11. UN AMICO DA 100 PRESENZE

chrisimo ibranterade

Dopo gli allenamenti, Simon si lavò in fretta e si concesse del tempo col suo amico, rendendosi conto d’averne davvero bisogno.
Non si erano mai confidati uno con l’altro perché lui in realtà non l’aveva mai fatto con nessuno, ma si conoscevano davvero da molti anni, erano vicini d’età e avevano fatto quasi le stesse presenze in nazionale, significava che era da molti anni che giocavano insieme e che si conoscevano attivamente. 
Come se questo non bastasse, il fantasma di giugno aleggiava fra di loro rendendo necessario quel colloquio più che mai.
Christian quando si era ripreso l’aveva chiamato e l’aveva ringraziato e si sentivano più di prima per messaggi. Aveva fatto molte video chiamate alla squadra tramite lui. Simon si informava sempre sui suoi progressi e su come stesse, dicendo che l’aspettavano.
- Non sarà facile rientrare, sai... - gli disse Christian seduto con Simon davanti al caminetto della sala relax del centro che ospitava i raduni della squadra in casa. 
Erano seduti in due poltroncine messe in semicerchio davanti allo splendido caminetto nero col vetro incassato nella parete centrale, intorno si aprivano una serie di sedute comode, nere anch’esse. 
I ragazzi gironzolavano intorno lanciando loro lunghe occhiate curiose ed eccitate, era bello riavere Christian ed era stato speciale essere ‘allenati’ da lui, ma speravano di rivederlo in campo con loro. Non sapevano bene se sarebbe stato possibile e tutti fremevano per chiederglielo, ma nessuno aveva il coraggio. 
Vedendolo preso in una fitta conversazione confidenziale con Simon, nessuno osò comunque interromperli o avvicinarsi. 
Simon lanciò un’occhiata sorpresa ed i suoi occhi azzurri che fino a quel momento erano stati coperti di ghiaccio, divennero color cielo adombrato da una lieve scrematura di nuvole bianco-grigio. Aveva qualcosa, ma non cercava di tenerlo lontano come aveva fatto con gli altri.
- Perché ne hai paura o perché non ti stai riprendendo? - non aveva mai minimamente pensato che non potesse rientrare, un giorno, infatti l’aveva sempre incitato sicuro che sarebbe tornato. 
Christian sospirò distogliendo lo sguardo dal suo troppo penetrante e lo posò sulle proprie mani unite, chino in avanti, i gomiti sulle ginocchia. 
Simon in una posa simile aspettò fissandolo insistente e lui dopo un po’ si fece coraggio. 
- Finché non ricevo l’Ok del medico del CONI, non se ne parla di riprendere. Se alla prossima visita che è a dicembre non mi danno il permesso di riprendere, dovrò recedere il contratto consensualmente con l’Inter e probabilmente arrendermi. Dopotutto ho un defibrillatore impiantato sottocute... - concluse con un sorriso imbarazzato e di scuse toccandosi con la mano il petto, all’altezza dell’apparecchio citato. Era quasi come se fosse colpa sua ed un grave difetto averlo. Per un calciatore professionista forse lo era davvero.
La sua vita era cambiata drasticamente e dopo aver superato il trauma e la paura di morire, che l’aveva pervaso per molto tempo, era rimasta la delusione del suo sogno di sempre, quello che stava vivendo a pieno regime, che doveva finire prematuramente e male. 
Simon e molti come lui lo incitavano a non mollare e a crederci, ma più avanzavano i mesi, più la paura di non poter riprendere diventava una tragica consapevolezza.
La paura c’era, ma non era chiaro se fosse per il rivivere quanto accaduto in campo a giugno oppure se per dover davvero smettere di giocare a Trent’anni. 
Rialzò faticosamente gli occhi su quelli di Simon ed in quel momento, con un sorriso tirato che non nascondeva tutta la sua fragilità e la sua incertezza, gli chiese piano: 
- E se mi dicono che devo arrendermi e smettere per sempre? 
