, ma non gli importava. 
Appena Simon mise piede in sala, non ci fu un silenzio generico, ma quei sei che conoscevano la situazione sì che si zittirono.
Tutti loro guardarono subito Zlatan immaginandosi una scenata di qualche tipo, nonostante sapessero che non sarebbe stato da lui farla lì davanti a tutti. 
Simon nemmeno lo guardò, andò al tavolo dove c’era Alessio coi suoi soliti fedelissimi e sorrise loro distante, mettendo su il muro di ghiaccio che avrebbe avuto da lì in poi. 
Nessuno capì che l’aveva, apparentemente era quello gentile e partecipe di sempre che sapeva stare con tutti e che aveva una parola per chiunque. Quello che stava bene dove lo mettevi e con cui tutti si sentivano a loro agio.
Ma Zlatan sapeva che era una maschera perfetta di finzione ed apparenza. 
Gli lanciò una lunghissima e perenne occhiata che non distolse. Gli occhi accigliati, le sopracciglia corrugate. Che ce l’avesse con qualcuno ormai era scritto a caratteri cubitali sulla sua faccia, che fosse Simon la mira della sua rabbia ormai era altrettanto evidente. 
- Zlatan, lo stai fissando troppo... - suggerì Rade notando che ormai anche altri che prima non avevano visto niente se ne erano accorti.
Non che lui fosse arrabbiato e con la luna storta, cosa evidente a tutti subito. Che quella luna storta fosse diretta su Simon. 
Videro Alessio sgomitare Simon e chiedergli probabilmente cosa gli aveva fatto. L’aveva domandato ridacchiando, pensando o forse volendo sdrammatizzare. 
Non sapeva nulla, se c’era uno con cui avrebbe potuto parlarne era forse Alessio, si era detto Zlatan, ma da come gli aveva parlato dubitava l’avesse fatto o non avrebbe osato scherzare indicandolo col capo.
Vide Simon rimanere impassibile e non girare lo sguardo nemmeno per sbaglio o per mezzo secondo. 
Si stava enormemente sforzando di non farlo. 
Zlatan sospirò frustrato e battendo le mani sul tavolo si alzò senza aver toccato cibo, aveva bevuto solo un caffè e trascinando la sedia che fece un rumore che tutti notarono, si alzò andandosene. 
Non avrebbe di certo fatto scenate, nonostante quello scatto si fosse fatto notare. 
Era il primo a non voler dare spettacolo, ma non sarebbe scappato. 
“Si sforza come un matto per non guardarmi nemmeno, come pensa di fare da qui in poi? Siamo nella stessa squadra, nella stessa camera. 
Arriverò venerdì sera, lo voglio vedere che cambierà stanza per la prima volta da un anno e passa. Voglio vedere che fa una cosa così strana attirando l’attenzione di gente che non dovrebbe sapere nulla.”
Pensò che non avrebbe potuto farlo per non rischiare di far sapere che aveva problemi con lui, conoscendolo avrebbe fatto di tutto per non dare sospetti. 
Tuttavia si sbagliava, perché c’era uno con cui poteva cambiarsi di camera senza rischiare di far sapere che aveva problemi con Zlatan. 
Sandro sapeva tutto e Simon non era così idiota da non immaginare che ne avesse parlato anche con Theo e Brahim, sue nuove appendici da quando Daniel si era infortunato fino a non poter ancora essere convocato nelle partite nonostante il ritorno agli allenamenti regolari. 

Theo non staccava gli occhi da Simon e Zlatan, così come anche Brahim e Sandro. 
Avevano perfettamente notato che Zlatan lo puntava, e pure molto male, da quando era arrivato a Milanello quel mattino. Così come avevano notato che Simon invece lo ignorava. 
Pregustandosi scene da cinema, si affrettarono a seguirli per rimanere sempre nei paraggi e vedere cosa sarebbe successo, convinti che Zlatan avrebbe fatto qualcosa, ma non fu così. Non fece nulla, per la verità. 
Tentò di avvicinarlo, ma Simon riuscì sempre a stare con qualcuno, Alessio in particolare, in modo da impedirgli qualsiasi approccio. 
Naturalmente Zlatan non era ancora al punto da sbottare male, ma sapevano che ci mancava poco. 
