13. UN GIORNO PERFETTO

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Il posto in cui l’aveva portato era una delle zone del Parco Agricolo Sud di Milano, vicino al Lago Boscaccio, raggiungibile attraverso una stradina che si staccava da quella principale percorsa. 
La stradina era abbellita da alberi che in autunno risultavano molto belli da guardare, gli stessi che circondavano tutto il lago. In determinate zone c’erano sentieri percorribili a piedi e pedane che si allungavano sull’acqua, in altre c’erano macchie di terra su cui si stendevano cascine gettonate da turisti.
Zlatan si guardò bene dall’andare nelle parti più abitate e si scostò prendendo una pista secondaria che arrivò in una tranquilla radura in riva al lago, dove poté parcheggiare la moto. 
I due ragazzi poi proseguirono su una sorta di pedana di pietra che partiva dalla radura, costeggiata a sua volta da alberi. 
Il posto era senz’altro bello e suggestivo e meritava, Simon non l’aveva mai visto e rimase meravigliato nel guardarlo. 
- Non immaginavo che a Milano ci fosse un posto simile, il lago poi è bellissimo. 
Zlatan annuì stringendosi nelle spalle. 
- È grazioso, rispetto ad altri laghi non è niente di che, ma il parco poi è grande e ci sono parti più belle di questa, con santuari e cose simili, ma questo è quello un po’ più tranquillo. 
E lo era. Non c’erano cascine o costruzioni di alcun tipo, in quel momento non c’era proprio anima viva, in giro, e oltre il sentiero e gli alberi, si apriva un immensa distesa verde che faceva parte del famoso parco. 
Voltando lo sguardo, Simon poteva intravedere su un’altra riva una macchia di terra con una cascina probabilmente molto turistica, ma sapeva bene che quel che cercavano entrambi era isolamento e tranquillità. 
- Allora, com’è stato il tuo primo giro in moto? Era così terribile come immaginavi? - fece poi dopo un po’ Zlatan, continuando a camminare lentamente e senza l’intenzione di fare tutto il giro del lago. 
La vista era sufficientemente suggestiva ed entrambi, comunque, puntavano ad una certa intimità.
Non fisica, ma emotiva. 
Non avevano idea che volevano per la prima volta la stessa cosa. 
- È stato bello. Sorprendentemente bello... 
Zlatan rise, anche se non era la sua solita risata allegra. 
- Ti dovevo obbligare per dimostrarti che avevi torto, eh? 
Simon rise a sua volta, dispiaciuto che continuasse ad essere così tirato. 
- Del resto hai sempre ragione, no? - lo prese in giro dicendo una delle sue frasi preferite e Zlatan in risposta lo spintonò con la spalla e col busto senza usare la minima forza. Simon dondolò di lato e continuò a ridacchiare, rientrando al suo posto gli prese la mano e lo tirò fermandolo per farsi guardare. 
- Zlatan, senti, ti devo dire una cosa. 

Sentendolo Zlatan si disse che c’erano. Era il momento di litigare. 
Adesso gli avrebbe detto che aveva bisogno di tempo per capire se lo amava e che doveva lasciarlo un po’ in pace. 
A Zlatan si strinse lo stomaco in una presa ferrea, mentre gli occhi iniziarono a bruciargli e senza la capacità di aspettare e vedere cosa succedeva, convinto sempre di sapere tutto perché sì, lo precedette prendendolo di petto, già arrabbiato ancora prima di farlo parlare. 
- No, senti tu! Non puoi sempre fare così! Sono stufo, non è che ogni volta che le cose si fanno complicate e andiamo fuori dai tuoi soliti schemi, mi devi far diventare matto! A cosa serve chiudersi, scappare e pensare? Non serve a un cazzo! Tu sai già che io ho ragione, perciò saltiamo la parte in cui mi fai incazzare e mi dai subito ragione e andiamo a trombare da qualche parte! 

