15. SEI MESI
Fu il momento più brutto della sua vita, Simon non ebbe alcun dubbio.
Appena mise piede in casa e sua moglie l’accolse con un abbraccio ed un bacio, lui si sentì male come non gli era mai capitato, capendo il reale significato di amare qualcuno.
Non perché gli mancasse lui, bensì perché ora che ne era consapevole e che l’aveva provato a pieno regime, farne a meno era non solo atroce, ma un’autentica tortura.
Sapere d’avere qualcuno con cui stava così bene e si sentiva completo e dover invece stare con un’altra per cui non provava nulla se non affetto. Dover vivere con lei e convincerla come aveva sempre fatto che era lei che amava. Farle credere che volesse solo lei e che con lei, lui fosse felice.
Era stato possibile e facile fino a quel momento perché aveva solo dovuto simulare un sentimento che in realtà non aveva mai provato e che non aveva mai saputo come fosse. L’aveva reso possibile perché non aveva avuto termini di paragone o alternative.
Iniziò a tremare dentro di sé cercando un disperato controllo che probabilmente non sarebbe mai più stato efficace come prima.
La guardò negli occhi sorridendo nella speranza che non capisse che aveva qualcosa, ma ovviamente lo vide subito.
Ancora stretta a lui, gli chiese subito che cosa avesse e lui sussultò dandole conferma che fosse successo qualcosa.
Come poteva dirle che aveva ancora il sapore delle labbra di Zlatan sulle sue, la consistenza della sua lingua, il suo corpo, il suo odore addosso, il suo profumo intossicante?
Sorrise e scosse il capo.
- Ho rivisto Christian e non sa se potrà mai tornare a giocare, mi ha messo molta tristezza. Mi dispiace tanto per lui, non se lo merita.
Elina sapeva quanto fosse legato a lui, ma non aveva mai dimostrato molto trasporto. Simon immaginava che lei era stupita per questo, ma per fortuna corsero a lui i suoi figli, Milas e Viggo, così si sciolse volentieri da lei, si inginocchiò per arrivare alla loro altezza e li abbracciò insieme.
Trovò un insperato sollievo nel stringerli a sé, anche se voleva gridare e piangere, perché non era lì quel che voleva.
Non erano loro due il problema, se li sarebbe portati via con sé, i suoi due figli, o senza sarebbe impazzito.
Evitò con tutto sé stesso di guardare Elina ferma in piedi accanto, probabilmente perplessa.
Simon ora sapeva di amare e voleva farlo, voleva amare Zlatan, abbandonarsi a lui e lui soltanto. Non voleva più nessun altro, non ce la faceva più.
Voleva gridare e piangere e scappare. Scappare da lui con loro due fra le sue braccia e ricominciare da capo la vita che avrebbe voluto fare da sempre e che voleva con tutto sé stesso.
Ma non potendo farlo, si sciolse con gli occhi lucidi, riversando su di loro quel sentimento potente che lo stava devastando come mai nulla in vita sua era riuscito.
- Mi siete mancati da matti, siamo stati lontani troppo tempo...
Il più grande dei due rise dicendo che l’anno scorso avevano passato separati molto più tempo, quando loro erano rimasti a Siviglia mentre lui aveva fatto quell’anno in prestito in Italia, 6 mesi a Bergamo e 6 a Milano.
Per fortuna avendo firmato un contratto regolare, avevano potuto raggiungerlo.
Loro due riempivano realmente la sua vita.
Simon si raddrizzò ed evitò con cura di guardare Elina, recuperò invece la sua valigia a mano che aveva preso da Zlatan prima di tornare a casa, simulando un suo ritorno dall’aeroporto direttamente a quell’ora.
Una volta solo in camera, si chiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò prendendo un respiro profondo alla ricerca della sua calma e del suo leggendario sangue freddo.
Sorrise amaro al pensiero d’essere stato tanto osannato proprio per quello, in particolare grazie agli eventi legati a Christian e all’aiuto prestato in campo quel giorno.
Adesso dov’era quel suo sangue freddo?
