16. LA PROMESSA

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Zlatan era stato intrattabile tutto il pomeriggio agli allenamenti, non aveva dormito nulla di notte ed era stato ancora peggio il mattino dopo, sempre coi suoi sventurati compagni di squadra. 
Aveva finito per litigare con Ante il quale, da bravo amico, non si tirava indietro se si trattava di dargli una buona valvola di sfogo e solo lui sapeva cosa funzionava con quelli come loro. 
Uno scontro, un litigio, una scarica di adrenalina. 
Dopo pranzo, finalmente, Simon gli aveva scritto gli orari precisi nei quali avrebbe avuto casa completamente libera, così contò impaziente i minuti che lo separavano da lui. 
Doveva sapere, doveva assolutamente sapere cosa diavolo passava per la testaccia di merda del suo ragazzo. 
Era tassativo saperlo. 
E poi dirgli tutto.
Tutto quanto.
Ogni risposta a quesiti e stronzate future che avrebbe partorito quell’idiota che pensava troppo e che da ora avrebbe avuto troppo tempo per farlo. 

Appena gli aprì la porta, Zlatan lo vide subito. 
La faccia di uno che aveva solo appena iniziato a lambiccarsi il cervello e che se lo sarebbe spolpato in sei mesi. 
Il punto però non era che adesso lui fosse diventato bravo a comprenderlo.
- Ti si legge in faccia. Che diavolo ti è successo? Da quando non riesci a controllare quel tue bel visetto composto? Dov’è il tuo sangue freddo? - lo incalzò subito, non per mettergli ansia e pressione, ma perché l’ansia e la pressione ce l’aveva lui.
Era terrorizzato dal fatto che gli chiedesse di lasciare sua moglie. 
Simon saltellò con le stampelle fino al divano dandogli le spalle, non vide l’espressione che fece, ma non gli rispose. Si sedette alla postazione solita, nell’angolo del divano, tirando su la gamba invalida sui cuscini, poi come prima cosa tirò fuori dalla tasca delle chiavi che gli tirò senza avvertirlo.
Zlatan le prese e capì subito di cosa si trattava, impallidendo. 
Il sacro terrore divenne una sorta di tsunami pronto a devastare tutto. 
- Non ti sto chiedendo di trasferirti qua e non ho cacciato Elina, ma spero tu verrai qua tutti i pomeriggi che potrai, visto che lei è praticamente sempre via coi bambini. Di conseguenza, per me è più comodo se tu entri ed esci da solo. Ah, ti dovrai servire da solo, di là è la cucina, puoi fare come se fossi a cas... - non riuscì a finire la frase che Zlatan gli chiuse la bocca con la propria, scocciato di tutto quel suo inutile parlare seccante. 
Appena si fu piegato su di lui e le labbra furono sulle sue, la pressione che premeva contro le sue tempie, calò drasticamente dandogli sollievo. 
Anche Simon si rilassò e lo percepì sorridergli mentre sollevava le mani e gli prendeva il viso tenendolo a sé.
Quando lo fece percepì una pressione ed una forza più marcati del previsto e sentì una sorta di bisogno incontenibile. A quel punto tornò la sensazione avuta appena entrato e separandosi da lui, rimanendogli chinato sopra, gli disse guardandolo in viso: - Come pensi di nascondere ad Elina la tua crisi esistenziale? 
Simon spalancò gli occhi colto in fallo e Zlatan rise schernendolo, raddrizzandosi. Cercava in realtà solo di allentare la tensione. 
- Ti si legge in faccia, non so cosa ti sia successo e quando, ma il tuo gran vanto di nascondere e trattenere e controllare credo sia andato nel cesso. Preparati a risponderle alla domanda su cosa ti succede. Dovrai essere convincente o sarà un disastro. 
Così dicendo, andò da solo in cucina alla ricerca di un modo per farsi il caffè. 
Simon rimase in silenzio in salotto, non gli lanciò indicazioni alla distanza e lo lasciò pensare. 
Quando tornò con due tazzine di caffè, lo vide ancora perso con lo sguardo nel vuoto e l’aria di chi non si era pettinato e non intendeva farlo. 
