3. CRISTALLINO

zlatoibrahim

Avrebbe pensato che fosse strano sentirgli chiedere una cosa così diretta e personale, perché lui sapeva che quella domanda in realtà non era normale, ma personale. 
Gli avrebbe anche fatto piacere, perché era bello quando Simon si impicciava e curiosava nei fatti suoi, anche se lo odiava quando lo faceva chiunque altro. Nel suo caso, che tendeva sempre a stare al suo posto, gli piaceva. 
Ma quella volta fu diverso, si girò di scatto, del tutto spontaneo ed incontrollato, e lo fissò ancor più torvo di come aveva guardato Brahim tutto il tempo. 
- Che cazzo dici? 
Simon lo guardò sorpreso e lo vide chiaramente trovare conferma a quello che fino a quel momento era stato solo un dubbio. 
“Col cazzo, quello non ha mai dubbi, sapeva bene cosa aveva visto. È strano che si sia impicciato!”
- L’hai guardato torvo tutto il tempo! Era come se lo vedessi per la prima volta. 
Zlatan rimase shoccato dalla specificità di quell’impressione. 
Non doveva nemmeno spiegargliela meglio, era esattamente quello. 
- Sono così cristallino? - chiese poi sgonfiandosi e tornando a girarsi dritto a guardare il soffitto. 
Simon rimase rivolto verso di lui, si mise addirittura sul fianco, poi riprese con un sorriso divertito. 
- Quando mai non lo sei? 
Alzò un sopracciglio irritato. Pensava essere meno cristallino.
- Ma sei tu che mi leggi bene perché mi conosci e sei un osservatore, o sono realmente così aperto? 
Simon parve pensare a quella curiosa domanda, nell’attesa della sua risposta che non arrivava Zlatan si girò sul fianco a sua volta per guardarlo, così finalmente i loro sguardi tornarono ad incontrarsi. Si osservarono a vicenda, uno impaziente e l’altro pensieroso. 
- Non te lo so dire. Forse io leggo un po’ troppo bene, per gli altri sarai sembrato solo con le palle girate. 
Zlatan sospirò, un po’ gli seccava essere capito così bene, ci teneva che i cazzi propri rimanessero tali. 
- Oggi per la prima volta ho pensato al mio ex, l’unico a cui mi sono forse legato davvero. Non ci penso spesso, non ci pensavo da molto, in realtà. E subito dopo è entrato Brahim in spogliatoio e cazzo. Non avevo mai notato che gli somiglia fisicamente. Sai quando vedi uno e sai che ti ricorda qualcuno ma non riesci ad afferrare chi ed improvvisamente te ne ricordi... ed è una persona significativa? 
- Ti sei chiesto come hai fatto a non accorgertene prima? - Simon aveva capito alla perfezione e non sembrava infastidito. Del resto perché avrebbe dovuto? Aveva pensato e parlato del suo ex, ma loro non stavano realmente insieme. 
Non si tradì e non lo deluse, anche se gli sarebbe piaciuto fosse successo. 
- Sì... sapevo che mi ricordava qualcuno, ma proprio lui non so come... come diavolo è possibile che non me ne sia accorto? 
Zlatan preferiva parlare improvvisamente di questo piuttosto che del fatto che sembrava che Simon non ne fosse minimamente toccato. 
- Vi siete lasciati male? È stato doloroso? 
Ma ecco che poi una domanda, fatta sempre come se parlasse di qualche partita o del tempo o di chissà cosa, lo faceva ricredere immediatamente. 
Zlatan lo guardò quasi trattenendo il fiato. 
- Non è mai facile lasciarsi. Fa sempre male. - rispose cupo, non ne voleva parlare. Improvvisamente non voleva parlare di nulla. Simon annuì. 
- Lo capisco. Forse è per questo che non avevi notata la somiglianza. Se non pensi tanto ad una persona perché ti ha ferito, la tieni nascosta dentro di te. Può succedere di non notare le somiglianze... 
Simon sembrava stesse facendo con lui quel che faceva con gli altri e non sembrava lo stesse manipolando per spingerlo a fare ciò che voleva. 
Ovviamente si irritò nel sentirsi trattare come gli altri compagni che avevano bisogno di aiuto o consiglio. Lui non era come gli altri, era lui quello che aiutava. Non aveva bisogno di nulla. 
Ancor peggio fu sentire la sua frase. Con evidente irritazione, aggrottando la fronte ed indurendo l’espressione, sbottò precisando: - Non è lui che ha ferito me, sono io che ho ferito lui. L’ho fatto star male fino a farlo scappare da questo continente, se ne è scappato il più lontano possibile. 
