*Simon e Ibra arrivano insieme al Milan a Gennaio 2020, ma i due hanno un brutto trascorso, in particolare durante un partita di quattro anni prima Ibra ha preso per il collo Simon e lui l'ha definito 'arrogante e fuori luogo'. Nessuno dei due è felice di essere compagno dell'altro, ma sono adulti e cercheranno di controllarsi. O meglio, Simon ci riuscirà, ma Ibra forse è troppo spontaneo per mascherare quel che pensa e prova. Il destino, però, non ha smesso di divertirsi con loro e scopriranno altri 'scherzi' a loro discapito. Chiedo scusa per la lunga attesa, ho avuto una settimana impegnativa. Il prossimo capitolo spero di pubblicarlo prima della fine della prossima settimana. Adesso le cose iniziano a farsi sempre più interessanti, in un crescendo che sarà esplosivo. Buona lettura. Baci Akane (il destino)*
2. IRONIA DEL DESTINO
Per Simon non era la prima esperienza in Italia, la prima era stata molti anni prima col Palermo, poi ce n’era stata un’altra, più breve, con la Roma. Nelle varie occasioni in cui aveva militato nel campionato italiano, aveva avuto modo di ammirare il Milan nei suoi vari alti e bassi, ma era sempre stata una delle squadre nelle quali gli sarebbe piaciuto riuscire a giocare. Tuttavia non si era mai legato ad una in particolare, finendo per girare moltissimi club in svariati campionati.
Girando così tanto, aveva imparato tante lingue e culture diverse ed anche stili di gioco.
Ogni campionato aveva il suo calcio e da ognuno aveva appreso qualcosa per arrivare a Trent’anni con una cultura ed un’esperienza di tutto rispetto, anche se non una carriera complessiva che gli permetteva di essere messo particolarmente in risalto al punto da avere certezze.
Non aveva mai messo radici in nessun posto, non gli era mai piaciuto un club od una città tanto da voler rimanere a tutti i costi, ma l’Italia gli era sempre piaciuta più degli altri Paesi, così come la Serie A.
Era finito in qualche modo per favorirla sulle altre scelte tutte le volte, se fra le possibilità di gioco c’era stata una squadra italiana del primo campionato.
Era stato così anche con l’Atalanta, anche se non era andata bene come aveva sperato e non si era trovato nel genere di modulo usato dall’allenatore.
Questo aveva dato vita ad un’opportunità che, appena si era presentata, non aveva esitato un istante e l’aveva colta subito con entusiasmo.
Per quanto lui potesse dimostrarne.
Non sapeva se non si era mai legato a nessun posto perché aveva girato tanto o se aveva girato tanto perché non si era mai legato a nessun posto.
Riteneva di aver sempre fatto un lavoro soddisfacente, ma era consapevole di essere cresciuto e migliorato negli anni e di avere punti deboli così come di forza.
Nella difesa a tre non si trovava bene e doveva essere supportato da dei compagni che quanto meno fossero in grado di capirlo.
Per svolgere bene il ruolo di difensore servivano una serie di condizioni, non bastava essere forti e dotati a livello personale.
Quello era essenziale, ma da solo non era sufficiente.
Potevi essere il difensore più forte del mondo, ma in una difesa di brocchi, risultava inutile. Oltretutto il modulo doveva essere congeniale, non tutti potevano giocare al massimo in ogni schema.
Era così per gli attaccanti ed i centrocampisti, figurarsi per i difensori.
Girando liberamente per Milanello, si trovò ad ammirare e a comprendere perché quel centro sportivo era considerato uno dei migliori non solo in Italia, ma in generale nel mondo del calcio intero.
C’era qualunque cosa un giocatore potesse aver bisogno ed anche oltre.
La parte dei dormitori comprendeva le camere dei giocatori, tutte da due, accanto ad esse c’era la cosiddetta ‘Foresteria’, ovvero le stanze dove i ragazzi della Primavera potevano vivere per allenarsi e studiare se lontani da casa.