- Ti laverai almeno? - chiese sedendosi accanto a lui dopo avergli dato la sua tazzina. Simon allora lo guardò come se lo facesse per la prima volta. 
- Che cosa? 
- Tutto? - chiese ironico. - Vuoi che lo faccio io? Posso offrirmi come badante, non l’ho mai fatto ma Dio Zlatan può fare tutto! 
Continuò a sparare scemenze fino a che Simon si decise a rispondere a tono. 
- Non tentarmi che potrei accettare... ma sappi che sono esigente. Voglio un H 24, 7 su 7! 
Zlatan rise fischiando, sporgendosi poi verso di lui seduto accanto, alla ricerca della sua bocca che Simon gli concesse di nuovo, questa volta senza turbe psichiatriche di mezzo. 
Fu finalmente un bacio leggero e spensierato, ben apprezzato. 
Smisero di dire scemenze per bere il caffè e quando ebbero entrambi finito, Simon si appoggiò a lui alla ricerca del suo braccio che sollevò mettendoglielo intorno alle spalle.
Quando gli si fu accoccolato addosso, mentre gli baciava la testa dai capelli spettinati, capì che era il momento di parlarne. 
Lo fece con calma, con sua stessa enorme sorpresa. Senza irruenza e ira funesta. Del resto Simon non aveva ancora fatto nulla. Ancora. 

- Non so cosa ti frulli per la testa, ma so come ti funziona. So che finirai per arrivare alla conclusione che mi devi lasciare, ma voglio ricordarti questo. Quando penserai ‘voglio lasciare Zlatan perché è meglio così per tutti’, ricorda: agli occhi del tuo Dio, sei già sbagliato, perché per lui ora stai vivendo con un’altra donna che non è tua moglie. Perché per la Chiesa c’è solo un matrimonio ed è valido tutta la vita. In questo momento sei sbagliato ai suoi occhi. Perciò non credere che lui voglia che tu mi lasci per aggiustare questo matrimonio che tranquillo, è già sbagliato per lui. 
Simon rise e questo irritò Zlatan, il quale lo guardò male sollevandolo dalla propria spalla. I due si guardarono, uno ilare e l’altro arcigno. Tale aria, però, non gli durò molto perché finì per ridere anche lui e così Simon lo baciò ringraziandolo. 
- Ora fai anche la sfera di cristallo? - lo prese in giro sapendo che aveva ragione. 
Non era arrivato a pensare tanto, ma probabilmente l’avrebbe fatto, un giorno. 
- Io so tutto ed ho sempre ragione, lo sai. Perciò togliti dalla testa di lasciarmi. 
Simon sorrise scuotendo il capo, tornando ad appoggiarlo contro di lui. Si sentiva meglio anche se ancora non aveva detto nulla. Gli era bastata la sua presenza lì. 
Forse era questo ora Zlatan per la squadra. Non più un sostegno effettivo in campo viste le numerose assenze per infortuni vari, ma era comunque importante, perché bastava ci fosse per aiutarli a stare meglio. 
- Adesso la squadra è nelle tue mani, anche se a volte non potrai giocare dovrai seguirli anche per me. - disse come se fosse quello il punto principale. 
- Non vai mica a morire. Se io posso esserci anche se sono infortunato o non gioco sempre, perché tu no? 
Simon scosse il capo deciso senza però raddrizzarlo. 
- No io... sento d’aver bisogno di staccare da tutto e da tutti. Sai, quando sono tornato a casa quel giorno... - Zlatan capì di quale parlava, sapeva di non doverlo specificare.
- Pensavo che grazie al calcio ed ai momenti che avrei avuto con te grazie ad esso, sarei stato bene. Che ce l’avrei fatta rifugiandomi lì. Pochi giorni dopo mi sono infortunato, fermo sei mesi, chiuso in casa con mia moglie e lontano dal mio ‘rifugio’. Credo di dover staccare, isolarmi e pensare. 