“Che diavolo mi ha fatto Zlatan? Mi ha reso così tanto umano? Ed ora che dovrei fare di quest’anima che mi metterà nei guai se non torno subito a chiuderla a chiave nella mia fortezza di ghiaccio?”
Scoprire d’averne una, liberarla con tanta fatica e comprenderla per poi doverla rinchiudere per poter proseguire con la sua vita di sempre.
Ironico.
“Devo resistere solo fino agli allenamenti di domani e poi alla prossima partita e via ancora verso altri allenamenti. Concentrerò tutto il vero me stesso là, a Milanello o negli alberghi dove dormo con lui prima delle partite in trasferta. È lì che sarò me stesso, vivo e sereno. È lì che starò bene. Qua invece mi concentrerò sui miei figli, ce la posso fare. Metà del mio tempo lo passo con la squadra e là sono tranquillo, non ho problemi, è un rifugio sicuro, oltre che uno sfogo. L’altra metà saprò gestirla, devo. È solo un conto alla rovescia fino al minuto in cui potrò essere me stesso. Sono bravo a trattenere, a fingere. Devo ricordarmi come si fa. Lo faccio da una vita, lo farò ancora. Per sempre. Perché tanto non la potrò mai lasciare, non posso. Per i bambini. Non posso fargli questo.”
Le regole erano le regole. Regole non scritte e non della società, ma della vita stessa.
Coi figli di mezzo, in un matrimonio le cose si facevano in un certo modo e c’era un motivo per cui era così. Lui lo sapeva benissimo.
I figli avevano bisogno di un ambiente sereno, di genitori sempre con loro, che si volevano bene e che gli regalavano un ambiente sicuro e felice. Non dovevano scegliere fra un genitore e l’altro, rinunciare ad uno dei due in attesa di poterlo rivedere, sperando di riuscirci. Non dovevano fare sacrifici di alcun tipo.
Non dovevano.
Lui li avrebbe protetti sempre, ad ogni costo.
Non aveva scelta, no?
Non ce n’erano.
Non esisteva nulla su cui riflettere. Nulla a cui pensare. Era così e basta.
Il giorno in cui entrambi capirono che avrebbero pagato caro quel sentimento tanto faticosamente cercato e raggiunto, fu il primo dicembre 2021.
Quando Simon, durante una partita contro il Genoa, si ruppe il legamento crociato anteriore e quello collaterale mediale del ginocchio sinistro, facendo di fatto finire con 6 mesi d’anticipo il suo campionato.
Seppero d’averlo pagato caro, perché Zlatan capì subito come l’avrebbe presa Simon, così come Simon si sentì come colpito da una sorta di inevitabilità agghiacciante.
Non si scappa dalla realtà.
“Pensi di rifugiarti nel calcio per scappare dalla verità atroce che affligge la tua vita privata? Ebbene eccoti accontentato. Adesso starai sei mesi a stretto contatto con tua moglie, vediamo come ne esci da qui.”
Male.
Simon sapeva che ne sarebbe uscito male, molto male.
Ma sapeva anche di non poter farci nulla, nel senso che di fatto lui ormai, da lì a sei mesi, sarebbe stato fermo a casa con lei senza possibilità di scelta.
Era consapevole che tutto quello fosse successo per obbligarlo a pensarci e ad affrontare quell’enorme problema. Doveva guardarlo in faccia e risolverlo o trovare una risposta a domande che non aveva nemmeno osato porsi.
Domande che ora doveva farsi.
“Risolvere cosa? Non c’è una soluzione, non c’è una via di fuga. Amo Zlatan, non amo lei, ma lei è la madre dei miei figli e loro li amo più di chiunque altro. Non farò mai nulla che li possa far soffrire, ma non lascerò mai nemmeno Zlatan né soffocherò quel che provo per lui. E so che sto facendo qualcosa di sbagliato non solo per Dio, per la famiglia, la società e chiunque, ma anche per me stesso. Però non posso farne a meno. Non smetterò, non lascerò Zlatan. Qua non si tratta di cosa fare con lui, perché se lo amo, se sono riuscito ad amare qualcuno per la prima volta in vita mia, non andrò di certo a lasciarlo ora. Non mi priverò di questo sentimento.