E non glielo chiedeva mica, chi era, il suo ex. Aveva capito che era un giocatore, perché non glielo chiedeva? 
Simon non si mosse, rimase steso sul fianco, il braccio piegato sotto la testa, l’aria totalmente rilassata di chi non se l’era presa e non era irritato o infastidito ed improvvisamente si scatenò la voglia di farlo reagire. Come gli era capitato all’inizio della loro relazione, quando pur di creare una reazione lo provocava malamente. In realtà solo modi per farsi notare e attirarlo a sé. 
- Non credo tu fossi felice mentre la vostra relazione finiva male. - disse solamente, calmo e pacato. 
Zlatan scattò sedendosi sul letto, mise giù i piedi scalzi per terra e fissò torvo Simon come se avesse appena detto qualcosa di brutto. In realtà si stava comportano in modo perfetto e ragionevole e non c’era proprio niente che non andava e questo gli dava ancor più fastidio. 
- Ovvio che non stavo bene, ma è stata colpa mia se è finita e lui è stato più male ed è scappato in Brasile, era giovane, poteva giocare ancora in Europa... è come se si fosse buttato via ed aveva un talento enorme. 
Si rese conto di essersi agitato, stava parlando da incazzato e non voleva, ma sentiva la vena pulsare sulla tempia e vedere Simon rimanere steso come nulla fosse, lo mandò ai matti, così si alzò e andò alla finestra dandogli la schiena. 
Se lo guardava ancora era peggio. 
Aveva addosso solo i boxer, ormai dormiva sempre così. I capelli lunghi erano sciolti sulle spalle e fuori dalla finestra si vedevano i campi di Milanello, era tutto al buio, il boschetto si prolungava tetro intorno allo stabilimento. 
I pugni stretti lungo i fianchi, cercava di respirare a fondo e calmarsi; perché se la prendeva tanto? 
Ormai aveva superato la cosa di Alex, si erano chiariti quando si erano incrociati in Inghilterra, era tutto a posto. Non c’entrava Alex. 
- Dubito che abbia buttato via la sua carriera promettente per colpa tua. Nessuno lo farebbe. Avrà avuto altri motivi. 
La sua voce la percepì sempre calma ma da una posizione diversa da prima. Si era alzato, però rimaneva sempre distante e composto. 
Zlatan prese un altro respiro profondo e scrollò le spalle. 
Era lui ad irritarlo. La sua mancanza totale di interesse. Lo stava trattando come faceva coi suoi compagni problematici. 
- Certo, non guariva più dagli infortuni. Ma era anche depresso. Stava male. Non ne poteva più. Lo facevo stare male. 
Ne era sicuro e per quanto l’avesse superata, non gli piaceva parlarne. L’aveva amato e lui non era uno che amava facilmente, per questo ora sentirsi irritato per la freddezza di Simon non gli piaceva. Si sentiva una bestia feroce in gabbia. 
Proprio quando sentiva il sangue pompargli furioso nelle vene e la voglia di spaccare qualcosa salire, un fruscio silenzioso alle sue spalle e due mani forti, calde, si infilarono ai suoi fianchi, risalirono alla vita e si chiusero dolci e senza paura sul suo petto scolpito. 
La sua bocca si appoggiò sulla spalla nuda, fra i capelli, lo baciò e poco dopo le braccia lo cinsero facendogli sentire il resto del corpo. Sempre il pigiama addosso. 
Solitamente era lui a toglierglielo e probabilmente a Simon piaceva quando lo faceva, per quello se lo metteva sempre. 
Si rilassò immediatamente e ogni senso di frustrazione e voglia di gridare e spaccare, svanì. 
Il sangue si placò così come i propri muscoli. 
Posò le mani su quelle di Simon, intrecciò le dita alle sue prendendole dal dorso e non lo respinse. Era morbido ed avvolgente contro di sé. Piegò il capo contro il suo e si appoggiò. 
Simon spuntò col mento sulla spalla, aderì la guancia alla sua, lo sguardo sulla stessa direzione, il campo sportivo. 
- Fa sempre male lasciarsi, non è mai facile. Si soffre in due. Una relazione finisce per colpa di entrambi. Sono sicuro che quando avrete parlato anni dopo, lui ti avrà detto questo. 
Zlatan rabbrividì nel sentire che ci aveva azzeccato e si chiese se gli leggesse nel pensiero. 
