6. DI NUOVO LA FORTEZZA

kjbra

Simon ovviamente aveva notato l’assenza prolungata di Zlatan e non aveva dormito per tutto il tempo, pensando che sarebbe tornato a breve facendo un chiasso egoistico tipico suo solo per riprendere il discorso. 
“Che poi di cosa dovremmo parlare?” 
Zlatan si era arrabbiato per la sua mancanza di gelosia e, probabilmente, in generale di trasporto e sentimento. 
Ma lui era così da sempre ed infatti Zlatan per istigarlo e provocarlo l’aveva fatto uscire di testa stuzzicandolo come un disgraziato, per settimane, appena arrivato. 
Per lui non era facile lasciarsi andare, ne avevano parlato tanto e alla fine erano giunti alla conclusione che non dimostrare non significava non provare ed in ogni caso erano stati estremamente chiari tutti e due. Non c’erano sentimenti di mezzo, solo una relazione libera fatta di puro piacere che sarebbe andata avanti fino a che avrebbero voluto e solo se entrambi sarebbero stati bene. Nessun obbligo, nessuna pretesa. 
“Ha sempre saputo dei miei problemi a vivere i sentimenti, gli ho sempre detto che a parte i miei figli non credo di saper amare, di poter provare nulla. Certo, con lui mi sono lasciato andare un sacco, con fatica e con molte spinte da parte sua. Di tutti i tipi.” sorrise pensandolo. “E mi ha fatto capire che non amavo mia moglie e che quindi insistere nel seguire le regole e fare la cosa giusta senza provare amore era assurdo, perciò ho continuato con lui senza dirle nulla. Perché era importante non farla soffrire e renderla felice. Dirle tutto era un atto egoistico, per scaricarmi la coscienza, ma lei non sarebbe mai stata bene, mai più. Così come i miei figli che sono l’unica certezza della mia vita. Non ho dubbi di amarli, almeno loro. Però con Zlatan... è diverso. Non c’è amore, ma c’è qualcosa di bello. Con lui sono libero di essere me stesso, mi sento rilassato.” 
Ci pensò per tutto il tempo cercando di capire come si sentisse lui e per cosa si fosse tanto arrabbiato, pur sapendo di averci azzeccato e che non poteva che essere come aveva pensato da solo. 
Zlatan era cristallino, non riusciva a tenersi uno stato d’animo per sé e gli aveva già fatto capire in un attimo che lui si stava prendendo e che voleva che anche Simon si prendesse. 
“Però è uno che reagisce male alle cose. Sempre. Figurati ora che pensa di non essere ricambiato. Che poi non lo so se lo ricambio o no. Forse lo ricambio e non lo so, ma non ho nemmeno idea di che diavolo parliamo. Parliamo davvero di sentimenti? E quali? Perché non la smette di mettermi pressione?”
Aspettò il suo ritorno convinto che avrebbero dovuto parlarne per evitare tensioni in squadra che si sarebbero riversate in campo, se non altro per Zlatan visto che lui era bravissimo a compartimentizzare. 
Quando però sentì dei movimenti in corridoio, si fermò a sentire se era lui. Seduto sul letto, notò che stava parlando con qualcuno e che era fermo davanti alla porta accanto, perché le voci erano sommesse e non le distingueva bene, sapeva solo che c’erano. 
“Quella sembra la camera di Brahim e Theo...” pensò increspando la fronte. 
Poco dopo sentì una porta chiudersi e si stese fingendo di non essere lì ad aspettarlo. Tuttavia non finse nemmeno di dormire. 
Non era un bambino, era troppo adulto per certe stupidaggini. 
La porta si aprì e Zlatan entrò, sembrava rilassato ed aveva un’espressione ben diversa in viso rispetto a quella avuto quando era uscito. 
Doveva essersi sfogato, ne aveva parlato? Con chi? 
Theo o Brahim? Entrambi, magari? A parte che non era tipo da confidarsi. 
Simon in una frazione di secondo si riempì di domande, ma quando i loro occhi si incrociarono, Zlatan parlò senza fare finta di non notarlo. 
- Sei sveglio...
- Ti sei calmato? - disse Simon senza peli sulla lingua, cercando di mantenere la calma rimanendo steso per dimostrargli che stava bene. 
Zlatan alzò le spalle ed andò al bagno, ci rimase un paio di minuti e poi uscì. Sembrava essersi lavato, aveva sentito il rumore dell’acqua. 
