12. LUI È DIVERSO

kjbra

Era difficile, molto difficile.
Forse sarebbe stato più facile ingoiare un rospo o qualche altro animale orribile.
Però sapeva d’averne bisogno, non poteva litigare con tutti, specie gli amici. 
Arrivato a metà birra, si decise. 
- La notte del mio compleanno, mentre tutti trombavate ovunque, io ho detto a Simon che lo amo. Mi è scappato, non era programmato. Ma lo penso davvero. 
Silenzio. 
Era stato difficile già solo dire questo, figurarsi il resto. 
Inghiottì un altro sorso strofinandosi le labbra indeciso, mentre non si sentiva nemmeno vagamente meglio. 
Gli occhi fissi per terra, come a ricordare quel fatidico momento che riviveva dalla notte del 3 ottobre all’infinito. 
- E lui non ha risposto. 
Ed ecco la parte peggiore. 
Appena lo disse i ragazzi spalancarono gli occhi sorpresi, più di quello che del fatto che gli avesse detto che l’amava. 
Forse se l’aspettavano, forse per loro era ovvio che lo amasse. Probabilmente era più shoccante sapere che Simon non aveva risposto. 

- Vuoi che gli chieda io cosa prova? - 
Ante non ci aveva riflettuto molto, aveva solo cercato qualcosa di utile per aiutarlo ed aveva trovato quello, ma Rade alzando gli occhi al cielo esasperato intervenne acido: - Davvero ti sembra una buona idea intromettersi fra questi due? 
- Uno di questi due è presente, non fare come se non ci fosse... - brontolò Ante seccato e nervoso per il litigio con Zlatan; era passato, però non gli era piaciuto. 
- Vorresti che qualcuno si intromettesse nelle nostra faccende private così? 
A quel punto finalmente Ante capì e scosse il capo guardando Zlatan ancora straordinariamente zitto e depresso. 
La rabbia che l’aveva alimentato in quei giorni, era improvvisamente scemata ed ora arrivava la fase della depressione. 
Le altre fasi non le ricordava, sapeva solo di quelle. Forse c’era la negazione?
Ante non lo sapeva, però sospirò insofferente nel non poter aiutare il suo amico. 
- Vuoi che tiriamo di boxe? 
Pensò dunque alla seconda cosa che poteva aiutarlo, sempre provando a mettersi nei suoi panni e finalmente Zlatan fece un cenno che non seppe interpretare, ma scivolò col sedere in avanti, allungò le gambe tenendole larghe e appoggiò la testa all’indietro, fissando il soffitto come in una seduta dallo psicologo. 
La birra in una mano, sul bracciolo, l’altra sulla fronte. 
Iniziò a scuotere la testa, come a scrutare nel turbine tempestoso della sua mente le svariate cose che voleva dire e finalmente ne scelse un paio. 
- L’ho detto solo una volta, in vita mia. E amavo davvero. Ma ho fatto un casino perché ero una testa di cazzo ed è finita male. Adesso non volevo dirglielo, perché lo conosco e so come farà. Volevo che tutto rimanesse com’era, funzionava bene. Lo amavo, non glielo avrei mai detto e sarebbe andato tutto bene. 
Rade si fece coraggio sentendo il bisogno di chiarire un punto essenziale per provare eventualmente ad aiutarlo. 
- Ma ti ha dato l’impressione di essere contrario? Ha reagito male? Insomma, perché pensi che andrà male? 
Era chiaro lo pensasse. 
Zlatan continuò a parlare senza guardare nessuno se non il soffitto. 
- No, non ha detto nulla. Non ha risposto, non si è irrigidito, non se ne è andato, non ha fatto nulla. Ha fatto finta di niente. È questo, capisci? Ok, ti ho preso alla sprovvista, forse non hai mai pensato se mi ami o no, ma non provi a dire nulla? Nemmeno un ‘fammici pensare’? 
- È una risposta di merda comunque... - sottolineò senza tatto Ante. Zlatan annuì, ma continuò allargando insofferente e nervoso le braccia, sempre rimanendo mezzo steso sulla poltrona. 
- Sì, ma sarebbe stato qualcosa! Se ti dice che ti ama e non ve lo siete mai detti né ci hai mai pensato, che fai, non dici nulla? Fai finta di niente? 
Zlatan aveva puntato infine lo sguardo truce su Ante e lui si era stretto nelle spalle. 
- Io gli ho risposto ‘oh cazzo!’ - disse sincero e schietto ricordando com’era andata quell’estate, quando Rade gli aveva romanticamente detto che l’amava. 
Rade rise ricordandolo e Zlatan si sollevò con la schiena mettendosi in avanti, sempre con le braccia larghe, teatrale. 
- Lo vedi? Qualcosa dici! 
- Ma io e lui siamo diversi... - a quel punto Zlatan guardò d’istinto Rade pensando fosse più simile a Simo, ma Ante lo precedette: - Anche lui è diverso. È dolce, sensibile e sentimentale. Nessuno... - si fermò e ci pensò meglio, poi continuò con aria di scuse: - nessuno è come Simon.