Le parole fluivano fuori di lui da sole. Non riusciva a fermarle, era come se dopo una vita intera passata a vivere soffocandosi, non riuscisse più a smettere di essere onesto con sé stesso e lui era l’unica valvola con cui poteva esserlo. 

Zlatan rabbrividì a quelle parole, capendo cosa significavano e che preludio fossero. Non stava pensando di lasciarlo, ma c’era in gioco potenzialmente qualcosa di peggio. 
- A cosa devi pensare? 
- Perché non mi chiedi come sto, invece? - a questa domanda insolita, non provocatoria o fatta per litigare, ma con un tono indecifrabile che odiava, Zlatan lo guardò facendogli voltare il capo verso di sé. Simon lo sollevò dalla sua spalla di nuovo e si girò verso di lui. 
- Come stai? 
A quel punto sorrise, sempre in modo strano, amaro, forse. 
- Male. Da quando ho capito che ti amo mi sono partite una serie di considerazioni e realizzazioni su me stesso che mi hanno sconvolto. 
Zlatan iniziò a tendersi e come se Simon lo sentisse, gli prese la mano giocando con le sue dita più grandi. Questo gesto semplice lo rilassò un po’, seppure dentro di sé rimanesse sul chi va là, convinto che non potesse uscire niente di buono da una conversazione con lui in quel momento. 
- Del tipo? 
- Del tipo che mi hanno messo in crisi. Perciò speravo di rifugiarmi nel calcio. Ma adesso non ho scelta, capisci? Sono io e la mia crisi. 
- Che crisi? - chiese allora sempre più impaziente. Perché ci girava intorno? 
Simon intrecciò le dita alle sue e strinse la mano, poi tornò a posizionarsi come prima, la nuca sulla sua spalla, il capo rivolto verso il suo collo. Così non potevano guardarsi in viso. 
- Non ho mai pensato di essere in grado di amare, perciò dopo il primo matrimonio dove ho fatto degli errori, ho capito cosa dovevo cambiare per non finire in un altro fallimento. Sono andato meglio. Si trattava di simulare l’amore che le mie compagne volevano sentire da parte mia. Non ero in grado di provarlo, non l’ho mai provato né mai pensavo di poterlo provare, ma volevo una vita normale, una famiglia, fare figli e sposarmi. Perché è quello che vogliono tutti, è quello che fanno tutti, è una sorta di regola della società. Si nasce per questo, no? Te lo inculcano e tu cresci cercando questo, perché in quel modo sei normale. 
Zlatan non lo interruppe più assorbendo ogni discorso e flusso a ruota libera. Sapeva che aveva bisogno di dirlo ad alta voce ed era colpito che ora non riuscisse nemmeno a frenarsi più. 
Iniziò così a baciargli soprappensiero la testa a portata di bocca, non interagii più e Simon proseguì calmo.
- Ma invece con te ho capito che mi sbagliavo, sono capace di amare. Ed è bellissimo. 
Si trovò a quel punto a trattenere il respiro, come se capisse cosa venisse ora. Per un momento il cuore gli batté fortissimo nel petto. 
- Come posso ora vivere una vita intera simulando qualcosa che invece so di poter provare? 
Zlatan glielo voleva chiedere, ma al tempo stesso non voleva interromperlo. Oltretutto non sapeva se così facendo si scavasse la fossa da solo. 
Tuttavia non se ne sarebbe andato via da lì senza saperlo. 
- Il problema ora sono i figli. Se fossimo solo io ed Elina non ci penserei molto, ma con loro io non posso fare niente che li ferisca. Voglio dar loro una famiglia normale e serena, non voglio che debbano scegliere uno dei due, che debbano stare o con uno o con l’altro, che le cose diventino tese e brutte. Voglio che abbiano tutto quello che ogni bambino dovrebbe avere. 
Silenzio. 
Zlatan sospirò comprendendo meglio la sua crisi ed il suo dilemma. 
- Però l’idea di vivere un’intera vita così come ho fatto finora, mentre tu mi hai mostrato qual è quella vera e che ne sono in grado ed è bellissimo... io non so cosa fare. 