Simon, ancora steso e sveglio, continuava a fissarlo in attesa di non sapeva nemmeno lui bene cosa. Poi dalla camera accanto, quella di Brahim e Theo, arrivarono le loro voci concitate, sembravano parlare animatamente di qualcosa che li stava divertendo, di sicuro non stavano litigando. 
Simon sollevò gli occhi verso il muro che stava sopra la propria testa, quello confinante con loro. 
- Idiota, a momenti si sente pure ciò che dicono... 
Zlatan brontolò come se sapesse cosa rischiava di sentire. 
Una parte piccola di sé doveva saperlo, ma non c’era verso che lo ammettesse. 
- Ma che avranno da parlare a quest’ora? Lo sanno che domani si gioca? 
Per fortuna non era la prima partita della giornata, ma ugualmente bisognava riposare la notte prima o il senso dei ritiri andava a quel paese. 
Zlatan a quel punto gli lanciò un’occhiata strana, come indagatoria, sembrava sapere di cosa si trattava e sembrava anche che cercasse di capire se c’era dell’interesse in lui. 
“Perché mi fissa così? Cosa dovrebbero dirsi da provocarmi reazioni? Che diavolo aspetta, ora?”
- Zlatan devi dirmi qualcosa? - a quel punto non gli rimase che spronarlo a parlare. Sempre quella piccola parte di sé non voleva saperlo, ma quella razionale agiva in modo perfettamente logico. 
Zlatan finalmente si sedette sul letto, rimase coi piedi per terra, l’aria strana, diretta verso di lui. 
Simon si sollevò sul gomito e lo guardò in attesa. 
Ci pensò ancora, poi appoggiato coi gomiti sulle ginocchia, disse: 
- Noi due non stiamo insieme, vero? 
“Eccolo qua, diretto come sempre. Ci avrà rimuginato per tutto il tempo ed ora l’ha sparato perché vuole mettere in chiaro. Vedrai che dovremo chiudere tutto perché non proviamo o non vogliamo più le stesse cosa. Perché deve sempre complicarsi tutto? Questa cosa era bella perché era facile e libera.”
Si tirò su meglio e si mise a sedere appoggiando la schiena alla spalliera e lo guardò serio, paziente, cercando di non tradire emozioni. 
C’era qualcosa, nell’aria, lo percepiva, ma non era proprio voglia di litigare. Quando Zlatan aveva voglia di litigare c’era elettricità, ma adesso era diverso. Non riusciva a capirlo bene, era sicuro che fosse saturo.
Lo conosceva bene, ormai, dopo un’anno di relazione, di qualunque tipo fosse. 
Era saturo, non ne poteva più, ma di cosa? 
Sperava gliene parlasse, non era di sicuro uno che tirava fuori le parole con le pinze agli altri, a meno che non fossero compagni di squadra normali che avevano bisogno di aiuto. 
- No. Non nel modo in cui si intendono le relazioni normali. Abbiamo un rapporto, ma non siamo una coppia. 
Zlatan lo guardava con cura, aveva uno sguardo molto attento, non feroce, non furioso e nemmeno più arrabbiato. Era attento. 
- Ma che rapporto è? Cosa siamo? 
Simon sospirò stringendosi nelle spalle, distogliendo lo sguardo da lui perché non riusciva a riflettere. 
- Sessuale, come minimo. E libero. Facciamo quello che vogliamo. Quello che ci va. Non ci sono obblighi e doveri. È il rapporto che ci va che sia. 
Zlatan annuì. 
- E basta? 
Simon sapeva che voleva parlasse di sentimenti, ma non l’avrebbe fatto perché non voleva e visto che era Zlatan a pretenderlo doveva farlo lui. 
- Cosa credi che sia? 
Gli rigirò la domanda facilmente e Zlatan si aggrottò infastidendosi. Si raddrizzò nervoso, piegò le labbra all’ingiù e alzò le spalle fingendo che non gliene importasse. 
- Non lo so, per questo te l’ho chiesto. Sono confuso, ok? 
A questo punto Simon si girò meglio mettendo giù i piedi dal letto, per guardarlo bene dritto in faccia. Attento, serio e concentrato a leggergli dentro.
Era stizzito, in realtà, ma ancora perfettamente in controllo. 
- Cosa mi devi dire, Zlatan? 
Perché era così chiaro che doveva dirgli qualcosa che forse non gli sarebbe piaciuto. O forse glielo voleva dire per metterlo alla prova. 
In ogni caso era facile leggergli dentro, era il solito libro aperto.
