*Simon, in pausa nazionale, si rende conto per la prima volta d'aver bisogno di parlare con qualcuno, ma esisterà al mondo qualcuno in grado di soddisfare le sue esigenze?*

10. BISOGNO DI QUALCUNO

simo chris

Quella mattina stessa Simon aveva salutato Zlatan per la pausa della nazionale che li avrebbe tenuti separati per una decina di giorni. 
Era rimasto molto sorpreso che non tornasse su quella frase a cui non aveva ricevuto risposta. 
Lo conosceva bene, ormai, e sapeva che non diceva le cose tanto per dirle e che se non otteneva quel che voleva, cercava di arrivarci in tutti i modi. Diventava un martello pneumatico. 
Non solo non gli aveva chiesto niente indietro, ma non aveva nemmeno usato uno dei suoi trucchetti di provocazione che finivano sempre per peggiorare le cose. 
Entrambi tendevano a manipolarsi a vicenda, ognuno lo faceva a modo proprio, ma alla fine c’erano sempre scintille. Da quando erano tornati insieme dopo il grande litigio di Maggio, avevano smesso di farlo. 
Né Simon l’aveva fatto in modo subdolo, sottile e mentale, né Zlatan con qualche provocazione delle sue atta ad ottenere determinate reazioni e di conseguenza risposte. Nonostante questo, Simon sapeva che Zlatan non avrebbe mollato e che se gli dava tregua, era probabilmente solo per il tempo della pausa della nazionale. 
Al suo ritorno avrebbe riscosso in modo molto diretto quella risposta. E con diretto, intendeva che gli avrebbe esplicitamente chiesto se anche lui lo amava, che doveva saperlo.
Si era già figurato la scena, non era solo un’opzione delle tante che sarebbe anche potuta non avverarsi, Simon sapeva che era una certezza. 
Sarebbe proprio accaduto. 
Sospirò confuso e sorvolò con lo sguardo sul cielo che aveva lo stesso colore dei propri occhi, mentre l’aereo lo portava in Danimarca, al ritiro della nazionale danese dove si sarebbero preparati per le due partite per la qualificazione ai mondiali. 
Copenaghen a momenti sarebbe apparsa sotto il suo sguardo assente e insofferente, mentre con la mente viaggiava altrove, in Svezia, dove Zlatan era andato a passare qualche giorno prima di ricominciare ad allenarsi a Milanello. 
Non essendo stato convocato in nazionale e comunque venendo da un infortunio, avrebbe approfittato per vedere la famiglia e festeggiare il suo compleanno con loro. Nel frattempo avrebbe continuato con la sua terapia per poi tornare a Milano con il gruppo rimasto. 
La mente di Simon era più confusa che mai, non si sarebbe mai aspettato quello slancio. Avrebbe immaginato che non se lo sarebbero mai detti ed invece ora erano lì con quel fantasma fra loro. 
Non l’aveva mai detto a persone che non erano i suoi figli, non davvero. L’aveva detto per abitudine, perché sapeva che doveva dirlo a sua moglie, ma era consapevole di non averlo mai provato.
Amore. 
Cos’era, dopotutto, l’amore? 
Lui che non aveva quasi mai provato nulla e che se l’aveva fatto, non era mai stato in grado di dimostrarlo né trasmetterlo, ora era lì a pensare che forse, ora, dopo tutti quegli anni, amava. 
“È così? Lo amo? Amo Zlatan anche io?”
Sospirò di nuovo, ma questa volta distolse lo sguardo dal finestrino tondo dell’aereo, chiudendoli infastidito dall’azzurro troppo forte. 
La testa cominciava a fargli male. 
Il compagno di volo accanto, pensando che avesse mal d’aereo, gli chiese se andasse tutto bene e lui fece un lieve cenno d’assenso. 
- Ho mal di testa... - essendo una cosa normale in aereo, l’uomo non insistette e lo lasciò in pace. 
Per una domanda, mille altre venivano a galla insieme ad essa e nessuna risposta concreta. 
Non aveva mai amato, ma ora forse lo faceva. Era la prima volta che si trovava a pensarlo, non era mai successo, anche se aveva finto bene per affetto e per far star bene sua moglie. 
