*È uno dei momenti più importanti della fic, Zlatan si gioca il tutto per tutto, se sbaglia questo approccio, può dire addio al suo grande piano di conquista. In vena di confidenze e discorsi seri, riuscirà a rigirarsi Simon in modo da far breccia? Alla fine ci sono dei miei disegni sul capitolo che però non sono fatti bene e non riportano precisamente la scena descritta, però volevo disegnarli e l'ho fatto! Buona lettura. Baci Akane*
14. EMOZIONI
Simon si era perso e confuso mise giù il controller voltandosi anche lui di più, spostò la gamba fino a toccare inevitabilmente la sua.
Il calore lo mandò di nuovo a fuoco e tornò ad eccitarsi, sperò ardentemente che Ibra non lo percepisse e non lo notasse.
- Allora non dovresti sposarti. - disse semplicemente con una calma sconcertante.
Ibra lo fissò aggrottandosi nervoso.
- Io mi sposo perché voglio una famiglia, tutti vogliono una famiglia e non c’è niente di male. I miei figli sono la cosa migliore della mia vita.
- Ma non sei in grado di averla se vuoi anche andare con chi ti pare!
- Chi te l’ha detto? Non rendo infelice nessuno, non faccio mancare niente a nessuno. Se la persona con cui stai ti capisce davvero e ti ama per quello che sei, ama anche quel tuo bisogno di libertà. Io non faccio mancare niente a nessuno, stanno tutti bene. Solo perché una cosa non è come la fanno tutti, non significa che sia sbagliata e che non vada bene e non funzioni.
Per Simon era difficile capirlo se non impossibile, erano troppo diversi, ma capì che per lui aveva senso e funzionava in quel modo. Funzionava bene.
- Se lei non soffre e funziona per voi, non sono nessuno per dissentire...
Ibra spalancò di nuovo gli occhi.
- Ma qua non si parla di me!
Simon lo fissò esterrefatto, voleva allontanarsi sentendosi soffocare, ma sapeva che non poteva più farlo. Così rimase lì con una mano appoggiata sul letto e l’altra sulla propria gamba, la stessa che toccava quella di Ibra, in una posizione simile alla sua. Rivolti uno verso l’altro per capirsi, guardarsi, apprendersi.
- E di cosa si parla?
- Ma di te! E del fatto che non c’è solo il dovere che ti sei auto imposto! Non se non ti rende felice! Se ti sta bene e sei felice è un conto, ma non dirmi che lo sei se non ti lasci mai andare e non sai dimostrare i tuoi sentimenti e le emozioni!
Lì Zlatan seppe d’aver esagerato, glielo lesse negli occhi azzurri che saettarono di una luce più cristallina per poi tornare immediatamente a chiuderli dietro il suo ghiaccio.
L’aveva preso e poi perso in un attimo.
- Non sai niente di me, non puoi parlare così. Non sai se sono felice, sai a malapena che il mio problema è dimostrare i miei sentimenti, ma non significa che questo mi renda incapace di provarne o infelice, addirittura! Non significa che nel mio modo di vivere ci sia qualche errore, qualcosa da cambiare. Tu hai il tuo e se siete tutti felici e per voi funziona, bene. Ma non è che tutti hanno bisogno delle cose di cui hai bisogno tu!
Simon sembrava infervorato, ma parlava secco e gelido, si era arrabbiato ed il suo modo di esserlo era puramente artico.
Al contrario Zlatan era fuoco e lava incandescente e guardando fra le sue gambe notò che era ancora eccitato, così improvvisamente decise di tentare il tutto per tutto.
Gli mise la mano sulla coscia, vicino al centro e lo toccò senza paura.
- Ma tu non sei felice, non stai bene. Tu hai bisogno di altro.
Ne era sicuro, così sicuro che non aveva paura di dirglielo in faccia.
Forse l’avrebbe perso o forse gli avrebbe dato materiale su cui riflettere per poi aprirsi.
Per un momento il giocatore d’azzardo che era, quello impulsivo che non rifletteva mai prima di agire, aveva preso il sopravvento e si chiese cosa avrebbe fatto Simon.