Qua di fatto per sei mesi dovrò tormentarmi su un altro dilemma.
Si tratta se lasciare Elina o meno. Non è la prima volta che divorzio, ma era diverso. Quella volta non avevo figli, adesso sì.
Io per sei mesi penserò a questo, chiuso in casa con lei che non amo e che non sa di non essere amata e non solo, che non sa che invece amo un altro di cui non farò mai a meno.
Sei mesi così. Sei mesi per impazzire e arrivare dove? Per fare cosa? Comunque anche se la lasciassi non vivrei mai con lui, non avrei mai la relazione che vorrei con lui.
Non si tratta di questo, Simon. Lo sai che non è questo il punto.
Non la lasceresti per stare con lui, la lasceresti per onestà, perché sarebbe giusto, per non mentirle e ferirla. La lasceresti perché da un certo punto di vista sarebbe giusto, ma quale? Fino a che punto è giusto? Mica la farei felice anche se facessi la cosa giusta dicendole la verità. La ferirei.
Sei mesi per trovare domande e risposte e soluzioni a qualcosa che forse soluzioni non ha.
Però forse è solo una punizione. Perché ho sbagliato e basta. Vado punito così. È giusto, dopotutto. È come una legge ed io le leggi le rispetto.
Sì, è giusto. Sei mesi così. Sei mesi.”
Zlatan non ebbe bisogno di sentirgli dire cosa avesse, lo sapeva da solo.
O per lo meno ne era convinto ed ovviamente non la prese bene.
Preventivamente, lui partì a razzo come suo solito, prendendo il toro per le corna e andando dritto a risolvere la parte peggiore della situazione che vedeva già prima ancora di averne conferma.
“Finora lui ha sempre reagito chiudendosi e scappando, ora vedrà questa cosa come una punizione divina, lui che poi crede tanto in Dio! Mi lascerà dicendo che è questo che vuole Dio e chissà quale altra puttanata! Perché l’ha fermato per sei mesi bloccandolo con sua moglie, perché vuole che rimetta in piedi il suo matrimonio! Ma io ora vado là prima che nella sua testa complicata si formi questa decisione di merda e gli dirò direttamente la risposta alle paranoie che gli usciranno da qui a qualche mese.
Gli ricorderò che è già un fuorilegge per Dio, perché è già stato sposato e divorziato e quindi non può fare l’ipocrita pensando che ora quello là voglia che aggiusti un matrimonio che ai suoi occhi è già sbagliato di suo. Ecco cosa gli dirò. E se insisterà con questa stronzata di Dio gli dirò che comunque non esiste e che è tutta un’invenzione dell’uomo per porsi regole morali del cazzo! Nessuno ci dice come vivere le nostre vite, basta non ferire gli altri!”
Poi razionalmente capiva che in tutta quella storia, Elina era una vittima e che ne sarebbe uscita distrutta se Simon fosse stato realmente egoista, ma Zlatan non voleva che la lasciasse, anche perché lui di sicuro non avrebbe mai lasciato Helena. Per lui la sua famiglia era sacra e sapeva che lo era anche per Simon.
Quel che voleva era semplicemente non essere lasciato da quell’idiota.
Dopo aver ricevuto il comunicato via mail come tutti i giocatori del Milan sulle condizioni di Simon e realizzato che sarebbe stato a casa sei mesi, che la sua stagione era finita e che sarebbe stato chiuso in casa proprio con sua moglie, proprio ora che aveva realizzato di amarlo, Zlatan fece e disfece tutto per poi, in ogni caso, partire.
Perché nel dubbio lui partiva sempre e non in quarta, ma direttamente in sesta!
Non era strano ricevere visite appena la notizia dell’infortunio veniva comunicata e resa pubblica.
Sia da amici che da compagni di squadra e colleghi.
Simon quel giorno ne ricevette molte, a gruppi, sapeva che altre ne avrebbe ancora ricevute. Tutti gli portarono dei pensieri per l’incoraggiamento e per dargli forza.
Immaginò le magliette col suo nome stampato sopra che i ragazzi avrebbero avuto nella prima partita senza di lui e si figurò il proprio fastidio.