A quel punto la voce gli si incrinò notevolmente e si zittì. Zlatan attese paziente che gli tornasse la capacità di parlare, ma non gli successe, così lo fece lui. Piano e calmo. 
- Tantissimi bambini affrontano il divorzio dei loro genitori e sono sereni e felici lo stesso. Sta all’intelligenza dei genitori far sì che non ne soffrano. 
Simon si strinse nelle spalle e mosse la testa in modo incerto che sembrava prima un sì e poi un no. 
- Sì però non è la stessa cosa. Non lo sarà mai. 
- Non lo sarà comunque perché se tu ora sei consapevole di poter amare, ma che non ami lei, prima o poi verrà fuori e l’atmosfera in casa cambierà, sarà tesa e loro non saranno comunque felici. 
Simon con uno scatto trattenne il fiato e si voltò verso di lui a guardarlo di nuovo. I suoi occhi azzurri erano carichi di paura e forse era la prima volta che lo vedeva così. Gli fece impressione e se ne dispiacque al punto che lo strinse di più a sé col braccio che era ancora intorno alle sue spalle. Strinse anche la presa alla mano intrecciata alla sua e gli baciò la fronte. 
- Non è detto che accada. Hai sempre avuto un ottimo controllo, adesso sei spaventato e spaesato perché hai appena scoperto cose sconvolgenti, ma magari devi solo darti tempo ed abituarti. Non è detto che cambi nulla, poi. Non è detto che tu debba fare qualcosa. 
Simon sembrò quietarsi un po’, lo sentì rilassarsi contro di sé e iniziò a carezzargli il braccio con la mano che lo cingeva. 
- Ma adesso sarò chiuso qua con lei ed io so che è perché ci devo pensare bene. Devo pensare bene a fondo a tutto. A cosa significa che ti amo, che sono in grado di amare, cosa devo fare con lei, cosa voglio io dalla mia vita e da me stesso. Come intendo camminare da qui in poi, come vivrò. 
Zlatan capì che sarebbero stati sei lunghissimi mesi, ma capì anche che in realtà il rischio che arrivasse alla conclusione sbagliata, c’era eccome e si rese conto che non era, come aveva pensato, che gli chiedesse di lasciare Helena e vivere insieme. Capì che l’eventualità peggiore a cui potesse arrivare era proprio la prima a cui aveva pensato appena appreso del suo infortunio grave. 
- Come faccio a sapere che questo tuo tormentarti non finirà col lasciarmi? 
Simon scosse il capo con gli occhi lucidi, dispiaciuto. 
- Non lo possiamo sapere come finirà tutto questo. 
A Zlatan bruciarono gli occhi all’eventualità di ritrovarselo davanti alla porta che lo lasciava, alla fine di tutto. 
Inghiottì a vuoto sentendosi già impazzire all’idea di superare anche lui quei sei mesi. 
- Ho bisogno di un segno, di qualcosa che mi faccia capire... che se mai decidessi di chiudere con me, voglio che mi prepari in qualche modo prima. Perché se me lo dicessi di punto in bianco so che perderei la testa e finirebbe male. Devi... devi farmelo capire e darmi il tempo di digerirlo... 

Simon lo guardò spaesato e totalmente preso in contropiede da quella strana reazione.
Era arrivato facendo fuoco e fiamme, deciso e mettere in chiaro che non voleva lo lasciasse ed ora si trasformava in quel pulcino terrorizzato? 
Dentro di sé si aprì qualcosa che lo investì di un calore infinito e lo ammorbidì enormemente. 
Voleva dirgli che non avrebbe mai finito per prendere quella decisione, che doveva solo capire se lasciare Elina o meno, non lui, ma vedendolo così spaventato all’idea che invece succedesse, non avendolo mai visto così, gli prese il viso con una mano che posò sulla sua guancia, lo carezzò dolcemente ed annuì sorridendo. 
- Mi farò crescere barba e capelli. Farò l’eremita isolato da tutto e tutti. Penserò da solo quanto ne avrò bisogno ed alla fine... se vedrai che mi taglio tutto corto corto, saprai che avrò preso quella decisione. 
