*Zlatan e Simon fanno piani di conquista per il Milan diventando finalmente la squadra di recupero che tutti sappiamo sono poi stati. Nel mentre Zlatan porta avanti il suo personale piano, anche quello di conquista, ma non della squadra, bensì di una persona. Perchè se lui non ha missioni suicide non si diverte. Siamo a fine gennaio 2020, anno in cui sappiamo tutti cos'è successo. A quel proposito ho inserito indizi qua e là molto tragici stile apocalisse, ma dovevo farlo perché adoro essere drammatica! A proposito della festa (ebbene sì!), non penso proprio che nella realtà si potrebbe verificare un evento simile in mezzo alla stagione, non a Milanello quanto meno (che grigliate lì vengono fatte ma sono in corrispondenza di finali di stagione, solitamente), era più probabile casa di Zlatan, però volevo fosse lì. La foto scelta per rappresentare il capitolo in realtà indica quel che succede, ovvero Ibra e Simon che parlano di calcio. Purtroppo ho a disposizione poche foto di sti due insieme perché non sono tanto espansivi ma a me basta molto poco per shippare qualcuno! Buona lettura. Baci Akane*
17. L’ULTIMA FESTA
- Pensavo di aspettare la fine del mercato ed una volta che avremo la squadra definitiva, magari organizzare qualcosa insieme, una festa di benvenuto a casa mia o a Milanello...
Simon lo guardò finalmente, voltando il capo accanto a lui. Zlatan fece altrettanto. I loro sguardi si incontrarono, gli occhi azzurri del difensore erano sorpresi e concordi insieme.
- Mi sembra un’ottimo punto di partenza.
- Poi li obbligherò a fare più palestra e ad allungare il minutaggio dedicato agli allenamenti giornalieri.
Simon scoppiò a ridere di gusto gettando la testa all’indietro. L’aveva detto con lo stesso tono deciso e sicuro, convinto. Era chiaro che l’avrebbe fatto davvero.
Zlatan, compiaciuto di vederlo ridere rilassato, pensò che potesse provare qualcos’altro e scivolando giù con la schiena, si stese dritto per poi voltarsi sul fianco verso di lui, un braccio piegato sotto il capo, l’aria divertita di chi voleva solo farlo ridere ancora fino a fargli abbassare ancora un po’ la guardia.
- Userai una frusta?
- Perché no! Gli farò seguire il mio programma giornaliero, sia prima che dopo. Con aggiunte personalizzate a seconda del bisogno di ognuno! Vedrai se non migliorano tutti, dopo un po’!
- O muoiono!
Simon ridendo ancora si stese alla sua stessa maniera, lasciando la luce più piccola accesa, quella sopra il letto.
Si guardarono con una complicità che finora non avevano ancora avuto, Simon sempre più rilassato nella convinzione che Zlatan non ci avrebbe più provato mettendolo in confusione, che gli avrebbe lasciato tempo, tutto il necessario.
- Poi comincerò coi discorsi motivazionali. Gli farò capire che parte tutto dalla testa, è l’atteggiamento, che conta. Vedrai se non diventano una squadra!
Simon rise ancora fino a spegnersi e diventare pensieroso.
- Queste sono cose pratiche che vanno benissimo, e a proposito forse dovresti parlarne col mister... - Zlatan alzò le spalle.
- Lo farò, doveva pensarci già lui, ma mi pare aperto a proposte e consigli. È difficile dirmi di no!
Simon sorrise ancora, poi tornò al resto della sua domanda:
- Però comunque questo li farà migliorare da un punto di vista atletico e calcistico. Il punto iniziale era farli diventare una squadra unita... a parte un bel party iniziale, come faremo?
E lì, proprio mentre Zlatan pensava di avvicinarsi e molestarlo un po’, si fermò e lo guardò meravigliato, sentendo una sorta di strano insolito calore, che non aveva niente a che fare con l’eccitazione fisica.
Era la prima volta che parlava al plurale.
“Noi? Ora vuole aiutarmi? Adesso siamo un noi?” poi aggiunse titubante: “Non sarò davvero più solo in queste missioni suicide?”
Aveva sempre scelto missioni suicide per sentirsi vivo, quel genere di cose impossibili, come avere un successo mondiale con una squadra come i Los Angeles Galaxy ed ispirare tanti calciatori americani ad applicarsi e creare, un giorno, un campionato competitivo interessante.
