18. UNA PICCOLA FESTICCIOLA 

ibrasimosanhimtheo

Lo capì subito.
Nell’esatto istante in cui si fece male, Zlatan capì d’aver finito la stagione e di dover dire addio all’Europeo, sicuramente l’ultimo che avrebbe potuto fare. 
A Marzo aveva ritrovato la convocazione in nazionale contro ogni pronostico, ma ormai, alla bellezza del 9 maggio, col ginocchio che gli si era frantumato in partita, aveva subito capito la gravità della situazione e soprattutto cosa significava. 
Seduto in pullman con gli altri mentre tornavano a Milano, dopo l’incredibile vittoria per tre a zero sui bianconeri, si sentiva bruciare sempre più di rabbia. 
Si era messo in uno dei sedili a metà, da solo, e nessuno aveva osato avvicinarsi e mettersi con lui. Nessuno tranne Brahim. 
Zlatan lo fulminò con un’occhiata terribile che avrebbe messo a disagio chiunque e probabilmente anche lui rabbrividì, non per questo fece dietrofront e lo lasciò in pace. 
La verità era che aveva voglia di gridare e fare a pezzi qualcuno e qualcosa se non tutto e tutti. 
Al terribile periodo con Simon e quindi alla relativa rabbia, si aggiungeva il ginocchio ed il suo infortunio che lo obbligava a finire prima la stagione e a rinunciare all’Europeo in nazionale. 
Non ci aveva mai tenuto particolarmente, ma gli era sempre piaciuto esserci e provare a fare qualche miracolo con loro. 
Quando veniva convocato era sempre contento, a maggior ragione a quell’età dove ogni partita ed occasione poteva essere l’ultima. 
Si sentiva sul punto di esplodere, era come se avesse messo troppe cose pigiate dentro ad una scatola ed ora quel coperchio stesse per venir sparato via insieme al contenuto.
Sapeva di non poter tenere duro ancora per molto e la calma apparente con cui stava in mezzo agli altri, era ovviamente solo una difesa ostentata per essere lasciato in pace. 
In quel momento, lui, non ne poteva più. 
- So che non hai voglia di festeggiare... - cominciò Brahim con un’allegria eccessiva che cercava di trattenere molto male. Allegria che ovviamente lo irritava. 
- Non verrò. - tagliò corto Zlatan senza neanche guardarlo, tornando a posare gli occhi scuri fuori dal finestrino. Il paesaggio notturno scorreva innanzi a loro. 
Brahim però non si diede per vinto e senza spaventarsi, continuò. 
- Però ti farebbe bene distrarti. - iniziò così a sciorinare deciso ed impavido i punti a favore, alzando le dita in segno di una lista immaginaria che Zlatan non vedeva l’ora si concludesse. 
- No. - rispose secco. 
- Il tuo infortunio sarà lì identico domani, anche se stasera ti concedi una pausa dai tuoi problemi. 
- No. 
- E comunque Simon verrà. 
Stava per rispondere un altro ‘no’ secco, ma si fermò sollevando lo sguardo istintivo sopra i sedili, alla ricerca del soggetto interessato. Sorpreso che avesse accettato di presenziare a quella ‘festicciola’. 
Lo vide seduto vicino ad un Theo che lo stava tormentando con la sua allegria contagiosa. Lo vide ridere con lui. Ridere sul serio. 
Era vero, lo capì subito che sarebbe venuto. 
Ma non era solo quello ad aver catturato la sua attenzione. 
Con gli altri poteva trovarsi bene e mostrare sentimenti, con lui no?
Non era geloso di Theo né di nessun altro. 
Era solo irritato. Profondamente irritato. 
“Almeno questa cosa non la lascerò andare. Non perderò anche con lui. Col ginocchio non ci posso fare nulla, a calcio è improvvisamente di nuovo una merda, ma con lui no. Con lui dipende da me e non perderò anche con lui.”
Fu a quel punto che in modo totalmente imprevedibile rispose secco come prima, solo cambiando conclusione. 
- Ok. 