Simon lesse la paura nei suoi occhi verdi ed istintivamente gli prese le mani che si erano  di nuovo strette fra loro tremando. 
- Non dovrai smettere, vedrai... 
Christian lo guardò smarrito, sentendosi libero di dimostrare ciò che provava realmente, cosa che non aveva ancora potuto fare con nessuno. 
- Come fai a dirlo? Può succedere, devo iniziare a prendere in considerazione... 
Simon non lo fece finire. 
- La guarigione è una questione di testa. Pensa all’effetto placebo. La mente è potente, deve partire tutto da qui. Se tu non ci credi e ne hai paura, non accadrà mai. Magari ci vorrà più tempo di quello che speri, ma non è detto che non accadrà. Magari a Dicembre ti diranno di no, ma a gennaio, febbraio invece che ne sai? Magari ti diranno di sì. Non sarà facile riprendere, ma ce la farai. Però ci devi credere, Chris, altrimenti non avverrà sicuramente. 
Averlo davanti, sentire la sua mano e la sua sicurezza, diede sollievo a Christian che sospirò come se prendesse aria per la prima volta da molto tempo. 
Sorrise timidamente e con gratitudine, vergognandosi di quella debolezza che non avrebbe mai voluto esprimere. Ma sentendosi meglio, alla fine, nell’averla tirata fuori. Dopotutto se non col capitano, con chi avrebbe dovuto? 
- Allora ci crederò. Lotterò per tornare, in qualche modo ce la farò! 
- Basta che tu non abbia paura di tornare ad avere una ricaduta. - lo sparò quasi con crudeltà, come se non avesse un minimo di sensibilità. Christian trattenne il fiato e lo guardò sorpreso, ma lui non era serio o arrabbiato e nemmeno gelido. Era morbido e preoccupato. Si levavano tre anni, ma si erano sempre sentiti coetanei. Dopo tutto quel tempo, potevano dirsi di vedersi quasi come fratelli visto che nessuno dei due aveva mai legato particolarmente con altri compagni. Christian più di Simon di sicuro visto che era rimasto in certe squadre più di lui ed aveva un carattere diverso, ma il legame che avevano loro era differente. 
Christian capì perché glielo diceva e che non era un’accusa od un’allusione, perciò non se la prese e sospirando chinò il capo e sospirò pensandoci con attenzione, poi piegando il capo tornò a guardarlo. 
- Forse un po’ sì, ma credo sia normale. Credo mi rimarrà per sempre la paura di svenire di nuovo, ma la scatoletta qua dentro mi dà sollievo. All’inizio è stato peggio. 
Simon lo ricordava, per quello gli aveva fatto quella domanda, non voleva che in realtà covasse la paura di una ricaduta e per quello non riuscisse a guarire o non si sentisse pronto riempiendosi di paure e blocchi per l’eventuale ritorno in campo.
- Lo so. - si erano parlati molto per telefono in quel periodo ed il loro legame si era ulteriormente rinforzato. Simon era stato la sua roccia, anche se a distanza. - Per questo ti chiedo se in realtà hai paura che si ripeta. Forse sei tu che non vuoi tornare in campo? 
Sarebbe sembrato duro ad orecchie esterne e chiunque altro non avesse un legame come il loro se la sarebbe presa, ma Christian no. Forse erano le mani che Simon continuava a tenergli nella sua con sicurezza, ma gli trasmise il suo affetto e si stupì che riuscisse a dimostrarlo in quel modo così semplice. Simon non ci era mai riuscito. Aveva dato tanto sostegno in tanti modi, ma affetto puro e semplice gli era sempre venuto difficile. 
Da quando giocava al Milan era cambiato. 
- No, io non voglio finire così. Merito di più di un abbandono a 29 anni, nel pieno della mia carriera. Forse non riprenderò mai da dove avevo interrotto, ma non può finire così. Ho sempre voluto fare il calciatore, è tutto quello che ho sempre desiderato. 