Eppure ora forse amava davvero qualcuno al di fuori dei propri figli. 
Allora era capace di farlo.
E se era capace, cambiava tutto, nella sua vita. 
Tutto. 
Troppo.
In un modo che nemmeno riusciva a comprendere così a pieno, gli ci voleva tempo per capire quanto la sua vita poteva cambiare nel realizzare che era capace di amare. Al di là che quella persona fosse Zlatan.
O meglio, se in quel momento della sua vita amava qualcuno, era sicuramente lui, ma non era certo che sarebbe durato per sempre.
Il punto, però, era che ne era in grado. Poteva amare. 
Dunque aveva senso accontentarsi di una relazione che aveva sempre pensato fosse il massimo che avesse potuto ottenere? Per amore dei figli, certo. Era una cosa importante dar loro l’ambiente più sereno e amorevole possibile. I bambini avevano bisogno del padre e della madre insieme, era una regola universale e lui le seguiva sempre le regole. Quasi sempre.
Da quando aveva incontrato Zlatan, quel ‘quasi’ era sempre stato più un ‘più o meno’. 
L’aveva cambiato in un modo che non riusciva nemmeno a vedere da solo, ma sapeva di essere diverso e sapeva che stando con lui sarebbe cambiato sempre più. 
Simon, però, poteva amare. Poteva provare per qualcuno quel sentimento così forte e assoluto, quello che gli faceva desiderare di stare sempre e solo con lui, che lo faceva mettere al primo posto. 
Ed ora che sapeva amare, come poteva farne a meno?
Come avrebbe mai potuto mettere al primo posto qualcuno che non amava affatto? 
Simon serrò i pugni sui braccioli, con rabbia, attirando di nuovo l’attenzione del compagno di viaggio che però non gli disse più nulla. 
Era tutto bianco o nero, nella sua vita, anche se Zlatan gli aveva insegnato che c’erano le sfumature e lui di quelle sfumature si era innamorato. Ma era capace di colorarsi di sfumature lui stesso, ora? 
Avrebbe potuto facilmente rispondere che l’amava anche lui, ma sapeva che se lo diceva, se LUI lo diceva, non sarebbe stato alla leggera e che quella risposta, quella frase avrebbe comportato un ulteriore significato profondo. Un cambiamento nella sua vita intenso e totale. 
“Prima di tutto sarà meglio capire se lo amo davvero. Se sono in grado di farlo. Se è reale. Cosa diavolo ne so io dell’amore? È normale amare i miei figli, ma non è la stessa cosa. Forse dovrei parlarne con qualcuno, ma la verità è che non ho proprio idea con chi farlo. Maledizione.”
Nella sua vita non aveva mai sentito il bisogno di confidarsi né tanto meno chiedere consiglio. Aveva sempre avuto le idee chiare e anche se aveva avuto dubbi o problemi, li aveva sempre risolti da solo perché era il suo carattere, la sua abitudine. Oppure li aveva ignorati ed era andato avanti dritto.
Sempre stato circondato da un muro di ghiaccio protettivo, non aveva mai avuto il bisogno di nessuno, ma quella volta la questione era troppo importante per farcela da sé e per la prima volta pensò davvero di aver bisogno di qualcuno. 
“Normalmente chiederei a Zlatan, ma di questa cosa non posso parlargliene prima di esserne sicuro. Al di fuori di lui, non so con chi parlarne.”
Tuttavia, una sorpresa che avrebbe ricevuto al raduno della nazionale, a Copenaghen, l’avrebbe aiutato.

Aveva sperato che cambiare letteralmente aria e vedere altra gente, avrebbe potuto aiutarlo a schiarirsi le idee, ma Simon appena aveva messo piede nel centro sportivo dove si radunava la nazionale danese, si era subito sentito soffocare e cupo. 
Nessuno aveva notato la differenza, era apparentemente tranquillo e sereno ed in pieno controllo, coi suoi soliti sorrisi gentili che lo rendevano bello, ma al tempo stesso padrone di sé e delle situazioni che lo circondavano.
Simon sapeva sempre cosa si dovesse fare e trasmetteva questa sicurezza agli altri, per questo era diventato il capitano della nazionale, non solo per numero di presenze ed età. 
