1. FUORI LUOGO E ARROGANTE
"Non ho capito cosa mi ha detto, ma non sono sorpreso. Ibrahimovic è un arrogante, sempre pronto a tirar fuori il petto. Siamo dei calciatori, dovremmo pensare solo a giocare senza prenderci troppo sul serio come fa lui. Non è la prima volta che lo affronto e conosco le sue reazioni fuori luogo.”
Zlatan tendeva a dimenticare immediatamente gli altri, specie se avversari.
Era difficile essere ricordato e notato da lui, solitamente succedeva se stimava qualcuno, ma non era facile arrivare a quel livello.
Per i giocatori che invece gli stavano sulle palle aveva una lista nera che teneva in un angolo buio della sua mente per eventualmente tirarla fuori al momento giusto, ma non era frequente che ricordasse dettagli specifici di costoro, perché non voleva finire per ucciderli nel rivederli.
Preferiva ricordare, solo se necessario, che quella persona gli stava antipatica senza riesumare particolari in grado solo di montarlo ulteriormente.
Di qualcuno, però, non dimenticava assolutamente nulla, ricordava ogni singola e specifica questione.
Fu il caso di Simon.
Appena sentì del suo arrivo al Milan, poco dopo il suo, esattamente 17 giorni, gli arrivò la sua voce sparata nel cervello come una sorta di fulmine che irrompe una quiete pacifica.
Non che la voce di Simon Kjaer fosse tonante, anzi. Era piuttosto bassa e vellutata, sempre molto calma e composta. Ma le parole che aveva detto esattamente nel novembre del 2016, rimbombarono il 13 gennaio del 2020 come per ricordargli il preciso motivo per cui quel difensore danese era stato messo nella sua famosa lista nera.
Che poi il motivo per cui quel giorno, durante quella partita col Manchester United, gli aveva preso il collo con la mano stringendo fin quasi a strozzarlo, non lo ricordava mica.
Ricordava che l’aveva fatto incazzare per bene fino a farlo reagire così, ma di sicuro era stata colpa sua visto che non era uno psicopatico al contrario di quello che gli altri pensavano. Non è che si rigirava contro uno così, per nulla.
Però ormai non era più sicuro di cosa fosse successo, probabilmente un brutto scontro in campo durante un’azione in attacco.
Ciò che non aveva minimamente dimenticato, però, era stata la reazione pacata e gelida di Simon che, nonostante lui alto, grande, grosso ed incazzato, non aveva fatto una piega sulla sua mano stretta nella sua gola. Non aveva cercato di allontanarlo, spingerlo né gli aveva preso il polso. Era rimasto immobile davanti a lui a fissarlo con un braccio largo e una mano sulla sua vita, come se non gli stesse facendo nulla e non avesse minimamente paura.
L’aveva fissato dritto dritto negli occhi, senza timore.
I suoi erano azzurri, gelidi.
la sua reazione la ricordava bene, così come ciò che aveva detto dopo, ai media.
Non ascoltava mai le interviste, né le leggeva, ma in quel caso qualche compagno idiota gli aveva fatto sentire la sua frase per vedere la sua reazione divertente.
“Guarda che coraggio ha avuto questo qua, Ibra!” gli avevano detto, non sapeva chi ovviamente.
‘Arrogante e fuori luogo.’
Quella frase, ed in particolare la definizione usata, la ricordava bene eccome, ora, nonostante i quattro anni passati da quel giorno.
- Simon Kjaer al Milan?! - tuonò a Paolo appena gli aveva risposto.
Aveva una certa confidenza con lui, nonostante non ci avesse mai giocato insieme, solo contro. L’aveva sfiorato, in realtà, poiché Paolo si era ritirato dal calcio giocato nel 2009 e lui era arrivato al Milan esattamente un anno dopo.