Simon lo guardò preso alla sprovvista, non aspettandosi un attacco simile. 
Batté le palpebre un paio di volte, sorpreso e senza respirare, mentre Zlatan gli aveva stretto di rimando la mano che gli aveva preso, ma non per un gesto romantico come aveva voluto essere il suo. 
- Ma se volevi trombare dovevi portarmi in un hotel, mica all’aperto... 
La sua logica non era stupida, ma Zlatan si inalberò ancora di più e gli lasciò la mano per mettersi a camminare avanti ed indietro e gesticolare nervoso come un pazzo.
- Ehi, ho agito d’istinto, ok? Dovevamo parlare, per questo ti ho portato qua. Per farti capire che dobbiamo parlare! Ma con te è sempre un ragionamento logico? Non puoi semplicemente arrenderti, per una volta? Perché cazzo mi devi sempre far diventare matto? 
Simon non sapeva come fermarlo, Zlatan era partito in quarta in una piena esplosione atomica ed era salvo dal fatto che lì non c’era letteralmente nulla a cui potesse tirare calci, a parte gli alberi che per fortuna lasciò in pace. 
Rimase fermo immobile mentre lui gli vorticava letteralmente intorno sbracciando e prendendosi la testa come se dovesse esplodergli. Parlava concitato fin quasi urlando e non gli permetteva di fermarlo e dirgli quello che gli aveva in realtà già detto. 
- Ma stai facendo tutto tu, io non ho fatto nulla... 

A quel punto Zlatan si fermò a diversi passi di distanza apposta per non averlo a portata di mano e lo puntò col dito, si sentiva impazzire. 
- Appunto, cazzo! Non hai fatto niente! - concluse poi prendendosi di nuovo la testa che gli scoppiava e batteva forte, poi allargò di nuovo le mani mimando un gesto d’esplosione. Si sentiva la pressione che probabilmente era alle stelle.
Aveva tenuto tutto questo tempo e troppo e non era nel suo stile tenere, lui non teneva mai, lui buttava sempre tutto fuori perché poi ecco come andava a finire. 
Simon lo guardò come se fosse impazzito e questo fu peggio. 
- Anzi, non hai detto nulla! Quando dovevi farlo! Qualunque cosa! Non importa cosa, ma dovevi dirlo! Perché mi hai lasciato così facendo finta di nulla? So che mi hai sentito! Perché non hai detto nulla? Adesso sei qua per dirmi che vuoi tempo, no? Che non sai se mi ami! E ti chiuderai ed io dovrò inseguirti e romperti i coglioni perché io devo sempre rimporti i coglioni per ottenere quel che voglio! 
Simon stava per parlare, aprì la bocca muovendo mezzo passo, ma Zlatan con la mano aperta lo fermò figuratamente, l’aria feroce, lo fissava obliquo. 
- E non dire che sono libero di non farlo, non dire che sono io a farlo, perché cazzo lo so che sono io! Ma non sono capace di mollare, con te meno che mai! Però io sto impazzendo, per colpa tua! Perché non vuoi, eh? 
Simon scosse il capo rigido, shoccato per una delle rare volte, totalmente colto in contropiede. Tutto si sarebbe aspettato tranne che quell’esplosione e vedendolo così, a Zlatan andò ancor più il sangue al cervello al punto che quando riuscì a chiedergli confuso: - Ma cos’è che non voglio? - lui rispose gridando, muovendo un passo verso di lui e con l’aria da folle. 
- AMARMI! 
Ma lì, proprio lì, Simon riuscì a fermarlo. 
Allungò le braccia, gli prese il viso fra le mani e usando una forza insospettabile, disse chiaro e tondo, ma senza urla o alzare la voce.
- Ma io ti amo, Zlatan. 
E questo ebbe il potere di uno sparo forte e fragoroso che irrompe in mezzo ad una folla nel panico. 
Tutto si fermò, in lui, in quel momento, mentre la sua mente registrava le sue parole per comprenderle.
Spalancò gli occhi subito, mentre lo shock si impadroniva di lui spegnendolo di colpo. 
- Che cosa? - sussurrò piano, si sentiva la gola in fiamme e le corde vocali erano bruciate, così come ora bruciavano i suoi occhi che strinse per tenerlo a fuoco. 
Non si era mai sentito così in vita sua e l’avrebbe ricordato per sempre. Inciso indelebile nella mente. 