Ed era questo il punto, Zlatan si afflosciò di nuovo sentendoglielo dire e concordando. l’aveva capito bene, Ante. Era andato dritto al punto. 
- Lo so. - sussurrò piano e roco tornando a buttarsi all’indietro, bevve il resto della birra e la tenne nella mano rigirandosela pensieroso, fissandola male. 
- Ma è per questo che lo amo. È così diverso da chiunque altro. 
Non notò il sorriso dolce di Rade e quello accennato, ma decisamente intenerito, di Ante. 
In quel momento di dolore sordo, c’era solo il viso di Simon che gli pareva fosse proprio lì con lui. 
- Lo amo... - ripeté a ruota libera. Gli altri non lo interruppero capendo che ora aveva bisogno di togliere i freni. 
- Ed ora ho paura che tornerà e mi chiederà del tempo per capire se mi ama ed intanto passerà un sacco ed io mi incazzerò, litigheremo, rovineremo tutto, non sarà come prima. Non so, forse è vero che non è capace di amare. Sostiene questo. Ne è convinto. 
- Lui pensava che se mi avesse amato, mi avrebbe rovinato. Perché rovina sempre tutti quelli che gli stanno vicino. Come uno di quegli eroi del cinema. - disse Rade in modo un po’ scanzonato di proposito, Zlatan abbassò lo sguardo sull’amico che gli sorrideva mentre Ante faceva una smorfia in direzione del suo ragazzo. - Ma eccoci qua. Mi ama, stiamo insieme. Me l’ha detto e va tutto bene. Sono ancora vivo. 
Zlatan alzò le spalle senza capire cosa c’entrasse con lui ed il suo problema. 
- Sono contento per voi, ma Simon è diverso. 
- Sì, però Ante era convinto di non potermi amare, ma alla fine si è arreso. Pensi che sia meno testardo? 
Zlatan su quello dovette convenire con lui, scosse la testa ammorbidendosi, mentre lasciava uno spiraglio per far entrare la positività di Rade. 
- Non so, adesso vedo tutto nero. Questo suo silenzio mi sta facendo impazzire. Preferivo mi dicesse che non mi ama ancora, non so... non resisterò, farò fuori qualcuno! 
A quello, Ante gli aprì un’altra birra sostituendola a quella vecchia che prese dalla sua mano. Zlatan accettò senza fare storie, ma non bevve subito. Continuò a fissare il soffitto abbattuto. 
Era la prima volta che si sentiva vicino ad una sconfitta, di solito combatteva sempre, non era capace di arrendersi, ma ora era diverso. 
Ora Simon gli stava prosciugando ogni energia, ogni forza, ogni combattività.
Non voleva rivederlo per litigare, sapeva non ci sarebbe riuscito. Probabilmente avrebbe addirittura finito per piangere. 
Come si faceva ad amare così? Com’era possibile gli fosse successo di nuovo? 
Non sapendo più cosa dire, bevve ancora, ma non aiutò, così mise giù la bottiglia mezza piena e si premette i palmi sugli occhi strofinandoseli.
Amare era davvero terribile. 


