21. SCONTRO TRA TITANI

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‘Blue' degli Eiffel 65 irruppe dalla cassa gigante wireless che Theo portava ad ogni occasione di fare festa, era in un angolo della casa ma la musica li raggiungeva fino in camera. Una stanza matrimoniale, incredibilmente ordinata, con uno stile piuttosto giovanile sui toni del rosso e del nero e diversi poster sul Milan. 
Zlatan si sarebbe perso a constatare una verità su Sandro che fino a quel momento non aveva mai afferrato: era da sempre un grande tifoso del Milan.
Al momento, però, fermo davanti alla porta che gli era stata chiusa alle spalle, fissava truce solo una persona.
Simon, seduto in mezzo al letto là dove Theo l’aveva rovesciato brutalmente, stava a gambe aperte appoggiato con le mani dietro di sé; lo guardava sorpreso senza capire che diavolo fosse successo e come fosse passato da stare seduto su Theo ad essere in camera con Zlatan. 
Non aveva concordato nulla con quei deficienti, ma ci aveva messo poco a capire che era stato tutto un piano di quei due ficcanaso. 
Poco male, era proprio quello che aveva voluto sin dall’inizio, aveva accettato di presenziare a quella festa lontana dal suo umore nero anni luce, solo per poter intercettare Simon e costringerlo a confrontarsi con lui. 
Adesso non avrebbe avuto scelta, ma c’era un piccolo non trascurabile dettaglio che ora lo montava dentro riempiendolo di un’ira che sentiva in procinto di esplodere. 
Aveva trattenuto a lungo e a stento quella rabbia, consapevole che doveva agire in un certo modo per ottenere ciò che voleva, ma ormai era arrivato al suo limite e sapeva che quella era la goccia. 
Fece solo un passo verso di lui ancora seduto sul letto, poi a pugni stretti lungo i fianchi, disse basso e penetrante coi nervi a fior di pelle: - Cosa ci facevi sopra a Theo a succhiargli il dito? 
Sapeva quali erano state le intenzioni di Theo, ma quali erano invece quelle di Simon?
Simon sembrò riprendere possesso di sé stesso in un attimo e dopo il primo stupore per essersi ritrovato chiuso dentro con lui, si spostò sul bordo e poggiando i piedi per terra, rispose freddamente: - Ti devo spiegazioni? 
Non la risposta migliore. Zlatan ci avrebbe potuto giurare in quella frase e nonostante una piccola parte di sé sapeva che doveva essere un equivoco, l’altra, quella troppo preponderante, gli gridava che aveva rifiutato lui per gettarsi fra le braccia di un altro. Più giovane, per giunta. 
- Davvero ci stavi? 
Sapeva che Theo probabilmente era solo ubriaco o scemo o entrambi, non contava lui e le sue intenzioni. Però la posizione in cui li aveva beccati era davvero equivoca. 
Simon con una calma gelida fastidiosa, si alzò lentamente e sempre con lentezza gli arrivò davanti. Lo guardò dritto negli occhi e con una padronanza glaciale, rispose piatto sollevando il mento in segno di sfida, mostrandogli il collo di proposito. 
- Davvero sono affari tuoi? 
Lì, proprio a quel punto, Zlatan partì in quarta.
La sua mano si mosse da sola, si serrò sul collo come quel giorno di ormai cinque anni prima, nonostante lo scatto di rabbia non usò forza né gli fece male. Solo lo prese lì, poi mentre lo teneva fece il mezzo passo che rimaneva fra loro toccandolo col suo corpo e avvicinando il viso al suo fino a sfiorargli la bocca. Poi ringhiò furioso: - Certo che sono affari miei, sei ancora mio finché lo decido io!
Sempre senza stringere, scese giù con l’altra mano fra le sue gambe e gli prese l’inguine attraverso i jeans. Senza esitare strofinò fino a sentirlo delinearsi sotto le dita. 
A quel punto, nonostante gli occhi apparentemente scostanti ed indifferenti di Simon che rimaneva fermo contro di lui, Zlatan ebbe conferma che anche lui lo voleva e questo lo aiutò a calmarsi. 