Si aggrottò e dal riflesso sul vetro davanti a loro, lo vide. Lo notò sorridergli attraverso la superficie liscia e trasparente. 
- Ti ho detto che sei un libro aperto. Non sei capace di nascondere quel che provi, sei spontaneo. È bello essere così, a volte mi piacerebbe esserlo, ma nemmeno se mi sforzo, ci riesco. 
- Che tu sappia. - rispose subito Zlatan, lieto di cambiare discorso. 
- Mm? - fece Simon senza capire. 
Zlatan girò il capo verso di lui: - Che tu sappia... non riesci ad essere spontaneo e a farti capire che tu sappia, in realtà ci sono volte in cui ti lasci andare. 
Simon sorrise dolcemente. 
- Davvero mi lascio andare e mi apro e non me ne accorgo? 
Zlatan alzò le spalle e si girò fra le sue braccia sollevando le proprie e avvolgendole intorno a lui. 
- Ogni tanto... 
Non era facile, doveva spingerlo oltre il suo limite con le sue provocazioni, ma poi si faceva leggere. Perdeva il controllo. Era meraviglioso in quei momenti. 
Simon sorrise e si sporse adagiando le labbra sulle sue. Zlatan si godette quel contatto ritrovando la pace e la calma, stranito che Simon avesse tutto quel potere su di lui. 
Di già. 
“Beh, è un anno che scopiamo, se deve trasformarsi in qualcosa, questo rapporto, direi che è ora o mai più...”
Aprì le labbra e lo cercò con la lingua, Simon gli andò incontro e quel contatto riempì di brividi caldi entrambi. 
Eppure rimaneva ancora così difficile leggergli dentro. Possibile che doveva sempre spingerlo oltre i suo limiti e costringerlo a lasciarsi andare e aprirsi? 
Quando si separò da lui e lo guardò in attesa di qualche altra indagine, che gli chiedesse il nome del suo ex o cosa provasse per Brahim ora che l’aveva associato ad Alex, realizzò che Simon non l’avrebbe fatto, così capì che sì, era possibile dover arrivare a certi livelli pur di avere determinate reazioni.
“Ma poi perché?” si chiese mentre apriva bocca sconnettendo nuovamente il cervello.
“Perché mi deve importare tanto ricevere una sua reazione?” 
Rimase qualche istante a pensarci lasciando che i pensieri fluissero alla velocità della luce come fulmini impetuosi che si rincorrono sulle nubi nel cielo. 
“È che non voglio essere solo io a prendermi tanto per lui... finirei come quelli con cui sono stato che si sono presi da me non come lo ero io. Quelli che poi ho fatto soffrire e scappare.”
- Non vuoi sapere chi è? E che farò ora con Brahim? Perché lo guardavo in quel modo? 
No, la sua bocca non poteva proprio saperne di starsene chiusa!

Simon lo guardò meravigliato, spalancando gli occhi come se cadesse dalle nuvole, nel realizzare in modo come sempre limpido e cristallino quali erano i pensieri e le emozioni di Zlatan e non solo. 
“Vuole che io sia geloso ed è ferito perché non lo sono?”
In un attimo si chiese cosa fosse meglio fare per non ferirlo perché non voleva farlo, gli importava di lui, solo che non sapeva esprimerlo. Non voleva fare piazzate, ma come glielo poteva far capire? 
Per lui era così facile aprirsi e mostrare i suoi sentimenti, perché lui non ci riusciva nemmeno se voleva? 
- Se vuoi dirmelo devi essere tu a farlo non perché te lo chiedo io. Non ha senso obbligarti a parlare anche perché se non vuoi non lo faresti comunque...
Disse la prima cosa che gli venne su, ma sapeva che non ne sarebbe stato soddisfatto, lo conosceva. Rimanevano abbracciati appoggiati uno all’altro davanti alla finestra, le rispettive mani allacciate dietro le loro schiene, ma sapeva che tempo quattro secondi e Zlatan si sarebbe sciolto ed avrebbe iniziato a camminare infastidito per la camera. 
- È facile così! Perché non esprimi mai quel che vuoi, che pensi? Vuoi sapere di me e Alex? Perché non me lo chiedi? A me piacerebbe, sai, sapere che ci tieni! 
E così l’aveva detto. Era venuto allo scoperto. 
Simon rimase di ghiaccio, nonostante sapesse cosa provava sentirglielo sparare in faccia con tanto impeto, gli tolse il fiato. 
Zlatan gli sfilò le braccia di dosso. Si sciolse, come da lui previsto, e si mise a camminare per la camera, irritato, come un’anima in pena. 