Perché era così, in quel momento.
Infastidito da tutto.
Ma sorrise e accolse gentilmente tutti i suoi compagni e gli amici, prese i doni, qualcuno dei fiori, qualcuno dei cioccolatini. Qualcun altro un regalo un po’ più originale.
Si impose di avere pazienza, come sempre, e fare quel che andava fatto. Le regole sociali erano importanti, aveva sempre vissuto per quelle.
Adesso era solo più difficile, ma non poteva certo smettere.
Tanto avrebbero finito di tormentarlo, presto si sarebbero dimenticati di lui e sarebbe potuto sprofondare nel suo oblio e pensare.
Perché ne aveva bisogno, aveva un gran bisogno.
Quando si ritrovò però niente meno che Zlatan stesso, da solo, proprio a casa sua, ricevuto fra l’altro da Elina, per poco non si sentì male.
Un’ondata potente di calore lo investì sciogliendogli le budella, questo fu l’effetto che sentì nel vederselo lì preceduto da lei.
“Voglio morire, uccidetemi!”
Simon si irrigidì seduto nel divano con la gamba stesa avanti a sé nella coda dell’angolo ampio, sotto dei cuscini per tenerla comoda e sollevata.
Tutta fasciata rigida ed immobilizzata.
Puntò i suoi occhi azzurri congelati su Zlatan, ma quando abbassò lo sguardo sui fiori che aveva in mano, non seppe proprio perché lentamente trovò un equilibrio in sé.
Ogni cosa tornò normale, sopportabile e forse in qualche modo migliore.
Appena sorrise, Zlatan si sentì sollevato.
Per un momento aveva pensato che esplodesse gridando di andarsene, che non doveva azzardarsi a mettere piede in casa sua.
Non sapeva perché, ma aveva pensato che avrebbe potuto reagire così vedendo come si era irrigidito per un momento.
Aveva visto il gelo nei suoi occhi, ma per fortuna poi erano tornati normali.
- Mi dispiace, amico. Sono venuto a portarti... - appena però cercò un posto dove posare i fiori, per i quali si sentiva enormemente idiota, si fermò scocciato e di nuovo stupido nel vedere che non era stato l’unico a pensare a portarglieli.
“Ovvio che avrà ricevuto tante visite. Che idiota.”
Simon però tese le braccia sorridendo non in modo formale e finto, era realmente morbido, quel sorriso, di quelli che riservava solo a lui.
Era colpito, meravigliato e compiaciuto.
“Gli ha fatto piacere?”
- Grazie, sono belli...
Zlatan imbarazzato glieli consegnò fra le mani, erano dei fiori normali di stagione, un mazzo che aveva chiesto non fosse troppo cerimonioso ma informale, che dicesse ‘sono tuo amico e ti sono vicino in questo momento difficile’.
Non ci aveva messo nessun biglietto.
Simon li prese e li annusò rimirandoseli con affetto e lui si sentì ancora idiota, ma un idiota felice.
“Forse non gli devo gridare contro...” pensò notando che non sembrava in guerra con lui. “No, forse non lo sarà con me, ma con qualcuno lo è.”
Ci mise poco a capire che lo era con sé stesso. Non che questo migliorasse la situazione.
- Non sapevo cosa portarti e mi hanno detto che di solito si fanno i fiori... - borbottò ancora imbarazzato maledicendo Rade ed il suo consiglio romantico. Non aveva mai portato dei fiori ad un ragazzo, specie uno dei suoi.
Forse l’aveva fatto una volta con Alex, ma al momento la sua testa si era del tutto svuotata e si sentiva comunque stupido.
- Vanno benissimo, sono molto belli.
Era sempre formale, ma quel formale finto perché in realtà era veramente contento, ormai lo capiva bene. Se lo traduceva in un attimo, era diventato bravo.
Simon li porse ad Elina con gentilezza, chiedendole se li poteva mettere da qualche parte. Lei scherzò dicendo che i vasi erano finiti, così lui risposte che li avrebbero fatti seccare.
- Così rimarranno per sempre... - finse di scherzare, ma apparentemente era la soluzione più logica e se non altro l’unica.