- Non sai di cosa ho bisogno. - sibilò Simon a fatica, non riusciva più a mantenersi saldo. In quel tocco era avvampato completamente in ogni parte, il cervello non produceva più pensieri coerenti e voleva solo andarsene, ma era importante non fare la parte del ragazzino che scappava.
Eppure sapeva che in quel confronto Ibra in qualche modo avrebbe vinto.
Perché in realtà aveva ragione lui.
- Scommetti che lo so? - lo sfidò provocante, gli occhi gli brillarono come due braci ardenti e Simon si sentì denudato e letto e non gli piaceva affatto. Aveva passato la vita ad allontanare gli altri per non far vedere ciò che c’era dentro, come poteva ora lui provarci così? Riuscirci?
- Non sai niente di me. - rispose sferzante e gelido come il ghiaccio, ma a quel punto Ibra gli mise l’altra mano libera sulla guancia e quasi afferrandogli il viso lo tenne fermo, mentre quella sulla coscia si spostava più in su, sull’erezione sempre più eccitata.
Simon a quel punto non capì nulla e nel giro di un soffio si ritrovò la sua bocca che prepotentemente si premeva sulla propria.
Spalancò gli occhi e trattenne il fiato diventando acqua bollente in un attimo.
Si sentì totalmente sciolto fra le sue mani, nella sua bocca.
Ma non si limitò a quello, Ibra gli prese il labbro inferiore e glielo succhiò, poi piegò il capo per avere un miglior accesso e forte e deciso lo leccò.
Simon totalmente sconvolto, eccitato e allucinato, sentendo la sua lingua che lo bruciava in quel modo quasi animalesco, mentre la mano attraverso i pantaloni lo toccava e lo strofinava, si ritrovò a chiudere gli occhi e ad aprire la bocca, accogliendolo al suo interno. Gli venne incontro senza rendersene conto, titubante, shoccato.
Quando si intrecciarono in quel bacio inaspettato, gli piacque da matti, l’erezione si impennò e venne così, subito, senza troppa insistenza, senza nemmeno bisogno di abbassare i vestiti e sentire la sua mano direttamente sulla pelle.
Appena successe, si perse.
Zlatan aveva vinto, in qualche modo se ne rendeva conto, ma non era certo d’aver fatto la cosa giusta.
Lì per lì, nell’estasi del suo egoistico desiderio di vincere quel dibattito che sapeva era importante, era andato dritto come un treno senza più pensare.
L’aveva baciato, palpato e lui aveva risposto addirittura venendo.
Eppure sentiva sotto le dita sul suo viso, sulla sua guancia, che Simon ora stava peggio di prima.
Era inevitabile, succedeva così quando ti guardavi finalmente in faccia. L’aveva obbligato a farlo e avevano giusto parlato di obblighi, ma non aveva avuto scelta.
Più che altro, non ci aveva più pensato.
Staccò le labbra e appoggiò la fronte alla sua mantenendo gli occhi chiusi. Con la mano, lentamente, passò dalla guancia al collo.
Scese leggero, piano, quasi tremante, mentre ricordava da dove era partito il suo desiderio.
Il suo collo. Toccarlo di nuovo senza fargli male.
Goderlo. Farlo suo.
Accarezzarlo.
Lo fece dolcemente, sensuale, sentendo sotto i polpastrelli le linee che dalla mascella scendevano giù unendosi al centro delle clavicole.
Toccò e carezzò lieve ogni centimetro della sua pelle sensibile, sentiva battere impazzita la giugulare.
Simon era bollente, eccitato e, probabilmente, terrorizzato.
Aprì lentamente gli occhi per provare a vedere la sua espressione.
I suoi erano chiusi e le sopracciglia lievemente aggrottate in uno sforzo enorme di autocontrollo, era terribilmente confuso, ma non piangeva.
Era semplicemente bellissimo.
Dopo che era venuto, aveva spostato la mano dal suo inguine e l’aveva riportata sulla sua coscia, sopra c’era quella di Simon, come a fermarlo per impedirgli di rifarlo o, forse, di andarsene.