Oppure far diventare la nuova potenza europea un club come il PSG che fino a quel momento era stato insignificante.
O, magari, vincere il campionato più difficile del mondo, la Premier League, col Manchester United.
Ed ora riportare il Milan al suo splendore, farlo tornare alle posizioni che gli competevano, vincere campionati e magari la Champions.
Quella del Milan sarebbe stata la sua ultima missione ed era la più difficile, ne era consapevole, ma era convinto di farcela.
Missioni suicide per sentirsi sempre più vivo.
Eppure le aveva sempre fatte da solo. Poi si era trovato bene nelle varie squadre, con i molti compagni avuti. Ma nessuno si era schierato al suo fianco a portare avanti le sue crociate personali.
Nessuno fino a quel momento.
Lo guardò sorpreso, gli sorrise colpito e compiaciuto e poi disse sfiorandogli il viso così bello e delicato con un dito, senza la barba sarebbe sembrato quasi una donna, probabilmente, e proprio con quella stava davvero bene.
- Beh, siamo in due, che proponi?
Simon trattenne il fiato, forse per la lieve carezza, forse per l’accettazione del suo aiuto nella squadra di recupero.
Si sentì al settimo cielo in un attimo e per nulla spaventato, nessun assetto da difesa.
Così sospirò e pensandoci non trovò soluzioni immediate, ma allungò a sua volta la mano per toccargli i capelli, gli spostò una ciocca sciolta che gli scivolava sul collo, per avanti. Gliela mise indietro come il resto della chioma scura, come ad accettare quel po’ che gli aveva dato senza, per miracolo, esagerare.
Aveva pensato ad una mossa da maniaco, si era preparato a respingerlo e metterlo a posto, ma con stupore eccolo lì al suo posto, con un’insolita dolcezza e attenzione ai suoi bisogni.
Lo vide ammorbidirsi e capì che gli era piaciuto, il gesto.
- Beh, pensiamoci insieme. Potremo intanto fare amicizia con tutti senza rimanere circoscritti a quelli con cui stiamo meglio... iniziare a legare noi con ognuno... poi il resto forse verrà da sé.
- Di solito è così. Il resto viene sempre da sé.
Ma Simon capì che Ibra non intendeva solo nel calcio.
Una volta chiusa la luce, non si toccarono più, nemmeno si sfiorarono, ma rimasero a guardarsi in quella posizione, uno rivolto verso l’altro, fino a che non si addormentarono serenamente.
Dopo la vittoria col Brescia, Simon riuscì a prendere casa e si trasferì. Optò per un bell’appartamento grande in affitto, vicino alla zona indicata da Ibra.
Avere i suoi lontani, soprattutto Elina, era una specie di benedizione in quel periodo complicato. Si rendeva conto ogni volta che li videochiamava che era davvero molto difficile proseguire quel nuovo percorso, tanto che spesso vacillava e si chiedeva che senso avesse farlo. Provare per scoprirsi per quale motivo? Per arrivare dove?
Era sposato, no?
Simon sapeva molto bene che se Elina fosse tornata a vivere regolarmente con lui, e prima o poi sarebbe successo, magari proprio lì a Milano, sarebbe stato estremamente complicato.
Per quanto confuso fosse su di sé, voleva bene alla sua famiglia e non voleva farli soffrire e si chiedeva se fosse possibile conciliare le due cose, come faceva Ibra.
Capiva il discorso che gli aveva fatto, del resto ciò che gli aveva mosso quella sera non era stata una sciocchezza, anzi... era stato piuttosto evidente. Tuttavia, d’altro canto, c’erano loro e ci sarebbero sempre stati.
Poteva anche accettare di avere tendenze omosessuali e di essere sessualmente attratto da lui... magari si sarebbe trovato in situazioni simili anche con altri ragazzi, da quel momento in poi. Una volta che lo capivi, poi vedevi tutto più facilmente. Prima avevi una sorta di filtro che ti impediva di vedere ciò che era realmente.
Razionalmente aveva capito quel discorso, anche se non ne era certo ed era ancora molto confuso su ciò che provasse e volesse e soprattutto su ciò che fosse.
Tuttavia il punto rimaneva.
Anche esplorando e scoprendosi in una data maniera, cosa avrebbe potuto farci, poi?