Elina ridacchiò ed annuì andando in cucina chiedendo a Zlatan se gradisse un caffè che lui accettò.
- I bambini? - chiese una volta soli.
- A scuola. Voi avete allenamento di pomeriggio, suppongo.
Zlatan annuì sentendosi sempre a disagio in casa sua, ma si accomodò nel divano accanto a lui, non troppo distante ma nemmeno eccessivamente vicino.
Lanciò una breve occhiata alla cucina che da lì poteva tenere comodamente d’occhio e si sporse su di lui prendendogli la mano per poi stampargli un bacio fugace.
Simon si irrigidì e poi sorrise colpito e grato.
“Se non mi rifiuta e non mi redarguisce, significa che non ha problemi con me. Ma gli verranno, perché io lo conosco. Devo dirgli subito quello che devo, così avrà qualcosa di importante su cui riflettere.”
Ne era convinto, ma quando fece per attaccare, Simon prese la parola al suo posto, bisognoso di dire qualcosa che aveva in mente chissà da quanto. Consapevole che fosse essenziale e che non aveva tempo.
- Non ti lascerò mai, non entrerò in una crisi colossale dalla quale ne uscirò lasciandoti. Non è te che devo capire se lasciare o meno. Te ti amo, Zlatan. E sei il primo che io abbia mai amato in tutta la mia vita. Perciò voglio che tu stia tranquillo e che venga a trovarmi quando vuoi. Magari quando lei non c’è. - concluse in fretta, parlando piano e cospiratore, ma sicuro e deciso.
Zlatan, totalmente preso in contropiede e senza parole, lo guardò inebetito sentendosi improvvisamente svuotato.
- Ero venuto in guerra ed invece niente lotte? Solo una bella pace solida e duratura?
A quella reazione Simon rise allungando la mano di lato verso di lui, Zlatan gliela prese e se la tennero strette.
Entrambi si sentirono sia idioti che ristorati per quel piccolo semplice gesto incosciente, l’unico che per quel giorno si sarebbero potuti permettere.
- Però hai qualcosa a cui pensare... - disse poi dando un’altra occhiata alla cucina.
Simon annuì.
- Torna domani pomeriggio, lei porta i bambini ad attività e si ferma fuori tutto il tempo. Ne parleremo meglio. - sussurrò poi sfilando la mano nel sentirla arrivare.
Zlatan non si sentì tanto meglio, ma decise di dargli credito. Se non altro aveva subito messo le cose in chiaro e sembrava sicuro, ma lo conosceva meglio di quanto si conoscesse lui stesso.
“Magari ora non pensa di lasciarmi, ma in sei mesi di tortura figurati se non lo penserà!”
Poi gli venne in mente una delle sue frasi: “Non è te che devo capire se lasciare o meno.” e si aggrottò. “Vuole lasciare Elina? Solo perché ha capito che mi ama? E cosa crede, che poi io lascerò la mia e che vivremo per sempre insieme felici e contenti? Ma questo non lo posso lasciare solo un attimo a pensare! Porco demonio, se oggi non avevo gli allenamenti di pomeriggio gli piombavo qua, altro che domani! Giuro che se fa qualche casino lo uccido!”
Ovviamente fece degli allenamenti atroci.
Fra i vari regali ricevuti, uno aveva attirato l’attenzione di Simon.
Guardò l’agenda rilegata in cuoio pregiato con un bellissimo mandala inciso che gli ricordava tanto quelli stampati sulle chiappe del suo uomo.
Non ricordava chi glielo aveva fatto, ma quando lo prese vide che c’era anche una fantastica penna stilografica che ispirava la scrittura solo al prenderla in mano.
- E questo? - si chiese incuriosito aprendola. Sulla prima pagina trovò la dedica del mittente, che lo sorprese non poco.
‘Perché in questi casi, so benissimo quanti strani pensieri passano per la testa e ho scoperto sulla mia pelle che l’unica è metterli per iscritto. Per comprenderli meglio e affrontarli a mente lucida. Buona guarigione, ti aspettiamo a Milanello, amico. Con affetto, Olivier’
Simon sorrise nel notare che non l’aveva chiamato ‘genitore due’ nonostante fosse parte del gruppo di quelli che lo chiamavano così. Del resto era anche più grande di lui, non ci sarebbe mai riuscito.