A quel punto, finalmente, Zlatan lo disse: - Prima ho scopato con Brahim. 
Per un momento il cervello di Simon si spense, come per proteggersi. Fu un meccanismo di difesa: immediato innalzò il suo caro buon vecchio muro di ghiaccio spesso diversi metri, per impedire a Zlatan di vederlo in quell’istante. Vedere le sue emozioni che esplosero improvvise dentro di sé. 
Furono così imprevedibili e impensabili che Simon, di riflesso, fece quel che aveva sempre fatto sin da piccolo fino all’anno precedente, quando aveva cercato di smettere per lasciarsi più andare. 
Cercò un disperato e ferreo controllo per nascondere e mascherare. 
Se gli altri non sanno cosa provi, non possono ferirti. 
Era questo il motivo del suo mascherare col ghiaccio tutto quel che sentiva, ma alla fine questo meccanismo l’aveva confuso fino a fargli credere di non provare realmente niente. 
Ma lì, in quel preciso istante, mentre fissava fermo immobile gli occhi penetranti di Zlatan, Simon capì cos’era la gelosia ed il fastidio. 
Prese un respiro profondo, unico segno di disagio, e con voce piatta, senza ancora muovere nemmeno mezzo muscolo, rimanendo seduto nel letto, disse: - Perché me lo dici? 

Da un lato Zlatan voleva gridare, spaccare tutto e fargli una sceneggiata, gli dava fastidio quel suo tornare dietro al muro di ghiaccio per scappare dalle proprie emozioni e dai sentimenti. Con chi credeva di parlare? Ormai lo conosceva. Sapeva che quando faceva così non era perché non provava nulla, ma era solo per nasconderlo. 
Dall’altro aveva quasi pietà di lui, non nel senso brutto del termine. 
Gli dispiaceva sinceramente e non voleva che si arroccasse nelle sue fortezze di ghiaccio per paura di vivere o di essere ferito od entrambi. Sapeva che faceva così per colpa sua, perché aveva paura di essere ferito da lui. 
Ormai era chiaro, perciò se lo faceva di nuovo, dopo un anno che aveva smesso di farlo, capiva perfettamente che era la risposta che aveva cercato. 
Simon provava qualcosa per lui?
Sì. Al punto da difenderla col suo ghiaccio inaccessibile. 
Così invece di inalberarsi, si calmò del tutto. 
- Perché non capisco cosa siamo, che tipo di rapporto abbiamo, cosa provi tu... a me non sapere cosa provi mi manda in bestia. 
Simon scosse il capo leggermente raddrizzando la schiena e volse il capo di lato, vagò sulla stanza, m probabilmente non la vedeva, sembrava più alla disperata ricerca di calma e parole accettabili da dire. Vide i muscoli del collo tendersi. 
Era furioso. Stava nascondendo questo. 
“Se fossimo in un contesto diverso da questo lo farei scatenare. Credo che gli farebbe molto bene. Vedrebbe che anche se perde la testa ed il controllo, non è un dramma. Finora gliel’ho fatto perdere per attirarlo sessualmente a me, ma forse se voglio aiutarlo davvero dovrei spingerlo ad infuriarsi e fare una piazzata vera e propria, fargli spaccare qualcosa. Però qua, di notte, con tutta la squadra che dorme con noi, come diavolo faccio a scatenare la bestia dei ghiacci?”
- Perciò ha senso andare con un altro, no? 
Era piatto da morire, tagliente e privo di qualsiasi emozione. Lo infastidiva perché sapeva che in realtà era incazzato nero. 
Zlatan, per contro, era calmo. Sapeva d’avere ragione, ormai. 
- Non siamo una coppia, l’abbiamo sempre detto e me l’hai ribadito prima. Perché dovrei consacrarmi a te? Ti ho fatto un favore a dirtelo, per onestà. Perché anche se non stiamo insieme, abbiamo qualcosa di sincero ed onesto. Ma se ti dà fastidio dimmelo e parliamone. 
Simon prese un altro respiro, vide altri muscoli tendersi spasmodicamente, chiuse gli occhi un istante di troppo, poi li riaprì e li puntò gelidi sui suoi. 
- Lascia stare. Hai ragione, non siamo niente. Non mi dà fastidio. Buona notte. 
Con questo si stese di nuovo e si girò verso il muro. 
Non si sarebbe mosso, non avrebbe detto mezza parola. Non senza gridare e fare piazzate che a mezzanotte passata non poteva fare. 