Ma lui dentro di sé sapeva che alla fine di quei sei orribili mesi, avrebbe finito per tenersi i capelli e la barba lunga, magari sistemati in modo decente, ma l’avrebbe fatto. 
Zlatan capendo bene il genere di promessa e di segno che gli avrebbe fatto, annuì. 
- Allora spero non te li taglierai più. - così dicendo, posò le labbra sulle sue sancendo quella promessa. 
Non si stavano lasciando né aveva mai contemplato l’idea di farlo, ma non poteva sindacare sui sentimenti di Zlatan visto che i propri non erano tanto più logici e sensati. 
Ognuno aveva i suoi, si disse abbracciandolo e nascondendo il viso nel suo collo caldo. 
- Quindi il mio compagno sarà un capellone barbuto? Perché ti vuoi imbruttire? Mica sei in lutto! 
A quella sparata fatta ovviamente per sdrammatizzare, Simon scoppiò a ridere più di quello che avrebbe voluto, ma lo trovò rilassante e scostandosi per guardarlo ancora illuminato in un bel sorriso, disse: - Guarda che io sto meglio coi capelli lunghi ed un po’ più di barba... 
- Un po’... conoscendoti prima che tu smetta con le tue seghe mentali sarai l’uomo delle caverne... c’è da chiedersi se poi sarò io a volerti! 
Simon rise consapevole di essere un bell’uomo e di stare bene con un certo stile. 
- Anche tu dovrai farlo. - Zlatan lo fissò impallidendo. - Se mai sarai tu a decidere di lasciarmi dovrai tagliarti tutto corto. Così saprò perché lo fai e mi preparerò a modo mio anche io. 
- Non penso proprio! 
- Allora non lo farò nemmeno io! Avrai la sorpresa, alla fine! 
- Vaffanculo, perché devi essere sempre così complicato? Perché con te le cose non sono mai semplici? 
- Perché altrimenti non mi ameresti! 
Andarono avanti a scherzare dicendo scemenze fino a che l’ora del ritorno di Elina non si avvicinò, così sciogliendosi, mentre Zlatan si preparava ad andarsene, si guardarono a lungo negli occhi senza smettere nemmeno mentre si infilava la giacca. 
Si fermò una volta pronto ad andarsene. Si fece serio. 
- Lo prometto. 
Simon sapeva che cosa. Annuì. 
- Anche io. - poi aggiunse con un tenero sorriso. - Ma nessuno di noi due si taglierà niente. 

Zlatan sorrise sollevato, non sdrammatizzò come suo solito con qualche battuta idiota delle sue. Si chinò, gli diede un bacio sulle labbra e se ne andò sperando che avesse ragione. 
Simon era decisamente la persona più imprevedibile che avesse mai incontrato. 

Non sapeva se per lui fosse meglio vivere solo e non dover preoccuparsi di mascherare la sua tensione dovuta a Simon, oppure se fosse peggio. 
Avendo Helena ed i figli a casa almeno si sarebbe dovuto concentrare su di loro, come faceva sempre quando erano insieme. 
Cercava sempre di dare il cento percento del suo tempo alla sua famiglia, anche con lei, sebbene non l’amasse, in ogni caso provava dell’affetto e stava sufficientemente bene in sua compagnia. Gli faceva piacere fare le vacanze insieme o andare a qualche evento che gradivano entrambi. 
Tuttavia per lui era essenziale poter sparire e isolarsi se ne aveva il bisogno, poterlo fare senza spiegazioni. 
In quel periodo intuì che se fosse stato con loro sarebbe finito per aver sempre bisogno di stare per conto suo. 
A calcio era particolarmente scontroso anche se i suoi compagni nell’ultimo anno avevano scoperto un Zlatan straordinariamente allegro e socievole, ma anche un comandante che se non facevano tutti quel che lui voleva, erano guai. 
Aveva dato prova del suo malumore ed in quei casi avevano subito imparato a stargli alla larga, solo che da quando si era messo con Simon le cose erano andate bene, salvo qualche piccolo bisticcio con lui.