Simon mosse il passo che rimaneva fra loro, non gli lasciò il viso, continuò a tenerlo a sé lasciando un attimo di silenzio per fargli capire cosa stava dicendo. Per far sì che la sua testa si fermasse e si spegnesse lasciandogli posto. 
Per farsi sentire per bene, visto che era la terza volta che glielo faceva dire ed era strano farlo.
In vita sua non l’aveva mai pensato veramente, quando l’aveva detto le altre volte. Non aveva mai capito cosa significasse realmente. 
Adesso lo sapeva. 
- Zlatan. - fece quindi catalizzando tutta la sua attenzione nei propri occhi azzurri. 
Vide quelli di Zlatan farsi lucidi e grandi, lo sentiva che tratteneva il fiato.
Simon sorrise dolcemente, poi con una morbidezza mai usata in vita sua, sussurrò: - Ti amo anche io. 
E una lacrima traditrice scese dagli occhi di Zlatan facendogli accentuare il suo sorriso. 
- Da... da quanto lo sai? - chiese roco. Simon rise illuminandosi. 
- Vuoi davvero chiedermi questo, ora? 
Ma lì parve realizzare e con un secco: - No. - lo prese per il viso come faceva lui e con forza e passione, lo baciò. 
La sua tipica energia, quella che l’aveva intossicato penetrando tutti i suoi spessi strati di ghiaccio, sciogliendolo fino a trasformarlo in un lago limpido. 
Simon gli lasciò il volto e scivolò con le braccia intorno al suo corpo, stringendolo forte, mentre apriva le labbra e si intrecciava a lui, trovando la sua lingua e tutta la sua disperazione, la sua passione, il suo amore.
Un amore caldissimo, inebriante, indimenticabile. 
Era così bello essere amati da lui.
Ed era così bello amarlo. 

Mentre lo baciava Zlatan sentì il bisogno di maggiore ossigeno e quando capì perché, realizzò che stava piangendo e sgusciò fuori dalla sua bocca per nascondere il viso contro la sua guancia e poi giù sul suo collo. 
La mano di Simon strisciò sulla sua nuca, fra i capelli sciolti dove immerse le dita perdendosi in una delle cose di sé che gli aveva fatto perdere la testa. 
Così come lui l’aveva perso per il suo collo. 
Zlatan strinse forte gli occhi cercando di smettere, mentre contemporaneamente lo stringeva a sé sentendosi così libero come mai in vita sua. 
Aveva sempre improntato la sua vita per quella sete di libertà, ma era la prima volta che si sentiva pienamente immerso in essa e ne era sconvolto. 

Simon lo capiva, perché anche lui era proprio così che si sentiva ora. Libero di amare o libero nell’amare. Non sapeva descriverlo, ma non era mai stato più leggero di così. 
Sentendo la reazione spontanea e potente di Zlatan, si sentì sciogliere in un calore tale che strinse anche lui gli occhi senza riuscire a respirare né dire nulla per un po’. 
- Allora prima l’avevi detto davvero... - sussurrò Zlatan al suo orecchio, tornando lentamente in sé.
Simon, continuando ad abbracciarlo, sorrise. 
- Sì. Ma mi è scappato, non volevo certo dirtelo in corsa rischiando di farci finire fuori strada... 
Zlatan si staccò ridendo e finalmente era una risata vera, aperta, totale. 
Gli occhi erano ancora pieni di lacrime, ma avevano smesso di scendere e rise di gusto scuotendo la testa. 
- Tu non smetterai mai di sorprendermi! 
Simon gli sorrise totalmente sciolto davanti a quella miriade di emozioni una più esplosiva e totalizzante dell’altra. 
- Senti chi parla... sembravi impazzito, prima, non sapevo come spegnerti... ti stavo per buttare in acqua! 

Zlatan sospirò smettendo di ridere, lo guardò e scosse il capo incredulo di come era successo e del fatto che in effetti fosse successo veramente. Infine gli mise la mano sulla nuca e l’attirò a sé stringendolo col suo tipico impeto. Gli baciò la fronte e poi vi appoggiò la guancia continuando a scuotere la testa sconcertato. 
- Ho passato l’inferno in questi dieci giorni per colpa tua... la prossima volta che non mi rispondi subito ad una cosa così importante, ti uccido. - brontolò. 
Simon ridacchiò circondandogli il corpo con un braccio che scivolò sulla schiena, mentre si metteva al suo fianco e appoggiando la testa contro la sua spalla, su cui Zlatan continuava a poggiare la bocca di tanto in tanto per baciarlo, iniziarono a camminare distrattamente lungo il lago. 
Uno di quei giorni perfetti che capitavano una volta ogni cento anni. 
Un giorno che si godettero senza pensare a niente e nessun altro se non loro due. 
Solo loro due che si amavano e che in qualche modo l’avrebbero fatta funzionare, perché ormai non c’era più una scelta da fare. Ormai era tutto naturale. Era tutto lì davanti ai loro occhi, a portata di mano.
Quasi. 