- Vuoi che io sia geloso? - chiese diretto. 
- No cazzo. Ma lo sei? - poi si corresse battendo allargando teatrale le braccia ed alzando gli occhi al cielo. - Che domande stupide, certo che non lo sei! Non te ne fotte un cazzo! 
Lo vide prendere una maglietta ed infilarsela insieme alle ciabatte, poi senza che lui potesse rispondere e dire nulla lo vide uscire sbattendo la porta. 
Simon rimase fermo a fissarla incredulo e shoccato della sua reazione. 
Quando era successo, di preciso?
Quando Zlatan si era legato così tanto a lui?
Dopo qualche secondo gli andò dietro aprendo la porta sbattuta, ma quando vide che era uscito Sandro dalla stanza accanto a vedere che era successo, gli sorrise imbarazzato e tornò dentro senza dire né tanto meno inseguire nessuno.
Del resto non era nel suo stile. In vita sua non aveva mai inseguito anima viva, non avrebbe di certo iniziato ora, seppure fosse dispiaciuto dell’accaduto. 
“Del resto cosa dovrei dirgli? Come gli spiego che non sono geloso perché ho capito di cosa si tratta? Che so che non prova più niente per il suo ex e che ha pensato a lui perché probabilmente è l’unico che ha amato ed ora inizia a chiedersi se prova qualcosa per me? So che reagirebbe male, si incazzerebbe, negherebbe, litigheremmo e magari finirebbe tutto. Ma perché farla finita solo perché non capisce se proviamo qualcosa? Non andava bene così com’era? Perché complicarla pensando ai sentimenti? Io non lo so se provo qualcosa, ma so che sto bene. È che... è che è difficile far capire a qualcuno che io forse non sono capace di amare perché non l’ho mai fatto. E forse non è difficile da farglielo capire. È difficile quello che ne conseguirebbe dopo. Perché so che la chiuderebbe qua, se questa è la sua reazione ora, se è ferito perché non sono geloso ed io non voglio, non voglio finire questa cosa con lui. Ma i sentimenti non si possono fingere.”
Tuttavia la domanda a cui doveva rispondere era un’altra. 
Era vero che non provava nulla? O semplicemente non sapeva se li provava? 
Perché il non saperlo non significava non provare. 

Era furioso come non ci si sentiva da un po’.
Da quando aveva iniziato quella relazione con Simon si era sempre sentito bene, non aveva mai avuto bisogno di sfogare i nervi, non gli era mai capitato di avere bisogno di scappare. Si era sempre sentito bene, tranquillo. Ora era la prima volta che gli sembrava che nulla fosse più sufficiente e voleva qualcosa che non riusciva a comprendere né ad afferrare. 
Aveva sempre saputo subito cosa voleva e se l’era sempre presa, dritto per dritto, senza nessun riguardo. 
Ora cosa stava succedendo? Quali dubbi erano quelli che lo portavano a chiedersi se gli piacesse Simon più di quanto non gli piacesse lui? 
“Ho solo paura di innamorarmi di nuovo oppure ho paura di innamorarmi solo io?”
Preda di quelle domande che presero a tormentarlo, si ritrovò a girare per Milanello buia e deserta, incapace di sapere cosa potesse fare. 
Il giorno dopo avrebbero giocato e non poteva certo dire a tutti che lui non aveva dormito e quindi dovevano lasciarlo in pace. 
Sbuffò cavernoso andando alla sala del caminetto che ormai, a Maggio, non veniva più acceso. 
Per un momento pensò anche di andare in palestra, ma sapeva che sarebbe stato idiota, doveva conciliarsi il sonno e calmare i nervi, non svegliarsi ancora di più. 
Andò all’area tisaneria e mise su l’acqua nel bollitore per farsene una, cercando nelle bustine radunate nell’apposito contenitore una che potesse andare bene per la sua causa. 
“Mi servirebbe un po’ di valium, altro che ‘tisana della buonanotte’! Buonanotte sti cazzi!”
Prese comunque quella e seccato la mise in uno dei bicchieri grandi di cartone impilati vicino al bollitore, ignorò le bustine di zucchero e sbuffò. 
Accanto al bollitore c’era anche una macchina per il caffè espresso con tanto di capsule, ma di sicuro non era saggio berne uno. 
Rimase appoggiato con le mani ai bordi del ripiano a fissare male il bollitore come se fosse colpevole del suo nervoso. La testa incassata nelle spalle alzate e tese, il piede batteva impaziente. 