Passò dal tenergli il collo ad accarezzarglielo col pollice, allentò la presa ma continuò a tenerlo a sé e senza aspettare la sua risposta, scivolò all’angolo della sua bocca e leccò sussurrando basso e roco: - E a te piace esserlo...
Non glielo stava chiedendo, lui lo sapeva. 

Simon per un momento chiuse gli occhi trattenendo il fiato in una lotta serrata con sé stesso. Era ovvio che lo volesse come un matto, ma i problemi rimanevano e anche ignorandoli come aveva sempre fatto, non sarebbe arrivato da nessuna parte. 
Doveva stare da solo per il semplice fatto che non era capace di vivere le relazioni normali con gli altri, specie quelle che voleva Zlatan che veloce gli aprì il bottone dei jeans e gli abbassò la zip. 
Continuò a leccargli la guancia risalendo lungo la linea della barba corta e ben curata, arrivò allo zigomo e all’orecchio e contemporaneamente infilò la mano dentro i pantaloni ora aperti e poi nei boxer. 
Simon riaprì gli occhi deciso lasciando che la parte fredda e razionale di sé prendesse di nuovo il sopravvento. 
O forse per meglio dire quella spaventata che si nascondeva dietro spessi strati di ghiaccio. 
‘Children' di Robert Miles subentrò in quel momento e qualcuno da fuori l’alzò. 
“Una colonna sonora perfetta”, pensò. 
Così erotica e significativa. 
- Non sono un oggetto, soprattutto non sono il tuo oggetto. Se vuoi qualcosa perché non me lo dici in modo normale?
Zlatan sembrò non percepire la durezza della sua voce metallica, continuò a leccargli l’orecchio e a masturbarlo. La sua erezione, ora fuori dai pantaloni che scivolavano sulle cosce insieme ai boxer, reagiva perché lo voleva davvero troppo, ma con la mano Simon gli fermò il polso stringendo fino ad usare forza come non mai. 
Si sentiva furioso, dentro di sé, ricordando come l’aveva fatto stare quando gli aveva detto di Brahim. 
Forzato, violato, preso in giro, usato, obbligato. 
Obbligato ad affrontare qualcosa che non voleva e che aveva motivo per non volere. 
I suoi sentimenti. 
- Tu non vuoi solo scopare con me. Se è per quello puoi farti chiunque. Tu vuoi me perché c’è qualcosa che non vuoi dirmi, ma pretendi che sia io il primo a tirare fuori. - rispose gelido al suo orecchio Simon, girando il capo a sua volta. 
Zlatan ritirò la lingua e si ritrovò costretto a fermare la mano nel suo inguine. 
- Perché dovrei espormi se tu non sei disposto a farlo? Mica sono scemo? 
Simon con un guizzo di rabbia si sentì strappare da dentro e lasciandogli il polso, lo prese per il colletto della maglia e lo spinse via da sé usando ancora forza. 
La rabbia fluiva dentro di sé furibonda e improvvisamente tremava troppo per fermarsi e quello stato non poteva essere bloccato in alcun modo se non quello. 
- Invece io lo sono, no? Sono io quello che deve cedere e fare il passo giusto, perché è così che Simon fa sempre. La cosa giusta al momento giusto, no? Perché è quello più maturo di tutti! 
Lo spinse ancora fino a farlo finire contro l’armadio che tremò dalla violenza e dal suo peso non indifferente. 

Zlatan totalmente impreparato venne colto alla sprovvista, ma non sentì dolore.
Era shoccato e non l’avrebbe fermato. 
Simon era un fiume in piena, furioso come non mai e stava tirando fuori tutto quello che aveva trattenuto ed ingoiato. 
Sbatté violentemente la mano contro l’armadio a pochi centimetri dal suo viso, ma lui non si spaventò né vacillo. Rimase dritto lì dove l’aveva spinto a sentirlo mentre finalmente tirava fuori ogni cosa.