- Va tutto bene. - mormorò piano, sicuro, senza smettere di guardarlo.
Simon scosse lieve il capo.
- No, non va bene.
- Sì, fidati di me. È tutto ok.
Ci voleva credere disperatamente, ma sapeva che la sua intera vita, il suo intero mondo, era appena cambiato per sempre e niente sarebbe mai più stato lo stesso. Non per lui.
Per Ibra, forse. Ma non per sé stesso.
- Tu magari volevi solo vincere un battibecco o magari che ne so, mi volevi portare a letto perché hai il tuo periodo. Ma per me adesso mi è crollato il mondo addosso. Non doveva piacermi. Non dovevi piacermi.
Zlatan non se la prese, trovò maturo ed incredibilmente positivo che ne parlasse, anche se con tono accusatorio.
Sapeva che era inevitabile e capì. Separò la fronte dalla sua, ma non tolse le mani.
Girò quella sulla coscia per prendere la sua, mentre le dita sul collo continuarono a carezzarlo delicatamente, sentendo sotto la pelle che si stava rilassando lentamente ai suoi tocchi.
Il suo corpo da rigido si ammorbidì piano piano, ma gli occhi erano ancora chiusi, la fronte ancora increspata.
- Simo... - lo richiamò in un sussurro.
Simon aprì gli occhi e gli regalò quell’azzurro che ormai gli piaceva. Non era più gelido, era opaco e confuso, come un cielo velato.
- Non l’ho fatto per grattarmi via un prurito. - precisò. Simon si aggrottò ancora di più, per nulla convinto. Ma lui, deciso, proseguì dando forza alle sue parole tramite il suo sguardo penetrante e ravvicinato.
- L’ho fatto perché è dal secondo giorno che sei a Milanello che ti desidero da matti. Non è che volevo scopare con un ragazzo, stasera. Né turbarti e torturarti. Ti volevo e basta.
Simon non capiva e non era in vena di usare terminologie corrette.
- E come? Come sei passato dall’odio al volermi? Mi hai preso il collo, quattro anni fa, ed io ho detto che sei arrogante. Otto giorni fa non mi sopportavi, poi cos’è successo? Come hai fatto? Perché?
Ibra sorrise come se fosse stato colto in fallo.
- Sono stato egoista, è vero. Ma lo sono sempre. Perché sono abituato a prendermi quello che voglio senza guardare in faccia nessuno.
- E perché io così d’improvviso? - insistette indispettito, senza però staccarselo di dosso. Lo trovava rassicurante, nonostante tutto.
- Non lo so, un giorno ho iniziato a desiderarti. Ho capito che non era vero che ti detestavo, perché avevi avuto le palle di contrastarmi a modo tuo. E mi sei sempre stato davanti senza scappare mai. Non ti andavo a genio, ma sei rimasto. E così ho capito che invece mi piacevi. E ti volevo. Volevo toccare di nuovo il tuo collo, senza farti male...
Ibra continuò a carezzarlo con una delicatezza insperata, mentre Simon si rilassava sempre più, preda di mille brividi che si espandevano in ogni particella del suo corpo, ammorbidendolo.
Eppure non si sentiva veramente meglio. Solo ancor più confuso.
- Non mi aiuta a capire che diavolo devo fare ora... così sto solo peggio... potevi fissarti con qualcun altro... perché proprio me? Stavo così bene com’ero. Adesso è tutto un casino.
- Non stavi bene, non lo sapevi, ma non stavi bene. Adesso hai tutto il tempo che vuoi, ti guarderai in faccia e ti scoprirai per la prima volta. Sarà bello. Io ti aiuterò.
Udendolo, finalmente Simon iniziò a sentirsi un po’ più sollevato.
Sapeva che non sarebbe stato facile, ma non farlo da solo era improvvisamente una prospettiva più sopportabile.
Ci sarebbe stato lui.
Pensandolo sospirò rassegnato, accettando che era vero. Non si era mai conosciuto sul serio. Non aveva mai saputo chi fosse realmente.
O meglio, non aveva mai voluto saperlo.