Guardava senza vedere né sentire il rumore dell’acqua che si scaldava. 
“Adesso nemmeno mi rincorre perché non è un ragazzino, non rincorre mai, lui. E mi piace questo di lui. Posso avere una relazione paritaria, che cazzo voglio di più? È come diceva quello stupido detto? In amore vince chi fugge?”
Il bollitore scattò indicando che l’acqua era pronta e sbuffò ancora prendendolo per versarla. 
- Ma poi amore che? Chi cazzo è innamorato? 
L’avrebbe negato fino alla morte, naturalmente. 
Tanto sapeva che non avrebbe avuto senso dire il contrario. 
- C’è ancora? 
Una voce alle sue spalle lo fece saltare e con lui per un pelo non gettò l’acqua bollente addosso all’intruso che aveva osato parlargli alle spalle nell’ombra e di soppiatto. 
Brahim si affrettò ad alzare le mani e farsi riconoscere avanzando verso la luce nell’angolo della tisaneria dove erano loro. 
Zlatan imprecò vedendo il suo sorriso divertito per lo spavento che gli aveva arrecato, ma non per quello che Brahim credette. 
- Che diavolo ci fai in giro a quest’ora? 
Brahim, ridacchiando, si avvicinò e guardò da solo nel bollitore, lieto che ci fosse ancora acqua calda la versò in un altro bicchiere. 
- Senti chi parla. - rispose divertito scegliendo un’altra bustina della buonanotte. 
La intinse un paio di volte per poi lasciarla dentro ad insaporire, infine si girò dando le spalle al ripiano, si appoggiò col sedere, incrociò un braccio sullo stomaco mentre con l’altra mano reggeva il bicchiere vicino al viso. Vi soffiava dentro per raffreddarlo, ma la luce alle sue spalle illuminava sufficientemente bene il suo visetto dai lineamenti estremamente latini e deliziosi. Stava sorridendo ancora ironico. 
- Non riuscivo a dormire, all’ennesimo cambio di posizione con sbuffo annesso, Theo mi ha cacciato dalla camera con un calcio dicendo di cercare dei sonniferi o mi faceva dormire lui per sempre! 
Zlatan ridacchiò immaginandolo. 
- E ti ha cacciato proprio quando ho sbattuto la porta? 
- Allora sai d’averlo fatto! - gli sfuggì senza rifletterci, poi si rese conto d’aver parlato troppo e fece una faccia buffa che fece ridere Zlatan.
- Volevi impicciarti dei cazzi miei, vero? 
Brahim probabilmente arrossì, ma lui vide solo un sorriso più accentuato, sfacciato e da monello. 
- È vero che non riuscivo a dormire e Theo mi ha minacciato. Ma sentendo che qualcun altro non riusciva a farlo ho deciso di unirmi alla festa... 
Zlatan scosse il capo e andò a sedersi nel divano, lasciando come unica luce quella dell’angolo tisaneria, flebile e suggestiva, sebbene anche inquietante per via di Milanello di notte. Era strana senza il sole e la gente. 
Lo guardò vestito da una maglia enorme che gli arrivava alle cosce coprendogli i boxer, ma per il resto aveva anche lui solo le ciabatte. 
Gli tornò in mente di nuovo Alex, tante volte dopo aver passato la notte con lui, al mattino girava per la camera con le sue maglie nelle quali navigava. Un paio ce le doveva avere ancora lui.
“Ma le avrà buttate...” 
- Non riesco a dormire. - non gli avrebbe di certo detto che aveva litigato con Simon. 
Brahim sospirando si sedette con lui. 
- Da come hai sbattuto la porta sembrava che fossi incazzato come una bestia... ma litigare con Simon mi sembra una delle tre cose impossibili di questo pianeta... 
Zlatan alzò un sopracciglio guardandolo accanto a sé come fosse un animaletto piccolo a grazioso che si accoccolava accanto a sé. 
- Quali sono le altre due? 
Brahim ridacchiando con le fossette sulle guance più belle che avesse mai visto, mise le ginocchia contro il petto e appoggiandovi il bicchiere sopra, rispose:  - Theo che viene superato in velocità e tu che sbagli un rigore! 
Questo fece ridere spontaneo Zlatan che gettò la testa all’indietro e senza rendersene conto iniziò a sentirsi meglio. 
Quel ragazzino era sicuramente una forza della natura e magari somigliava ad Alex nell’aspetto, ma il carattere era molto diverso. 
Non aveva idea di quanto.