Brahim che si era preparato a ripetere i tre punti, lo guardò stupito d’avercela fatta così in fretta. Fissava malamente Simon ed era chiaro che voleva venire solo per avere la sua famosa occasione con lui che cercava da una settimana, perciò probabilmente la sua intenzione era solo di fare una strage, litigare, fare fuoco e fiamme e poi andarsene, ma non aveva importanza. 
Contava solo che venisse. Così quando lui accettò non sfidò oltre la sua buona stella e annuendo contento si alzò e lo lasciò in pace. 
Adesso che aveva fatto il suo per i propri due padri, poteva dedicarsi a sé stesso e ai propri obiettivi. 
Raggiunse subito Sandro seduto con Alexis, si mise dietro rimanendo in piedi, si appoggiò al suo sedile con le braccia e spuntò infilando la testa fra loro due. Sandro si girò saltando spaventato non avendolo notato prima, essendo spuntato come un fungo. 
- Cazzo, Brahim! Devi piantarla di spaventarmi! 
Ma la sua risata finì per farlo ridere ed i suoi occhi erano solo per lui. 
- Allora... chi aveva detto che avremmo vinto tre a zero, stasera? Chi? Eh? 
Sandro però rideva ancora e avrebbe continuato in un’evidente contentezza pura, proprio come quella di chi si sta finalmente lasciando andare. 
- Tu... - la risata di Brahim arrivò ad assordarlo ma non si infastidì e gli diede invece un colpetto affettuoso sulla guancia, come per ringraziarlo, contento di essere finito nel suo radar. 

- Non credi di doverlo tirare su o dirgli qualcosa? - suggerì Theo ficcanasando come suo solito nelle vite degli altri. Simon lo guardò scuotendo la testa e sollevando gli occhi al cielo. 
Come ci riusciva? Se lo stava ancora chiedendo. 
- In questo momento avvicinarlo è un suicidio, specie per me. Litigheremmo e basta. 
Theo, che si era seduto accanto a Simon fra le prime file, dondolò la testa per nulla convinto. 
- Perciò secondo te stasera non verrà? 
- È per questo che io ci vengo. Sono sicuro che non ci metterà piede, lo conosco bene... 
Ma Theo aveva appena letto il pollice verso nel telefono, inviato nella chat di gruppo da Brahim. 
- Eh, probabile... dopotutto la sua stagione è probabilmente finita, da quel che diceva il medico... 
Dopo l’infortunio al ginocchio che aveva fatto uscire Zlatan durante la partita, era stato visitato in modo preliminare dal medico che gli aveva applicato un impacco di ghiaccio. Zlatan era uscito dagli spogliatoi sui suoi piedi, camminava piano e zoppicava, ma era in piedi. 
Tuttavia sapevano che nel suo caso non significava nulla. 
- Quindi verrai, non puoi più rimangiartelo, eh? - tornò alla carica Theo. Simon rise e scosse ancora il capo pensando che non avesse limiti. 
- Sì verrò... vorrei sapere perché ci tieni che io ci sia... 
Theo alzò le spalle fingendosi vago, inventandosi una scusa sul momento. 
- Sei una delle nostre colonne, no? Almeno tu che stai bene, non abbandonarci... 
- Non lo farò, promesso... 
Alla fine si arrese, ma si sentì bene all’idea di essere così caro a quel gruppo di ragazzini matti come cavalli. Si stava formando una bella squadra ed avendoci lavorato tanto con Zlatan per arrivare a quel punto, era bello vedere i frutti. La vittoria di quella sera ne era una prova.