Era una bella giornata, il sole splendeva alto e non c’erano nuvole. La temperatura era piuttosto elevata per essere metà ottobre a Milano e Simon uscendo dall’aeroporto trascinandosi il trolley, prese un respiro a pieni polmoni guardando il cielo terso. Si mise gli occhiali da sole e seguendo le istruzioni date da Zlatan, andò dove gli aveva detto. 
Sapeva che non poteva aspettarlo in mezzo agli altri, per non farsi riconoscere lui poteva anche camuffarsi con un cappellino e gli occhiali scuri e quella benedetta mascherina che per viaggiare dovevi ancora indossare, ma Zlatan non passava inosservato facilmente, di conseguenza aveva apprezzato la sua mossa discreta di attenderlo fuori dall’aeroporto, in una zona più nascosta e meno in vista.
Lui, di contro, aveva scelto un volo di ritorno in un orario meno di punta possibile. 
Due erano le opzioni, o mattina prestissimo, oppure ad ora di pranzo. Aveva scartato la notte perché non gli piaceva viaggiare di notte. 
Zlatan gli aveva chiesto quando sarebbe arrivato e gli aveva detto che sarebbe venuto lui a prenderlo, così Simon aveva solo potuto avvertire Elina che sarebbe tornato di sera, mentendo spudoratamente sull’orario del suo volo. 
Ormai gli riuscivano benissimo, le bugie. 
Simon sorvolò con lo sguardo cercando una delle sue macchine sportive che non erano né poche, né discrete. 
“Almeno ha scelto un posteggio vuoto...”
Tuttavia non trovando nessuna delle sue macchine, si fermò assottigliando lo sguardo perplesso. 
Gli aveva detto quel posto, ne era sicuro. 
Quando si tolse gli occhiali scuri e si abbassò la mascherina vedendo che nei dintorni non c’era nessuno, sentì un fischio familiare e girandosi in sua direzione, gli mancò il fiato e, probabilmente, un battito. 
Zlatan era sotto un albero grande al limite di quel parcheggio secondario poco gettonato perché un po’ più lontano dall’aeroporto. 
Sotto l’albero, c’era lui appoggiato alla sua Harley Davidson. 
La moto da strada era grande, coi tipici manubri alti su cui c’erano i due caschi, il serbatoio e le parti metalliche erano tutte bianche, mentre il sedile comodo allungato era in pelle nera e sopra era seduto lui di traverso, più bello della moto stessa, con le gambe allungate in avanti, incrociate, le braccia conserte.
Non aveva tanta passione delle moto, ogni tanto aveva provato a convincerlo a fargli fare un giro, ma non si era mai convinto a farlo e su quello non l’aveva mai spuntata. 
Arrivandogli davanti, si fermò a qualche metro, ridendo e scuotendo la testa, una mano a tirare il trolley, l’altra appoggiata al fianco in segno di rimprovero. Ma non era davvero arrabbiato, perché vederlo lì in quel modo, con la sua giacca di pelle nera, i jeans strappati, i capelli sciolti sulle spalle e gli occhiali scuri, gli aveva fatto perdere il fiato ed i battiti. 
In quel preciso istante aveva trovato la risposta tanto agognata, improvvisamente vedendolo così non fu più un dubbio, ma solo una certezza. 
“Lo amo.” pensò deciso Simon, senza nemmeno spaventarsene. Forse fu la mancanza di dieci giorni, forse fu il suo aspetto particolarmente bello con la moto che gli si addiceva un sacco, ma Simon non ebbe più esitazioni, in merito. 
- E dove pensi di mettere il mio trolley? - gli chiese poi avvicinandoglisi e abbassando il braccio in segno di resa. 
Zlatan gli sorrise, ma non radioso e divertito come se lo sarebbe aspettato. Era un sorriso strano. Aveva qualcosa, lo capì subito. 
- Pensavo di abbandonarlo sotto quest’albero e di ricomprare tutto dopo... - rispose facendosi serio, senza staccarsi dalla moto. 
Simon rise infilandosi gli occhiali da sole nel colletto della maglia che spuntava da sotto la giacca aperta, lasciò il manico della valigia a mano e incastrando le gambe divaricate alle sue incrociate per la posizione appoggiata alla moto, gli sfiorò il bacino, infine gli tolse le lenti scure per guardarlo negli occhi. A quel punto il suo sorriso si fece più attento e indecifrabile perché tentò di leggergli nelle iridi castane, calde come sempre anche se quel giorno più cupe. 
- Mi sei mancato. - disse invece Simon in risposta. Non lo baciò sebbene non volesse fare altro che quello, ma sapeva che anche se non c’era nessuno nei paraggi, il rischio di essere visti era comunque alto, ma non ne poteva più di quella separazione. 
Non sapeva cosa fare con sua moglie e nella sua vita in generale, ma su di lui, ora più che mai, aveva le idee chiarissime e voleva solo abbracciarlo, baciarlo e dirglielo. Scalpitava, dentro di sé, ma per fortuna riusciva ancora a trattenersi. Con fatica, ma ci riuscì. 