Non che per loro due fosse facile passare inosservati. 
Uno era alto due metri ed era uno dei visi più noti del mondo, l’altro era forse più sconosciuto rispetto a lui, specie se non eri un tifoso di calcio, ma era comunque bello come il sole e tendenzialmente lo si guardava se non altro per quello. 
Decisero di far andare avanti Zlatan a chiedere la camera, mentre lui aspettava in parte mezzo nascosto senza farsi notare. 
Se erano fortunati, avrebbero solo capito che era con un amico e che era in privato, ma non avrebbero riconosciuto ‘l’amico’ in questione. 
Come di consueto, allungò un po’ di soldi in più per la discrezione ed una volta che il concetto fu chiaro, concetto reso ancor più esaustivo dallo sguardo minaccioso piuttosto che dalle banconote, gli diedero le chiavi della camera e le indicazioni per arrivarci da soli. 
Avevano deciso di fermarsi in una delle cascine adibite a B&B nel lago di Boscaccio. 
Alla camera si accedeva da fuori, salendo delle scale e percorrendo un bellissimo e lungo terrazzo in pietra che metteva in comunicazione le varie camere, il cui accesso era esterno ed indipendente per ognuna. 
Una buona soluzione per loro che non avevano previsto di voler concludere la loro gita improvvisata in una stanza a sancire la dichiarazione che si erano appena fatti. 
Simon sapeva che dirgli che l’amava era stata la cosa più facile, una volta compreso che era realmente così. 
Ora sarebbe arrivato il difficile, ma non voleva minimamente rovinare il momento che aveva già rischiato di mandare all’aria prima ancora di aprire bocca. 
Decise che avrebbe lasciato il resto dei problemi annessi all’amare una persona al di fuori del matrimonio, ad un altra giornata e che non gli avrebbe accennato nulla. Anche se probabilmente sapeva perfettamente da solo che da quel ‘ti amo’ gli sarebbero partite mille paranoie. Tuttavia quel che contava era che fosse lì e che glielo avesse detto.

La camera era di medie dimensioni, molto graziosa, arredata con uno stile rustico adatta ad una cascina sul lago. 
Oltre all’ingresso sul lago, c’era anche un’ampia finestra che offriva una bella visuale dello stesso. 
Appena dentro, ognuno mise giù il proprio casco su delle sedie, infine iniziarono a togliersi con calma le rispettive giacche, ponendole sopra di essi. 
Zlatan per un momento rimase un po’ incerto su come procedere, cosa che di solito non succedeva avendo sempre le idee chiare in ogni istante.
Aveva istintivamente proposto di prendere una delle camere della cascina col chiaro intento e bisogno di fare l’amore con lui, ma adesso c’era di nuovo una strana atmosfera. 
Nessun muro o imbarazzo, solo una sorta di sospensione a cui non era abituato. 
Avevano sempre fatto sesso e sempre in determinate circostanze specifiche. 
O nella loro camera di Milanello o a casa sua, poiché ormai quella di Simon era occupata dalla sua famiglia mentre lui continuava a vivere solo almeno fino al diploma dei suoi figli. 
Gli aveva detto se preferiva andare da lui, ma Simon dopo un’occhiata alla cascina aveva optato per quella. Adesso che erano dentro, però, si chiese se non fosse troppo impersonale e strano, come soluzione.
Non erano mai andati fuori dal loro tipico territorio, una camera che non fosse un’hotel che ospitava il Milan prima delle partite in trasferta, era un passo diverso, mai fatto.
Forse non c’era niente di che, ma conoscendo Simon ed il suo bisogno di sicurezza, procedere in territori inesplorati era rischioso, temeva che all’ultimo ci avrebbe ripensato e lì gli sarebbe partito il nervoso.
“Sono proprio un’idiota. Ho voluto così tanto tutto questo, lui, il suo amore, il suo abbandono totale a me, che adesso che ce l’ho non so come procedere. Ho paura di rovinare tutto come l’altra volta, che sia un sogno, che sfumi in un attimo. Sono proprio un grossissimo coglione.”