Gestiva tutto e tutti con sangue freddo e sicurezza e gli altri intorno a lui non si chiedevano se le sue direttive fossero giuste, le eseguivano e basta risparmiando così le energie per concentrarsi per esempio sul giocare oppure fare qualcos’altro. 
Se Simon in campo ti diceva di marcare un avversario in particolare, loro lo facevano e non si chiedevano se dovessero invece andare su un altro o dove fossero gli altri e cosa succedesse intorno. Loro marcavano quel giocatore e basta e pensavano a farlo al meglio. Il più delle volte si perdeva tempo ad analizzare la situazione, ma soprattutto in difesa non avevi sempre tempo di farlo, dovevi avere una velocità mentale sopra la media per valutare in fretta, decidere cosa fare e farlo, soprattutto bene. 
Giocare con Simon ti permetteva di risparmiarti la fase della valutazione e della decisione, perciò potevi correre a fare direttamente il tuo dovere preoccupandoti solo di farlo bene. 
Il risultato spesso era notevole. 
Si vedeva la differenza di quando lui non era in campo.
I suoi compagni di reparto, sia in nazionale che in club, avevano imparato che questa sua dote di comando permetteva di giocare meglio perché mentalmente più liberi. Non dovevi prendere decisioni, le prendeva lui per te e se erano sbagliate la colpa se la prendeva lui perché di fatto non eri stato tu a decidere dove andare e cosa fare. L’avevi solo fatto. Se l’avevi fatto male era colpa tua, ma se la decisione era sbagliata, non ci stavi male più di tanto e potevi giocare sempre mentalmente libero. 
Negli altri reparti non poteva aiutare, ma lo faceva comunque fuori dal campo con discorsi motivazionali e di concentrazione. Ormai era lui a radunarli e a parlare prima del fischio, una consuetudine portata da lui che non tutti erano in grado di compiere così bene. 
Simon aveva una calma ed una sicurezza che riusciva a trasmettere agli altri. 
Se servivano cariche e calci in culo, per quello il migliore era Zlatan. 
L’ideale era averli entrambi a disposizione, quando non succedeva ma c’era solo uno dei due, qualcun altro cercava di rimpiazzare l’assente, però non era la stessa cosa. 
Da diverso tempo erano diventato questo, Simon e Zlatan.
In nazionale, però, non c’era Zlatan, ma c’era sempre stato Christian e Simon gli aveva sempre lasciato fare quel compito che in realtà si era preso in modo naturale vista la sua predisposizione spontanea. 
Così come Zlatan, anche Christian sapeva caricare e spronare, non usava cattiveria e terrore, però aveva tantissimo polso e soprattutto non aveva paura a gridare, se serviva. 
Senza di lui, Simon aveva cercato di colmare la sua assenza adempiendo un po’ a quel compito di ‘generale di polso’, ma non era proprio nelle sue corde e aveva sofferto la sua mancanza in squadra così come la soffriva quando non c’era Zlatan, il quale comunque faceva in modo di esserci lo stesso scendendo dagli spalti ed infilandosi in spogliatoio per tuonare come un matto. 
Christian essendo stato molto male solo 4 mesi prima, si era preso una lunga pausa per riprendersi e Simon aveva fatto di tutto per colmare la sua assenza, ma alla fine gli era mancato davvero tanto. 
Sapeva che ognuno aveva il suo ruolo e la sua importanza, c’era chi lo era più degli altri ed in quei casi fare a meno di lui diventava davvero complicato. 
Era arrivato al raduno con sentimenti molto contrastanti, da un lato aveva sperato che buttarsi nella nazionale, una squadra che per lui era importante e che aveva altri problemi rispetto al club, oltre che altri obiettivi e giocatori, l’avesse aiutato a distrarsi e non pensare al problema personale più grande in quel momento. 
Dall’altro si era reso conto che anche lì c’erano problemi non indifferenti e che non sapeva realmente come risolverli perché avrebbe potuto solo col ritorno di Christian, o trovando un altro compagno con le stesse caratteristiche, in grado di spronare come faceva lui.