Era un’opportunità importante per i giovani, avere accesso ad una sistemazione simile per poter giocare a calcio a livello professionale senza rinunciare all’istruzione.
Nello stesso stabilimento del dormitorio, al piano terra, c’era la zona giorno che comprendeva quella relax - con una splendida sala del caminetto, una sala tv ed anche una sala biliardo - e la mensa - comprendente un bar e il ristorante con la cucina.
Un’altra parte di questo stesso edificio, ospitava gli uffici, la sala stampa, la sala riunioni ed un centro medico.
Simon percorse tutto il corpo intero dell’edificio con calma e curiosità, ammirando senza pensare a nulla di particolare se non immaginarsi lì per un paio d’anni invece che per un paio di mesi.
Suppose che i piani interrati fossero relativi a lavanderia e stireria di cui ricordava d’aver letto nell’elenco vicino all’ascensore principale, accanto alle scale.
Colpito dalla grandezza, ma soprattutto dalla completezza, con la borsa d’allenamento in spalla che conteneva il cambio per l’allenamento ed il necessario per lavarsi, superò quella parte del centro per arrivare all’altra, l’edificio che riguardava gli spogliatoi e la palestra.
Leggendo i cartelli identificativi comprese che uno era per lo staff ed uno per la Prima Squadra. Decise di fermarsi lì e posare le proprie cose per poi vestirsi e mettersi la tuta d’allenamento.
Mancava ancora un po’ all’inizio ufficiale della sessione, perciò decise di usufruire della palestra che aveva intravisto sempre poco più avanti, nello stesso apparato.
Una volta dentro vide che oltre ad essere grande e sufficientemente comodo, ogni postazione singola era composta da scompartimento con mensole e ganci e, davanti ad ognuno, un sedile.
Ognuno aveva i propri spazi.
Simon piegò le labbra ammirato, godendosi quel momento di totale solitudine e silenzio, immaginò come ben presto lì si sarebbe riempito di un consueto caos.
Cercando di capire dove potersi mettere per non occupare il posto di qualcuno, notò che uno era già stato riempito, c’era un borsone, delle scarpe e giacca con abiti appesi e lasciati in una panca.
“C’è già qualcuno...” pensò sorpreso guardando quell’unico posto che lasciava chiaramente intendere che non era realmente solo.
“Chissà chi è.” si disse senza una reale curiosità.
Notando alcune cose riposte nella maggior parte dei loculi, ne scelse uno completamente vuoto e pulito, sperando di non occupare quello di nessuno.
A quel punto mise le proprie cose in ordine ed iniziò a cambiarsi intenzionato ad andare poi in palestra, posto che raggiunse subito dopo, decidendo di lasciare l’esplorazione esterna a più tardi.
In parte per il freddo invernale che il 14 Gennaio a Milano non poteva essere trascurabile, un po’ perché era finalmente arrivato al posto che lo interessava maggiormente in quel preciso istante.
Raggiunta la porta d’accesso interna, intuì che l’altro compagno dovesse essere in palestra dalla musica forte che perforava i timpani.
Una musica rumorosa, forse rock anche se non poteva esserne sicuro. Non era di sicuro il suo genere.
Simon arricciò lievemente il naso, ma non fece alcuna piega ed una volta messo piede all’interno della palestra, rimase un’attimo sorpreso davanti all’immensità di quella sala super attrezzata.
Oltre ad essere grande, era fornita di qualsiasi attrezzatura e macchinario e c’era spazio sufficiente per altri esercizi vari al coperto sui tappetini e con altri oggetti.
Da un parte c’era un enorme specchio, dall’altra un’intera parete a vetri con le porte che davano direttamente all’esterno ai campi da calcio. In un lato c’era la parete che divideva la palestra dal corridoio interno dell’edificio, collegato agli spogliatoi da cui arrivava Simon, oltre alla porta c’erano anche delle finestrelle quadrate che permettevano di guardare all’interno della palestra.
Nella parte rimanente c’erano altre attrezzature, scaffali e materiale, lo stesso che probabilmente si trovava all’interno di una porta che poteva supporre essere un magazzino.