Naturalmente Sandro non aveva capito che la ‘festicciola’ si sarebbe tenuta a casa propria, non che fosse in disordine, ma non era particolarmente grande. Nemmeno piccola. Tutto sommato, un bell’appartamento di lusso come quelli che avevano molti dei suoi compagni, ma nulla di adatto a contenere troppa gente. 
Era rimasto un po’ all’oscuro dei dettagli, consapevole solo che avrebbero fatto una piccola festa in suo onore. 
Al momento di capire dove sarebbero andati, pensando a casa di qualcuno che l’aveva più grande, li aveva solo sentiti dire un misterioso e vago: - Ci vediamo là! - che non aveva aiutato Sandro a comprendere. 
Irritato, era stato preso di peso e infilato in macchina delle due calamità naturali. 
A nulla erano valse le sue domande insistenti. 
- Dove diavolo stiamo andando, si può sapere? 
- Alla tua festa! 
- Si, ma dove? 
- A casa! 
- Ma di chi?! 
- Davvero non lo sai? 
- No e non so nemmeno chi l’ha preparata, di preciso... 
- Ah beh, Dani e Samu erano gli unici a potersene occupare... 
- Samu?! 
- Ma c’era anche Dani... 
- Ma a casa di chi? 
Solo quando avevano parcheggiato, aveva capito che la casa in questione era la sua. E solo a quel punto aveva registrato l’informazione peggiore di tutte e l’aveva collegata alla questione che rappresentava l’aggravante. 
- Un momento, la festa è a casa mia ed è organizzata da Samu? Volete che muoia? Fra tre giorni giochiamo di nuovo... 
Ma a quel punto era rimasto solo in macchina a brontolare preoccupato, fino a che Brahim e Theo non l’avevano trascinato letteralmente di peso giù. 
- Ma non ci staranno tutti... e poi quanti vengono? Alla fine chi avete invitato? 
Sandro col suo tipico ultimo treno aveva realizzato cosa significava far fare una festa a quei matti e sebbene da un lato ne fosse sentitamente terrorizzato, dall’altro, quello più profondo, ne era elettrizzato e contento. 
- Oh, sta tranquillo. La festa in sé non è nulla di che... il più sarà il pegno che devi pagarmi. Ti ricordo che hai perso la scommessa... 
A quella sparata di Brahim, Sandro si zittì di colpo limitandosi a seguirli a casa propria come se andasse al patibolo e solo mentre varcava la soglia si rese conto di un dettaglio che fino a quel momento aveva messo in un angolo del proprio cervello per poterlo ignorare. 
“Stanotte succederà qualcosa fra me e Brahim.”
Finalmente ci era arrivato anche lui a livello cosciente e non solo nei suoi sogni reconditi. 

Per la verità non avevano invitato amici personali e nemmeno membri dello staff. 
Era una festa solo per gli intimi della squadra, di conseguenza quelli che fino a quel momento avevano presenziato poco, non c’erano. 
Appena dentro venne accolto da persone, musica e un bicchiere di qualcosa di non ben identificato.
La gente gli ribadiva dei più o meno calorosi auguri con abbracci vari e strette di mano e Sandro era già stordito da loro e dalla musica non troppo forte. Era a casa sua ma si sentiva un alieno.
Dopo un po’ di tregua per aver probabilmente salutato finalmente tutti come se non fosse stato con loro sul pullman per tornare a Milano, Sandro poté alzare il bicchiere ancora intatto e chiese a Daniel, l’unico che gli avrebbe risposto sinceramente: - Che diavolo è questo? 
L’amico, divertito dalla sua aria spaesata e vagamente terrorizzata, rispose onesto scuotendo il capo. 
- Ah non so, si è occupato Samu del bere... io ho sistemato la casa e pensato al cibo... 
A quel punto una canzone latina irruppe di prepotenza e la musica venne alzata. 
- E vedo che si è occupato anche della musica. 
Daniel rise e gli circondò le spalle con un braccio appoggiando la testa alla sua. 
- Dai, divertiti! È riuscito davvero a farci vincere tre a zero; pur di fare questa festa penso che avrebbe convinto anche il papa a ballare il tango! Ve la meritate entrambi, ma in particolare lui, direi...
Improvvisamente pur senza dire il soggetto, Sandro capì che non era più di Samu che parlavano e realizzò che aveva ragione. Brahim aveva fatto di tutto per arrivare a quel risultato incredibile, aveva anche segnato quella sera. Per qualche ragione ci aveva tenuto molto ed ora che ce l’aveva fatta voleva che si divertisse e fosse felice ed al settimo cielo. Che quella serata fosse indimenticabile più per lui che per sé stesso. 
Non aveva mai tenuto particolarmente a festeggiare il proprio compleanno, ma improvvisamente era felice di farlo. Anzi, era felice di aver dato a Brahim la scusa per essere così contento e vivo, perché tramite la sua allegria, anche lui si sentiva una persona euforica e spigliata come non lo era mai stata. Con lui accanto si rendeva sempre più conto di essere capace di cose che fino a quel momento non era mai stato capace di essere o fare. 
Lo guardò girare fra i compagni con una ciotola di patatine che aveva acchiappato dalla cucina ed uno dei beveroni di Samu, qualcosa di probabilmente spagnolo e con la frutta dentro che sapeva essere Sangria, la stessa che gli avevano rifilato in mano. 
- Pensi che dovrei farlo? - chiese infine a Daniel che ancora gli circondava le spalle amichevole. Daniel, capendo immediatamente di cosa parlava, annuì subito deciso, sorridendo felice e sicuro.
- Non ho il minimo dubbio! 
Sandro lo guardò brevemente, gli sorrise a sua volta e dopo averlo ringraziato della festa, diede il primo sorso al proprio bicchiere.
Da lì in poi, partì tutto. 