Ora prevedeva più momenti di tempesta, che altro, ma magari il doversi impegnare anche per lui sperava l’avrebbe salvato da un eterno malumore. 
Doveva fare anche il suo, doveva essere un capitano per due. 
Avevano sempre avuto ognuno il proprio ruolo, ma adesso che Simon voleva isolarsi e fare l’eremita e che non aveva testa per la squadra, doveva pensarci lui. 
Glielo aveva promesso, dopotutto. Ci avrebbe pensato lui a loro. Avrebbe fatto lui la sua parte, anche se avesse avuto infortuni, lui sarebbe stato sempre lì comunque. 
Quell’anno se lo sentiva.
Quell’anno sarebbe stato speciale, per la squadra, e lui non sarebbe mancato. 
Sapeva che anche senza lui e Simon ce l’avrebbero fatta, perché ormai la squadra giovane e formata da poco, era diventata un bel gruppo ed erano pronti a volare e far vedere chi erano.
Si rese così presto conto di avere un’ancora di salvezza nel gruppo che aveva contribuito a rendere tale con tanta tenacia e testardaggine. 
Quella squadra messa su dal niente divenne la sua piccola oasi e proprio nel fare il Simon della situazione, quello filosofico, calmo e sicuro, lo sentì più vicino a sé.
Ogni tanto si chiedeva come avrebbe parlato loro e ci riusciva. Si rendeva conto che dalla sua bocca non uscivano le parole che avrebbe detto lui normalmente, nel suo tipico modo tonante e minaccioso. Erano proprio le parole che avrebbe detto lui, nel suo modo pacato e distinto, ed ogni volta che lo faceva gli sembrava di averlo lì vicino. 
Ma gli mancava, gli mancava come l’aria, anche se lo sentiva regolarmente e tutte le volte che poteva andava a trovarlo.
Era sempre più capellone e barbone ed era incredibilmente attraente, anche se in modo diverso. 
Sicuramente gli ci voleva una ‘forma’ a quella massa, ma quella versione trasandata e trascurata era sempre più hot ed era difficile, a volte, non vederlo perché c’erano certi periodi che i loro orari non coincidevano, dovendo stare attenti ad Elina e ai bambini. 
Aveva ancora paura che lasciandolo tanto isolato, tutto quel tempo per pensare l’avrebbe portato a fare delle scelte avventate che sarebbero ricadute male su di lui, invece mano a mano che lo rivedeva, lo vedeva sempre più barbone e totalmente fuori dai suoi schemi, ma al tempo stesso aggrappato a lui. Quasi come che per stare a galla in quel momento difficile, Simon si afferrasse saldamente a lui usandolo come ancora di salvezza. Se le cose sarebbero andate avanti così, forse, sarebbe andata bene, alla fine. 
Eppure sapeva di non poter tirare alcun respiro di sollievo prima della fine del suo isolamento. 
Perché Simon era così, la sua mina vagante, perché non aveva paura di niente e nessuno, tanto meno di fare l’irreparabile. 
Era proprio questo che gli aveva fatto tanto perdere la testa. 
Lui non aveva mai avuto paura, in realtà. Mai. Di niente. 
Ora, però, cominciava ad averla lui. 


Note: scusate il ritardo nella pubblicazione, ma ho avuto una settimana intensa. Rieccoci qua, adesso Simon ha parlato con Zlatan e gli ha spiegato, ma Zlatan è prevenuto ed ha paura di perderlo comunque e non è facile vivere una relazione con uno così. Anche nella realtà Simon nel periodo della convalescenza ha fatto l'eremita su sua stessa rivelazione. Ha detto d'aver staccato i contatti con tutti, squadra compresa, ma non ha ovviamente spiegato perché. Io ho manipolato la cosa. Ed è anche vero che Zlatan pur facendo dentro e fuori dal campo e giocando di fatto poco, era sempre presente con la squadra e li motivava un sacco, mentre Simon l'ha fatto solo finché era in rosa e giocava. Alla prossima. Baci Akane