Dopo essersi perso ad osservare per bene e con cura ogni dettaglio, lo sguardo attento ed inquisitore di Simon si posò sull’unico membro della squadra già presente ed attivo nella cyclette.
Appena mise a fuoco di chi si trattava, gli venne un colpo.
“Ibrahimovic? Veramente? Proprio lui? Che divertente!”
Ma non era realmente divertito, mentre lo fissava torvo alle sue spalle.
Con la confusione della musica ed il proprio tipico modo silenzioso di esistere, non si era accorto della sua presenza. Si chiese se potesse fingere indifferenza e andarsene in attesa di conoscere gli altri, ma decise di non cominciare male.
Voleva stare bene in quel posto, ci teneva, perciò non poteva permettersi di giocarsela male con lui, sicuramente uno dei membri più importanti della squadra.
Valutò attentamente e velocemente il da farsi, poi approfittando del cambio della canzone, si avvicinò facendo sentire la sua presenza.
Normalmente in palestra iniziava con la cyclette ma visto che c’era già lui, andò verso i tapis roulant.
Nel movimento, Ibra lo percepì e voltandosi lo vide.
Simon gli sorrise gentile, perfettamente padrone di sé e di ogni centimetro della sua mimica facciale da cui non trapelò minimamente il proprio disappunto nel ritrovarselo davanti.
Ibra no, ovviamente.
Preso alla sprovvista, liberò una spontanea ed evidente espressione che era un misto fra lo stupore ed il fastidio.
Per la precisione pensò: “Cazzo, proprio lui?!” e Simon glielo lesse per bene nella mente, non che fosse difficile capire cosa gli frullasse per la testa.
Suo malgrado non fece una piega e fingendo di non aver colto contrarietà nel suo volto dai lineamenti adulti e decisi, gli andò incontro salutandolo con una cordiale e formale mano tesa.
- Ehi, ciao!
- Ciao! - rispose Ibra ricambiando la stretta, assecondandolo. - Già qua?
Simon si strinse nelle spalle con aria di circostanza.
- Dovevo sistemarmi in camera.
In quello la musica riprese con un’altra canzone ed invece di abbassarla per chiacchierare un po’ o magari chiedergli se gli andasse bene, la lasciò così com’era impedendo il dialogo.
Il nuovo arrivato non si disperò e cogliendo al volo l’occasione gli indicò il tapis roulant in un’altra fila di macchinari poco più in su e vi andò approfittando per usarlo.
Forse l’aveva fatto apposta, si disse il danese, ma non si disperò. Non aveva di certo piacere nel conversare con lui e la cosa doveva essere reciproca.
Sistemato di schiena rispetto a lui, azionò la macchina ed iniziò una corsa leggera trovando sgradevole ed assordante quella musica allucinante, dove percussioni e strumenti elettronici ci davano particolarmente dentro.
Gli sarebbe scoppiato il cervello, ma se l’avesse abbassata avrebbe iniziato male la nuova avventura e non era il massimo dei suoi desideri. Oltretutto preferiva avere quella scusa per non parlargli.
Lo ricordava arrogante e fuori luogo e sperava che nel frattempo fosse cresciuto, ma era evidente che così non era stato.
“Pazienza, la squadra conta circa venticinque giocatori in tutto, non dovrò per forza andare d’accordo con tutti, anche se uno di loro non lo calcolo sarà uguale.”
Del resto se si trattava di ignorare qualcuno, era il migliore.
Zlatan voleva imprecare ad alta voce e magari spaccare qualcosa, ma per miracolo si controllò e approfittando della musica che non avrebbe minimamente abbassato, riuscì ad allontanarlo da sé.
Non solo era compagno di squadra di Simon, ma era anche uno di quelli che veniva sempre in anticipo e faceva palestra in attesa di iniziare. Proprio come lui.
Che bellezza!
Poteva essere uno di quelli che arrivava all’ultimo minuto? No, ovviamente: lui veniva prima!
Fantastico!
Cos’altro poteva succedere? Mica se lo sarebbe ritrovato anche come compagno di stanza, ci poteva mancare solo quello!