Aveva sempre avuto una visione della vita e delle cose, non le poteva sovvertire in un attimo e solo per comodità.
Tutti tradivano, per amore o per sesso e basta, c’era chi non considerava tradimento un atto puramente sessuale, qualcun altro invece capiva che se ci si innamorava non ci poteva essere colpa.
Era tutto soggettivo, ma lui era fatto in un modo preciso, aveva sempre vissuto secondo un suo senso di giusto e sbagliato e non aveva mai percorso il sentiero più facile ma più sbagliato. Doveva rimanere fedele a sé stesso, non c’entrava in alcun modo la fede, non era quello il fatto.
Non era una questione di Dio, anche se lui era credente; era solo una questione con sé stesso.
Era sempre stato tutto d’un pezzo, non si poteva tradire così per comodità, per grattarsi via un prurito, magari, per sfizio, per comprendersi meglio, per vedere fin dove si poteva arrivare.
Zlatan avrebbe voluto aspettare il 31 gennaio, l’ufficiale fine del mercato, ma capendo che più tempo gli avrebbe lasciato e peggio sarebbe stato, gli ci volle come sempre molto poco per capire di dover accelerare i tempi e forzare nuovamente la mano.
La festa per dare il benvenuto ai nuovi arrivati non avrebbe potuto aspettare l’arrivo di tutti, né soprattutto febbraio.
“Quella festa sarà perfetta, potremo bere un po’ e lasciarci andare in un contesto diverso dal solito, con musica e casino. Simo si lascerà andare ed io saprò approfittarne, ricordandogli perché non può rimettere tutto in parte solo perché è difficile ed è tutta la vita che è in questo certo modo. È un modo sbagliato di essere. Sarebbe giusto se andasse bene a tutti e se lui fosse felice, ma non lo è. Lui in realtà vuole altro. Ed io glielo darò! Non saprà rifiutarmi!”
Da un lato lo esaltava questo rincorrere, era più bello quando era difficile ottenere ciò che voleva, dall’altro lo seccava perché non era abituato a tante fughe e tanti divieti.
Simon era decisamente il più complicato fino ad ora e non aveva idea che sarebbe stato anche peggio.
Optò così per la coppa Italia, un’ottima occasione per piazzare una festa.
Ovviamente dovevano vincere e passare il turno, se così fosse stato aveva già predisposto tutto per una festa a Milanello, al ritorno del pullman al centro.
Aveva già avvertito Paolo ed aveva avuto il suo benestare. Gli aveva spiegato che stava cercando di creare un gruppo che per il momento non c’era e temeva che aspettando troppo, un’occasione più propizia per esempio, non sarebbero più riusciti a farla. Ma era convinto che la missione unione era essenziale ed andasse svolta il prima possibile.
Così, anche se avrebbero giocato contro il Torino prima della fine del mercato invernale, decise che sarebbe stato meglio approfittarne e farla.
L’unica ovvia clausola per poterlo fare, era stata la vittoria della partita. Paolo non avrebbe mai permesso una festa in seguito ad una sconfitta, specie perché avrebbe significato uscire anche dalla coppa, oltre che perdere di per sé.
Paolo aveva perfettamente capito il suo punto di vista, sapeva bene quanto lui che fare gruppo era la cosa più importante in una squadra che voleva avere successo e dovevano cominciare a lavorare anche su quello, oltre che su questioni pratiche come la rosa o un programma d’allenamento adeguato.
Fu così che grazie alla vittoria dopo i supplementari, i ragazzi poterono festeggiare tutti insieme a Milanello in quella che sarebbe stata la prima, ma anche l’ultima festa.
L’ultima prima di quello che sarebbe passato alla storia come un blocco inaudito di proporzioni epiche.
Era il 28 gennaio 2020, poco più di un mese dopo sarebbe arrivato il coronavirus in Italia e tutto e tutti si sarebbero fermati per tre mesi, completamente, senza alcuna eccezione.
Né Zlatan, né Simon né tanto meno Paolo avrebbero mai immaginato quanto perfetto sarebbe stato quel tempismo e grottesco al tempo stesso.
Come se avessero in realtà festeggiato, ignari, non l’inizio di una nuova squadra, ma l’inizio della fine.