Ante non era il miglior amico delle feste, ma a Rade piacevano e ad ogni modo era una scusa perfetta per passare più tempo con lui anche al di fuori del calcio.
Rade aveva avvertito Ivana che avrebbe passato la notte fuori e non sarebbe rientrato, perciò era un’occasione perfetta.
Ante ci aveva messo un po’ a fargli capire che non doveva farsi troppi problemi e che era del tutto normale sposarsi, fare una famiglia ed avere accanto anche una persona che amava sul serio. Il cosiddetto amante. 
Colui con cui si poteva essere sé stessi. 
Probabilmente l’aveva convinto quando gli aveva detto di amarlo e sospettava che alla fin fine Rade si sentisse in colpa lo stesso, ma Ante non gli avrebbe di certo permesso di lasciarlo. Specie perché ormai aveva fatto troppo per averlo. Si era esposto troppo. 
Poco dopo il loro arrivo, Theo gli mise in mano un bicchiere di sangria a testa che Ante rifiutò con una smorfia. 
- Sono tipo da birra... 
Rade rise e prese invece il bicchiere ringraziando. 
Theo più allegro che mai lo prese a braccetto e lo trascinò in cucina recuperando dal frigo ben rifornito una birra che gli aprì girando il tappo in alluminio. Una volta lontani da un’eccessiva dose di orecchie, gli chiese a tu per tu parlando sorprendentemente piano: - L’hai portato? 
- Certo, che domande idiote! - rispose seccato Ante.
Rade, sentendoli e guardandoli, scoppiò a ridere gettando la testa all’indietro. 
- Che c’è? - fecero in tandem non capendo cosa avesse da ridere a quel modo per una volta che era stato serio anche Theo. 
- È che se vi sentiva qualcun altro avrebbe pensato che parlavate di droga! Invece so che parlate di... 
Stava per dirlo candidamente quando entrambe le loro mani si misero sulla sua bocca per zittirlo con aria cospiratoria ed incredibilmente seria e solenne. 
- Rade, mettiamo anche i manifesti ora? 
Ante non era ancora incline alla dolcezza nemmeno con lui, sebbene fosse il solo che ne avesse assaggiata un po’. 
Ad allentare la breve tensione arrivò la risata di Theo proprio in conseguenza di quella rispostaccia di Ante che con quella era sembrato ben lontano dall’essere il suo fidanzato. 

- Va bene, vi lascio... 
Così dicendo Theo se ne andò alla ricerca di Simon. 
Dopo essersi assicurato la presenza di entrambi, sarebbe iniziata anche la sua festa.
Ci teneva che le cose funzionassero fra loro, era ancora convinto che dovessero risolvere e tornare insieme, non tanto per il bene della squadra, ma perché si sentiva di doverglielo in qualche modo. 
Era un po’ come la sua missione personale, qualcosa che doveva fare senza un motivo preciso, era così e basta.
Come sempre si limitava a seguire il suo istinto e arrivato a quel punto, a quella festa che avrebbero avuto mille ragioni per non fare visto il campionato ancora in pieno corso, sapeva, lo sentiva profondamente di non poter lasciar perdere. 
Di Zlatan erano stati incaricati Ante e Rade, anche se Brahim era comunque riuscito già a convincerlo ripetutamente. Non sapeva dove di preciso, ma sapeva che c’era. 
Per Simon non aveva potuto chiedere a nessuno perché in realtà il dio danese per eccellenza non aveva dei legami così spiccati da poter chiedere a qualcuno una mano. 
Perciò aveva sperato nella propria solita buona stella e girando con un bicchiere di sangria ormai a metà ed un altro intero da rifilargli con la finta scusa del ‘è solo un cocktail di frutta analcolica’, sperava di poterlo far ubriacare per rilassarlo un po’ con Zlatan fino a farli tornare insieme. 
Di più non avrebbe potuto fare, perché di sicuro non poteva chiuderli a chiave in una stanza e obbligarli a stare lì fino a che non si uccidevano o non trombavano. 
E poi, pensando esattamente a quello, con la musica dance dalla tendenza latina che continuava a rallegrare le pareti sia della casa che del suo cervello, si fermò realizzando la sua ultima geniale verità.
“Un momento. E perché mai non posso chiuderli in una stanza insieme?”