Tuttavia avevano sempre avuto un ottimo rapporto e appena si erano messi in contatto per la trattativa di ritorno in uno dei suoi club preferiti, dove aveva sempre sperato di poter finire la sua lunga e soddisfacente carriera, avevano immediatamente trovato un rapporto piuttosto sereno e alla pari.
Paolo era bravissimo a trattare con gli altri, a capirli e a trovare il modo migliore per interagire con loro. A seconda di ciò che voleva dalle persone, le sapeva gestire.
Se voleva convincere qualcuno a venire al Milan lo faceva sentire stimato e al centro del loro progetto, com’era stato il caso di Theo Hernandez, se invece voleva convincere qualcuno a venire nel suo club per rinforzare una squadra che al momento era ancora allo sbando e con molte lacune, lo metteva nella condizione di diventare una sorta di guida, di conseguenza gli permetteva di avere voce.
Com’era il suo caso, infatti.
Paolo gli aveva detto che più che un semplice attaccante, aveva bisogno di qualcuno che desse esempio su come si diventava professionisti e affamati, dei vincenti, insomma. Aveva anche aggiunto di sentirsi libero di parlargli apertamente e fargli sapere ogni sua esigenza.
Insomma, l’aveva fatto sentire importante, cosa che comunque si sentiva già da solo, ma anche e soprattutto libero.
Per Zlatan essere libero di qualunque cosa avesse bisogno, era importante perché era da sempre stato il principio più importante nella sua vita. Helena l’aveva capito, per questo era riuscita a stargli accanto per tutti quegli anni.
Lui doveva essere lasciato libero, allora restava.
Paolo l’aveva capito subito e gli aveva assicurato libertà di manovra e scelta in ogni caso, questo ovviamente se se la fosse conquistata, ma Zlatan sapeva di farcela. Bastava fare ciò che aveva sempre fatto, giocare bene e segnare.
- Sì, perché? - chiese Paolo calmo e diplomatico. - Ci sono dei problemi? - aggiunse poi paziente.
- Sì... le mie mani che quattro anni fa si sono strette intorno al suo collo durante una partita. - Silenzio. - E lui che mi chiamava ‘arrogante e fuori luogo’ alla fine davanti ai giornalisti. - Ancora silenzio. - Credo che potrebbe essere un problema!
La voce di Zlatan non era polemica e accusatoria, non si stava in effetti lamentando della manovra di mercato del suo direttore tecnico sportivo che stimava da quando giocava a calcio.
Era per lo più un avvertimento, il suo. Anzi, un avviso.
Paolo capì che lo stava semplicemente mettendo a parte di una cosa che probabilmente sarebbe stato meglio per lui sapere.
Zlatan lo sentì sospirare, dall’altra parte del telefono.
- Beh, in tanti in campo si mettono le mani al collo, non significa che ci si voglia uccidere davvero.
Era vero.
Ma non tutti erano Zlatan Ibrahimovic.
Paolo lo sapeva, ma non glielo disse. Quel che pensò fu però che contava sulla calma e sulla maturità di Simon, pensò così che sarebbe riuscito ad andare d’accordo con lui. Dopo averlo conosciuto di persona, aveva subito capito che genere di stoffa avesse il nuovo difensore danese.
Quella di un leder in grado di mantenere sempre i nervi saldi e di fare esattamente quel che serviva al momento giusto. Di qualunque cosa si trattasse, anche scusarsi con un giocatore con cui erano venuti alle mani.
Anche se, pensando a quell’uomo di 30 anni, gli venne difficile credere che potesse aver avuto una rissa con qualcuno, anche se sapeva bene che Zlatan riusciva a far uscire dai gangheri anche un Santo.
Dopo aver liquidato il suo interlocutore con un fintamente sereno: - Comunque grazie dell’informazione, sono sicuro che troverete un modo per stare bene insieme, - si affrettò a cercare notizie in merito su internet ed una volta che trovò le immagini e poi il video di Zlatan che prendeva Simon per il collo, capì che non si sarebbe dovuto affatto preoccupare.