La fine del mondo così come l’avevano sempre conosciuto fino a quel momento. Dopo, niente sarebbe stato più lo stesso.
Dopo ci sarebbe stata una suddivisione precisa per ogni evento ed ogni persona ed essere vivente sul pianeta Terra.
Il pre-covid ed il post-covid.
L’abilità di Zlatan fu tale da non far capire il reale motivo per cui aveva indetto quella festa, né tanto meno aveva fatto sapere loro che in realtà Paolo era perfettamente a conoscenza di tale evento.
L’aveva messa giù come una festa di benvenuto a sé stesso.
Del resto il mercato non era finito e non tutti quelli che erano di partenza o d’arrivo erano già andati od arrivati, si sapeva che avrebbero fatto altro mercato prima della fine della finestra invernale, ma non avendo voluto aspettare, per Zlatan era stato più facile spiegare che era un proprio regalo alla squadra.
Come un Dio che si dona al popolo in grande stile, disse una serie di stronzate simili che fecero ridere gli altri, ci fu chi ci credette e chi capì che non era vero, ma che non capiva comunque il motivo del non aspettare la conclusione delle manovre della dirigenza.
Zlatan non avrebbe comunque saputo come spiegare il motivo che l’aveva spinto a farlo subito.
Era vero che parzialmente c’era di mezzo il creare gruppo, dall’altra parte c’era la questione di Simon, voleva metterlo in una situazione diversa dal solito e spingerlo nella sua trappola.
Ma, in realtà, non c’era solo quello.
Per quei motivi avrebbe potuto benissimo aspettare qualche giorno, il mercato si chiudeva, la squadra definitiva arrivava e, dopo una bella vittoria in Serie A, che confidava sarebbe arrivata, avrebbe fatto quella festa con le motivazioni reali.
Tuttavia no, aveva come avuto un presentimento. Una sorta di fretta.
Non poteva aspettare. Non sapeva perché, non gli era stato chiaro nemmeno a lui, ma appena l’occasione propizia si era presentata, ovvero la vittoria in Coppa Italia ed il superamento del turno, aveva deciso di farlo e basta.
Milanello si prestava particolarmente per le feste di squadra, non erano frequenti se non dopo qualche vittoria di coppa o titoli, ma lì c’era già il bar che bastava far richiesta di rifornimento speciale, c’era lo spazio ed, eventualmente, c’erano le camere dove i ragazzi potevano rimanere a dormire nel caso ne avessero bisogno.
La partita era finita ai supplementari, perciò era durata mezz’ora in più, il tempo di prepararsi, venir via ed arrivare a Milanello, e si era già fatta la mezzanotte.
L’idea di Zlatan era di rimanere fino all’alba per poi rimanere a dormire lì, pronti per gli allenamenti dell’indomani che tanto si sarebbero tenuti nel pomeriggio. Avrebbero pranzato insieme come da programma e poi si sarebbero allenati, in seguito avrebbe iniziato subito ad imporsi trascinandosi dietro qualcuno per qualche esercizio in più in palestra.
Nella sua mente era tutto perfetto, sebbene formalmente sarebbe stata solo una breve bicchierata, una birra in compagnia per festeggiare l’onore di avere dio Zlatan fra loro.
Non voleva che si ubriacassero, la birra a disposizione era arrivata, ma in misura limitata. Pochi alcolici e non troppo pesanti.
Il bar normalmente chiuso di notte, era stato lasciato aperto col necessario per la festa in questione, il barista pagato doppio e ben istruito da Paolo su quanto e cosa avrebbe potuto fornire ai ragazzi. Non erano comunque a fine stagione, né tanto meno avevano vinto alcuna coppa, perciò pensare di esagerare ed alzare il gomito in totale libertà, era assolutamente fuori discussione. Tanto più che Paolo era stato uno che aveva sempre voluto tenere ben sotto controllo ogni aspetto di tutti i giocatori che stavano sotto di lui, tanto quando giocava, tanto ora che dirigeva.
Zlatan aveva assicurato che non avrebbero esagerato, ma contava di poterla rifare dopo un periodo particolarmente positivo di rendimento, come incentivo ai ragazzi per continuare così, sempre una cosa contenuta come sarebbe dovuto essere quella.
Contenuta dal punto di vista alcolico, non certo del divertimento su cui lo svedese contava di poterci dar dentro come si doveva.