Simon a quel punto aumentò la stretta e gli sorrise dolcemente, nel farlo rischiarò le nuvole dall’umore tempestoso di Christian. Gli lasciò le mani e si raddrizzò appoggiando la schiena, osservandolo mentre faceva altrettanto ricambiando il suo sorriso. 
- E tu che mi dici? - fece improvvisamente cambiando drasticamente discorso, come se avesse staccato una spina ed attaccato un’altra. 
D’impatto Simon cercò di innalzare il suo bel muro di ghiaccio come da vecchia abitudine. 
- Io? 
- Sì, che ti succede? - andò subito al sodo, com’era nel suo stile. 
Ecco quello che mancava alla squadra, pensò brevemente Simon sorridendo fra sé e sé. Quello diretto che ti scuote a costo di darti ceffoni. 
Simon soppesò l’idea di mentirgli e nasconderglielo, ma poi pensò che forse lui sarebbe stato adatto e perfetto. 
“E poi mi ha appena detto cose che sicuramente non ha detto a nessun altro. Merita altrettanta sincerità.”
- Ti conosco da almeno dieci anni, abbiamo fatto insieme cento presenze. Ora tu mi stai superando, ma ti raggiungerò presto. - fece con un sorrisino ironico, incrociando le braccia al petto mentre lo fissava risoluto e deciso, proseguendo. - Mi hai salvato la vita, Simon. Anche se pensi di non aver fatto niente di che, io so che ti devo molto. Mi hai infilato le dita in bocca mentre il mio cuore si era fermato, hai controllato che non stessi soffocando, mi hai messo in posizione per i soccorsi e li hai aiutati, hai fatto da scudo umano alle telecamere ed hai consolato la mia ragazza. 
Christian ci tenne a precisare che sapeva bene tutto quel che aveva fatto per lui in campo quel giorno, per non dire tutte le volte successive, quando l’aveva sostenuto a distanza. 
- Voglio sapere che cos’hai perché sono sicuro che hai bisogno di aiuto per qualcosa ma ti vergogni a chiedere o forse sei convinto di dovercela fare da solo. Perché io sono uguale ed ho parlato con te solo ora per la prima volta dei miei dubbi e mi hai aiutato. E sto meglio. Perciò ora tu mi dirai che cosa ti succede o ti smembro pur di scoprirlo. 
Simon rise liberando la tensione da dentro e dal corpo, sciolse le spalle tese e le rilassò ringraziando mentalmente l’arrivo di Christian in quel preciso momento. 
Sì, si disse. Era lui quello con cui parlarne. Non ci sarebbe potuto essere nessun altro. 
Così dopo aver riso ed essersi un po’ rilassato, lo tornò a guardare e con coraggio, parlò facendosi serio.
Ci pensò un attimo più lungo del previsto, ma alla fine della sua lunga pausa, la sua voce bassa e vellutata si levò con una domanda precisa. 
- Come si capisce se quello che provi è amore? 
Dopo averla fatta, si vergognò e arrossì rendendosi conto di quanto suonasse stupida, stava per fare una battuta, ma Christian, serissimo, gli rispose come se non avesse dubbi e soprattutto come se non ci fosse niente di sciocco e imbarazzante in quella domanda. 
- Lo sai. Nel momento in cui ti viene quel dubbio, è già un sì. Soprattutto a te. Non ti verrebbero mai dubbi sulla base del nulla. Se consideri di amare qualcuno, sappi che lo stai già amando. 
Simon chiuse gli occhi un attimo e sorrise senza più imbarazzarsi. 
- Mi conosci così bene che posso fidarmi più di te che di me... 
Christian ricambiò. 
- Hai un rapporto più duraturo del mio con qualcun altro che non siano i tuoi genitori o tua sorella? 
Simon ridacchiò ancora, rendendosi conto che le proprie nuvole ora stavano venendo spazzate via dal suo vento fresco, forte e piacevole. 
- Non credo, in effetti... ormai sono più di 100 partite insieme, no? 