Ad un certo punto l’aveva nascosto a tutti e così bene che non se ne era nemmeno reso conto lui stesso.
Adesso ne avrebbe pagato le conseguenze o, forse, non senza fatica e coraggio, avrebbe potuto cominciare a vivere.
Non pianse e non lo abbracciò, ma si lasciò carezzare così limitandosi ad appoggiare la fronte finalmente distesa contro la sua guancia. Si concesse solo quello e Zlatan lo rispettò, consapevole che non era minimamente paragonabile a nessuno dei ragazzi con cui era stato e che gli erano piaciuti.
Per questo, forse, si era fissato tanto con lui.
Aveva una forza d’animo e dei nervi così d’acciaio che lo rendevano incredibile.
Aveva appena messo in discussione tutto il suo essere ed era chiaro che per lui non era così facile come era stato per altri. Però era ancora lì dritto e non si stava disperando, non stava andando fuori di testa, non stava nemmeno piangendo o scappando.
Era lì, l’aveva ammesso ed adesso l’avrebbe affrontato.
Ma lui sapeva, Zlatan sapeva che nel modo in cui aveva fatto fino a quel momento gli era mancato qualcosa, non era potuto stare bene, essere veramente completo.
Non poteva.
Avere figli sicuramente rendeva felici e forse era l’unica cosa che l’aveva tenuto in piedi, lui lo sapeva bene. Ma aveva iniziato a vivere veramente, a stare bene e ad essere sé stesso quando aveva vissuto quel lato di sé che aveva sempre represso per sopravvivere alla vita di strada e poi, successivamente, in un ambiente sempre costantemente ostile.
Poi aveva capito grazie alle persone giuste che c’era altro, che si poteva essere sé stessi anche se con pochi eletti. Stare realmente bene nel fare ciò che più volevi profondamente.
Guardarsi in faccia era doloroso, ma una volta che ci riuscivi, ti liberavi e cominciava la vera vita.
Simon, ora, era destinato ad essere felice, anche se sapeva che la strada non sarebbe stata facile.
“È molto testardo e rigido il ragazzo, ‘difficile’ non rende nemmeno un po’. Vedrai che la farà complicata, ci scommetto!”
Dopo un tempo indefinito, si staccarono e ripresero a giocare con imbarazzo. Ibra aveva una sorta di delicatezza, a modo suo.
Era come se continuasse a studiarlo per capire il modo migliore per portare avanti il suo esperimento.
Aveva fatto un grande passo, ma da lì in poi serviva cautela ed era come se pure lui lo capisse, lui, il re degli insensibili e degli egoisti.
Aveva bisogno davvero di tempo e da subito, lui era uno che rifletteva molto su tutto e che prima di agire doveva essere molto sicuro e aver valutato ogni possibile opzione. Faceva qualcosa solo se aveva senso, altrimenti non si smuoveva.
Nei momenti che contavano, sapeva agire con prontezza e lucidità, aveva sangue freddo e non andava mai nel caos, ma Ibra era riuscito a mandarcelo e non sapeva se poteva piacergli, per questo, o detestarlo ancora di più.
Tuttavia ormai che era in quel pantano, era consapevole che da solo non ne sarebbe potuto uscire e che da lì in poi avrebbe avuto bisogno di lui più che mai.
In qualche modo, in un modo che non comprendeva realmente a fondo.
Sapeva solo che ora come ora, Ibra doveva assumersi le sue responsabilità e non poteva più lasciarlo solo in quel nuovo percorso.
Aveva bisogno di capire ancora molte cose e fargli tante domande, ma prima aveva bisogno di riflettere. E per riflettere doveva staccarsi un attimo, fare un passo indietro e riappropriarsi della sua mente.
Trovò dunque terapeutico riprendere a giocare a quello stupido gioco e per la fine della serata, quando decisero di provare a dormire un po’, Simon era diventato decisamente più bravo e pratico.
Aveva una certa manualità naturale e a quanto pareva se lo faceva senza pensarci, gli veniva ancora meglio.
Del resto in quel momento la sua mente era già parecchio occupata.