“Se fosse come me, per ripicca andrebbe con il primo che passa, tanto ha una vasta scelta, sarebbero tutti disposti a farsi sbattere da lui... ma lui non è così. Non lo farà mai. Però qualcosa deve fare, non può trattenere ed implodere così. Gli farà solo male.”
Zlatan scosse il capo e sospirando si stese a sua volta cercando di dormire. Alla fine ci riuscì per sfinimento e solo verso l’alba. 


Il mattino successivo, quando si svegliò di soprassalto dopo che la sua sveglia aveva suonato quasi tutta la canzone, si rese conto che Simon era già andato via. Aveva addirittura fatto il letto, cosa che i giocatori solitamente lasciavano agli addetti alle pulizie. Simon l’aveva sempre fatto tranne che quando facevano sesso, in quel caso lo lasciava aperto affinché lo cambiassero, perché gli dava fastidio sapere di tornare a dormire sulle stesse lenzuola. Quando avevano vissuto a casa insieme per il Covid, l’anno precedente, gli aveva cambiato le lenzuola quasi ogni giorno. Aveva saltato solo le volte in cui non l’avevano fatto a letto ma in giro per la casa, ma in quel caso aveva pulito la stanza in cui avevano consumato il misfatto. 
Ricordare brevemente quel bel periodo eppure al tempo stesso difficile e complicato, gli fece uno strano effetto. 
Per un momento si fermò pensando che fosse finita. Un anno di non relazione con Simon probabilmente era il massimo a cui si poteva aspirare specie considerando che era stato il primo ed unico uomo della sua vita. 
Sapeva di essere speciale, ma non lo consolava. 
Si alzò seccato dal letto ed andò al bagno e mentre espletava i bisogni primari, gli venne l’illuminazione che serviva. 
“Se l’ho spuntata l’anno scorso, non vedo perché non dovrei questa volta. L’anno scorso era più difficile, nessuno aveva mai scalfito il suo muro spesso venti metri... nessuno l’aveva mai toccato, io non solo l’ho fatto, ma me lo sono pure scopato in tutti i modi. Ce l’ho fatta una volta, quando era più difficile. Ora non sarà diverso. In qualche modo tornerò ad arrivare a lui.”
Preferì non chiedersi perché ci tenesse tanto a non mollare, semplicemente sapeva di non poterlo fare. 
Forse perché era una di quelle famose sfide che a Zlatan piaceva compiere, che lo tenevano vivo. 


Pieno di buoni propositi ed estremamente positivo e sicuro di sé, raggiunse la squadra al risveglio muscolare che sarebbe venuto prima di colazione. Era al limite dell’orario, non tardi, ma ci sarebbe mancato poco. 
Quando si unì al gruppo in palestra, la prima cosa che fece fu lanciare un’occhiata penetrante ed indagatoria a Simon, quando lo vide parlare e sorridere a Sandro, si irrigidì. 
Non significava nulla, parlava con lui da diverso tempo perché era parte del loro ‘progetto di recupero Milan’. 
Si dividevano i giocatori in base al genere di aiuto che necessitavano. Se era più emotivo e mentale, per problemi caratteriali insomma, ci pensava Simon. Altrimenti se avevano bisogno di essere scossi o tenuti in riga, ci pensava lui. 
Aveva puntato a Sandro da qualche settimana consapevole del potenziale del ragazzo. Con lui stava tanto anche Alexis, che in quel periodo sembrava particolarmente giù di corda. 
Quella mattina, però, Alexis non era con loro e complice la strana nottata che avevano avuto, a Zlatan diede fastidio vederlo parlare così sereno e amabile con lui. Riconosceva quel sorriso. Era quello doveroso, non quello sincero e spontaneo. 
Era sempre bellissimo perché era impossibile che qualcosa sul suo viso fosse brutto, ma non c’era verso di vederci sincerità. 
Era un sorriso costruito. 
“Beh, da un punto di vista se si vendicasse andando con un altro sarebbe un progresso, per lui. Significherebbe che sta diventando sempre più umano. Mi sorprenderebbe, potrebbe anche essere positivo per lui. Peccato che a me manderebbe in bestia l’idea. Giuro che se si fa veramente Sandro, lo smonto.”
Zlatan decise di sospendere qualsiasi mossa con Simon per rimanere a vedere lo sviluppo della situazione e capire le sue intenzioni e fin dove si sarebbe spinto. Del resto capirlo era sempre stato molto difficile e gli ci voleva sempre un po’.