Nessuno dei due le contava più, lo sapevano perché erano stati premiati nella stessa occasione con la stessa maglietta. 
Sorrisero e si strinsero nelle spalle scuotendo le teste nello stesso modo e momento. 
- Ti sei innamorato, Simo? - chiese Christian poi dopo un po’ sempre con un sorriso dolce sulle labbra. 
Simon lo guardò e si fece serio, ci pensò e rimase in silenzio per un po’.
Pensò a Zlatan e al momento in cui gli aveva detto che l’amava e a come aveva voluto rispondergli, a come se ne pentiva e al tempo stesso era concorde con quella scelta. 
- Sono innamorato. Ma non di mia moglie Elina. Pensavo che non esistesse quel genere di amore, per questo mi sono legato a lei con dei figli. Ora però ho scoperto che si può amare, che io ne sono capace. E dopo aver appurato che è amore... - fece un cenno di sorrisino allusivo alla risposta che gli aveva appena dato, con cui però era d’accordo. - partono mille altre domande. 
Christian lo precedette dimostrando di conoscerlo piuttosto bene, nonostante fossero molto diversi. 
- Perché accontentarti di un matrimonio dove non provi amore se puoi avere una relazione dove l’amore c’è sul serio? 
Simon sorrise colpito e denudato, distolse lo sguardo sul fuoco ancora acceso che li riscaldava mite. 
- Sì, una cosa simile. 
Le mani strette fra loro sulle gambe accavallate, il piede a dondolare lieve, nervoso, poi sospirò e scuotendo la testa  tornò a guardarlo cercando di sembrare il più sereno possibile. 
- Non so che dovrei fare ora, con questo amore. Perché prima di ogni cosa vengono i miei figli, ma non ho mai amato così. E non... non so che dovrei fare... 
Non glielo stava chiedendo, non ci riusciva, ma Christian sapeva che era una domanda, quella. 
Lo guardò senza paura, senza distogliere lo sguardo e senza bisogno di pensarci, rispose sempre con la sua tipica sicurezza, tutta quella che non aveva avuto per sé stesso. 
Ricordando, in quella risposta, gli eventi devastanti di giugno che aveva appena citato. 
- Simon, tu sai già cosa fare. Sei la persona più sicura, pragmatica e dal sangue freddo che io conosca. Mentre intorno c’è l’inferno e tutti perdono la testa, tu mantieni la tua e fai esattamente quel che va fatto. Mi hai messo le dita in bocca affinché non mi mordessi la lingua. - era una cosa che l’aveva colpito tantissimo perché il rischio di fare una cosa simile ad uno privo di sensi era che irrigidendosi mordesse l’intruso facendogli male. 
- Perciò sono sicuro che qualunque cosa farai, sarà quella giusta perché non esiste che tu sbagli qualcosa. Perché sai sempre quel che va fatto. Forse ci metterai un po’ più del solito per capirlo e deciderlo, non sarà uno schiocco di dita come a giugno, ma sono sicuro che lo capirai e che qualunque cosa farai, sarà giusta. 
La certezza granitica di Christian colpì Simon che non si era mai visto così sicuro, sebbene sapesse di esserlo. Ma pensò che dopotutto poteva dar credito alla persona che aveva contribuito a salvare, nel suo piccolo. 
Non riusciva a vedere che nebbia, davanti a sé, ma se Christian era sicuro che avrebbe trovato le risposte e che sarebbero state giuste, decise di fidarsi. Gli sorrise e fece un cenno col capo.
- Grazie. 
- Grazie a te, Simo. Non te lo dirò mai abbastanza. 
Nel dirlo, i suoi occhi divennero lucidi di commozione ricordando di nuovo quel giorno di giugno dove per un istante era morto. 
Gli occhi di Simon brillarono allo stesso modo, ma non si dissero più niente, non ce n’era bisogno. 


Era come camminare sul un lago ghiacciato che sai può rompersi da un momento all’altro. E mano a mano che vai avanti, senti le crepe che si aprono, assottigliando sempre più lo strato, rendendolo instabile e facile a rotture. 