La reazione di Simon era stata encomiabile e non solo.
“Conosco i tipi come Ibra, sicuramente è rimasto colpito dalle palle che Simon ha dimostrato nel rimanergli immobile davanti senza spingerlo via. Per non parlare della serenità con cui poi l’ha definito ‘arrogante’ e ‘fuori luogo’ davanti ai giornalisti...”
Paolo era rimasto colpito dalla fermezza e dalla freddezza con cui aveva reagito Simon, non tutti davanti a certi giocatori erano in grado di rimanere così saldi, ma non si stupì davvero molto.
Aveva capito subito che tipo di persona era il suo nuovo prestito con diritto di riscatto.
Nervi saldi, capace di fare sempre quel che era necessario senza mai tirarsi indietro ed ora, poteva aggiungere, coraggioso.
Anche se nella sua testa si era detto ‘con le palle’.
Zlatan imprecò, quando Paolo gli mise giù il telefono, ma non riprese più il discorso. Non intendeva minimamente fare la parte del bambino capriccioso, ma gli era venuta spontanea la domanda, visto che gli aveva dato libertà d’azione e quella comprendeva anche il fargli sapere ciò che pensava.
Si era frenato in tempo, Paolo non gli dava l’idea di essere uno a cui potevi dire tutto senza limiti, ma se usavi la testa potevi ottenere molto da lui.
Zlatan la testa la sapeva usare.
Quando se ne ricordava.
“Va bene, siamo nella stessa squadra. Ironia del cazzo, destino di merda. Comunque sono un attaccante e lui un difensore, avremo poco a che fare, finalmente. Io mi farò i cazzi miei e sicuramente anche lui se li farà.”
Non lo conosceva bene, ma aveva capito che era uno scostante e sulle sue, gli aveva dato quell’idea tutte le volte che si erano scontrati in campo, svariate volte, in effetti.
Ce la poteva fare.
Bastava fare finta che non esistesse, lui avrebbe sicuramente fatto altrettanto.
Simon era arrivato subito, aveva firmato il 13 gennaio e si era unito alla squadra il 14 portando subito le proprie cose da sistemare nella nuova camera a Milanello.
Il centro sportivo ospitava sempre i giocatori alla vigilia delle partite in casa, mentre per quelle fuori casa si spostavano il giorno precedente, come da prassi, permettendo così alla squadra una preparazione adeguata e soprattutto un giusto riposo negli alberghi che li ospitavano.
Ogni aspetto della squadra veniva controllato al microscopio, alla vigilia delle partite: dal sonno all’alimentazione.
Dal momento che il 15 il Milan avrebbe affrontato lo Spal in Coppa Italia, dopo la sessione pomeridiana degli allenamenti, i ragazzi si sarebbero fermati a dormire lì e come loro anche Simon avrebbe fatto già la sua prima serata pre-partita col gruppo a cui si era appena unito.
Era arrivato particolarmente presto per ricevere il nuovo materiale del club e per sistemare le cose in quella che almeno per il resto dell’anno sarebbe stata la sua nuova camera a Milanello, Simon recuperò il borsone con il materiale fornito dal club, fra cui divise, tute d’allenamento e vestiti di vario tipo, tutti firmati col marchio della società e forniti dagli sponsor.
Prese la chiave della stanza assegnata, infine con la propria valigia a mano ed il borsone, entrò in ascensore dirigendosi ai dormitori.
Gli avevano assegnato una camera senza dirgli chi fosse il suo compagno e lui non l’aveva chiesto, ritenendolo superfluo dal momento che gli sarebbe andato bene chiunque; gli avevano solo spiegato che l’unico letto libero attualmente era quello, perciò non avrebbe potuto spostarsi.
Non commentò e non fece domande, con un sorriso cortese di circostanza che metteva una barriera bella grande fra lui e il custode del centro sportivo, salì seguendo le istruzioni, dicendo che sarebbe potuto andare da solo.