Ma sapeva che era diverso e che l’efficacia di quel tipo di giocatore, quelli come Christian o Zlatan, era non tanto nel carattere e nel saper ‘parlare’ (o meglio tuonare) contro i ragazzi, ma nell’esperienza maturata in carriera, una grande carriera, dove avevano dato prova di essere i migliori e quindi di dover essere ascoltati se non altro per quello.
Al contrario loro, Simon sapeva di non avere lo stesso tipo di carriera, non aveva fatto grandi cose, aveva esperienza e si riteneva un difensore abbastanza decente anche se riteneva di poter sempre migliorare. Ma sapeva di essere diverso e di essere un bravo capitano e di saper parlare ai ragazzi e di concentrarli solo grazie alle sue doti caratteriali. 
Arrivare al raduno con la speranza di stare meglio per distrarsi dal problema ‘amore e Zlatan’ lo fece presto crollare dopo poco. 
Crollò perché sapeva di non saper come rimpiazzare Christian e che era lui quello che realmente mancava alla squadra. Aveva un altro problema a cui pensare, era vero, ma non era un problema facilmente risolvibile. Doveva trovare un’altra chiave che colmasse il vuoto lasciato da lui, un altro sistema e forse dopotutto non aveva una gran lucidità per riuscirci. 
Consapevole che comunque nessuno avrebbe notato ugualmente il proprio stato d’animo appesantito, non si spaventò molto all’idea di doverne parlare con qualcuno per forza e spiegare perché era così frustrato ed insofferente. 
A quel punto si trattava solo di sopportare in silenzio, com’era abituato a fare.
“Non più tanto bene, visto che da quando Zlatan è entrato nella mia vita e mi ha cambiato a forza, ho imparato ad aprirmi e ad esprimere i sentimenti forti che provavo. Rabbia, gelosia, contrarietà adesso gliele mostro, senza fare sceneggiate che non sono nel mio stile, ma tiro fuori, mostro, parlo e devo dire che mi sento molto meglio. Adesso però tornare alla fortezza di ghiaccio abbandonata da tempo, mi fa solo congelare.”
A Copenaghen nella prima metà di ottobre non era un caldo autunno come in certe zone del sud Europa, non era nemmeno un fine autunno freddino come in altre un po’ più centrali. 
Era più un inizio inverno, sebbene per chi fosse abituato al clima del nord, non era poi così fastidioso ed insopportabile. 
Simon, però, nonostante fosse danese, non era mai stato abituato al freddo, non gli era mai piaciuto, nonostante il suo soprannome fosse ‘iceman’. 
Era Zlatan quello scaldinoso. 
Zlatan. 
Simon sospirò chiudendosi la cerniera della giacca con cui si sarebbe allenato, se la tirò su fino al collo cercando di coprirsi al meglio e infilandosi le mani in tasca, incassò la testa nelle spalle. 
Non si rese conto d’aver fatto un gesto che nessuno gli aveva mai visto, ma appena mise piede in campo seguendo il gruppo per cominciare il riscaldamento, una voce da dietro lo fermò. 
Era una voce familiare, chiara, alta e sicura. 
- Ehi, starai mica male? 
Simon saltò sorpreso sul posto e si fermò dall’avanzare, quando si girò e vide Christian, si rese conto di star sorridendo per la prima volta da quando aveva lasciato Zlatan a Milano. 
Christian Eriksen era venuto a trovare i suoi compagni in nazionale, non per allenarsi con loro, ma solo per spronarli in vista degli importanti impegni di qualificazione ai mondiali.
I ragazzi in realtà stavano andando bene e Simon vedeva problemi che per la verità non li difettavano visto come avevano vinto bene le due partite precedenti, quelle di settembre. Ugualmente la sua mancanza lo portava ad essere previdentemente negativo. O forse lo era per via dei problemi personali che stava vivendo.
Forse non aveva nemmeno mai pensato che l’assenza di Christian fosse un reale problema, sebbene fosse molto meglio la sua presenza. 
Forse, in realtà, aveva visto quello come un enorme problema che gli pesava sulle spalle solo perché al momento vedeva tutto nero e buio. 
Simon abbracciò di slancio Christian sorridendo felice, nel farlo si sentì subito meglio e leggero. 
Appena lo fece, realizzò d’aver trovato la persona con cui parlare di quello che al momento lo rendeva la persona più negativa sulla faccia della Terra. 