- Come farà ad evitarlo per tutta la settimana? Venerdì notte siamo in albergo a Torino per la partita... - fece notare Sandro preoccupato di ritrovarsi con un’atmosfera orribile destinata a peggiorare. 
- Beh, non è obbligato ad andare in camera con lui... - suggerì Daniel alzando le spalle, la vedeva facile, in realtà. Se Simon voleva poteva evitare Zlatan per sempre, il punto era che conoscendo il soggetto in questione gli sembrava difficile che lui poi non l’avrebbe spuntata in qualche modo. 
- Come no? Simon non è tipo da chiedere a qualcuno di cambiare compagno di stanza così improvvisamente. Desterebbe troppi sospetti e lui non si metterebbe i fari addosso. 
Sandro ormai lo conosceva abbastanza da azzeccarci sui suoi comportamenti possibili. Insomma, se l’era studiato per bene per poter dire che era intrigato se non pure attratto da lui. 
Theo Inarcò un sopracciglio e lo guardò incredulo che non ci arrivasse ancora. Come poteva essere reale? Dove stava tanta ingenuità in un unico essere? 
- Ma sei scemo? - disse schietto mentre Brahim beveva dalla borraccia alla fine degli allenamenti. - Tu sai benissimo della loro situazione! E saprà che anche noi sappiamo, mica è stupido Simon. Ti chiederà di stare in camera con lui!
Fu lì che Brahim sputò tutta l’acqua addosso a Sandro che non poté nemmeno registrare a pieno quello che aveva appena detto Theo, il quale scoppiò a ridere abbracciando Sandro istintivamente, vedendo la sua faccia di pietra che tratteneva il fiato shoccato. 
- Oddio vi amo ragazzi, siete fantastici! - i due ragazzi in questione però non capivano perché lo fossero, specie Sandro che si era pietrificato mentre Brahim tossiva fuori l’anima.
Daniel alzò gli occhi al cielo e scuotendo la testa andò via per non mescolarsi a quello stupido del suo ragazzo che rideva troppo sgraziatamente, abbandonando per altro Sandro che lo fissava implorante il quale dopo che si fu pulito la faccia dagli sputi di Brahim, realizzò col terzo o quarto treno cosa aveva detto Theo. 
- Con chi starò in camera io venerdì notte? - sibilò con un filo di voce strozzata, gli occhi fuori dalle orbite. 
Brahim livido di rabbia, col broncio infantile che cercava di non esprimersi troppo chiaramente, lanciava lampi di fuoco a Theo che ancora rideva mentre avanzava verso gli spogliatoi, non senza girarsi e lanciare occhiate divertite in loro direzione e preziosi pareri non richiesti. 
- È la cosa più ovvia, se ci pensi. 
Sandro rimase rigido lì in campo qualche istante per poi scattare e corrergli dietro, affrettandosi a chiedere per vedere se aveva capito davvero bene: - Perciò chi starebbe con Zlatan? Io in questo periodo sono in camera con Alexis... 
Theo parve pensarci solo in quel momento, poi piegò le labbra e si immaginò un’ipotetica soluzione mentre passava davanti alla palestra dove Zlatan non era dentro a fare le rifiniture finali per la prima volta da quando era tornato al Milan. Non ci fecero caso. 
- Beh, pensandoci meglio... - Theo rifletté visto che la sua domanda era stranamente sensata: - Consapevole che a sapere tutto siamo noi, insomma è una logica deduzione, potrebbe chiedere se Brahim sta con Zlatan e allora finirei io per stare con lui... 
E fu il turno di Sandro di inciamparsi sui propri piedi. Per non cadere giù lungo disteso, si afferrò alla prima cosa che gli venne sotto tiro, i pantaloni di Theo i quali andarono dritti giù alle caviglie e non impedirono a Sandro di cadere di faccia. 
Il tutto davanti alla porta dello spogliatoio appena aperta da Theo, rimasto con tutte le grazie al vento poiché Sandro cadendo aveva preso anche le mutande. 