Zlatan rimase sorpreso del gesto comunque rischioso, gli si era quasi appoggiato addosso e togliergli gli occhiali era particolarmente intimo. 
Un moto di gioia iniziò a vibrare nel buio della sua notte interiore. 
Simon era diverso da come era partito, forse aveva trovato le sue risposte e forse potevano stupirlo. 
O, magari, gli mancava così tanto che lo vedeva talmente bello da non distinguere bene la realtà dal proprio desiderio. 
Con quel cappellino nero con la visiera in testa, gli occhiali scuri e la mascherina nera che aveva prima, era bello, ma quando si era tolto due pezzi su tre e gli aveva sorriso mostrando i suoi occhi azzurri ed il suo viso splendido, lo stomaco gli era andato sottosopra.
Non aveva mai avuto dubbi sul fatto di amarlo, non da quando l’aveva realizzato. Ma ora stava diventando impossibile tenerselo per sé. Infatti non ce l’aveva fatta.
Era convinto che Simon avrebbe fatto marcia indietro o sarebbe scappato, tuttavia non riusciva a mettere le distanze preventivamente. 
Zlatan si lanciò un’occhiata intorno, stava per mandare tutto al diavolo prendendolo per la vita e attirarlo a sé baciandolo, ma la macchina che aspettava finalmente arrivò, così dovette lasciar stare consegnandogli il secondo casco. 
Non gli rispose che gli mancava anche lui, probabilmente dalla propria bocca sarebbe uscito l’ennesimo ‘ti amo’. 
L’unico collaboratore di cui si fidava ciecamente, era una sorta di aiutante tutto fare, oltre che agenda umana. 
Era un assistente personale, passavano tutti da lui, era il suo filtro vivente e se doveva chiedere dei favori discreti, lui era l’unico a cui si affidava. 
Non sapeva niente dei suoi affari privati, non quelli a cui teneva più di ogni altra cosa, ma sapeva che non c’era da preoccuparsi. 
Non avrebbe mai baciato Simon davanti a lui, ma fargli sapere che erano così amici da prendersi all’aeroporto, non erano problemi. 
L’uomo intorno ai quarantacinque anni scese dalla macchina nera, vestiva formale sebbene stesse facendo un favore fuori dai suoi doveri. 

Simon fece un passo indietro vedendolo arrivare e capì il piano di Zlatan, sorrise al collaboratore che aveva già visto in alcune occasioni, lo salutò e lasciò che gli prendesse la valigia. 
- Dove la lascio? 
Simon si strinse nelle spalle non sapendo come fargliela recapitare a casa senza destare i sospetti della moglie, così Zlatan rispose al suo posto. 
- Da me. Gliela farò avere io in qualche modo. 
Simon sorrise ringraziandolo formalmente, mentre nella sua testa si domandava come avrebbe fatto al lato pratico ad arrivare a casa senza valigia. 
“Potrei inventarmi che l’ho persa, succede spesso viaggiando in aereo...” 
Mentre lui elaborava velocemente problemi e soluzioni in una maniera pratica che non lo sconvolse vista l’abitudine con cui ormai lo faceva, il collaboratore li salutò di nuovo gentilmente e se ne andò lasciandoli lì. 
Simon così piegò il capo di lato sorridendo mentre chiudeva un occhio alla ricerca di qualcosa nel suo compagno, qualcosa che cercava di nascondergli ma che lo faceva proprio male. 
- Mi hai fregato, eh? - finse di rimproverarlo, mani ai fianchi, finto arrabbiato, un bel sorriso rilassato sul volto. 
Zlatan sogghignò, era ancora poco spontaneo, ancora teso a mascherare il suo reale stato d’animo. 
Si staccò finalmente dalla moto e prese uno dei due caschi, erano di quelli aperti sul mento, tipici per chi usava le moto da strada. Gli andò davanti e gli mise il casco come se fossero al sicuro. Glielo allacciò sotto il mento e Simon lo lasciò fare, nel mentre gli scrutò a fondo gli occhi concentrati sulle fascette che gli stava assicurando. 