- Perché tu sei quello che non chiede mai, non si espone, però deve vincere a tutti i costi, mentre io posso fare quel che va fatto. Sono io quello che deve cedere, a costo di essere obbligato! Non puoi essere tu, vero? Non puoi farlo tu il primo passo e dire quel che provi chiedendomi se lo provo anche io, vero? Tu devi provocarmi in tutti i modi, fino a ferirmi profondamente come nessuno ha mai osato fare! 
Gridava, gridava davvero molto, al punto che nonostante la musica, pensò che si potesse sentire da fuori, ma rimase fermo appoggiato lì mentre la mano di Simon sbatteva ripetutamente contro l’armadio, vicino alla sua faccia. 
- Perché tu obblighi gli altri a piegarsi al tuo volere, tu sei Dio, vero? Non ti chini mai, non ti scusi mai. Non chiedi mai un cazzo, tu pretendi e ferisci. 
Simon si girò allontanandosi da lui per un istante, si prese il viso fra le mani, lo strofinò allucinato, poi tornò verso di lui tornando a prenderlo per la maglia, strattonandolo con gli occhi lucidi di lacrime. Non era sicuro se fossero di rabbia o dolore. 
- Provi dei sentimenti per me, vuoi sapere se io li provo e cosa fai per scoprirlo? Ti scopi un altro? Ma guarda che lo so che eri convinto che li provassi anche io, sai... io lo so che tu sapevi... e adesso tu rispondi a questo. Come hai potuto? Come hai potuto andare con un altro mentre sapevi che anche io provavo dei sentimenti per te? COME? - tuonò forte a pochi centimetri dal suo viso. - Come... - sussurrò ancora lasciando che le lacrime uscissero e lo piegassero. 
Adagiò il viso contro il suo petto, al centro delle mani strette sulla maglia e si appoggiò sfinito, sconvolto, abbattuto. 
A quel punto Zlatan, profondamente colpito e shoccato da lui, dallo stato in cui era e da cosa aveva tirato fuori, ma soprattutto da quanto gli aveva fatto male senza volerlo davvero, lo abbracciò. 
Avvolse le braccia intorno a lui sicuro e forte circondandogli la schiena e le spalle, accolse tutta la fragilità e l’insicurezza che Simon aveva finalmente tirato fuori. 
Il muro di ghiaccio si era frantumato. 
- Perdonami, non volevo farti così male, mi stavo solo proteggendo come tu hai sempre protetto te stesso. Abbiamo fatto la stessa cosa finendo per ferirci a vicenda... volevo solo vederti veramente per una volta. Non volevo farti così male. Perdonami... 

La voce di Zlatan sussurrò al suo orecchio con le labbra appoggiate sulla sua pelle sensibile, lo sosteneva con le sue braccia forti e sicure. 
Si rese conto di essergli completamente addosso e di aver accettato il suo abbraccio, anche le proprie mani erano aggrappate a lui, ma non come prima sul petto per strattonarlo furioso. Ora si teneva alla sua vita e dove appoggiava il viso era tutto bagnato. 
Piangeva? 
- Fanno male. I sentimenti. A me fanno solo male. Per questo ne ho il terrore. Li ho sempre soffocati per evitare di venire ferito, scoprirmi troppo, concedere il fianco. 
Le mani di Zlatan lo presero ai lati del viso e con decisione gli sollevò il capo facendosi guardare negli occhi. Ora erano vicini e si respiravano a vicenda. 
Lo sguardo di Zlatan era serio e profondo, ma non era più provocante e feroce. Ora era di una dolcezza mai vista. 
- A volte ne vale la pena... 
Simon contrasse la fronte in un’espressione apertamente spaventata. Si sentiva come di venire al mondo per la prima volta. 
- Non lo so. Ho sempre cercato di essere forte, perché è così che un uomo deve essere. E per esserlo ho nascosto i miei punti deboli. 
Zlatan gli baciò delicatamente le labbra. 
- I sentimenti non sono una debolezza. 

A Simon fece impressione sentire la sua voce che diceva una cosa simile. 
Lo guardò scostando leggermente il capo per vederlo meglio, corrucciato, shoccato, per capire se fosse serio. 
Zlatan sorrise capendo il motivo di quella reazione. 