Daniel, che stava proprio cercando il suo ragazzo, una volta trovato che si bloccava improvvisamente pensando a qualcosa che pareva essere una rivelazione illuminante, alzò gli occhi al cielo preoccupato e già esasperato di partenza, gli andò davanti col dito alzato. 
- No Theo, no! 
Theo parve svegliarsi in quel momento e lo guardò senza capire, sapendo di non averlo detto ad alta voce. 
- No cosa? - chiese candido. 
Daniel però si fece più deciso e perentorio, avvicinandosi fino a toccarlo col suo corpo, dritto e fissandolo negli occhi. 
- No! Qualunque cosa tu stia pensando, la risposta è no! Non farlo!
- Ma non sai cosa volevo fare!
- Non mi serve di saperlo! Ti conosco! Vuoi fare qualcosa e non importa cos’è, sicuramente è una pessima idea! 
Theo sgranò gli occhi da finto innocente, sconvolto per la poca fiducia che riponeva nei suoi confronti. Avendo però le mani occupate, non poteva nemmeno gesticolare. 
- Io non ho pensato assolutamente nulla che non fosse utile e geniale! Ho ancora una missione da compiere e la porterò a termine con risultato vincente! 
Daniel gli fermò i polsi prima di fargli rovesciare tutto addosso, poi ancor più vicino a lui ed al suo viso, nella speranza di calmarlo usando sé stesso, sussurrò incatenando gli occhi ai suoi. 
- Theo, non importa, abbiamo fatto abbastanza. Da qui in poi spetta a loro...
- No, gli serve ancora un piccolo calcio! 
- Ma se viene dal tuo poco delicato piedino, finisci per far peggio... già che ci sono entrambi è un ottimo risultato. Adesso fermati! 
Ma ormai Theo era partito in modalità attacco piuttosto che difesa, visto che si dimenticava spesso di essere in un ruolo diverso da quello che gli piaceva ricoprire, e rispose acceso: - Ci sono? Hai visto anche Simon? 
- Sì che l’ho visto, è in salotto con... 
Ma non lo fece finire, gli scoccò un veloce bacio sulla bocca, totalmente dimentico delle regole di non mettere i manifesti nemmeno coi loro compagni, e corse via rovesciando metà sangria per terra. 
Daniel rimase inebetito dal suo gesto sfrontato e con la voglia di legarlo, chiuderlo a chiave e buttarla via, sospirò tragico convinto a far di tutto per impedire di peggiorare una situazione già fin troppo delicata. Come suo solito, insomma. 
Stava per seguirlo, quando per poco non si scontrò con un compagno che gli si parò davanti improvvisamente. 
Daniel, con una birra a metà in mano, si fermò per un pelo dall’investirlo e distogliendo gli occhi attenti e preoccupati da Theo, vide che davanti a sé c’era Alexis. 
Lì la sua mente si azzerò, dimenticando totalmente il suo attuale ragazzo e il dovere di impedirgli di commettere cazzate. 
Da quando si erano ‘lasciati’, per così dire, non si erano più parlati. Si erano evitati senza mai sfiorarsi nemmeno per sbaglio se non negli allenamenti, ma senza mai interagire realmente.
Lì, invece, non solo si erano quasi scontrati, ma ad un’occhiata più attenta capì  che Alexis l’aveva cercato di proposito. 
“Avrà anche visto il bacio?”
Nulla che già non sapesse, ma avendo un’anima ed una coscienza e tenendo ancora molto al suo amico, gli dispiaceva farlo star male così gratuitamente. 
Rimasero in silenzio a guardarsi per qualche istante, ma fu brevissimo il momento in cui rimasero seri. 
Dopo appena qualche secondo, Alexis gli sorrise dolcemente, con la stessa luce di un tempo anche se con una piccola macchia inevitabile che lui sapeva cogliere.