Daniel, pronto per entrare in doccia e con addosso l’asciugamano che avrebbe usato dopo, rimase impalato davanti al suo pseudo ragazzo che faceva un ingresso così trionfale e istintivamente, senza nemmeno pensarci, prese il telo dalla propria vita e glielo mise addosso per coprire quel che amava di più di lui, sebbene così facendo poi fu lui a rimanere completamente nudo. 
La risata di Brahim dietro di loro che si godeva la scena fu la cosa più sguaiata e rumorosa mai sentita in tutta Milanello. Risata che fece sedendosi a cavalcioni sulla schiena di Sandro, premendo la faccia contro il suo collo. Lui che era ancora steso a terra con le mani afferrate ai vestiti di Theo arrotolati alle caviglie e che pensava seriamente di essere appena morto. 

Non si resero minimamente conto che Zlatan non solo non era in palestra a fare addominali o qualunque altra macchina ritenesse di dover usare per concludere le sue sessioni di allenamenti, ma non era nemmeno negli spogliatoi.
E non c’era neanche Simon. 

Non che avesse accettato di parlargli, Zlatan gli aveva teso un’imboscata e forte del fatto che solitamente dopo la sessione regolare faceva ancora un po’ di palestra, Simon aveva abbassato la guardia pensando di potersene andare senza grossi rischi e sforzi.
Non aveva previsto il suo cambio di programma. 
Stava dirigendosi negli spogliatoi prima degli altri, quando una mano l’afferrò per il braccio tirandolo per il corridoio non in direzione degli spogliatoi che di lì a breve sarebbero stati pieni. 
Simon preso totalmente in contropiede, si vide trascinato a forza verso la stanza dei massaggi prima che questa venisse riempita a sua volta da compagni che chiedevano dei trattamenti a fine allenamento. 
Vide Zlatan lanciarlo dentro, quasi, e chiudersi a chiave la porta alle spalle e rimanere fermo con le mani ai fianchi e l’aria truce a fissarlo. Respirava a fondo per calmarsi anche se non sembrava avere successo. 
Gli bastò un’occhiata per capire che era furibondo e che avrebbe potuto respirare quanto voleva, ma non avrebbe mai funzionato.
Probabilmente nulla di quel che aveva provato in quei due giorni era stato minimamente utile. 
Simon incrociò le braccia al petto appoggiando il didietro sul bordo di uno dei lettini. Precisamente quello dove avevano fatto sesso l’ultima volta lì dentro. Per un momento ci pensò rendendosene conto e si morse la lingua sperando di non far notare il proprio gesto di nervoso. 
Il cuore gli batteva impazzito, ma non poteva farglielo sapere. 
- Me lo devi dire. - esordì così Zlatan, tuonando col piede di guerra ben in vista. 
Simon non fece una piega, ma faticò moltissimo per riuscirci. La verità era che gli stava mancando da morire.
Gli mancava essere sé stesso. 
Nella sua esistenza, ormai, lo era solo ed esclusivamente con lui.
Questo era davvero grave. Non essere sé stessi, ma esserlo con una sola persona al mondo. 
Quella sbagliata. 
- Che cosa? - chiese freddamente Simon. 
Zlatan si avvicinò pericolosamente a lui, rimanendogli distante per qualche centimetro senza toccarlo. 
- Che è finita e che non vuoi più scopare con me. - rispose secco e diretto, gli occhi scuri nei suoi azzurri in apparente tranquillità. 
“Continua a respirare in modo regolare, Simon. Controlla anche i battiti che si vedono sul collo. Dannazione, non fargli vedere in che stato sei. Non farlo. Deve finire ora, sta andando troppo oltre. Anzi, è già andata.”
Eppure fremeva dentro di sé. Fremeva affinché annullasse quella breve distanza rimasta. 
Era la cosa più difficile di tutte, ma sapeva che doveva farlo. Aveva fatto di peggio, lui sapeva fare ciò che andava fatto e quella era una di quelle cose. 
“Forza Simon, sii uomo e diglielo. Così finirà tutto e tornerai alla tua famosa normalità. Quella che lui ha sconvolto per farti sentire quanto fosse bello essere liberi con lui.”
Prese un respiro che sperò non fosse troppo profondo, poi sollevando il mento con aria di sfida, disse piatto: - È finita, Zlatan. Non voglio più scopare con te. Lasciami in pace.