Cammini e sai che a breve si romperà e tu cadrai nell’acqua gelata e rischierai di morire, nonostante questo non torni indietro, vai avanti lo stesso. Perché indietro non si torna. Perché è troppo importante andare avanti, a qualsiasi costo.
Devi arrivare nell’altra riva, assolutamente. 
Simon era là, al di là di quel lago ghiacciato che stava percorrendo e le crepe erano sempre più grandi e profonde. 
Ma lui non si sarebbe fermato. 
Nel periodo in cui rimasero separati, si sentirono normalmente, ma non fecero cenno di parlare di quel certo argomento.
Zlatan sapeva che non l’avrebbe mai fatto per telefono, tuttavia il non sapere la sua risposta, quel silenzio in merito, il suo far finta di nulla a cui di solito era abituato, ora gli stava pesando molto. Troppo. 
In un modo che non avrebbe pensato. 
“Non ce la farò mai ad aspettare il suo ritorno.”
Divenne sempre più un’anima in pena tanto che nessuno osava più parlargli e dirgli nulla.
Una volta tornato a Milano, riprese gli allenamenti con la squadra anche se i suoi furono leggermente diversi dagli altri per un po’, dovendoci andare piano per l’infortunio. 
Ma la sua testa era sempre lì. 
Simon gli parlava come sempre e non dava cenni di voler troncare o fare la sua tipica fuga, però lui sapeva che l’avrebbe fatta. Lo conosceva.
Era cambiato, era vero, ma quella cosa era grossa. 
Non gli aveva risposto subito, sicuramente gli avrebbe chiesto del tempo per rifletterci, perché se pensava che gli avrebbe permesso di continuare a far finta di nulla, si sbagliava. 
“Dovrà rispondermi appena rimette piede a Milano o lo uccido. Questa volta davvero.”
La goccia che fece traboccare il vaso fu il quasi litigio con Ante. 
Per una sciocchezza, poi.
Un’entrata troppo dura nella partitella che aveva per poco fatto infortunare di nuovo Zlatan, uno degli ultimi giorni della pausa delle nazionali. 
A breve gli altri sarebbero rientrati e lui era sempre più elettrico. 
- Ma cazzo Ante, ti sembra il modo di entrare?! - tuonò duro Zlatan rivolto al suo amico. Ante non ci pensò nemmeno un secondo, non rifletté che fosse strano si rivoltasse così con lui, gli andò subito a muso altrettanto duro, non fisicamente, ma solo verbalmente e a distanza. 
- Le fai anche tu, quelle entrate! 
Nessuno gli aveva risposto in quei giorni, era scattato con tutti, ma solo lui, naturalmente, gli era andato contro. Giustissimo. 
Rade sentendolo aveva spalancato gli occhi e gli era andato subito dietro sapendo cosa sarebbe successo dopo. 
Infatti appena risposte, Zlatan gli andò davanti impettito, infuriato come se gli avesse fatto chissà cosa, come se lui non fosse Ante, un compagno di squadra e amico, ma un avversario sconosciuto. 
- Sono appena tornato da un infortunio e questa è una partitella d’allenamento, ti sembra uguale?
Non aveva torto, ma la verità era che il suo intervento non era stato poi così pericoloso, solo che Rade si guardò bene dal dirglielo e mettendo le mani sulle braccia di entrambi, tentò subito di mettere coraggiosamente pace. 
Ante stava per partire a sua volta, Zlatan o no, nessuno poteva rispondergli così. 
- Non ti ho fatto niente, non ti avrei mai preso! 
Di fatto non era successo, ma avrebbe potuto. 
- Perché ho saltato! 
- Perché non ti volevo prendere! 
- Ragazzi, basta... - tentò con un filo di voce spaventato Rade. Voleva sparire, altro che stare nel mezzo dei titani. 
Il fischio prolungato di Pioli arrivò a porre fine all’allenamento, intimando loro di farsi una doccia fredda ed avvisando che non voleva rivedere una cosa simile. 