Infine aprendo l’agendina vuota dove le pagine sfilavano sotto le sue dita, Simon pensò alle parole scritte e al genere di regalo.
“Decisamente il più utile. Sembra sapere cosa si prova a stare tanto tempo chiuso in casa...”
Avevano passato tutti i periodi di quarantena forzata per il covid, ma quelli alla fine erano stati due mesi, poi gli sportivi avevano potuto tornare alle loro attività sia pure con restrizioni varie.
Ora era diverso, era consapevole che sei mesi in casa erano lunghi e Olivier pareva saperlo alla perfezione. Del resto in tanti anni di onorata carriera, doveva aver avuto momenti negativi.
Simon sospirò e prese la penna, l’aprì e voltò la pagina dopo la prima dove c’era la sua dedica.
Infine, scrisse la data ed in seguito:
‘Realizzare di essere in grado di amare qualcuno al di fuori dei propri figli, è tanto sconvolgente quanto meraviglioso. Sono normale. Dio, sono così normale che mi devi perdonare, perché ti ho deluso di nuovo e purtroppo temo che non potrò mai rimediare. Adesso che farò?’
Dopo averlo scritto, impallidì e chiuse in fretta l’agenda infilandosela nei pantaloni.
Elina non aveva notato il regalo o ne avrebbe parlato vista la particolarità del dono. Non doveva sapere della sua esistenza.
Guardò verso la cucina dove stava lavando i piatti e sistemando, infine guardò i bambini intenti a guardare un film d’animazione davanti alla televisione.
Scosse il capo e pensò immediatamente a come fare per evitare che quell’oggetto finisse nelle mani sbagliate.
“Lo darei a Zlatan, ma non posso usarlo se ce l’ha lui.”
Poi si rese conto del significato profondo di quel pensiero e sorrise teneramente.
“Al mondo mi fido solo di lui così ciecamente da dargli qualcosa di tanto importante e personale. Ma come sono finito a questo punto?”
Finì per sorridere di più, sembrando una risata per il film che in realtà non stava seguendo ed Elina non lo trovò strano, quando tornò in salone con loro. Simon sollevò il braccio e l’accolse sotto il proprio come di consueto. Se non avesse continuato con le solite abitudini, sarebbe stato strano per lei.
Questo, lo turbò ancora di più.
Nonostante tutto era ancora in grado di fare quel che doveva, anche se si trattava di fingere e simulare un sentimento che non esisteva, non per lei.
“È che non voglio che soffra. Ma adesso che so di poter amare, voglio continuare a fingere per il bene di qualcuno che comunque non amo?”
Per quella risposta ci sarebbero voluti molti più mesi di quel che avrebbe immaginato.
Note: Come tutti ben sanno (o no ma glielo dico io) ai primi di dicembre del 2021 Simon si fa male esattamente come descritto nel capitolo, sei mesi di stop, stagione finita. È rinomata la sua scelta da eremita (non è un vero spoiler poiché è realmente accaduto) di cui scriverò nei prossimi capitoli. Io, come sempre, ho solo manipolato la realtà per farla 'infilare' bene nella mia storia, ma è sempre bene ribadire che nella realtà Simon non ha mai avuto problemi di questo genere con Elina (che noi sappiamo). Il fatto che noi sappiamo cosa sta pensando Simon non toglie che invece Zlatan, nella mia fic, non lo sapeva e che prima di realizzarlo si è fatto come sempre tutti i suoi film. Pensando ad un modo per aiutare Simon a riflettere, mi è venuto su quell'idea carina del diario che sebbene sia una cosa adolescenziale, io che lo uso tutt'ora da adulta (e quasi coetanea di Olivier - anche se in forma digitale) so che invece è estremamente utile ed ho pensato di usarla per fare qualcosa di diverso dal solito confessionale con persone fisiche. Grazie dell'attenzione ed alla prossima (sempre fra 4/5 giorni massimo). Baci Akane