Zlatan, finendo, sollevò lo sguardo sul suo. Simon ancora sorrideva, ma meno radioso, più circospetto. 
Lo stava studiando. Sapeva che aveva qualcosa e voleva farglielo dire, ma sapeva che si trattava di quell’argomento di cui non avevano ancora parlato. 
Sapeva anche che ora toccava a lui e che l’avrebbe portato nel posto migliore per farglielo dire. 
Voleva baciarlo, ma si ricordò per miracolo di essere ancora in aeroporto e così gli prese gli occhiali scuri facendoglieli mettere, poi gli alzò la cerniera della giacca. 
- Pronto per il tuo primo giro? 
Simon fece una mezza smorfia, rimanendo però come sempre calmo. 
- Non so... 
Zlatan si fece indietro per prepararsi a sua volta, infine salì in moto per primo muovendola giù dal cavalletto, avanzò di qualche passo e indicò a Simon di mettersi dietro. 
Simon, per nulla convinto e non di sicuro al settimo cielo, si prese alle sue spalle e gli salì dietro aderendo il più possibile a lui, poi gli mise le braccia intorno alla vita stringendo più del necessario e Zlatan sogghignò spontaneo per la prima volta da quando era lì. 
“Non glielo dico mica che dovrebbe appoggiare le mani sul serbatoio davanti perché potrebbe darmi fastidio. Si sente che ha un sacro terrore, ma da bravo iceman deve far finta di nulla. Adesso mi diverto un po’!”
Accese il motore che rombò, accelerò un po’ prima di partire e mentre sentiva che Simo rafforzava ulteriormente la presa delle braccia in via preventiva, Zlatan sorrise più felice e partì forte di proposito. 
Quando il compagno dietro si acchiappò quasi soffocandolo, appoggiando tutto il suo corpo al proprio, compresa la testa sulla sua schiena, Zlatan si sentì finalmente bene. 
Forse sarebbe stato l’ultimo momento, forse dopo quella corsa gli avrebbe detto che non sapeva ancora se l’amava e avrebbero litigato, ma intanto si sarebbe goduto quella corsa con lui.
Il vento in faccia, il sole, la moto, il rumore del motore e Simon abbracciato a sé, terrorizzato e ben stretto. 
Quella corsa se la sarebbe goduta tutta. 