Quella sera si sarebbe fermato a dormire lì come gli altri, perciò sarebbe stata anche un’ottima occasione per conoscere i suoi nuovi compagni di cui sapeva poco. Non si era ancora informato, sapeva solo che lì c’era uno dei giocatori che meno sopportava, Zlatan Ibrahimovic, ma non era stato un buon motivo per rifiutare l’ottima proposta di finire l’anno in prestito dal Siviglia, lì al Milan piuttosto che all’Atalanta, dove non era andata bene.
Simon aveva già giocato in Italia in passato e si era sempre trovato bene, perciò sperava di poter essere riscattato e finire la carriera in quel Paese.
Sulla squadra non aveva particolari preferenze, ma gli aveva fatto molto piacere essere contattato da Paolo Maldini e ricevere la sua stima.
Non era di certo contento di essere il compagno di squadra di Ibra, ma erano due adulti maturi, lui di sicuro lo era, l’altro non ne era sicuro, ma sapeva controllarsi molto bene e se si trattava di dover ignorare qualcuno per quieto vivere, era il migliore.
Arrivò nella camera assegnata ed aprì con la sua chiave chiedendosi con chi sarebbe finito, ma la trovò vuota e gli effetti personali che normalmente rimanevano sempre nelle rispettive stanze dei centri sportivi, qualora i club li avessero, cosa che non era per tutti, non dicevano nulla su chi potesse essere.
C’erano giocatori che arredavano la loro parte con foto e cose personali, essendo che quella diventava come la loro seconda casa, ma chiunque fosse il suo nuovo inquilino, non sembrava interessato a quel genere di cose. Come lui, in realtà.
Alzò le spalle rinunciando a capire in anticipo di chi si trattava, l’avrebbe scoperto quella sera, al termine degli allenamenti pomeridiani.
Senza fare alcuna piega, iniziò a sistemare i vari cambi di vestiti nell’armadio libero, facendo vagare la propria mente a quel che si era già parzialmente innescato da sé, pensando al fatto che sarebbe diventato proprio un compagno di squadra di Ibra.
“Ibra...” ripensò usando il soprannome più gettonato per uno dei calciatori più famosi del mondo. Fino a quel momento l’aveva chiamato col cognome completo, ma voleva iniziare ad esercitarsi, sicuramente lì tutti lo chiamavano Ibra.
“Spero sia cresciuto un po’, in quattro anni. Tu pensa se dovevamo finire nella stessa squadra allo stesso momento! Ha firmato poco prima di me! Mi sembra assurdo lo scherzo del destino.”
Sapeva d’averlo criticato in maniera sferzante davanti alle telecamere, dopo quella famosa partita del Fenerbache contro lo United, non ricordava cosa aveva detto, né quali parole avesse usato, ma non gli importava.
Ricordava perfettamente, però, le sue mani intorno al proprio collo.
Forti, grosse e prepotenti.
Qualunque cosa avesse detto dopo ai microfoni, lo pensava realmente.
Non gli era mai piaciuto, aveva un modo di fare arrogante e fuori luogo, prendeva sempre tutto troppo sul serio ed esagerava al cento percento ogni reazione.
Sperava che fosse migliorato, anche se non ci faceva molto affidamento.
“Uno arrogante, resta arrogante sempre. Col tempo può solo peggiorare!”
Continuando a non avere un’opinione positiva sul suo nuovo compagno di squadra, finì di sistemare le proprie cose e controllando l’ora valutò che anche se era ancora presto per gli allenamenti col gruppo, sarebbe andato in avanscoperta in uno dei centri sportivi più rinomati del mondo.
Da quel momento iniziava un nuovo periodo della sua vita su cui non aveva particolari aspettative, ma dentro di sé, in una parte che ignorava, sperava che sarebbe stato bello ed appagante.
Il Milan era sempre il Milan e quello, oltretutto, era diretto da nientemeno che Paolo Maldini.
Poteva essere un buon finale di carriera, volendo.