Lo guardò da dietro osservando la sua schiena snella mentre correva nella tuta fornitagli dal Milan, il portamento leggero ed elegante in una semplice corsa su un macchinario. La nuca dai capelli corti e biondissimi.
Zlatan lo perforò con lo sguardo ritrovandosi a pedalare veloce nella cyclette, mentre le sue parole rimbombavano nella sua mente.
“Arrogante e fuori luogo! Come la metti ora che sei compagno di squadra di un arrogante fuori luogo?”
Non era tanto una questione di permalosità quanto di legarsi al dito certe cose. In quel caso dubitava che sarebbe potuto succedere qualcosa in grado di fargli cambiare idea.
“Lo ignorerò, è la cosa migliore. Dobbiamo giocare insieme, ma ci sono altri venticinque giocatori. Non è necessario che diventiamo amici e che andiamo d’accordo, basta che non lo uccido. Sarà sufficiente fare finta che non esista e tutto andrà bene.”
Tutto sarebbe andato bene, benissimo anzi!
Passarono poco più di mezz’ora soli in palestra a fare macchine senza parlarsi nemmeno per sbaglio, poi per fortuna arrivarono i loro compagni che con un piacevole e ben accetto caos, posero fine al loro allenamento imbarazzante e solitario.
Simon fu lieto di conoscerli trovandoli uno più carino e socievole dell’altro. Gli fecero tutti un’impressione positiva, in particolare il capitano, Alessio, che era anche l’altro difensore centrale titolare. Capì subito di poter collaborare facilmente con lui in campo.
Era tranquillo e disponibile, sicuramente uno con cui trovarsi bene al primo colpo e con cui legare.
Simon trovò che il gruppo fosse una rosa eterogenea e con elementi piacevoli.
“L’unica pecora nera è Ibra, ma sopravviverò!” pensò sperando di trovarsi in camera con Alessio vista l’indole calma e serena simile alla propria.
Lo sperò per tutto il pomeriggio e poi anche dopo, a cena, ma tale aspettativa venne tragicamente distrutta quando, al momento di salire nelle camere dopo una piacevole chiacchierata post cena nell’area relax, notò che Alessio andava in camera con un altro dei loro compagni.
Il portiere, se non ricordava male.
Lo salutò con un sorriso senza tradire delusione.
Anche se non era con lui, sarebbe stato bene con chiunque altro. Bastava non fosse Ibra, ovviamente, ma sarebbe dovuto essere davvero sfortunato in quel caso.
Beccare proprio l’unico che non gli andava bene sarebbe stato molto ironico.
Come evocato dai suoi pensieri, notò lo svedese davanti a sé dirigersi verso una delle camere in fondo.
Simon inghiottì a vuoto guardandosi intorno nel constatare che tutti gli altri compagni si stavano infilando in camere diverse, al contrario suo.
“Non sarà mica davvero...”
Non riuscì a finire il pensiero che la sua paura si materializzò come evocata, in una sorta di maledizione auto lanciata.
Ibra aprì la porta della sua stessa camera ed entrò senza fare caso a lui, come se nemmeno l’avesse percepito.
Simon si fermò inghiottendo a vuoto, fissò gelido la stanza dentro cui proprio lui era entrato e prese un respiro profondo, ritrovandosi lì, a quel punto, proprio da solo.
“Oh, ma dai!”
Fu molto bravo a gestire anche i propri pensieri nei quali chiunque al suo posto si sarebbe sfogato.
Lui no.
Simon si limitò a quello, poi facendosi coraggio, usò le sue chiavi per entrare nella stessa camera e si preparò ad un periodo più complicato di quel che si sarebbe aspettato e che aveva sperato.
Aprì la porta, varcò la soglia, la chiuse alle sue spalle e con un sorriso che non arrivava agli occhi azzurri, ma che comunque rendeva ugualmente splendido un viso levigato e perfetto, lo salutò semplice e apparentemente normale:
- Sono il tuo nuovo compagno di stanza, a quanto pare.