- Non scherzo, non è facile provarne e lasciarsi andare, ma non sono una debolezza. 
- E tu? Perché hai fatto di tutto per non mostrarli per primo? - chiese turbato, senza capire completamente quell’uomo che rappresentava un enigma assurdo. 
Zlatan si aprì ancora di più in un’espressione sicura e adulta, totalmente diverso da quello che era sempre stato e che gli aveva sempre mostrato. 
- Ma io te li ho sempre mostrati. Quelli sono i miei sentimenti. Non sono forse normali o meglio, non è normale il modo in cui li esprimo, ma non pensare che per tutti sia uguale. Il punto è tirare fuori quello che proviamo. 
- Andare con un altro per vedere se ero geloso e provavo qualcosa per te era un sentimento? 
- Ho detto che i sentimenti non sono una debolezza, non che io sappia comunicare. Quello so di non riuscire a farlo. 
Simon a quel punto alzò spontaneo gli occhi al cielo e scosse il capo. 
- È un eufemismo. Sarebbe bastato che me lo chiedessi. ‘Simon, provi qualcosa per me? Perché io inizio a provare qualcosa.’ Dannazione, Zlatan! - brontolando, si staccò da lui sciogliendosi dal suo abbraccio mentre si sistemava i pantaloni aperti, probabilmente intenzionato ad uscire dalla camera. Il tutto continuando a rimproverarlo come un fiume in piena.
- Come credi che reagisca una persona che soffoca i propri sentimenti per paura? Ovviamente non ti dirà mai che è geloso. Dirà che puoi fare quel che vuoi perché non stiamo insieme! Ma se ti fossi approcciato a me in modo normale ti avrei detto sì, che provo qualcosa. Vedendo che anche per te era lo stesso avrei trovato coraggio...
Sarebbe andato avanti ore se Zlatan non l’avesse fermato prendendogli di nuovo il viso fra le mani e girandolo verso di lui, non l’avesse zittito baciandolo.
La mano già pronta sulla porta in procinto di battere per farsi aprire. 

Zlatan gli mise la propria mano sulla sua schiacciandola contro il legno duro della porta e intrecciò le dita, dorso contro palmo, poi gli piegò il braccio contro il petto e lo strinse a sé mentre girato a metà verso di lui si prendeva la sua bocca. 
Voleva sparargli per tutte le stronzate che aveva detto, non se ne rendeva conto? 
Come poteva pretendere che uno che aveva problemi a parlare si aprisse per primo? 
Comunque sicuramente non poteva leggere nel pensiero. 
Avevano entrambi cose da recriminarsi a vicenda.
“Ed io? Io non mi stavo proteggendo? Questo stronzo non capisce nulla, fa solo finta di essere maturo e ragionevole, in realtà qua abbiamo ancora molte pareti di ottusità da grattare, eh?”
Suo malgrado decise di smettere di polemizzare e lasciandogli il viso, scivolò di nuovo con le mani sui suoi pantaloni a riprendere l’operazione che interrotta prima. 
Glieli aprì di nuovo, ma questa volta Simon non lo fermò. 
Si girò del tutto verso di lui e appoggiandosi alla porta dietro, si abbassò da solo i jeans insieme ai boxer in un chiaro e quanto mai piacevole messaggio. 
Zlatan scivolò fuori dalla sua bocca baciandogli il collo e mordicchiandoglielo, disse divertito: - Vedi? Si può comunicare benissimo anche senza le parole... è ovvio che vogliamo entrambi scopare o non ti saresti abbassato i pantaloni da solo... 
- Vuoi davvero discutere sulla comunicazione ora? 
Non lo vedeva, ma era sicuro che ridesse e sentendolo ritrovò il cielo perduto. Quel cielo conquistato in un anno lì con lui. 
A quel punto Zlatan rispose separandosi dal suo collo per togliersi la maglia e quando lo guardò, Simon sorrideva sul serio, con occhi languidi e maliziosi. 
- Vieni qua, stronzo... - sussurrò roco afferrandolo per i glutei e attirandolo a sé. Quando Simon si arrese e gli cinse il collo con le braccia, tornando a baciarlo, Zlatan lo portò verso il letto e raggiuntolo si fermò un istante, gli fece saltare i bottoni della camicia e cambiando posizione lo lanciò sul materasso. 