Lo era, ma per sua fortuna, per Simon l’attimo di assestamento si era concluso ed una volta deciso per una cosa, non perdeva tempo a ripensarci svariate volte. Magari poteva faticare ad arrivare a quel punto, ma quando c’era, non si fermava.
Infatti dopo essersi tolto la giacca e lanciato un’occhiata fuori dalla finestra, al bellissimo lago pomeridiano, Simon chiuse le tende, accese la luce e giratosi, raggiunse Zlatan cercando le sue labbra. Mentre le trovava, mise le mani sui suoi fianchi, facendole scivolare dietro fino ad infilarle nelle tasche posteriori. 
Appena le loro bocche si intrecciarono, Zlatan si rilassò immediatamente, prendendolo per la vita e attirandolo con maggior prepotenza a sé.
“Eccolo qua, ora lo riconosco...” si disse Simon vittorioso e compiaciuto, aderendo al suo corpo col proprio. Mentre lo faceva, sentiva un enorme sollievo, come se non avesse voluto altro da settimane, tutte quelle che era rimasto lontano da lui.
Gli era mancato il suo corpo forte, caldo e solido, la sua stretta prepotente e vigorosa, la sua lingua che si faceva strada nella propria bocca con decisione e la bocca che divorava la sua carico di desideri.
E gli era mancato il suo bacino che diventava sempre più duro e gonfio attraverso i pantaloni, sentirselo addosso in quel modo e strusciarsi impercettibilmente per farglielo diventare ancora più grande. 
Gli erano mancati i suoi capelli lunghi e sciolti in cui immergere le dita risalendo dal suo sedere allenato e sodo. Lo prese con risolutezza un po’ per tenerlo meglio ancorato a sé, un po’ perché di tanto in tanto doveva toccargli i suoi capelli.
I capelli lunghi gli erano sempre piaciuti, un periodo li aveva avuti anche lui così, poi li aveva tagliati, ma in Zlatan aveva ritrovato la voglia di farli crescere anche lui. 
Avevano pochi centimetri di differenza, ma Zlatan era chino, mentre lui si allungava abbandonandosi al desiderio che ora poteva liberare senza dover per forza tenere sotto controllo.
Troppo tempo aveva dovuto gestirlo, soffocarlo, zittirlo.
Adesso era libero di lasciarsi andare, di assorbire ogni centimetro di Zlatan e di perdersi in lui.
Ma non gli era mancato solo il suo corpo. Gli era mancato lui stesso.
La sua sicurezza, il suo volerlo proteggere anche se non ne aveva bisogno, la sua impazienza, la sua voglia continua di lui, quel suo carattere forte e passionale. 
Il suo calore bruciante. 
Lui che aveva sempre freddo, con lui si sentiva così bene, così caldo. 
Simon sollevò febbrile le mani prendendosi il colletto della maglia da dietro la testa, si staccò dalla bocca di Zlatan e si inarcò senza muovere mezzo passo. Tirò e si tolse l’indumento facendolo finire per terra, le mani tornarono sui suoi fianchi, i suoi occhi si riempirono della sua visione lattea, piena di nei e tatuaggi prevalentemente sulle braccia e sulla schiena. 
Riabbassò le braccia posandole intorno al suo collo, senza la fretta di spogliarlo e saltargli addosso. Voleva godersi ogni momento, anche se aveva un gran bisogno di sentirlo fisicamente. 
- Non sai quanto mi sei mancato... questi dieci giorni lontani sono stati illuminanti... - sussurrò sulla sua bocca poco prima di tornare all’attività interrotta.
Vide i suoi occhi tornare lucidi e gli sorrise dolcemente. 
Riusciva sempre a dimostrare i suoi sentimenti, anche se la gente esterna, il mondo là fuori, lo fraintendeva sempre e non sapeva proprio nulla di lui. 
“Si perdono qualcosa di meraviglioso”, pensò aprendo le labbra e porgendogliele in attesa che Zlatan lo facesse suo di nuovo venendogli incontro. 


Note: non sono di Milano né della Lombardia, perciò non so se sia fattibile quel che ho scritto, mi sono informata ed ho cercato dei posti dove sarebbero potuti andare ed è venuto fuori quello, così come ho cercato se ci fosse un B&B o qualcosa di simile, la descrizione teoricamente dovrebbe corrispondere alla realtà, posto sempre e comunque che io non sono mai stata là. Speriamo che quanto scritto da me non sia proprio fuori dal mondo. So che quando si scrive fic tutto è lecito (specie perchè inventiamo cose su persone che nella realtà ovviamente non stanno insieme), ma mi piace fare riferimenti reali quando possibile. Alla prossima. Baci Akane