I due smisero di litigare e si separarono andando nella stessa direzione come se fossero due perfetti sconosciuti.
In mezzo un Rade che avrebbe preferito trovarsi altrove. 
In un posto molto, molto, molto lontano. 

Solo quella sera Zlatan andò a casa di Ante dove ovviamente c’era anche Rade.
Quando suonò il campanello e se lo ritrovò lì, per un momento ci fu il gelo, ma non di quelli inquietanti che si formavano con Simon. Era un gelo pericoloso, di chi presagiva uno scoppio mondiale. 
Zlatan aveva i capelli legati in una coda bassa un po’ sfatta, il giubbotto di pelle addosso aperto sul davanti, il casco della moto con cui era venuto in una mano che poggiava sulla coscia, l’altra dietro lo stipite della porta, nascosta alla sua vista. Ante aveva appena consumato con Rade il primo round e si era messo solo i pantaloni della tuta, sotto era senza boxer e non si era preoccupato di rimettersi una maglietta. 
Si guardarono per un po’ sulla porta prima di muoversi e dire qualunque cosa, seri e silenziosi uno davanti all’altro, poi Zlatan sollevò la mano nascosta mostrando una confezione di bottiglie di birra da sei e con una serietà da funerale, disse: - Posso? 
Ante capì che quelle erano le sue scuse, così le accettò e sotterrò il coltello facendolo entrare.
A Rade venne un colpo vedendo Zlatan in casa senza spargimenti di sangue; il ragazzo aveva avuto quei minuti in più per rivestirsi del tutto in fretta e furia, ma si fermò guardandoli sul chi va là, temendo per un momento di assistere alla seconda parte dello scontro fra titani sfiorato quel giorno a Milanello. Poi notò le birre e capì che Zlatan era lì per scusarsi.
O meglio, sfogarsi. 
Se Zlatan veniva a casa di qualcuno o era per rimproverare, o per aiutare a modo suo oppure per sfogarsi, ma quella terza opzione non si era mai verificata, tuttavia suppose che fosse il momento fatidico. 
Era chiaro che avesse qualcosa, di cosa si trattasse, lo ignorava totalmente.
Con Simon gli era parso le cose andassero bene, ma ora che erano separati per la nazionale, forse era più nervoso per questo. 
Zlatan si sedette sulla poltrona, postazione che di solito preferiva ovunque andasse, Ante e Rade si misero nel divano. Ognuno si prese una birra che fortunatamente non schizzarono avendole trasportate nel sedile della moto, infine nel silenzio più imbarazzante e teso mai subito, iniziarono a bere. 
Nessuno pareva intenzionato a dire nulla per primo, Rade era coraggioso ma non fino a quel punto e secondo Ante spettava a Zlatan la prima parola. Del resto era lui venuto lì per un motivo, mica solo per bere in silenzio e fissarli truce.


Note finali: Eriksen va davvero a salutare la nazionale danese, ma nel raduno di novembre, non di ottobre. In realtà l’ho scritto a caso per necessità di copione, poi però informandomi ho visto che era andato davvero in autunno, ma il mese dopo. Tuttavia ho deciso di lasciare così. Anche i dettagli sulla sua salute e sul suo cuore in quel periodo sono veri perché poi Christian ha ottenuto il permesso di giocare di nuovo solo dopo, nel frattempo l'Inter era stato costretto in un certo senso a recedere il contratto. In quel preciso istante era ancora tutto incerto in quanto aveva ricevuto solo divieti. I nervi di Zlatan in allenamento sono famosi, i suoi compagni parlavano di questi momenti di terrore che se aveva le palle girate se la prendeva con tutti, ma poi quando passava era un amicone demente e ci ridevi un sacco insieme. Alla prossima, spero di non fare più tardi, comuquue nella mia pagina su FB cerco di avvertire se ho ritardi (non di ciclo grazie a Dio). Alla prossima. Baci Akane