Simon rise sia al modo brutale con cui gli aveva tolto l’indumento che per come l’aveva spinto, ma indietreggiò strisciando verso il centro del letto mettendosi meglio e non gli staccò gli occhi di dosso mentre si toglieva il resto di ciò che indossava. 
Quando fu nudo, si avventò sbrigativo su di lui non facendocela ormai più. Era in astinenza da troppo tempo.
Simon l’accolse fra le sue gambe aperte, sollevando le braccia sopra la testa in un totale abbandono e Zlatan si immerse sul suo inguine senza remore, afferrandogli le natiche con le mani e sollevandolo a sé mentre lo divorava. 
Sentì le sue mani accompagnare i movimenti della propria testa, le dita fra i capelli sciolti. Quella sensazione gli era mancata forse più del suo corpo. 
Aumentò l’intensità con cui faceva sua l’erezione eccitata di Simon. 
Una sensazione familiare lo investì sentendo che si ingrossava mentre succhiava sempre più forte, ed era deleteria la sua voce in quella piega così erotica mentre chiamava il suo nome chiedendogli di non fermarsi e di continuare. 
Certamente avrebbe continuato, non si sarebbe più fermato. Né ora né mai. 

Solo una volta che aveva iniziato a baciarlo e carezzarlo aveva capito quanto gli era mancato. Ma a dargli alla testa e fargli perdere il controllo fino a farlo delirare di piacere era stata la sua passione, il suo fuoco, la voglia matta con cui si era premuto su di sé, come l’aveva afferrato e stretto contro la sua bocca, come l’aveva divorato risucchiandolo nel desiderio. 
Totalmente fuori di sé, lo implorò non facendocela più: - Ti prego, non resisto più... 
Entrambi avevano un sacco di colpe e sicuramente non sarebbe stato più facile da lì in poi, ma non era il momento di pensarci. 
Si girò in fretta a pancia in giù piegando le gambe sotto. Una volta a carponi, si succhiò medio e anulare e strisciando la mano fra le gambe aperte, si infilò le dita da solo provocandolo come solo lui sapeva fare. 
Sapeva che l’aveva appena fatto impazzire. 
- Zlatan, non ce la faccio... 
Si stava penetrando da solo mentre il compagno dietro lo guardava sconvolto, strofinandosi da solo il membro dopo esserselo lubrificato con la saliva. Era in piedi in ginocchio dietro di lui e lo fissava in quelle condizioni e probabilmente lo stava mentalmente insultando. 
Pensando di finire al manicomio, trovò sollievo solo quando Zlatan gli tolse la mano di prepotenza e si sostituì a lui. Iniziò a leccarlo e ad usare le dita come aveva appena fatto lui stesso e finalmente cominciò a placarsi. Quella follia crescente rallentò lievemente fino a che col suo trattamento speciale tornò ad aumentare insieme alla sua voglia. Lì Simon sibilò esasperato: - Zlatan, scopami subito... 
A quell’ordine, finalmente, gli prese le natiche con le mani, le allargò ed entrò. 
Un unico colpo secco e deciso ed eccolo dentro. 
Simon roteò gli occhi all’indietro sollevato nel sentirlo e poco dopo iniziò ad incitarlo, dicendogli di muoversi. 
Forse era la prima volta che arrivava a certi livelli o forse era tutto esattamente com’era prima, ma a Simon non interessava più. 
Adesso stava di nuovo bene, ora che l’aveva dentro e che lo faceva suo. 


Note: il capitolo poteva anche chiamarsi 'meglio tardi che mai'. Finalmente, a modo loro e con fatica, si sono parlati, perché dire comunicato è decisamente fuori luogo, quel che han fatto loro è al massimo esprimere qualcosa, la comunicazione è ben diversa ma speriamo che riescano a progredire in quel piccolo punto debole nella loro relazione. Intanto finalmente possono godere. È il terz'ultimo capitolo. Alla prossima. Baci Akane