Christian fece l’allenatore in seconda divertendosi a sgridare i ragazzi, incitarli e motivarli, mostrando loro che stava bene e che presto sarebbe tornato con loro. 
Fu una splendida boccata d’aria fresca che li avrebbe aiutati a mantenere il buon livello raggiunto da qualche mese a quella parte.
Mentre li guardava, i suoi occhi si puntarono in particolare su Simon e gli ci volle davvero poco per capire che aveva qualcosa, ma fu il solo a capirlo perché in effetti all’apparenza sembrava sempre lo stesso a tutti. Freddo, padrone di sé e degli altri, il solito capitano che metteva becco un po’ ovunque, ma che lo faceva con classe e calma senza dar fastidio. Quel genere di persona che vuoi che si impicci, per la verità. 
Mentre lo guardava allenarsi, a Christian vennero in mente gli eventi di giugno che per lui erano appannati ed oscuri dal momento in cui era svenuto fino a quando si era ritrovato sulla barella, trasportato fuori dai medici con l’ossigeno ed il paravento a coprirlo. 
Ricordava di quegli ultimi istanti in campo un’unica cosa. Il sorriso incoraggiante e la mano di Simon sulla sua guancia, mentre proteso fra i medici che lo portavano via, lui si era infilato per dirgli che sarebbe andato tutto bene. 
Ricordava la sua voce, in mezzo al caos, alla nebbia e all’ovattamento che aveva nelle orecchie. 
E ricordava che ci aveva creduto, a quelle parole, perché gliele aveva dette lui, il co-capitano.
Successivamente aveva guardato le foto di quei momenti per colmare il buco di memoria che aveva, ed era rimasto impressionato da quel che le immagini gli avevano rivelato. 
Una roccia, non una persona e nemmeno un capitano come gli altri. 
Simon era stato la roccia di tutti i suoi compagni che persi, terrorizzati e nel panico si erano rimessi in piedi solo grazie a lui, al suo coraggio, al suo incitamento ed al fatto che non aveva mai perso la testa. Aveva sempre continuato a dire cosa fare a tutti, 
In seguito anche altri compagni che erano venuti a salutarlo, gli avevano confermato che Simon era stato incredibile e che se non fosse stato per lui, nessuno sarebbe riuscito a rimettersi in piedi. 
Il panico era dilagato fra tutti, ma lui aveva sempre tenuto il sangue freddo e fatto quanto di utile ci fosse nelle sue corde. 
Gli avevano raccontato che aveva subito controllato le vie aeree mettendogli le dita in bocca per assicurarsi che non si mordesse la lingua, che aveva sempre aiutato i primi soccorritori e che poi all’ingresso della truppa, aveva richiamato i compagni per fare da scudo contro la gente e le videocamere, era stata una sua idea, per proteggere la sua privacy. 
Ma subito dopo gli eventi, una volta che i medici l’avevano ripreso e portato via, nessuno era più stato in condizioni di mettersi a giocare. Lui però era sempre rimasto saldo, incoraggiandoli e tirandoli su, li aveva letteralmente rimessi in piedi. 
Si erano sentiti e rivisti, dopo quei fatti. L’aveva ringraziato molto e mai abbastanza, ma quell’evento aveva come segnato un punto, fra loro. Una sorta di linea che li trasportava oltre l’essere semplici compagni di nazionale. 
Quei fatti li avevano uniti inevitabilmente ed ora che lo vedeva dopo mesi, Christian si rendeva conto che nella sua colonna portante, nella sua roccia granitica, la sua quercia incrollabile, c’era qualcosa che non andava. Cosa fosse, non ne aveva idea, ma non se ne sarebbe andato via di certo senza scoprirlo e aiutarlo. Se c’era il modo di ricambiare quanto ricevuto, non avrebbe esitato. 


Note: È vero che in quella pausa nazionale era venuto Chris non per unirsi agli allenamenti, ma per sostenere la squadra in vista delle partite di qualificazione e c'è stato quel bell'abbraccio fra i due che si conoscono da molto e sono buoni amici. Così ho voluto sfruttare la situazione ed ho provato ad inserire un pezzettino su Chris anche se non entrerà realmente nella serie, è solo un ospite. Alla prossima. Baci Akane