A Simon venne un colpo, sulle prime. 
Si strinse a Zlatan di riflesso per poi rendersi conto che in realtà non era poi così tanto male, in realtà. 
Suo malgrado, pur potendo allentare la presa, era rimasto attaccato a lui come una seconda pelle, unendosi al suo corpo forte e sicuro da dietro. 
Scivolò volontariamente in avanti fino ad attaccare il bacino al suo sedere, le braccia cinsero con forza la sua vita a doppia mandata e con tutto il busto aderiva totalmente alla sua schiena. 
Gli occhi chiusi mentre la testa col casco appoggiava al centro della sua schiena larga, fra le sue scapole. 
Il rombo della moto era assordante ed il vento era sferzante, ma non aveva più paura e gli pareva che quel sole di metà ottobre fosse sufficientemente caldo. 
Sorrise, mentre teneva gli occhi chiusi godendosi quel momento che non avrebbe mai immaginato potesse essere così bello, mentre il cuore non stava galoppando dal terrore, ma dalla meraviglia e dalla gioia. 
“Dunque è questo l’amore. Dio, che cosa bella ed intossicante. Ora che lo provo, non so se potrei farne a meno. Adesso che so com’è e che posso provarlo... dovrei metterlo al secondo posto nella mia vita? Dovrei eventualmente anche rinunciarci? Si può tutto, nella vita. Basta deciderlo. Non è quello il punto. Ma piuttosto...”
Simon aprì gli occhi e guardò il mondo circostante sfumare come una macchia pieno di colori indistinti e si sentì carico di un fuoco che non aveva mai provato. 
Si sentì come di potersi denudare in piena neve, convinto che in quel momento non avrebbe mai più sentito freddo. 
“Piuttosto non credo di volerlo mettere al secondo posto o rinunciare a questo.”
Simon spuntò col capo oltre la sua spalla, si allungò meglio per guardare avanti e il vento divenne più forte, mentre lo schiaffeggiava in faccia. Solo grazie agli occhiali scuri riusciva a tenere gli occhi aperti e a guardare. 
C’era un punto davanti a loro, sulla strada. Se lo fissava, il resto sfumava ed era come se non esistesse niente, come se tutto fosse cancellato. 
Simon immaginò che Zlatan fosse quel punto, in quel momento. La sola cosa chiara nella sua vita in quell’istante. La sola certezza. 
Lui ed il fatto che l’amava. 
“Aveva ragione Christian, non avrei avuto dubbi, al momento giusto. Peccato che sapere che lo amo non rende facile il resto. Ho una vita intera da portare avanti e non sono solo, non posso prendere decisioni egoistiche. Eppure ora se me lo chiedesse, scapperei con lui.”
Simon spostò le mani dalla sua vita sollevandole sul suo petto e strinse la giacca di pelle come a cercare un maggior contatto. Quando lo fece, Zlatan si tese un attimo sorpreso e guardò in basso, tornando poi subito concentrato sulla strada. 
“Non so proprio cosa dovrei fare da ora in poi, so solo che lo amo.”
E totalmente fuori dal suo controllo, fremendo nel volerglielo dire, la sua bocca si mosse da sola.
La prima volta che fece e disse qualcosa di totale impulso. 

- Ti amo, Zlatan. - ma fu un sussurro troppo a fior di labbra per poter essere sentito con chiarezza. A lui arrivò come una folata di vento, un dubbio che avesse detto proprio quello, qualcosa di cui non voleva illudersi.
Zlatan tese i muscoli e si aggrottò senza reagire, convincendosi d’aver sentito male. 
Però lo stava stringendo in modo diverso da prima. Ora era come se cercasse il contatto con lui perché gli piaceva stare così e non perché avesse paura.
Guardava avanti, col viso quasi attaccato al suo, i caschi a separarli, il vento ed il motore ad assordarli, il sole a scaldarli.
E quel dubbio.
Quel dubbio che gli avesse davvero detto quella parola. 
“Lo desidero così tanto che lo sento ovunque. Non illuderti, Zlatan. Adesso ti fermerai e ci litigherete, per quella maledetta frase. Vedrai. Ma non rimpiango niente e comunque non mollerò. Alla fine si fa sempre come dico io, non esiste un’altra strada. Proprio per nulla.”


Note: Questo ed il prossimo sono capitoli di cui sono piuttosto fiera, ho pensato a lungo prima di scriverli come sarebbe successo proprio perché sono entrambi diversi da qualsiasi personaggio e non volevo ripetermi con cose che avevano già fatto nella mia stessa serie, perciò ci ho messo un po' ma alla fine ritengo che la soluzione trovata mi soddisfi. Spero soddisferà anche a voi. Visualizzavo le scene che scrivevo come se le avessi viste realmente, erano molto vivide. Il fatto che Ibra abbia realmente una moto mi ha aiutato molto, non so se Simo ne sarebbe spaventato ma facciamo di sì. Non sono mai stata in aeroporto a Milano (in nessuno di quelli) sinceramente non so come sono e se sarebbe fattibile ciò che ho scritto, spero lo sia (nella mia regione esistono parcheggi secondari simili mezzi vuoti ma sono aeroporti di gran lunga meno 'folti' di quelli Milanesi! ^^' ). Scusate il ritardo di pubblicazione, ho ripreso a lavorare e capiterà che ritardo un po', ma non più di un giorno. Grazie e alla prossima. Baci Akane